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Autore: wislava    24/12/2015    4 recensioni
Misteriose sparizioni si verificano a Beacon Hills e molti iniziano a pensare che sia a causa degli UFO.
Stiles, però, non ne è convinto e, con l'aiuto di Derek, si metterà ad indagare.
Che cosa è successo? E soprattutto, chi c'è davvero dietro queste sparizioni? E, cosa più importante, cosa provano Stiles e Derek l'uno per l'altro?
STEREK! FF presa spunto da una puntata di Supernatural
[15941 parole]
Genere: Comico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Clap Your Hands If You Believe...

 

Note da leggere prima di iniziare la lettura:
Ho scritto questa fanfiction prendendo spunto da un episodio di Supernatural: 6x09, Se ci credi batti le mani. Se state seguendo la serie e non volete spoiler vi consiglio di fermarvi qui, altrimenti buona lettura!

 

 

Lo schiocco dei baci si poteva udire distintamente in quella notte di mezza luna in mezzo al bosco.

Jared era finalmente riuscito ad arrivare in prima base con Jenna, la ragazza per cui aveva una cotta da fin troppo tempo. Forse il bosco non era il luogo più romantico dove fermarsi per stare un po' soli insieme e scambiarsi morbidi baci, ma Jared aveva organizzato il tutto cercando di rendere la serata più romantica. Candele in un bicchiere, per evitare incidenti o di causare un incendio involontario, erano appoggiate ai lati della coperta dove lui e Jenna erano distesi. La radio del pic-up, un vecchio rottame che Jared era riuscito a comprarsi solo pochi mesi prima, faceva risuonare una canzone lenta e dolce, perfetta per l'atmosfera.

“Jared...” disse Jenna seguito da un sospiro. Il ragazzo strinse maggiormente la sua presa sui fianchi della ragazza, ancora incredulo per come si stesse svolgendo la serata; decisamente a suo favore.

Se non ché, un fruscio inaspettato scosse il paradiso di dolci baci in cui Jared si trovava.

Inizialmente non ci diede molto peso; erano in un bosco, probabilmente si trattava di qualche animaletto che correva per tornare alla tana, ma il rumore si ripresentò più volte disturbando Jared che si voltò preoccupato per osservare il buio di fronte a lui,

“Che succede?” chiese Jenna evidentemente ignara di tutto.

“Non hai sentito?” chiese in risposta Jared, ancora con gli occhi puntati sul nulla. “C'è stato come un fruscio, qualcosa...”

Jenna fece spallucce mentre, afferrando la giacca di Jared, cercava di tirarlo di nuovo su di sé. “Sarà stato qualche animale, non preoccuparti” disse prima di premere nuovamente le labbra sopra quelle del ragazzo.

Jared si fece distrarre volentieri, ma, dopo pochi minuti, il rumore si ripresentò. Jared era sempre stato un tipo curioso e anche questa volta non fu da meno, desideroso anche di perdersi in Jenna senza altre interruzioni. Per questi motivi, si alzò con un movimento fulmineo e si aggiustò la giacca sulle spalle.

“Aspetta qui, vado a vedere.”

“Jared no!” disse Jenna spaventata, ma il ragazzo non se ne curò troppo. Aveva sentito nuovamente quel fruscio ed ora era diventata quasi una missione scoprire che cosa fosse.

Si addentrò sempre di più nel bosco, sordo ai richiami di Jenna, con il solo aiuto della luce donata dalla luna. Sentiva quei fruscii sempre più vicini.

“Jared...” Jenna, rimasta sola, iniziò ad avere paura. Tutto intorno a lei risuonava solo la musica dal pic-up e Jared si era ormai inoltrato nella boscaglia. In un moto dettato forse più dal terrore di essere rimasta sola che dal vero coraggio, marciò anche lei nell'oscurità, cercando Jared per, oltre insultarlo per averla lasciata lì da sola, per farsi riaccompagnare a casa. Non sarebbe mai più uscita con Jared Ackles[1]!


 

Jared non aveva mai visto quella parte di bosco; non che si potesse definire un esperto. Quella era forse la quinta volta che si addentrava così in profondità, ma gli sembrava proprio di essere finito in un altro universo. I tronchi degli alberi si erano diramati sempre di più, lasciando spazio a dei ceppi tutti segati alla stessa altezza. Anche l'erba sembrava appena tagliata e nell'aria ne aleggiava il tipico profumo.

Si guardò intorno insicuro e curioso, indeciso su cosa fare. In lontananza sentiva Jenna urlare il suo nome e si diede mentalmente dello stupido per essersi fatto guidare dalla sua impulsività.

Improvvisamente però, una luce abbagliante bianca riempì il cielo e lo costrinse a socchiudere gli occhi e a portarsi una mano davanti al viso per cercare di ripararsi.

Non capiva che diavolo stesse succedendo, ma non poteva neanche distogliere lo sguardo.

La luce era troppo accecante.

 

 

“Jared.... Jared!” Jenna continuò ad urlare impaurita, soprattutto dopo aver scorto tra la boscaglia una strana luce bianca nel cielo, fino a quando giunse in una strana radura senza alberi o erba. Sembrava che ci fosse stato un recente disboscamento e si guardò intorno confusa.

Azzardò un passo in quel bizzarro pezzetto di terreno, che a prima vista le sembrò circolare, e calpestò qualcosa di morbido.

Jenna chiuse un secondo gli occhi, lanciando una silenziosa preghiera a non sapeva bene chi, e abbassò lo guardo. La giacca di pelle di Jared che aveva indossato per tutta la sera era sotto i suoi piedi. Di Jared nessuna traccia.

 


 

“Secondo me Hulk vincerebbe contro Thor” disse alla fine Stiles finendo di sfogliare il suo fumetto.

