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Autore: Mirella__    22/12/2015    4 recensioni
E se Goku fosse scomparso misteriosamente durante lo scontro con Baby?
Cosa sarebbe successo se lo Tsufuru avesse vinto?
In un mondo in cui tutti sono diventati dei burattini, Pan e Mr. Satan sono gli unici a non essere infetti.
Ma, ormai, per il campione dei campioni l'età si sta facendo sentire ed è costretto a lasciar scappare Pan per evitare la sua eliminazione.
La ragazza dovrà vivere nascosta alla luce, cercando ogni giorno di diventare più forte per poter far ritornare il mondo alla normalità.
Ce la farà?
Genere: Avventura, Dark, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Lotta per la libertà

 

Capitolo 1

 

La foresta oltre la zona di confine

 

Nuova Bacittu. Città dell'Est.

Age 789 Baby diventa il signore assoluto dell'universo conosciuto.

Age attuale 803

 

Cosa siamo, noi, se non il riflesso stesso della nostra famiglia?

Siamo singoli esponenti di una piccola comunità che, nonostante odi il suo prossimo, spesso non può fare a meno di vederlo, di essergli vicino, nonostante il male che ciò comporta.

Quindi cosa siamo noi che non abbiamo passato?

Mi chiamo Pan Son, all'epoca ero l'ultima Saiyan sopravvissuta, nonché una dei pochi terrestri rimasta davvero tale.

Avevo una piccola abitudine che faceva preoccupare non poco Nonno Satan: d'inverno uscivo per le strade di Plant, un pianeta che era così simile alla Terra... ma al tempo stesso del tutto diverso: il cielo aveva una tonalità più cupa, quasi opprimente e la terra era aspra, brulla. La Capsule Corporation aveva provveduto. La sua tecnologia era riuscita a rendere i terreni secchi e infruttuosi coltivabili e quel mondo era presto divenuto confortevole anche per loro... piccoli esseri che vivevano all'interno delle persone. I terrestri non erano più tali. Si chiamavano Tsufuru ed erano felici di esserlo.

Camminavo a testa bassa tra di loro, preferendo le ombre dei vicoli che i grandi grattacieli di Nuova Bacittu offrivano. Tenevo la coda ben nascosta, avvolta alla vita. Il giaccone pesante celava il tutto. Non sapevo perché quella caratteristica, tipicamente Saiyan, fosse ricresciuta. Non avevo voluto staccarla, mi ricordava cos'ero, a quale razza appartenevo davvero. Era quello il motivo per cui non uscivo allo scoperto: mi avrebbero presa e sarei diventata come loro.

Loro... No. Maledizione! Non avrei dovuto pensarci.

Eppure... eppure erano lì! Si stava avvicinando il Natale.

Lacrime amare cominciarono a solcarmi il viso, ma le cacciai via con il dorso della mano.

Sorrisi tra me e me: sorridere era quello che dovevo fare, tanto ormai la decisione era presa. Drizzai le spalle e sparii tra le ombre, muovendomi con scatti rapidi e decisi. Solo quando fui in una stradina secondaria e praticamente disabitata usai il ki per muovermi con una velocità ancora più spedita. Mancavano un paio di isolati. A quel punto azzerai la mia aura e continuai a levitare, divenendo un tutt'uno con ciò che mi circondava. Uno degli uomini più forti dell'universo era lì, dentro la sua casa, se mi avesse sentita probabilmente sarei morta.

Non mi importava affatto. Avevo bisogno di rivederli. Erano passati due anni dall'ultima volta in cui avevo fatto loro visita e per poco non mi ero fatta scoprire.

Il quartiere era composto da una serie di villette a schiera, tutte le abitazioni erano circondate da piante e alberi in quantità, nel vano e mal riuscito tentativo di ricreare gli ambienti naturali dei monti Paoz. Era una placida copia, questo sì, ma, come ogni cosa del pianeta Plant, aveva un ordine disumano, terrificante e perfetto.

Scavalcai la recinzione e mi avvicinai di soppiatto alla finestra del secondo piano, nascondendomi tra le fronde di un albero.

Tirai su le labbra ancora, ignorando il nodo alla gola che provavo ogni volta che vedevo il mio fratellino più piccolo. Gomen dormiva sereno nella sua culla. Da quella posizione potevo vedere anche mio padre che cingeva dolcemente i fianchi di mia madre. Erano sempre innamorati, come quando lo erano stati da umani. Mio fratello probabilmente umano non lo era stato mai: come ogni neonato della nuova generazione, aveva già in lui il seme della razza Tsufuru.

Il rancore che provavo verso Baby mi ruggii in petto. Lo odiavo. Doveva morire! Non era giusto!

Ma l'impeto dell'odio venne presto soppiantato dal terrore. Nella mia rabbia avevo lasciato che il ki scorresse in me e che l'aura si alzasse. Era stato un istante, un memento, ma era bastato tanto affinché mio padre si voltasse verso la finestra.

