» Spiders,
glasses, and everything in between
Salve!
Qualche parola prima di cominciare~
All’inizio
questa doveva essere una OS fine a se stessa, ma alla
fine ho deciso che sarebbe stata la prima storia di un progetto vagamente più
ampio.
Semplicemente,
visto che sono sentimentalmente debole per tutto quel che riguarda otp in ambienti domestici o pseudo-tali, mentre scrivevo
questa fic ho concluso ch
avrei potuto usare questo contesto per ambientare anche altre storie, sempre
con i miei due cari Imayoshi e Hanamiya.
Ci saranno pochi fili conduttori tra una storia e l’altra, principalmente,
oltre ovviamente alle ambientazioni, il fatto che tra i due ci sia
effettivamente “qualcosa”, ma l’intensità di questo qualcosa potrebbe vagare di
storia in storia – visto che non garantisco la
continuità temporale *cough
…
e nemmeno di rating.
Insomma, in breve, ogni volta che avrò un’idea
per questi due, la caccerò qui. Spero vogliate seguirmi!
Genere: Slice of life
Rating:
Verde
Parole:
1500+
Note: Inizialmente, doveva
essere solo una flash su Imayoshi
che osserva attentamente Hanamiya durante un certo
specifico momento.
Poi, è subentrato tutto il resto. Sono
incorreggibile…
1. Ma è amarissimo!
Non era solo il silenzio
che Imayoshi apprezzava degli intensi pomeriggi di
studio in cui si intratteneva insieme ad Hanamiya.
Quale sarebbe stato il
vantaggio di questa semplice condizione, se tanto ormai in quella che era quasi
la loro casa era praticamente la norma? No, no:
c’era qualcosa di più interessante, in quei momenti di calma solo brevemente
interrotti dallo sfogliare delle pagine e dal frusciare ovattato della biro
sulla carta, qualcosa che poteva permettersi di osservare con così tanta
attenzione solo in simili occasioni.
Sorrise dietro il palmo che
con un gesto apparentemente spontaneo sistemava gli occhiali sul dorso del
naso, lo sguardo che da oltre le lenti si puntava sul tenero, concentrato kohai proprio davanti
a lui: pensandoci, era una fortuna che fosse proprio in quel periodo, in cui
per lui gli esami di ammissione all’università si avvicinavano incombenti
giorno dopo giorno, che avesse deciso che le mura di casa propria erano troppo
opprimenti per focalizzarsi sui libri, e come le
biblioteche fossero troppo affollate per andare incontro alle sue personalissime,
capricciose esigenze. Se l’era ritrovato davanti alla porta dell’appartamento
da un giorno all’altro, una mano occupata dalla cartella coi
libri e l’altra da un borsone contenente uno scarso assortimento di vestiti di
ricambio, e in faccia l’espressione palese di qualcuno che non avrebbe mai
accettato un “no, torna indietro” come risposta; e senza troppe questioni lì da
lui si era stabilito, dicendo semplicemente che “aveva bisogno di un posto dove
studiare”.
- E i tuoi amichetti, non
studi con loro? - gli aveva domandato, curioso, ma forse anche geloso
del legame sicuramente saldo che Hanamiya aveva coi suoi compagni di squadra. Ricordava come se fosse
accaduto dieci minuti prima lo sguardo serio, ma
accentuato da una breve scintilla di curiosa maliziosità che l’altro gli aveva
rivolto, mentre apriva tutti gli armadi per cercare un piccolo perimetro di
spazio in cui forzare la propria roba.