Come ogni sabato che si rispetti, Stiles e il suo immancabile migliore amico/fratello Scott erano spaparanzati nella stanza del figlio dello sceriffo all'insegna di fumetti, video giochi, serie tv e schifezze di ogni genere.

Era ormai una tradizione, la loro, fin da quando, agli albori della loro amicizia iniziata il primo giorno alla scuola materna, la mamma di Scott, Melissa, aveva avuto un'emergenza all'ospedale e non aveva potuto andare a prendere il figlio. Stiles, già particolarmente intelligente e spigliati all'età di quattro anni, aveva raggirato abilmente la propria madre, Claudia, affinché convincesse le maestre a lasciare a lei la custodia di Scott fino a quando Melissa non avesse potuto liberarsi.

Era finita con Stiles e Scott nella cameretta del primo a guardare I Puffi fino a sera inoltrata.

Da allora erano stati inseparabili ed avevano coltivato la loro amicizia con cura e dedizione fino a conoscere meglio l'altro di loro stessi. Soprattutto dopo che Scott ricevette inavvertitamente il morso che lo trasformò in licantropo da Peter Hale. E, da quando Scott era diventato l'Alpha del piccolo branco multietnico di Beacon Hills, Stiles era diventato il suo cervello, l'ideatore dei piani in battaglia, l'Atena dello Zeus di Scott.

“Come ti pare amico” gli rispose Scott gettando da parte un fumetto di Spiderman.

“No, seriamente!” insistette Stiles. E fu l'inizio dell'ennesima baruffa di quel sabato.

Per fortuna intervenne lo sceriffo che stava giusto per uscire per il suo turno serale.

“Stiles, ti prego, non distruggermi casa, eh?” lo pregò James non facendo caso al fatto che la testa di Scott era sotto l'ascella di suo figlio o che le gambe di Scott avevano intrappolato quelle di Stiles in una morsa.

“Certo pa! Puoi fidarti!” assicurò con calma Stiles.

James lo guardò scettico. “Chissà perché non ti credo neanche un po'...”

“Così mi ferisci” ribatté Stiles tra i denti mentre, con tutta la forza che possedeva teneva Scott giù. Non che non sapesse che Scott avrebbe potuto liberarsi in qualsiasi momento. I gloriosi giorni in cui il suo migliore amico soffriva d'asma ed era facilmente atterrabile erano ormai andati.

“Ok, tornerò questa notte tardi, non aspettarmi alzato. Buona serata ragazzi.”

“Stai attento pa!!”

“Arrivederci sceriffo” dissero i due ragazzi in coro.

James non poté evitare un sorriso mentre chiudeva la porta dietro di sé mentre rispondeva alla radiolina che teneva sulla spalla. Era una chiamata urgente dalla centrale.


 

Nel frattempo, in camera, Stiles, sentendo la radio del padre, levò le braccia da dietro la testa di Scott facendogliela sbattere contro il parquet. “Ma che cavolo, amico?!” si lamentò Scott massaggiandosi il punto leso, con un broncio sul viso.

“Shh! A cuccia!” ordinò Stiles mentre prendeva la sua radiolina, sintonizzata con quella del padre, per ascoltare la chiamata.

Sceriffo Stilinski, codice 15-24. Ripeto. Codice 15-24. A casa degli Hammilton. C'è stata un'altra sparizione.

Stiles strinse forte i denti e i pugni, muovendoli come se stesse avendo una crisi epilettica, cercando di non urlare la sua gioia. Non fin quando suo padre fosse stato ancora a portata di udito.

Si lasciò andare ad un urlo solo quando vide la volante lasciare il vialetto.

“Sai cosa significa tutto questo?” chiese Stiles.

Scott lo guardò confuso. “Emm... no?”

Stiles dovette alzare gli occhi al cielo. “E' già la quarta sparizione in una settimana, Scotty. Sta succedendo qualcosa!”

Scott pareva ancora confuso. “E quindi? Tuo padre se ne sta occupando, no?”

“Si, ma è qualcosa di sovrannaturale, me lo sento!”

“Come fai a dirlo?”

Stiles alzò ancora gli occhi al cielo. “Eddai, Scott! Lo so e basta.”

Scott lo guardò. Conosceva il suo pollo. “Non lo sai” disse tronfio. “La verità è che ti stai terribilmente annoiando e stai cercando qualcosa da fare, o dove cacciare il naso.”

Stiles sbuffò. “Senti, ho letto il verbale di mio padre, ok? Tutto ciò che i testimoni hanno visto prima che i loro amici sparissero era questa luce bianca nel cielo. Anche una nostra compagna di scuola l'ha vista.”

Scott era ancora scettico, ma Stiles sapeva che preso avrebbe ceduto. Era la prassi.

“Eddai. Un po' di investigazione, qualche domanda qui e lì... cose così!”

Scott sospirò e per Stiles quello significava la sua resa.

“Sii!” festeggiò.

“Calma” lo freddò invece Scott. Da quando era diventato Alpha sembrava più adulto. E responsabile, per lo sconforto di Stiles.

“Non dico che hai ragione, ma che non hai nemmeno torto. Quindi ok, fai le tue investigazioni.”

Stiles lo guardò confuso. “Intendi noi.”

“Stiles, non ti ricordi che domani parto? Vado a New York a trovare Kira.”

“Cazzo...” Stiles abbassò lo sguardo, triste. Se ne era completamente dimenticato e, per un paio di settimane, avrebbe dovuto fare a meno di Scott. Praticamente il periodo più lungo che avrebbero mai passato separati.

“Ma non è giusto... proprio ora che c'è qualcosa da fare..” si lamentò l'umano.

“Lo so..” lo confortò Scott battendogli una mano sulla spalla. “Ma puoi investigare anche da solo, no?”

Stiles lo guardò come se fosse pazzo. “No! Non si può!” urlò alzandosi dal letto e iniziando a camminare su e giù. “Ci vuole sempre un braccio per un cervello. Sai no? Yin e Yang, nero e bianco, luce e tenebra, umano e licantropo.”

