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Autore: MissWanderfullMadness_    22/12/2015    0 recensioni
Ciò che più li tormenta è il fatto di sapere che tutto quello che non ricordano sia dentro di loro, invisibile ai loro occhi, ma presente come la sensazione di vuoto che popola la loro testa e il loro cuore. Ma "un ricordo è come il dolore: puoi coprirlo e scofiggerlo, non ucciderlo" aveva detto una volta il Professor K. Condannati ad una vita che scorre senza che loro riescano ad esserne trasportati, sognando di cristallo e fiamme ardenti, i due cercano costantemente di afferare pezzi del loro passato, un luogo senza tempo, un volto senza nome. E mentre la magia di un forte sentimento spinge nelle loro menti per combattere per ritrovare l'altro, dappertutto quel nome, una potente traccia del loro passato: Hush.
Genere: Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Svelto, di qua! - disse la ragazza entrando a capofitto nell'ennesima stanza buia, seguita a ruota dal ragazzo; quest'ultimo si stava chiedendo in che modo un essere minuto come lei potesse avere tanta forza nelle gambe, quando i suoi pensieri furono sostituiti da una crescente paura. Avevano dovuto interrompere la loro corsa trovandosi in una stanza ampia apparentemente senza vie di fuga. Appese alle pareti, le fiaccole che ardevano di un fuoco azzurro non riuscivano ad illuminare tutta la stanza, mentre rendevano perfettamente visibile una rete che occupava tutta la parete dinanzi ai due e correva dal pavimento al soffitto, contrastando con la penombra che li circondava dato il suo colore blu elettrico. - E adesso? - domandò sfinito il giovane, sentendo i loro passi farsi sempre più vicini. In risposta, la ragazza si distese a pancia in giù e prese a scivolare attraverso un taglio di circa mezzo metro che si apriva nella rete, praticamente invisibile ad un occhio incosciente. Lui rimase immobile ad osservare la scena; al di là di quella recinzione era tutto di un buio pesto, nemmeno le fiaccole riuscivano a schiarire le ombre che avevano davanti. Se c'erano, pensò il ragazzo, il quale stava iniziando a temere che non ci fosse nulla oltre. Non nulla, ma il nulla, niente assoluto. Il confine tra la penombra della stanza e le tenebre più oscure era segnato da quella rete. Riemergendo con la sola testa, la giovane lo guardò sinceramente preoccupata dicendo:- Mi lasci da sola? - Lui, nonostante fosse davvero in ansia, si sforzò di sorriderle. Mai, pensò prima di abbassarsi e attraversare quel confine che, per quanto potesse saperne lui, poteva delimitare un pozzo senza fine o le tenebre dell'inferno.
Inaspettatamente si sentì risucchiare da una forza ben più forte ma più dolce della gravità e, dopo un orribile, inquieto attimo di niente, sentì del terreno sotto i piedi. Cadde immediatamente a terra per il grande slancio, ritrovandosi disteso su un solido pavimento. 
Alzò lentamente la testa, temendo il peggio.Tirò un sospiro di sollievo nel vedere l'accennato sorriso incoraggiante della ragazza che gli si parava davanti.
Alzandosi, il ragazzo si guardò intorno con occhi increduli. L'unica parola che gli venne in mente in quel momento per descrivere il tutto era magico.
La stanza in cui si trovavano era apparentemente senza fine, ma ciò che più lo colpì di quel luogo era quel che occupava: tutto, ogni cosa là dentro era in cristallo. 
Boccette di profumo, vasi, calici in cristallo erano appoggiati sopra tavolini dello stesso materiale, sculture classiche incolori si stagliavano maestose vicino alle pareti, un manichino cristallino sedeva aggraziato allacciandosi la scarpetta da ballo.
Il tutto era reso stregato dalle torce appese ai muri, le quali gettavano la luce azzurra del fuoco su ogni cosa, conferendogli un'aura soprannaturale e angelica. 
Era magnifico.
