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Autore: Suzerain    22/12/2015    1 recensioni
[Kiseki no Iro]
I contatti con Elias sono naturali, qualcosa su cui non ha bisogno di interrogarsi più del necessario.
~[Pjo!AU] [SubaEli]
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Kaleidoscope – no matter what, but always stay to my side.
Autrice: Suzerain.
Fandom: Kiseki no Iro (奇跡の色).
Pairing: SubaEli.
Personaggi: Subaru Shirayuki, Elias Yukihira, breve comparsa di Eiji Kurihara.
Desclaimer: Percy Jackson e il Campo Mezzosangue sono sotto il copyright di Rick Riordan.
I personaggi di Elias Yukihira e Eiji Kurihara appartengono alla Shichan, cui la fan fiction è dedicata; il personaggio di Subaru Shirayuki e la icon utilizzata sono invece di mia proprietà.
Ambientazione: //
Note dell'autrice Le persone fanno dei regali materiali, ma io son povera e mi riduco alle fanfiction che, tra l’altro, sono più brutte di quanto avessi immaginato. Spero che sia ugualmente apprezzata, anche se in minima parte, dalla persona cui è dedicata, se non altro: ho ricevuto in regalo una fanfiction davvero meravigliosa, e ci tenevo a ricambiare o quantomeno provarci.
Si ringrazia Ele (aka Zexion) per averla betata <3

La Pjo!AU è importante e la SubaEli merita più amore.


 


La primavera porta con sé un odore estremamente dolce, che quasi con irruenza sostituisce l’acre profumo di terra bagnata e il clima freddo dell’inverno che sino a pochi giorni prima carezzava loro la pelle. Guardarsi intorno senza che lo sguardo incontri quei piccoli cumuli candidi, che delle ninfe e delle creature della foresta suscitavano il costante malcontento, è quasi strano; erano scomparsi d’improvviso, nell’attimo stesso in cui della regina degli Inferi era scattato il dominio – si erano sciolti in silenzio e senza lasciare dietro di sé tracce alcune, esistenze effimere di cui nessuno aveva trovato ragione di serbare memoria.
Sembra quasi stonare la delicatezza di quello scenario con la cabina di Ares e le sue pareti mestamente dipinte di rosso, alla cui entrata Subaru siede tenendo tra le mani una delle armi che utilizza in allenamento. Dà l’impressione di volerne saggiare l’elegante fattura visto il modo in cui i polpastrelli la sfiorano, con la delicatezza che un’artista riserverebbe al proprio strumento; la solleva verso l’alto, la lentezza a marcare i suoi gesti. Lasciando al bronzo celeste la possibilità di riflettere i raggi del sole e quelli della cabina di Apollo poco distante, ne nascono giochi di luce e colori splendidi, alcuni dei quali richiamano quelli dell’attuale stagione; pur avendo dell’arte una conoscenza per lo più sommaria, non riesce a evitare d’apprezzarli.
Quando di lì a poco l’abbassa, per ascoltare il suono che produce nel fendere l’aria, quasi si pente di aver messo fine a quel delicato spettacolo;  fluido e morbido è il suo movimento, che si contrappone del tutto a quello antecedente. L’unico tratto in comune è l’eleganza, quella che nella sua persona sembra essere insita e che rende difficile, agli occhi di molti, accostarlo alla figura talvolta rozza del dio della guerra.