Scott dovette per forza maggiore sorridere. Adorava il comportamento completamente folle di Stiles.

“Beh, se è un licantropo che ti serve c'è sempre Derek” disse.

“Derek?” Stiles sembrò sgonfiarsi come un palloncino.

Scott, però, annuì febbrilmente. “Certo! Basterebbe una tua telefonata” assicurò.

Stiles però non era della stessa idea. “E se lo disturbo?”

“Ma ti pare? Derek, anche se non lo ammetterebbe mai, ha sempre fatto di tutto per te, per proteggerti.”

“Si ma...”

“Niente ma! Non dire che non è vero” ordinò Scott. “Ancora non capisco cosa ci sia di sbagliato in voi due. Vi girate intorno. Tu hai una cotta per lui da anni e lui è sempre nervoso e stranamente spigliato quando ci sei tu. Penso che abbia una cotta per te.”

Stiles gli tirò un cuscino dritto sul muso. “Piantala, e poi è complicato...” rispose mogio. Nel frattempo, però, quasi senza rendersene conto, aveva afferrato il cellulare e cercato nella rubrica il numero del sourwolf. Un ovvio segno che volesse davvero vivere quest'avventura con il bel Hale. “Lo so che quando sono in sua presenza il mio cuore balla il cha-cha-cha e che i miei ormoni impazziscono, ma lui non ha mai detto niente. Se fosse davvero interessato a me mi avrebbe già invitato ad uscire almeno, no? Invece è il solito burbero...” Stiles prese un respiro profondo dopo il suo monologo. Odiava ammetterlo, ma quella situazione di stallo e routine gli pesava alquanto. Entrambi erano consci dei sentimenti che Stiles provava per Derek eppure erano bloccati nei loro ruoli di nemici-amici. E Stiles ci soffriva. Parecchio. Scott guardò il suo migliore amico con solidarietà, facendo un sorriso sghembo. Non sapeva cosa dire o fare.

“Lo chiamo allora?” chiese poi Stiles dopo un momento di silenzio.

Scott annuì e ampliò il suo sorriso. “Non costringermi ad ordinartelo.”

Stiles sbuffò. “Ma piantala, Alpha dei miei stivali!”


 

Dimmi.”

Stiles si morse un labbro. “Hey Derek, come te la passi?”

Dall'altra parte della cornetta Stiles sentì uno sbuffo. “Perché non vieni al sodo e mi dici che cosa vuoi?” disse Derek scocciato.

Stiles prese un respiro profondo. Ok, aveva una cotta per Derek, ma per tutti gli dei se era irritante quel lupastro!

“Non so se lo sai, ma ci sono state delle sparizioni di recente e penso che dovremmo scoprire che diavolo sta succedendo.”

Dall'altra parte giunse solo silenzio.

“Derek? Ci sei ancora?”

Si.”

Stiles rimase in ascolto, in attesa che Derek si decidesse a continuare il discorso, ma, quando non sentì nulla, strinse i denti. E decise di prendere in mano la situazione.

“Quindi ho deciso che io e te investigheremo. Vieni a prendermi tra dieci minuti.”

Ancora silenzio. Stiles stava quasi per perdere la pazienza quando, dall'altra parte, arrivò uno sbuffo.

Va bene” disse Derek.

Stiles non ebbe il tempo di gioire che Derek appese il telefono, segno di una grande maleducazione.

Lanciando il telefono sul letto e togliendosi la maglietta per indossarne una nuova e pulita, Stiles, si perse negli insulti verso il lupo. Tutto sotto gli occhi divertiti di Scott, che si godeva la scena.

“Tanto per dire” intervenne alla fine Scott. “Lui ti annusa sempre.”

Stiles si fermò e, girandosi al rallentatore per dare suspance, guardò allibito l'amico.

“Che diavolo stai dicendo?” chiese tra lo sconvolto e il confuso.

Scott si strinse nelle spalle. “E' qualcosa che ho notato solo di recente.”

Quando non continuò, Stiles lo guardò con la bocca aperta, gli occhi grandi come piattini da caffè, e allargò le braccia facendogli segno di continuare.

“Appena entri in una stanza, o appena gli passi di fronte o di fianco, senza farsi notare troppo prende un grosso e lungo respiro. Secondo me ti annusa.”

Stiles guardò immobile Scott. “Questa cosa è inquietante da morire” disse infine.

Scott si strinse ancora nelle spalle e, dopo essersi alzato, lanciò una perla di saggezza che, nelle sere a seguire, avrebbe fatto pensare molto a Stiles.

“Io lo facevo con Allison” disse Scott. “E anche con Kira ora. Lo trovo confortante, ed è un modo per assicurarmi che sia bene, che sia felice. Mi fa sentire come se la stessi proteggendo.”

 


 

Stiles osservò la Camaro fendere la strada in perfetto orario. Scott si era volatilizzato pochi minuti prima, dopo un abbraccio spacca ossa e la promessa di chiamarsi almeno una volta al giorno e di mandarsi messaggi costantemente. Un po' come facevano a Beacon Hills dalla notte dei tempi.

La carrozzeria della Camaro era tirata a lucido, le gomme sembravano nuove e i vetri splendevano lanciando bagliori accecanti.

Stiles lanciò un'occhiata dietro di sé, alla sua bambina. La Jeep non poteva essere più diversa dalla splendida auto di Derek, ma Stiles l'amava comunque. La vernice incrostata azzurra era riposante e le gomme, ormai grigie e quasi sgonfie, la rendevano simpatica.

La sua Bimba era molto meglio della Camaro, non c'era confronto che reggesse.

“Sali” disse Derek secco.

Stiles alzò gli occhi al cielo, ma si affrettò ad ubbidire. Non poteva correre il rischio di farlo arrabbiare e sgommare via arrabbiato.

