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Autore: Fauna96    23/12/2015    3 recensioni
Kitty spostò nervosamente il peso da un piede all’altro. La semplice casetta di periferia aveva l’aspetto di un patibolo ai suoi occhi, su cui era assolutamente costretta a salire. Vero, avrebbe benissimo potuto chiedere ad Asmira, che le avrebbe volentieri fatto un favore; ma si sarebbe sentita una pessima persona a mandare la propria coinquilina a recuperare armi e bagagli a casa sua. Dopotutto, si trattava di solo dieci minuti.
[ModernAU! Parte della serie 'Altri Luoghi' ma comunque comprensibile anche senza aver letto le altre storie]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Kitty Jones
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Altri Luoghi'
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I

Kitty spostò nervosamente il peso da un piede all’altro. La semplice casetta di periferia aveva l’aspetto di un patibolo ai suoi occhi, su cui era assolutamente costretta a salire. Vero, avrebbe benissimo potuto chiedere ad Asmira, che le avrebbe volentieri fatto un favore; ma si sarebbe sentita una pessima persona a mandare la propria coinquilina a recuperare armi e bagagli a casa sua. Dopotutto, si trattava di solo dieci minuti.
Prese un profondo respiro e suonò il campanello. Le chiavi di casa non le aveva più volute, in uno stupido atto d’orgoglio.
Sapeva che a quell’ora sua madre era in casa, perciò aspettò pazientemente finché un’ombra si affacciò esitante; il viso della donna comparve dietro la porta, atteggiato a metà tra la gioia e l’imbarazzo. – Kathleen! Che sorpresa, tesoro! –
- Ciao, mamma – Kitty si sforzò di sorridere il più sinceramente possibile. – Mi dispiace disturbarti, sono venuta solo a prendere un po’ di cose che ho... dimenticato -.
Sua madre si affrettò a farla entrare, iniziando a chiacchierare senza sosta, probabilmente per mascherare l’imbarazzo. Kitty emetteva ogni tanto versi di approvazione dove richiesto, tutto sommato grata a sua madre: nemmeno lei era esattamente a suo agio.
Non era passato così tanto tempo da quando abitava lì (casa sua a tutti gli effetti) tuttavia le circostanze erano state tempestose, a voler usare un eufemismo.
All’epoca, era appena uscita dal riformatorio.
 