Restai immobile, nascosta dai rami e dalle foglie fitte. L'aura nuovamente azzerata. Il cuore batteva all'impazzata, i palmi delle mani erano sudate e un tremolio leggero continuava a scuotermi.

Avvertii altro e in quel momento capii di essere salva.

Una macchina si stava avvicinando al vialetto e le auree che avvertivo all'interno erano sufficientemente forti da celare la mia. Mio padre si allontanò dalla finestra e ne approfittai per scendere dall'albero e nascondermi meglio contro la parete della recinzione in muratura. Mi abbassai tra i cespugli e vidi scendere da quella macchina Trunks e Goten.

I guai non arrivavano mai da soli.

Tremai, perché se mai mi avessero vista per me sarebbe stata la fine e, come una pazza, sorrisi a quel pensiero. Il mio sangue e la mia forza erano dolci richiami che mi spingevano a lottare, a provare quel terrore che faceva scattare un determinato istinto di sopravvivenza: l'istinto dei Saiyan.

Nonostante conoscessi i rischi, non potevo fare altrimenti. Il combattimento era il canto del mio popolo.

Sentii la porta d'entrata aprirsi e la voce di mio padre che, formale, salutava come due perfetti sconosciuti Goten e Trunks: “Benvenuti, siete i primi stasera. I tuoi familiari, Trunks, devono ancora arrivare”.

Trunks annuì e accennò un sorriso di circostanza: “Mia madre è brava a farsi attendere. Credo che sia l'unica Tsufuru in grado di mettere da parte gli orari per pensare solo a se stessa, quando non si tratta di lavoro ovviamente”.

Vidi mio padre annuire e farsi da parte per lasciarli entrare. Goten accettò subito l'invito, ma Trunks si fermò all'improvviso.

“Scusami, Gohan, credo d'aver dimenticato una cosa in macchina. Arrivo subito”.

Io chiusi gli occhi. Quella sera ci sarebbe stata una riunione? Cercai le auree dei terrestri, sentendo solo distrattamente il rumore della porta che si chiudeva e i passi di Trunks dirigersi verso l'auto.

All'interno della casa c'erano tutti: il genio, Lunch, Yamcha, Crilin...

Mi resi conto d'aver fatto il passo più lungo della gamba. La mia mossa era stata davvero azzardata. Non potevo stare ancora per molto. Bastava davvero troppo poco per essere scoperta.

Sgranai gli occhi e di fronte a me ve ne erano due rossi, screziati di ceruleo.

Mi sentii mancare, le ginocchia per un attimo sembrarono volermi cedere.

Quando si era avvicinato Trunks a me? Non lo avevo sentito. I suoi passi erano stati impercettibili e nulla della sua aura era cambiato. Mi vergognai. Ero così... impotente in confronto a loro.

“Vattene da qui”. Sussurrò. “Tu non sei la benvenuta”.

Guardai le sue labbra muoversi, poi di nuovo i suoi occhi. No, mi ero sbagliata, non c'era traccia del loro consueto celeste.

“Mi stai lasciando andare?” Avevo codificato solo in seguito le sue parole e ne ero rimasta spiazzata.

Lui annuì, come se fosse stata una cosa normalissima. “Potresti essere l'unica cosa d'interessante in un mondo dove tutto è diventato monotono”. Il suo volto, il suo atteggiamento nei miei confronti, tutto lasciava vedere il ribrezzo che provava nell'avere una Saiyan al suo cospetto.

Indietreggiai.

Non potevo farne a meno. Era terrificante vedere quel ribrezzo negli occhi di una delle persone che avevo amato tanto. Scavalcai il muretto e andai via il più velocemente possibile. Solo quando fui sufficientemente lontana da non far avvertire più la mia aura mi alzai in volo e tornai a casa.

 

“Dove sei stata?” Nonno Satan non appena mi vide rientrare mi corse in contro, sembrava infuriato.
Io gli feci la linguaccia e accennai un occhiolino.

“In giro, come tutti i ragazzi della mia età”. Risi e lo abbracciai. “Non devi essere tanto apprensivo”.
“Lo sai che non devi uscire... mai” L'ultima parola la pronunciò talmente forte che tossì fino a tenersi il ventre per il dolore al petto. Mi misi al suo fianco e lo aiutai come potevo; soffrivo a vederlo così, piegato da una malattia che andava avanti da troppo tempo.
“Hey, nonno, lo sai che non ti devi sforzare troppo,” lo accompagnai fino in camera, ma quando arrivammo davanti la sua porta lui scosse la testa e cambiò direzione, dirigendosi verso la mia.
Non appena entrai in camera notai che sul mio letto c'erano delle valigie.
Sbiancai. “N... nonno, cosa significa?” Lui mi abbracciò, mi tolse persino il fiato in quella stretta, rivelando una forza che non lo aveva mai davvero abbandonato e iniziò a parlare, mentre le lacrime gli scendevano, mostrando tutta la sua sofferenza nel lasciare andare quella che per lui non era solo una nipote, ma l'unica persona amata ad essere rimasta sempre la stessa.
“Sono vecchio e purtroppo devo farmi delle visite, quindi devo dare loro il mio sangue. Scopriranno che non sono infetto e con tutta probabilità mi uccideranno”.
Il gelo mi penetrò nelle ossa. “Sai che non lo permetterò”.
Lui mi sorrise: “O saranno loro a farlo o sarà la mia malattia. E una volta morto prenderanno i miei possedimenti, ecco perché ti devo lasciare andare via,” le spalle gracili si incurvarono in avanti, avevano troppi pesi da sopportare. “Queste sono le valigie, ho già preparato tutto il necessario, loro verranno a prendermi tra breve, ho solo poche ore”.