- Sei pure sordo, oltre che
mezzo cieco? Ti ho detto che studiare in biblioteca non mi riesce. - aveva
scrollato le spalle, a malapena continuando a guardare verso di lui - E poi, Kentaro andrà a studiare all’estero, Hiroshi si prende un
anno sabbatico, Kojiro ha puntato un’altra sede e Kazuya s’è messo in testa di voler fare il batterista. Io
invece frequenterò la tua stessa università, no? Vedi di darmi qualche dritta, senpai. -
E con quell’epiteto
lanciato più come dispregiativo che altro, quel monolocale già stretto per uno
era diventato il silenzioso nido di uno studente di giurisprudenza e di un
genietto improvvisamente assorbito dal richiamo dei libri. Avrebbe dovuto
lamentarsene? Poco ma sicuro — dormiva più spesso lì che a casa propria,
spesso uscendo da scuola e arrivando direttamente da lui, visto
che aveva addirittura preteso una copia delle chiavi di casa pur non
pagando nemmeno l’affitto.
E se ne lamentava? No,
affatto: come già menzionato, era davvero un’incredibile fortuna che quella
combinazione di fattori si fosse palesata proprio adesso, portando Makoto a
condividere quei momenti che non aveva mai avuto
l’occasione di osservare così da vicino.
Era una specie di piccola
pretesa che aveva sempre avuto, nei suoi confronti, frutto della necessità che
aveva di sviscerare dettaglio dopo dettaglio tutti gli
aspetti presenti in una persona — e, in particolare, del proprio caro
kohai. E poiché alle medie la vocazione allo studio
del giovane Hanamiya era tutt’altro che forte,
limitandosi a vivere sui risultati che la propria spaventosa intelligenza gli
permetteva di raggiungere, ogni volta era un piacere perdersi nella
contemplazione segreta delle sue abitudini.
Se già nella norma non era
da lui prendere la parola per avviare il discorso, allora diventava
completamente impossibile sentirlo parlare. Come immerso nella
sua personalissima zone tagliava ogni stimolo superfluo al
di fuori delle proprie percezioni, lasciando assorbire ogni stilla della
propria concentrazione dalle fitte pagine che rapide gli scorrevano sotto gli
occhi.
O, beh, quasi ogni
stilla: mentre era assolutamente innegabile che il 95% del suo cervello fosse dedicato
allo studio, era anche vero che un margine, per forza di cose, lo lasciava
sempre. Come, altrimenti, avrebbe potuto dedicarsi così bene alla sua
vera passione, a quel piccolo rituale che si ripeteva silenziosamente di volta
in volta?
Aveva notato che c’erano
alcune regole precise a quella che, inizialmente, sembrava una mera abitudine
del tutto automatica: mai più di massimo due quadratini per pomeriggio, e guai
avventarsi su di essi come la natura delle cose suggerirebbe di fare. Tra una
pagina e l’altra, quel che faceva era allungare le dita verso l’immancabile
barretta di cioccolato scurissimo da cui non si separava mai, staccarne un
pezzo, e prima ancora di portarselo alla bocca lo sfregava per qualche secondo
tra i polpastrelli, avvicinandoselo al naso per inspirarne l’aroma.
Ma
non erano questi i dettagli su cui amava soffermarsi, per quanto già
terribilmente interessanti. Il bello arrivava non appena quel pezzetto di
cioccolata si posava sulle sue labbra, e presto da esse veniva
celato: iniziava allora quel lento, infinito processo di degustazione, durante
il quale si alternavano espressioni che mai, poteva metterci la mano sul
fuoco, gli aveva visto fare in contesti spontanei. Certo, quando metteva su la
facciata del dolce e tenero Hanamiya Makoto amico del
mondo era pure ovvio che avesse una varietà tutta diversa di modi di porsi; ma
quello che aveva davanti adesso non era che l’Hanamiya Makoto autentico, reale. In, quanti? Circa
cinque anni di conoscenza più o meno approfondita, non
era ancora mai riuscito a penetrare in questo aspetto del suo essere, al punto
che la prima volta quasi si sorprese di come quel ventaglio di nuove
sfaccettature lo stesse così preponderantemente
schiaffeggiando dritto nel muso.
E non c’era una stilla d’esagerazione,
nelle proprie considerazioni, perché osservarlo era un
autentico spettacolo: passava gradualmente da una prima espressione assorta,
concentrata, passando per un stasi di pacifica calma, fino ad arrivare al
momento che Imayoshi amava più di tutti; quando le
sue labbra si contraevano in un appena percettibile sorriso soddisfatto, e
persino la sua fronte perennemente corrugata si scioglieva in quella sorta di
aria appagata e quasi… orgasmica?