Non si chiamavano più riformatori, ma il concetto era quello; Kitty ci aveva passato un anno e mezzo e, sebbene odiasse con tutto il cuore Dickens, non aveva potuto fare a meno di simpatizzare un poco con quegli orfanelli di cui scriveva. Va bene, lei, lì dentro, ci era finita per giuste motivazioni, non aveva intenzione di cavillare su quello: aveva sbagliato e aveva pagato. Dall’altra, ovviamente nessuno si era mai rifiutato di darle da mangiare (Dio, quanto odiava quel patetico ragazzino), tuttavia era stata dura.
I suoi genitori, naturalmente, si erano sempre rifiutati di accettare che loro unica figlia a tredici anni si fosse unita a una banda di vandali e poi, un paio d’anni dopo, mandata in un istituto correttivo; all’epoca, quando era poco più che un’adolescente incazzata, Kitty si era sentita sinceramente tradita dai genitori: non solo le avevano negato la comprensione prima di tutta la faccenda (il che era uno dei motivi che avevano spinto Kitty a frequentare cattive compagnie) ma si erano limitati a trattarla come una poco di buono qualunque, ancora una volta senza cercare di capirla.
Ora che aveva ragione di credersi un po’ più saggia, Kitty si rendeva conto che i suoi erano solo terribilmente preoccupati di quel che pensava la gente di loro e che non potevano permettersi una figlia scavezzacollo. Ciò non significava che Kitty li avesse perdonati: era difficile passare oltre tutta la solitudine e il dolore che aveva provato; perciò, tornata a casa, si era affrettata a togliere le tende e a rendersi il più possibile indipendente: in quello era brava. Così, a nemmeno diciotto anni Kitty condivideva un appartamento piuttosto decente con un’altra ragazza e lavorava come assistente per un vecchio professore in pensione. Aveva ridotto al minimo i contatti con i suoi, a parte le cose indispensabili.
- Che cosa ti serve, cara? –
Kitty stava salendo le scale che portavano alla sua vecchia camera da letto. – Solo un po’ di vestiti, mamma. E alcuni libri -.
Il signor Button, per cui Kitty lavorava (e che detestava essere chiamato “professore”) aveva insegnato Storia per tutta la vita e al momento stava analizzando come la figura di Riccardo III venisse descritta nei libri scolastici. Al signor Button piacevano i personaggi storici con una cattiva reputazione. In ogni caso, aveva pregato Kitty di portargli anche i suoi vecchi libri e appunti di scuola, per curiosità e probabilmente per polemizzare ancora una volta contro i suoi ex – colleghi.
Scendendo giù con le braccia cariche, Kitty si trovò la strada bloccata da sua madre. – Ho preparato il tè, Kathleen. Vieni, raccontami -.
Era esattamente l’ultima cosa che Kitty voleva, ma non riuscì a dirle di no; così, si ritrovò seduta nella vecchia cucina, osservando le profondità della propria tazza di tè.
- Come va il lavoro? – le chiese la madre incoraggiante. Era un argomento sicuro e Kitty ne fu contenta. – Bene, mamma. In effetti, questi libri me li ha chiesti proprio il signor Button... lui sta bene, a proposito. Ogni tanto la gamba gli dà un po’ fastidio -.
- E la tua coinquilina? Arina? –
- Asmira – corresse Kitty, leggermente infastidita. – Sta bene anche lei -.
Il prossimo argomento sarebbe stato Jakob, senza dubbio, ma fu salvata dal rumore della porta che si apriva. Suo padre.
L’uomo entrò in cucina e subito sul viso gli si dipinse un’espressione forzatamente neutra.
 – Kathleen –
- Papà -.
Se sua madre l’aveva (quasi) perdonata, suo padre no. Era il genere di persona che era stata cresciuta in un certo modo e intendeva crescere sua figlia allo stesso modo; non aveva mai tollerato che Kitty avesse preso tutt’altra strada.
Quanto a lei, sentiva di non provare altro che insofferenza nei suoi confronti. Forse era proprio per quello che se n’era andata il prima possibile: la irritava vedere come la sua famiglia si ostinasse a rimanere chiusa nelle sue idee, senza sforzarsi di guardare più in là.
Prese al volo l’occasione per levare le tende. – Devo andare. Grazie per il tè, mamma – la baciò frettolosamente sulla guancia, ricambiò il cenno impacciato di suo padre e, raccolta la sua roba, si avviò fuori.
Non odiava i suoi genitori, assolutamente. Anzi, c’erano momenti in cui ne sentiva la mancanza. Tuttavia, non ce la faceva più a restare insieme a loro, pronta per un futuro grigio. Ammetteva a se stessa che al momento non stava facendo nulla di così grandioso... be’, non ancora. Voleva... voleva... non lo sapeva con certezza. Alle volte si sentiva terribilmente infantile nel pensare di voler cambiare il mondo eppure... Aveva sempre voluto farlo. All’inizio, aveva preso la strada più facile, quella della distruzione; ora stava tentando di creare qualcosa: seguiva corsi di Storia e Scienze politiche, si interessava seriamente di attualità...
Le venne da pensare a Jakob, poi ad Asmira, che si era dovuta far largo con le unghie e coi denti per dimostrare che un’immigrata valeva qualcosa. Poi ripensò ai suoi genitori, rinchiusi nella loro casetta di periferia al sicuro da ogni cosa. No, non si sarebbe ridotta così, ignorante e ignara del mondo che la circondava.
Seduta sul sedile scomodo di un bus con uno scatolone sulle ginocchia, Kitty Jones sorrise.





Pensavate mi fossi dimenticata di questa serie, eh? Assolutamente no! Anche se Kitty è davvero tosta da scrivere. Non so di quanti capitoli sarà composta questa storiella, che sarà essenzialmente un gigantesco flash-back, un po' come fa il nostro Stroud. Mi scuso per la noiosità di questo primo capitolo, in cui non spiego quasi nulla e.e Spero di farmi perdonare! Intanto, tanti auguri di buon Natale (sì, Bart avrebbe molti commenti sarcastici su questo, ma che ci posso fare: amo il Natale)
  
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