Una mano prese la sua risvegliandolo dalla trance. Lanciatogli uno sguardo rassicurante, gli occhi che rinviavano a loro volta quel bagliore blu, la ragazza prese a condurlo attraverso quel labirinto formato da tutti quegli oggetti cristallinei. Notando la sua andatura sicura, il ragazzo suppose che quella non doveva essere la prima volta che camminava su quel pavimento blu notte, unica cosa in marmo là presente.
Si fermarono avanti ad una teca di cristallo, sorretta da un piccolo pilastro molto lavorato; la giovane, con mani delicate, la alzò e la posò dolcemente a terra, per poi scostarsi permettendo a lui di vedere. Egli dapprima guardò curioso l'oggetto che era stato scoperto, poi spostò lo sguardo su di lei, confuso. Quest'ultima allungò una mano verso il pilastro, poi l'altra a prenderne una delle sue, dove ripose il lucchetto. Il ragazzo fu percorso da un leggero brivido non appena il suo palmo venne a contatto con il freddo metallo; si rigirò delicatamente il lucchetto tra le dita: non era grandissimo e attorno al buco della serratura, sul davanti, erano incisi ornamenti in stile gotico che dovevano aver richiesto una mano molto esperta. Quei tratti sembravano formare un paio di ali. Pur non essendo della stessa materia del resto delle cose che lo circondavano, non stonava affatto con l'insieme, anzi, dava una nota più viva a tutta la stanza, occupata prevalentemente da elementi incolore.
Alzò lo sguardo e in quel momento ciò che gli apparve avanti agli occhi gli parve assolutamente surreale quanto meraviglioso: il profilo della ragazza appariva sfocato, i cui contorni andavano a confondersi in un bagliore inondato di migliaia di sfumature di azzurro. Quell'aura spettacolare sembrava protendere le proprie braccia verso di lui e avvolgerlo in un tenero e accogliente calore, facendogli credere che quella creatura non potesse essere altro che qualcosa di divino, quale un angelo. Negli occhidi lei, quell'universo si rifletteva come l'immagine di una galassia, con stelle, gas, pianeti... E con tanta materia oscura. No, non malevola o cattiva. Semplicemente ignota. Chi era davvero quella ragazza? Un mistero. Non nascondeva segreti, nascondeva la propria anima, come se avesse paura che qualcuno o qualcosa potesse farle del male. Non nascondeva qualcosa, nascondeva sé stessa. In quegli stessi occhi però non riuscì a sfuggirgli la fiamma di un sogno che ardeva di speranza. E per la prima volta in quella terribile giornata, colse della paura. Ciò gli fece venir voglia di stringerla tra le braccia, ma non c'era più tempo.
Di nuovo, la giovane prese a condurlo in quel labirinto, fino ad arrivare avanti ad una parete al cui fianco si trovava una piccola statuetta, la quale ritraeva una figura con ali cristalline talmente sottili che pareva potessero rompersi alminimo soffio d'aria. Là, non seppe mai come, la ragazza aprì una porta che lui non aveva assolutamente notato, essendo fatta dello stesso materiale e colore del muro che la affiancava da ambedue i lati.
Tutto lo spazio intorno a loro fu invaso da una luce paradisea che li costrinse a chiudere gli occhi. Come avevano abituato i loro occhi all'oscurità, ben presto si abituarono alla luce naturale che arrivava loro passando attraverso le nubi che inondavano il cielo. Finlmente erano fuori, accerchiati dal rosso carminio delle particolari case londinesi, e potevano respirare aria vera, come non accadeva ormai da un po'. 
Le uniche vie di fuga che avevano a qual punto erano due, che si aprivano in direzioni opposte. 
-Dovremo dividerci. - annuciò con voce poco convinta l'angelo. Nel sentire quelle parole al ragazzo si strinse il cuore, angosciandosi al pensiero che non avrebbe pouto proteggerla nel caso gli avessero raggiunti, di non poterle sorridere quando sarebbe tutto finito, di non poter...Nonostante avesse il principale organo vitale legato e contratto da stretti elastici, si ritrovò a fre un cenno di assenso con la testa. Non ce l'avrebbe fatta a parlare senza che un fiume incoerente di parole senza logica iniziasse a sgorgargli dalle labbra. Cercò diconvincersi che sarebbe andato tutto bene, che si sarebbero poi rincontrati ad Hyde Park la mattina dopo e insieme avrebbero preso l'aereo che li avrebbe poi portati al sicuro a Bratislava, da suo zio. Comunque la paura restava, un grido ceco di puro terrore e dolore che nasceva dal fondo dei suoi ricordi. 