Mentre si metteva comodo nell'abitacolo, Stiles si ricordò le parole di Scott e si premurò ad osservare il lupo.

Derek, infatti, aveva preso un respiro profondo appena Stiles aveva chiuso lo sportello, rilassando impercettibilmente le spalle. Se Stiles non lo avesse osservato così attentamente, e se soprattutto non avesse saputo che cosa cercare, non se ne sarebbe mai accorto.

Quasi gongolando, gli indicò il primo indirizzo. Oggi si sarebbero dati agli interrogatori.

 

 

 

Non era andata bene.

Stiles e Derek, ovviamente non essendo degli agenti, non avevano suscitato sicurezza; soprattutto il lupo, che era stato imbronciato e a braccia conserte tutto il tempo, e non avevano cavato un ragno dal buco.

Solo Jenna, la compagna di scuola di Stiles e Scott era stata disposta a dare loro qualche informazione.

Stiles non ne era del tutto convinto. Jenna aveva detto che si trattava di alieni, la ragione era solo per il fascio di luce accecante che aveva scorto tra i boschi prima della sparizione di Jared.

Ho visto quella luce. E poi Jared è sparito nel nulla. Qualcosa ha portato via Jared, l'hanno rapito! Ne sono sicura!”

Derek aveva sbuffato come un bue quando Jenna lo aveva detto, tra le lacrime e la paura di non essere creduta, ma aveva dovuto ammettere che, ascoltando il suo cuore, la ragazza non stava affatto mentendo. Credeva davvero che fosse stata opera di alieni.

Il duo investigativo era poi passato a fare delle domande in città. La notizia degli alieni si era sparsa velocemente e in un batter d'occhio Beacon Hills si era riempita di fanatici hippy in caccia, armati di binocoli e strane sonde.

A Stiles, però, era venuta un'idea geniale e avevano continuato le loro indagini spacciandosi per giornalisti di un giornale indipendente locale.

In molti avevano abboccato.

 

Io credo che Beacon Hills, in California, sia diventato un centro di attività di extra-terrestri.”
 

E' arrivato il momento, capite? Io penso che, queste entità, siano venute per aiutare l'umanità a passare a un livello superiore.”
 

Mi chiamo Wane Wytacar Junior e ho raccolto personalmente decine di testimonianze. Strane luci nel cielo, presenze che cercano di stabilire un contatto.”
 

Siamo nel pieno di ciò che nel nostro settore definiamo ondata di avvistamenti e io sono felice. Felice come una pasqua!”

 

Avevano anche incontrato lo sceriffo in queste interviste e lui si era lasciato sfuggire il suo commento. James era d'accordo con il figlio. C'era qualcosa di strano nell'aria.

“Da quando in città si è scatenato questo circo e tutti pensano agli alieni, nessuno pensa più alle persone scomparse. O agli amici che hanno perso i loro cari. Stiles sta' attento, per favore. C'è qualcosa che non mi convince. Ma, mi duole ammetterlo, voi siete forse gli unici a poter risolvere tutto.”

Stiles era stato felice di quella fiducia, e soprattutto del lascia passare per investigare. Ma la cosa che gli fece più piacere fu vedere Derek sorridere del suo entusiasmo. Anche il lupastro si stava divertendo. E questa sarebbe stata la ricompensa più bella per Stiles.


 

Il parere più strano, però, che Stiles e Derek ascoltarono fu quello di una signora anziana, sui sessant'anni. I capelli biondi erano raccolti disordinatamente con una crocchia e gli occhi verdi sembravano lo specchio di una follia radicata da tempo.

Vestiva in modo strano, con orecchini pendenti e tantissime collane e anelli, e odorava di incenso scadente. Stiles sapeva che si trattava della signora Marion, che viveva ai limiti della città in una roulotte arredata con tantissimi gingilli di fate, goblin e gnomi.

Il suo commento quindi non lo stupì più di tanto, ma gli fece perdere la pazienza.

“Ma certo che non si tratta di UFO, è ovvio” disse la signora Marion. “Qui si tratta di fate.”

Fu talmente tanto sconvolgente udire questa opinione che anche Derek perse il suo mutismo.

“Di fate?” chiese stranito.

La donna annuì sorridendo.

“Ok...” disse Derek guardando Stiles, in attesa di una sua reazione. L'umano aveva in mano un blocchetto prendi appunti e, di tanto in tanto, annotava i vari commenti, con la lingua stretta tra i denti. Con Marion, però, rimase fermo immobile; blocchetto in una mano e matita nell'altra.

“Grazie per la collaborazione” troncò Derek vedendo Stiles ancora immobile.

Si mise quasi a ridere, però, quando Stiles tornò a dare segni di vita.

“Gli UFO non sono abbastanza strani per te?” chiese Stiles dimenticando il filtro tra bocca e cervello.

Marion, però, si sentì punta sul vivo. “Per quale giornale avete detto di lavorare?” chiese infatti sulla difensiva.

Derek si guardò intorno nervoso, ma anche divertito, e tirò via Stiles per un braccio salutando nuovamente la bizzarra signora.

“Hey!” gridò oltraggiato Stiles recuperando l'equilibrio. “Volevo chiederle se voleva anche dei lustrini con la colla che sniffa! Certo che poteva anche risparmiarle quelle baggianate! Le mancano solo una ventina di gatti!”

Derek non disse niente, ma si ritrovò a sorridere. Stiles lo notò e continuò ad inveire contro la ignora Marion solo per non veder sparire quel sorriso più luminoso del sole, perché inaspettato.


 

“Che ne pensi?” chiese poi Stiles. Il ragazzo non sapeva dove andare a parare. UFO, fate, gnomi. Non sapeva a cosa credere.

“Il bestiario non dice nulla né di fate, né di UFO.”