Il Campo Mezzosangue è silenzioso in quel periodo dell’anno. Al chiacchierare dei semidei e alle discussioni che tra le cabine sorgono sin troppo frequentemente, sono andate a sostituirsi le soavi risate degli spiriti del lago, cristalline come l’acqua cui la loro vita è legata in maniera indissolubile. Di tanto in tanto, riesce a vederli oltre che a udire le loro voci. Quella tacita concessione è, nella sua semplicità, qualcosa che ha il potere di strappargli un sorriso sincero, sebbene si sia sempre guardato dall’esternarlo – non che ve ne fosse la necessità; gradiscono poco la vicinanza dei figli di Ares e lui non sente il diritto di biasimarli: molti dei suoi fratelli non sono ciò che si definirebbe una piacevole compagnia, del resto.
« Suba-chin? »
Il semidio che lo porta a interrompere lo scorrere dei suoi pensieri e volgere gli occhi smeraldi in una direzione differente da quella che sino a quell’istante aveva magneticamente osservato è Eiji, un largo sorriso dipinto sul volto. Quel dettaglio non lo sorprende: è stato chiaro sin dal primo istante, a lui come alla gran parte dei presenti il giorno del suo arrivo, che il biondo fosse una persona solare – aggettivo che appare quasi ilare accostargli, se si considera che poi del dio del sole è uno dei figli.
Nel notare l’avvicinarsi, che gli fa presupporre un discorso lungo, va a poggiare la spada sul pavimento in legno, logorato più dagli abitanti della cabina che dallo scorrere del tempo e il susseguirsi delle stagioni. Non distoglie l’attenzione dalla slanciata figura di lui, né dà voce a incoraggiamenti a continuare e esporgli il motivo della sua visita; ma v’è un lieve incurvarsi di labbra, una piega silenziosa che agli occhi di molti passerebbe inosservata, che si rivela più significativa di qualunque parola avrebbe potuto rivolgergli. Subaru sorride di rado e per poche persone, così, una volta percorsi i pochi passi che li separavano e preso posizione dinanzi a lui, per il figlio di Apollo non è poi così difficile coglierne la disponibilità.
« Scusami se ti disturbo. » Così comincia il suo discorso, e sebbene per un singolo istante la prole di Ares provi desiderio di rassicurarlo – dirgli che non v’è alcun disturbo da parte sua, e che in ogni caso le scuse sarebbero state superflue, alla fine non lo fa; gli occhi di Eiji, d’un pallido azzurro, cercano i suoi con discreta insistenza prima di decidere di proseguire. Il tono di voce è ancora gentile, e lui si scopre felice nel rendersi conto che l’altro non l’ha presa a male.
 « Sto cercando Eli-tan. Lo hai visto? »
Lui scuote il capo, e l’altro sospira con quel modo di fare quasi teatrale e tipico della maggior parte della progenie del sole per poi spettinarsi con la mano i capelli biondi, visibilmente contrariato; un broncio, che lo fa apparire più giovane di quanto in realtà non sia e provoca un involontario inarcarsi del suo sopracciglio destro, va a sostituirsi alla morbida curva che aveva caratterizzato le sue labbra sino a quel momento.
« E’ successo qualcosa? »
« Eh? Oh. » Lo guarda come se lo vedesse per la prima volta, prima di sciogliersi in una risata trasparente, di quelle che in alcun modo potrebbero essere costruite; lo avvicina più che mai alle eteree figure degli spiriti della natura che contemplava prima dell’inizio della loro conversazione, anche se evita con accuratezza d’esternarlo. « Volevo solo chiedergli qualche coccola in più. » E prende una breve pausa, distogliendo gli occhi chiari dai suoi e perdendosi, per un attimo soltanto, ad osservare il cielo sopra le loro teste.
« Dovrò trovare un’altra vittima. Te la senti di offrirti? »
Non fa in tempo a rifiutare – non serve, visto che l’altro semidio gli pungola la fronte con l’indice. « Scherzavo. »
Decide che può concedergli un sorriso più radioso di quello che l’ha preceduto.


I piedi affondano tra le piccole dune naturali, rallentando ulteriormente un camminare già lento. A ogni passo la sabbia sembra divenire più morbida, dettaglio che quasi lo porta a sbuffare; poche sono le cose che nella vita lo irritano, ma quella bianca distesa è certo tra queste. Se dovesse darsi ai paragoni, con tutta probabilità la direbbe simile ad alcuni dei figli di Afrodite: innegabilmente splendida alla vista, ma fastidiosa e la cui unica utilità sembra essere l’infilarsi nelle sue scarpe da ginnastica.
E’ colorato, il cielo. Appare come l’opera di uno di quegli artisti d’arte moderna i cui quadri sono esposti in piccole gallerie di nicchia, quelle che una volta, durante un’impresa, ha potuto adocchiare di sfuggita; tenue è l’azzurro, macchiato in più punti da un rosa opaco che quasi con fare distratto, tinteggia piccole nuvole dalle forme più disparate – le stesse che poi si trasformano sotto il suo sguardo, i bordi più scuri a man mano che dalla loro fonte di luce si allontanano. Ma è nel volgere gli occhi verso l’orizzonte, là dove ancora una volta mutano i colori e il rosa diviene d’improvviso solo una sfumatura, la più piccola e più insignificante, che Subaru si ritrova a trattenere il respiro.
Regna sovrano un intenso arancio, che nella placida e trasparente superficie dell’acqua si riflette assieme alla stella che quello spettacolo produce. Sfuma a poco nel rosso, nel viola – ci sono così tanti toni che dubita d’essere in grado di trovare di ognuno di essi il nome.
E’ sotto quegli intensi colori, seduta sulla riva poco lontano dalla schiuma che si lasciano dietro le onde, che la figura di Elias tende verso il sole la mano sinistra, dischiudendo le dita che, improvvise intruse in quello scenario, danno l’impressione d’essere dipinte di quelle stesse tonalità. Non v’è espressione alcuna sul volto serafico, ma a Subaru basta notare il lieve scintillare degli occhi grigi per comprendere, anche se solo in minima parte, quanto quel panorama debba scuoterne l’animo.
Si avvicina, e d’improvviso riesce persino a dimenticare il fastidio della rena nelle proprie scarpe.