No, si disse ancora, non andrà così.Non di nuovo.
Ma le immagini di quel giorno gli riapparvero davanti, fredde e crudeli come la realtà.
È stata colpa tua. Gli ripeteva quell'odiosa vocina dentro di sé.
Ho fatto l'unica cosa che ho potuto fare. Se solo però l'avesse fatta meglio, continuava a tormentarsi, forse loro non avrebbero preso Tayler.
A scacciare quelle ombre arrivò un bacio dolce, posatosi lievemente sulla sua guancia. 
Lui e la giovane si scambiarono un ultimo intenso sguardo, poi lei si voltò e prese a correre verso destra. Il ragazzo non spostò gli occhi da lei finché non ne furono più alla portata, dopodiché la imitò, cominciando a correre verso la strada opposta, lasciando che il suono dell'aria che gli fischiava nelle orecchie coprisse il ronzio costante e preoccupato dei suoi pensieri. Per la prima volta dopo quella che gli era sembrata un'eternità, si sentì libero. Niente avrebbe potuto fermarlo, lui era più veloce, come unico compagno di viaggio aveva il vento e come più importante bagaglio aveva quell'anima bisognosa di sentirsi senza catene. 
Non faceva più caso a dove svoltasse ogni volta, ma dovette arrestarsi quando si trovò davanti a un vicolo ceco, segnato da un ampio muro in pietra all'incirca alto quattro metri; scavalcarlo avrebbe richiesto troppo tempo, ciò che lui in quel momento non poteva permettersi. Era pronto a voltarsi e cercare un'altra strada quando un movimento lo mise all'erta. 
Con le labbra che si muovevano a formare preghiere, lentamente voltò la testa per poi rimanere pietrificato da ciò che i suoi occhi individuarono.
L'edificio alla sua destra ospitava un negozio abbandonato e su quella strada dimenticata si affacciavano due grandi vetrine, esponendo alcuni manichini -piuttosto inquietanti- che puntavano gli occhi vuoti su di lui. Quel che lo allibì fu ciò che riusciva a vedere all'interno del negozio, attraverso i vetri.
Loro. 
No, più corretto dire quelli, non li si poteva definire umani dopo tutto ciò che avevano fatto.
Uno di quelli si avvicinò di più alle vetrine.
Tutto dentro al ragazzo gli intimava di correre, lo pregava di andarsene di là e non fermarsi finché non gli fossero cedute le ginocchia, ma... Niente, il suo corpo non gli rispondeva, le gambe pietrificate, gli occhi sgranati, il sangue fermo nei vasi sanguigni.
E poi, in un attimo che parve infinito, fu come se si fosse fermato il tempo. Mentre quello si avvicinava sempre di più al manichino fermo con un dito alle labbra, ad esprimere silenzio, parve che il mondo avesse addirittura smesso di vivere. Dopodiché quello si voltò e puntò il suo sguardo glaciale nella direzione del ragazzo, però parve non vedere lui, bensì soltanto la parete anonima che era alle spalle dell'incredulo. Poi quello si girò e si affrettò a seguire gli altri.
Il ragazzo espirò profondamente, accorgendosi solo in quel momento di aver trattenuto il respiro per tutto il tempo.
Cosa diavolo era successo?
Una fitta di dolore proveniente dalla sua mano sinistra attirò la sua attenzione; senza rendersene davvero conto, aveva stretto così forte il lucchetto che il metallo gli si era conficcato nel palmo. Vibrava leggermente. E capì. Non come, ma capì cosa, con una certezza sconcertante. Non aveva dubbi, nonostante qualsiasi altra persona ne avrebbe avuti eccome.

Il lucchetto l'aveva salvato.
Lei l'aveva salvato.

   
 
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