Derek sospirò. “Lo so... sinceramente non so che dire. Non mi è mai capitato nulla del genere.”

“Già... però ci sono state quattro sparizioni, sta succedendo qualcosa, questo è sicuro.”

“E non è colpa della signora se si è fumata roba cattiva.”

Stiles dovette fermarsi in mezzo alla stada. “Wo, wo, wo. Hai fatto una battuta?” chiese con un sorriso da stregatto. “Derek Hale che fa battute su nonnine pazze che sniffano. Fantastico.”

Derek sbuffò. “Dai, muoviti!”

“Da chi andiamo ora?” chiese poi.

Stiles lesse la lista dei famigliari delle vittime e notò che mancava solo un nome. “Il padre di Jared” disse.

Derek annuì. “E dove sta?”

Stiles sorrise. “Proprio dietro l'angolo, all'Ackles Watchworks.”

Derek sembrò illuminarsi. “Lo conosco quel posto!”

“Davvero?”

Derek annuì mugugnando felice. “Mio padre si faceva fare gli orologi lì, anche io ne ho uno. Sono dei lavori favolosi. Ma...”

“Ma cosa?”

Derek si strinse nelle spalle. “So che gli affari non vanno molto bene per il vecchio Patrick.”

“Beh, lasciamo perdere i suoi lavori, siamo qui per il figlio” ragionò Stiles mentre, sentendo il classico tintinnare delle campanelle, spalancò la porta del negozio.

Si ritrovarono in una strana bottega, tutta di legno. Il bancone con la cassa sembrava l'unica superficie sgombra da orologi, ingranaggi e attrezzi.

Il signor Ackles era curvo su un ripiano, Stiles e Derek potevano vedere la pelle della testa dove i capelli si erano diramati e le spalle magre ed esili dell'uomo.

Stiles guardò Derek e notò che il lupo stava odorando la sala. “Che succede?” chiese dandogli una gomitata, ma Derek scosse la testa, confuso. “Ci sono strani odori che non riconosco. Non so.”

“Beh, di bene in meglio” disse il figlio dello sceriffo.

“Singor Ackles?” chiese poi l'umano attirando l'attenzione dell'uomo, che sembrò cadere dalle nuvole.

“Chi siete?” chiese Patrick.

“Sono Stiles Stilinski, compagno di scuola di suo figlio Jared” spiegò l'umano. “E volevamo chiederle...”

“Cosa?” lo interruppe però l'anziano signore, con tono aggressivo ed arrabbiato. “Si può sapere che volete?”

Stiles fece un passo indietro andando a sbattere contro il petto di Derek, che, distrattamente, lo afferrò per i fianchi per non farlo cadere, mentre osservava e annusava in giro. Sentiva odori e rumori che non riusciva ad identificare. “Woa... vogliamo solo sapere cosa pensa di...”

“Si tratta di Jared?” disse Patrick interrompendo nuovamente Stiles. “Jared non c'è più” sentenziò con una nota definitiva nella voce rimettendosi al lavoro.

“Si, è scomparso” continuò Stiles senza darsi per vinto. “Ed è per questo che siamo qui, che le vogliamo parlare.”

Il signor Ackles sospirò rumorosamente e Stiles partì all'attacco. “Dunque, suo figlio è stato il primo a sparire...”

Ma Patrick lo interruppe nuovamente. “Il primo ad essere preso.”

Stiles guardò Derek, ma il lupo era ancora perso nel suo mondo di odori bizzarri. “Preso?” chiese quindi.

Patrick Ackles sembrò perdere la poca pazienza che aveva e, alzandosi di scatto, li allontanò con il braccio.

“Basta, andate via! Via! Fuori!”

Stiles confuso dalla reazione dell'uomo cercò di ribattere, ma Derek, che si era ripreso sentendo l'odore della furia e disperazione dell'uomo, lo afferrò per le braccia e lo spinse dietro alle sue spalle.

“Signor Ackles secondo lei chi ha preso suo figlio?” chiese Derek.

“Voi due non potete aiutarmi” rispose stanco Patrick. “Il mio ragazzo non ritornerà mai più.”

Derek, però, sembrò spietato e Stiles capì che aveva sentito qualcosa che non quadrava e che il signor Ackles era diventato da padre della vittima a primo sospettato.

“Ne sembra molto sicuro” disse infatti il lupo con sguardo serio e minaccioso.

Patrick Ackles si fermò ad osservarlo, ma non si fece spaventare. “Come dice?”

“Ho l'impressione che ci nasconda qualcosa.”

“Ok, bravo” disse Stiles spuntando dalla sua spalla, decidendo di porre fine a questa strana guerra di sguardi.

“Sapete che cosa dicono?” disse Patrick avanzando di un passo. Lo guardo negli occhi dell'uomo non piacque né e Stiles, né a Derek, che si affrettò a rimettersi davanti all'umano.

“Dopo 72 ore le probabilità di ritrovare una persona scomparsa scendono a zero.”

Stiles si impietosì. “Ogni caso è diverso” disse cercando di confortarlo.

L'uomo, però, si appoggiò al bancone, perdendo le forze. “Sono passate settimane” confessò.

Stiles abbassò lo sguardo. “Già...” sussurrò.

Non vi era più nulla da dire e, senza altre prove in mano o motivi per rimanere, Stiles e Derek uscirono dalla bottega.


 

 

Appena i due se ne furono andati, Patrick Ackles guardò la porta con timore, restando immobile.

Si girò ad osservare un piccolo orologio da taschino d'oro ancora in fase di costruzione su di un tavolo poco distante. Nel suo sguardo c'era terrore e le mani iniziarono a tremargli, costringendolo a chiuderle a pugno.

“Sono andato bene?” chiese alla stanza.

Immediatamente, come se fosse un movimento da attribuire al vento, l'orologio oscillò.