Sì, in un certo senso lo
era. Al pensiero, fu davvero difficile trattenere un malizioso sogghigno,
mentre appoggiava tranquillo la guancia contro il palmo della mano.
- Eeeeh,
però non è giusto, sai che ti dico? Sono quasi geloso! - sbottò, col solito
tono che assumeva quando aveva la precisa volontà di irritare la persona
davanti a sé. L’altro, in tutta risposta, alzò in silenzio la testa,
limitandosi ad una singola occhiata di dubbio. Shouichi ghignò.
- Tu con me quelle
facce non le fai mai… e poi perché non ci sono io, a passare così tanto
tempo tra le tue labbra? -
Di solito, quando si permetteva commenti del genere, doveva saltare sulla sedia
pur di non ritrovarsi le gambe viola di lividi a forza dei calci che quello gli
avrebbe tirato, ma stavolta così non fu. C’era un palese, scarlatto imbarazzo
sulle sue guance, e un lieve tremore denotava quanto si stesse trattenendo per
evitare di alzarsi, avvicinarsi, e distruggergli la faccia contro il primo
spigolo disponibile, ma non si mosse.
Anzi, qualcosa lo fece:
staccò senza neppure guardare un quadratino di cioccolata dalla barretta, e
l’attimo immediatamente successivo si slanciò con la mano verso di lui. Tentò
di ritrarsi, Imayoshi, già sentendo nella propria
testa il rumore del setto nasale frantumarsi, ma l’unica cosa che ricevette fu
quel pezzo di cioccolato a dir poco forzato tra le sue labbra.
Perplesso, cercò senza trovarla una risposta negli occhi di Makoto, che nel mentre aveva piegato inquietantemente gli angoli della
bocca.
- Mangia. -
E poté solo obbedirgli, una
volta tanto, fregandosi dell’esperienza accumulata con l’osservazione e
mordendo quel boccone: un saporaccio terroso si diffuse sul suo palato,
costringendolo ad una smorfia di disgusto.
- Ma
è amarissimo! -
- Lo so. - commentò
l’altro, divertito - Ma a me piace che lo sia. Tu invece sei solo acido…
ora perché non ti rispondi un po’ da solo, hm? -
- Questo è estremamente rude, Mako-chan!
- si lagnò, ancora faticando per ingoiare quel boccone di fango - Fai
l’abusivo e insulti pure il padrone di casa? Non si fa, non si fa! -
Non si lasciò il tempo per
mostrarsi sorpreso, provocando nell’altro, con quella reazione, una semplice
scrollata di spalle prima del ripristinarsi della
quiete di poco fa. Tuttavia, nonostante la plateale e immediata risposta,
almeno a se stesso poteva concederlo: non si aspettava una replica del genere,
abituato com’era all’avvampare facile del caro kohai dalla psiche instabile – soprattutto quando si
trovava faccia a faccia con lui. Ma la cosa non lo
infastidiva: non era, questa sfrontatezza, nient’altro che un’altra delle mille
facciate che lentamente stava riuscendo a scoprire di lui?
Alla fine, non erano tanto
diversi. Hanamiya col cioccolato, e lui con Hanamiya stesso: entrambi dedicavano quella calma lenta,
quasi asfissiante, al portare alla luce ogni più celata e soddisfacente
accezione, accogliendone ogni nuova con la giusta sorpresa ma anche col più
sfacciato piacere. Ah, ma in effetti c’era una
sostanziale differenza: avrebbe sì continuato a lasciarlo sciogliersi,
piano piano, ma di certo non gli avrebbe permesso di consumarsi, pezzo dopo
pezzo, fino ad esaurirsi e sparire.
… e, cosa più importante,
non l’avrebbe mai forzato in quel modo nella bocca di qualcun altro.