I contatti con Elias sono naturali, qualcosa su cui non ha bisogno di interrogarsi più del necessario. Così è quello che nasce di lì a pochi istanti, con il quale gli si porta dietro e dopo essersi inginocchiato e aver appoggiato la testa sulla sua spalla, porta le braccia a circondargli la vita. Lui non si scompone e anzi, solleva la mano libera, quella con cui aveva sino a quel momento disegnato sulla sabbia ormai fredda, per accarezzargli i capelli argentati e legati come sempre in un codino ordinato.
« Eiji ti stava cercando, prima. »
Il suo sorriso ha un’aria colpevole, alla vista della quale non riesce a trattenersi dallo stringerlo di più e sussurrare un: « Non era importante, comunque. », che tramuta quella che in principio era un’espressione a suo modo dispiaciuta in una risata appena accennata, a seguito della quale si scosta abbastanza con il volto per poterlo osservare.
« Sono serio. » riprende, con un certo qual che di imbronciato nella voce. Persino un cambiamento come quello è difficile da percepire, perché è sempre stata abitudine, per lui, il celare i propri sentimenti; eppure il figlio di Apollo non ha difficoltà nel coglierlo, come dimostra lo spostare la mano dai capelli alla guancia, che sfiora morbidamente con il proprio indice in quello che è con tutta probabilità un tentativo di farsi perdonare. Qualche granello di sabbia permane sulla sua pelle, rendendo ruvido il suo tocco; non se ne lamenta, Subaru – non lo avrebbe fatto in ogni caso.
« Non avrei mai messo in dubbio la tua serietà. »
La pausa che segue è lunga, ma non pesa su di loro il silenzio.
Scivola tra le onde del mare il sole, trascinando con sé la scia di colori venutasi a creare. Ora è il rosso che troneggia sull’arancione, il pallido ed ultimo sforzo d’un astro che non accetta il proprio fato; bagna le loro figure con una cascata cremisi, che sulla pallida carnagione di Elias sembra riflettersi in uno specchio e che rende impossibile per lui trattenersi dal poggiare sulla pelle vellutata del collo le proprie labbra.
Lui rabbrividisce, pesando con il corpo contro il proprio petto ed inclinando il volto nella direzione opposta, in un indiretto invito a non fermarsi – lo coglie, e dà vita a un altro bacio, breve quanto quello che l’ha preceduto.
« Dicono che i tramonti siano amati dalle persone tristi. » sussurra quando si allontana da lui, in un’aggiunta apparentemente fuori contesto. Elias ride di nuovo, cristallino. Il suono della sua voce si mescola allo sciabordare delle onde che, lontane dalla spiaggia dove siedono,  s’infrangono contro gli scogli; ha la durata d’un attimo, perché si diffonde nell’aria e poco dopo nella stessa si disperde. Si scopre geloso persino di quella risata.
« Citi “Il Piccolo Principe”? » sono parole su labbra troppo vicine – perché si è voltato verso di lui, ed adesso è inevitabile lo sfiorarsi delle loro bocche. Persino da quella infinitesimale distanza Subaru riesce ad osservarne i tratti del volto, delicati al punto che a volte si è sentito indegno di posarvi lo sguardo; le labbra morbide ma sottili, le ciglia lunghe che incorniciano occhi d’un grigio talmente chiaro da sembrare trasparente – avrebbero ammaliato persino la dea della bellezza, sembravano essere nati per essere decantati dai soavi versi delle Muse.
Lo conosce meglio d’ogni altra persona quel volto, perché spesso ha potuto intimamente osservarlo durante la notte, il respiro caldo e regolare a cullare i suoi sogni; viola le regole quel loro segreto, ma non gli importa. E' un dettaglio che appare insignificante se può bearsi del calore altrui nell’attimo in cui agitati, divenivano gli stessi.
« Se fossi triste me lo diresti? »
« Lo stai davvero chiedendo? »
Come suo fratello poco prima, non gli lascia il tempo di rispondere. Ma mentre gli morde le labbra piano, approfondendo il contatto venutosi a creare, ha la certezza che il modo in cui Elias lo zittisce gli piaccia molto di più.  
   
 
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