 


 

Fuori dal negozio, Stiles sospirò afflitto. “Allora che ne pensi?” chiese a Derek.

Derek si mise le mani nelle tasche del suo giubbotto di pelle nera e fece spallucce. “Penso nasconda qualcosa.”

“Come fai a dirlo?”

Stiles non si era reso conto di essersi fermato in mezzo alla strada, ma si accorse bene di aver messo le mani sul petto del lupo, per cercare di fermare la sua camminata.

Non voleva pensare a quanto i muscoli di Derek fossero forti sotto i suoi palmi, o di quanto gli sarebbe piaciuto far scorrere le mani verso l'alto, in una morbida carezza, fino a tuffarle nelle morbide ciocche corvine che Derek ostentava al vento. Movimento che gli avrebbe dato una buona leva per tirare a sé il volto del più grande per poter, finalmente, poggiare le labbra su quelle morbide del lupo.

Derek, però, parlò e Stiles fu costretto a lasciare in un angolino della mente, di nuovo, le sue fantasie.

“Sentivo uno strano odore, ma non so di cosa” spiegò Derek. “E sentivo anche piccoli rumorini, ma non ho visto nulla. Inoltre il cuore di Patrick batteva un po' troppo forte, per sostenere di star dicendo la verità.”

“Quindi non gli credi?” chiese per conferma Stiles.

“Per niente” rispose Derek guardandosi intorno sospettoso. “C'è qualcosa che non va. Tu resta qui a controllare che cosa succede al tramonto. Chissà come mai, ma le brutte cose succedono sempre di notte. Io do un'occhiata a quella strana radura nel bosco.”

“Ma...” Stiles avrebbe voluto protestare. Tralasciando il fatto che non volesse assolutamente stare da solo a sorvegliare quel tizio inquietante, voleva stare con Derek. In più, anche se credeva che l'idea degli UFO fosse assurda, quattro persone erano comunque scomparse, una proprio in quella radura che Derek voleva andare a controllare. Era preoccupato.

“E, per favore” continuò Derek con tono intransigente. “vedi di non prendere iniziative, qualunque cosa succeda, chiamami.”

Stiles stava per rispondere con un sarcastico “zi padrone” ma Derek, come al solito, non gli prestò troppa attenzione e, dati i soliti ordini e aspettandosi che venissero seguiti alla lettera, marciò fino alla Camaro e sgommò via lasciando Stiles solo, a boccheggiare come un pesce fuor d'acqua.

 


 

Derek parcheggiò poco distante dalla radura incriminata e, sceso dalla Camaro, prese un respiro profondo annusando l'aria. Non sembrò percepire nulla di strano, così, con una scrollata di spalle, si incamminò piano verso la meta.

Non credeva minimamente alla storia degli avvistamenti e degli alieni, ma qualcosa stava indubbiamente succedendo. Stiles, in queste cose, aveva un istinto da fare invidia ad un lupo.

Pensando al ragazzino e alla giornata che avevano passato ad investigare insieme, Derek si ritrovò a sorridere. Sapeva della cotta e attrazione che il figlio dello sceriffo provava per lui, ma nessuno sapeva che quel sentimento era ricambiato, in ogni aspetto anche. Però Derek era troppo Derek e Stiles troppo Stiles: incompatibili, secondo il lupo. Cosa avrebbe potuto offrire Derek ad un giovane iperattivo ragazzino nel periodo più bello della sua vita? Derek oramai era adulto e disilluso, con un bagaglio di problemi più alto dell' Empire State Building. Stiles, invece, anche con i segreti e le avventure del branco aveva ancora quell'innocenza, quell'esuberanza e voglia di vita degli adolescenti. Presto sarebbe partito per il college, avrebbe fatto esperienza, vissuto una vita normale. Non aveva bisogno di Derek con il suo lupo, il mondo sovrannaturale a fare da terzo incomodo.

Inoltre, Derek, anche se faticava ad ammetterlo con se stesso, aveva paura di rivivere la stessa vicenda di Paige. Ora era più maturo, ma per quelli come lui c'era sempre un rischio nell'amare un umano.

Perso nei suoi pensieri problematici, Derek si accorse di essere alla radura solo quando si trovò a calpestare l'erba appena tagliata e quando la morbida luce della luna colpì il suo viso, risvegliando il suo istinto. Il lupo scalpitava per uscire, sentiva qualcosa che Derek ancora non percepiva, non capiva. Si guardò intorno curioso. Gli alberi erano tutti segati alla stessa altezza e, chiunque lo avesse fatto, aveva creato un cerchio perfetto con nulla al centro. Era in un certo modo triste. Rendeva bene l'idea di un tipico disboscamento, ma c'era qualcosa nell'aria, una traccia di magia, di qualcosa di sconosciuto al loro mondo che portava il lupo di Derek a cercare di uscire dalla sua gabbia. Una paura istintiva. In quel momento, tutto in Derek, urlava di correre via da quel posto, di lasciare che il lupo lo portasse in salvo per non tornare più.

La suoneria del telefono, Hungry Like The Wolf[2], impostata personalmente da Stiles, gli fece prendere un mini infarto. Era stato talmente tanto concentrato nell'analizzare l'ambiente circostante che l'improvviso rumore aveva provocato dolore ai suoi timpani sensibili.

“Che c'è!” abbaiò nel ricevitore.

Woa, sourwolf, come siamo scorbutici” rispose Stiles.

“Stiles, che diavolo vuoi?!”

Derek sentì uno sbuffo arrabbiato e poi la bella voce di Stiles. “L'unica cosa a cui si dedica Patrick Ackles è il Rum.”

“Ovviamente...” Derek aveva sentito una vaga traccia di alcool sull'uomo ma non aveva detto nulla.

“Aspetta, sei in un pub?”

Derek poté immaginarsi la smorfia furba sul viso di Stiles. “Come diavolo sei entrato?” chiese realmente curioso.