Cercai di trattenere un singhiozzo. Era la seconda volta in vita mia in cui ero costretta a lasciare tutto. “Buu non può creare un campione fantoccio? Così come ha fatto per i tuoi occhi?” La mia voce tremava, quasi non la riconobbi come mia. Buu da tempo si occupava di farci passare come Tsufuro, comprando dei vestiti per le mie brevi fughe e fabbricando delle lenti a contatto che facevano apparire i nostri occhi come quelli degli altri tsufuru.

Il nonno scosse la testa e si sedette sul letto. “Vedi, potrebbe farlo. Non ho ancora ben deciso come risolvere il problema. Mia piccola Pan, so che non posso continuare a tenerti qui. Se il campione non dovesse andare... tu lo sai che risulti scomparsa. Se loro dovessero scoprire che io sono ancora in me verrei inevitabilmente collegato a te. Quindi preferisco darti ciò che ho adesso e metterti al sicuro”.

“Al sicuro?” Inarcai un sopracciglio. “Nonno, ti prego, quale posto è sic...”
“La foresta oltre la zona di confine”. Mi interruppe lui e io restai interdetta. Quello era un luogo al di là della città. Non esistevano persone, lì. Non perché non fosse abitabile: Baby aveva organizzato il pianeta in modo da avere un'occupazione sistematica del territorio. L'attuale popolazione ricopriva esattamente due quarti della superficie e la città di Bacittu era considerata l'inizio del mondo, alle sue spalle vi era la foresta oltre la zona di confine.

“Se tu fossi stata normale,” disse mio nonno, affranto, “Non mi sarei mai sognato di mandarti lì. Ma tu, oltre ad avere il mio sangue, hai anche quello di tuo nonno Goku. Sei forte, incredibilmente forte”. Mi guardò ancora con le lacrime agli occhi. “Lì puoi sopravvivere. Puoi essere libera. La zona di confine ha una sorta di campo magnetico che Baby stesso ha imposto. Non esistono auree che possono essere percepite e che provengono da lì”.

“Come fai a saperlo?” Chiesi allibita. Ne parlava come se ne avesse avuto diretta esperienza. Ma lui scosse la testa.

“Lì potrai allenarti. Lì avrai una possibilità Pan. Potrai salvare tutti; forse...”

Lo strinsi a me, cercando di mostrarmi forte, almeno ai suoi occhi: “E quando avrò salvato tutti,” sussurrai, “indirai un nuovo Torneo Tenkaichi. Che ne dici?”

Lui si passò un braccio sugli occhi e poi si soffiò il naso nella grande manica rossa della sua vestaglia. “E mi farai vincere?”
“Questo non lo so,” gli feci l'occhiolino. “Metti caso arrivi lo zio Goten o Trunks in finale?” Risi ancora e mi alzai, prendendo le valigie tra le mani.

Il nonno tornò serio e io ricambiai il suo sguardo. Era una speranza debole, la fiammella morente di una candela, ma tanto bastava per non salutarci con un triste addio.
 

 

Angolo dell'autrice

Ebbene... rieccomi qui.

Questa storia è datata. Incredibilmente datata. Tantissimo datata.

http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1020230&i=1

Magari ci sono lettori silenziosi tra di voi che l'avevano già adocchiata.

Ora vado a spiegarmi in cosa consiste la idea.

Sono tormentata dal blocco dello scrittore. In realtà è più una crisi nervosa che altro. Quindi siccome la mia testa per un motivo o per l'altro tornava a questa storia e... contando il fatto che ci sono milioni di errori grammaticali nella prima versione, ho deciso di fare un bel remake e perché no, riproporre l'idea e vedere se può ancora piacere.

Ovviamente la storia sarà diversa, avrà sfumature in più e modifiche sostanziali. Per questo lascio il link della prima in modo tale che se qualcuno la voglia leggere è il benvenuto, ma consiglio vivamente di aspettare l'aggiornamento di questa perché se magari con la prima versione vi bruciano e sanguinano entrambi gli occhi, magari con questa sarà solo uno a bruciare e sanguinare(?).

Ok, credo d'aver detto tutto.

Spero che la lettura sia stata di vostro gradimento.
Al prossimo capitolo!

Recensioni positive e critiche sono sempre ben accette ;)

  
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