Nah, nulla di che, conosco il proprietario. Diciamo che lui e mio padre hanno fatto amicizia anni fa e finiamola qui. Non è la prima volta che ci vengo.”

Derek non ci credette. “Stiles, non farmi venire lì.”

Il lupo sentì Stiles sbuffare e poi, con voce piccola e sottile, ammettere la verità. “Dopo la morte di mamma, papà veniva qui a bere. Io lo venivo a recuperare. Fine della storia.”

“Oh...” Derek non sapeva che dire. Si era comportato da idiota, ma era comunque felice del fatto che Stiles si fosse confidato con lui.

Comunque, pensi che Ackles stia nascondendo qualcosa? Perché io si.”

Il cambio di discorso repentino confuse Derek però ne fu anche sollevato. Parlare di certe cose al telefono non era mai un bene e Derek si ripromise di riprendere il discorso al più presto faccia a faccia.

Secondo me lui c'entra qualcosa proprio con la prima sparizione, cioè con quella di suo figlio Jared” continuò Stiles. Derek però sentì un rumore e lo zittì prontamente.

Che c'è? Vedi qualcosa?” Stiles naturalmente non era capace di stare zitto e Derek fu costretto a gettare per terra il telefono, pur mantenendo la comunicazione attiva, per poter sfoderare zanne e artigli.

“Derek!! Derek, che succede?”

I fruscii erano sempre più forti. Qualcosa si stava avvicinando e Derek sentì lo stesso odore che era presente anche nella bottega di Patrick Ackles, solo più forte, ma non fu ancora in grado di identificarlo.

Improvvisamente, una luce bianca e abbagliante si stagliò nel cielo impedendo a Derek di vedere altro, tranne una strana forma ovale, che assomigliava proprio ad una navicella spaziale.

Incredulo e con la bocca spalancata, dimentico di zanne e artigli, Derek ascoltò finalmente il suo istinto e, con uno scatto felino in barba alla sua razza canina, diede le spalle alla radura e corse.

Forse si lasciò sfuggire dei piccoli uggiolii spaventati, o delle grida irrazionali a suon di “UFO, UFO, UFO!” ma nessuno fu presente per confermarlo e la virtù di Derek fu salva, fatto sta che, il grande lupo cattivo, era spaventato come mai prima.

L'ignoranza, l'ignoto, fa sempre più paura di un mostro in carne ed ossa, ora Derek lo sapeva. Non riuscire a capire, a catalogare l'odore che ormai si era inserito nel suo cervello, stava rendendo Derek pazzo e spaventato. Aveva perso la capacità di ragionare, terrorizzato, non dal buio intorno a lui, ma da quella luce strana che, come nei classici film trash, aveva iniziato ad inseguirlo. Percorreva i suoi stessi passi, saltava i suoi stessi ostacoli e dribblava gli stessi alberi di Derek in un inseguimento mozzafiato. E senza scampo.

“Oddio, oddio, oddio!” I rami sbattevano sul viso di Derek generando graffi che, però, ringraziando la natura da licantropo, si rimarginavano in un secondo. “Incontro ravvicinato, incontro ravvicinato!” Si rendeva conto di star urlando nel nulla, ma non poteva farne a meno. Non era più il potente ex-alpha, il primo e unico figlio maschio di Talia Hale. Era solo Derek, ed era terrorizzato.

Il raggio lucente continuava ad inseguirlo e si stava rivelando più veloce del licantropo. Derek capì presto di non avere vie di scampo e, recuperando improvvisamente un minimo di lucidità, risfoderò le zanne, urlando nella notte: “Fatevi sotto!” seguito da un potente ruggito.

Contro la luce, però, non poté nulla. Non era solida, non possedeva un corpo fisico, e Derek si ritrovò a poter solo muovere le braccia cercando di allontanare la luce da sé; un po' come avrebbe fatto qualcuno per allontanare un fantasma.

Il raggio però non si rivelò amichevole come Casper e, in una manciata di secondi dopo essere stato raggiunto e illuminato, Derek scomparve senza lasciare traccia.



 

“Derek!! Derek! Che succede? Derek!” Stiles, ancora nel Pub nascosto in un angolino per non farsi notare da Patrick Ackles lottava per non cadere nel panico. Derek aveva perso il telefono o forse se ne era sbarazzato. Però Stiles aveva sentito le urla. E Derek si trovava nella radura. Possibile che fosse stato preso?

Rimase in ascolto ancora per una decina di minuti in conflitto con se stesso.

Andare a cercare Derek, anche se fosse stato ormai troppo tardi con il rischio di venire rapito, oppure aspettare il quel pub? Per Stiles la scelta fu facile. Chiuse la comunicazione, mise il telefono in tasca e poggiò al contrario un paio di banconote sul tavolo per le patatine che aveva gustato e si precipitò fuori dal locale. Avrebbe salvato Derek, non importava nient'altro.


 

La suoneria di Hungry Like The Wolf risuonava in mezzo al bosco fino a quando una mano grande e dalla pelle bianca non spense il cellulare.

Stiles si guardò intorno confuso. Fin lì era stato facile. Aveva percorso il sentiero fino alla radura – che aveva immediatamente classificato come inquietante all'ennesima potenza – e aveva fatto squillare il telefono di Derek, fino a trovarlo poco distante. Ma del lupo nessuna traccia.

“Dove diavolo sei finito?” chiese confuso.

Però Stiles, al contrario di Derek, era un attento osservatore e, soprattutto, aveva buon senso, decidendo di lasciare immediatamente quella radura tanto sfortunata.

Ci doveva essere un collegamento tra le sparizioni che gli era sfuggito. Aveva vagliato ogni ipotesi, dall'età, al lavoro, alle amicizie, agli hobby. Jared Ackles, 17 anni umano, studente. Mike Gallagher 53, impiegato postale. Fred Hammilton, 32, banchiere e, per ultimo, Samuel Morrison, 63, pensionato. E ora si aggiungeva anche alla lista Derek Hale, 23, licantropo a tempo pieno.

Mentre rimuginava, Stiles si accorse di un piccolo particolare che prima non aveva notato. Qualcosa che gli alieni o chi altro stesse rapendo persone aveva dimenticato: la Camaro!

Con un sorriso da stregatto non credendo alla sua fortuna sfacciata, aprì lo sportello e trovò nel quadro le chiavi. Alzando il viso al cielo – o meglio, al tettuccio della macchina – Stiles sorrise. “Grazie Batman!” disse, per poi girare le chiavi e mettere in moto. Ok, sentiva già la mancanza di Derek, ma aveva la sua Camaro! Quando gli sarebbe ricapitata una fortuna del genere?


 

Tornato a casa, Stiles si mise subito al computer a fare qualche ricerca e, con l'aiuto della sua lavagna trasparente fighissima che un giorno si sarebbe sposato, raccolse le idee.

Ci volle quasi tutta la notte, grazie anche alle mille e più tazze di caffè, ma Stiles alla fine, capì il nesso tra le sparizioni. Erano tutti i primi figli maschi. Non contavano le sorelle maggiori, sia Derek che il pensionato Samuel avevano sorelle, Samuel addirittura tre, ma erano comunque i primi figli maschi, quelli che avrebbero portato avanti il nome, quelli che, nel passato, avrebbero avuto l'eredità. Fred Hammilton, invece, era figlio unico come Jared mentre Mike Gallagher aveva due fratelli più piccoli che si trovavano con lui in campeggio quando il maggiore era sparito.

Stiles si diede dello stupido. Era così semplice! Come mai non ci era arrivato prima? Questo però spiegava altri due fatti: il primo, era che ancora non sapeva chi o cosa stesse rapendo i primi figli maschi, o il perché, e il secondo, e più importante, fatto era che anche Stiles era un possibile bersaglio.

Girovagando ancora un po' su internet, poi, scoprì di un raduno di appassionati di UFO e creature aliene in città, ai confini per essere precisi. Stiles ci mise poco per decidere che valeva una pena dare un'occhiata.


 

Il campo base non era altro che un minuscolo cerchio lasciato libero dai camper parcheggiati intorno. Ce ne erano almeno una decina, e tutti illuminati con quelle che sembravano lucine natalizie. C'era però molto chiasso, come in una fiera di paese. Stiles vide un tizio decisamente strano, che gli ricordò un poco Disco Stu[3] dei Simpson, gridare a voce alta qualcosa tipo: “la fine del mondo è vicina, gli UFO stanno venendo a prenderci” sulle note di Relax dei Frankie Goes To Hollywood.[4]

Altri tipi stavano confabulando di vita extraterrestre mentre arrostivano su un barbecue improvvisato due salsicce, e una ragazza evidentemente hippy aveva cercato di vendergli dell'erba.

Un po' ovunque erano sparsi poster, bandiere e stendardi di alieni verdognoli nudi con la testa enorme che fecero a Stiles un po' impressione. Se erano tanto evoluti, perché non avevano dei vestiti? Vide anche una grossa cartina raffigurante gli Stati Uniti d'America con, però, annotati tutti gli avvistamenti UFO nella storia, un po' pochini secondo Stiles. Ma la maggior parte delle persone sembrava normale, con solo appresso grossi telescopi.

Chi, però, attirò l'attenzione del giovane detective, fu l'uomo che Stiles aveva già intervistato quella mattina: Wane Wytacar Junior.

Stiles se lo ricordava bene, era un uomo sulla settantina, con i capelli bianchi e delle rughe sul viso. Dal modo di vestire poteva sembrare un professore, se non fosse stato per le troppe immagini di alieni intorno al tavolo su cui era seduto.

“Quindi gli alieni esistono davvero?” chiese Stiles. Il suo tono fu forse un pochino aspro e duro, dopotutto era stanco e amareggiato per la scomparsa di Derek e non ci credeva affatto agli E.T.,non da quando aveva scoperto che, proprio E.T. era un pupazzo. Per il suo fragile cuoricino da sognatore fu più arduo accettare quella faccenda che la non esistenza di Babbo Natale.

“Come dico sempre, figliolo, la verità è la fuori” gli rispose dopo un po' il ricercatore, con un sorriso accondiscendente sul viso.

“Ok, è lei l'esperto” disse Stiles scontroso, sfidando l'uomo. Più i minuti passavano, più la sua rabbia aumentava, come se stesse per esplodere. Doveva trovare Derek, subito! Se non lo avesse trovato entro le 24 ore allora non lo avrebbe rivisto mai più. Fu forse la disperazione, la paura viscerale di non poter più vedere il suo lupo, di non potergli confessare chiaro e tondo i suoi sentimenti che lo spinse a reagire male, e in modo molto maleducato. Ma era stanco, stufo marcio di questa storia degli alieni! Rivoleva Derek e basta.

“Allora mi dica dove li trovo! E come ucciderli!”

L'uomo, osservandolo un po' confuso, si alzò, ma mantenne comunque la sua aria allegra. “Ah, siamo in due a voler sapere dove trovarli!” scherzò Wane Wytacar passandogli una specie di giornalino sugli UFO.

Stiles lo sfogliò velocemente e svogliatamente leggendo solo i titoli dei paragrafi, cose assurde come “Luci nel cielo, UFO o stelle cadenti?” oppure “Cerchi nel grano, non sono solo scherzi di ubriaconi.”

Erano tutte stupidaggini.

“E' tutto qui?!” chiese arrabbiato sventolando il giornalino. Forse la verità era che non aveva uno straccio di punto di partenza per poter indagare. Non aveva la minima idea di cosa fare, a chi chiedere, chi interrogare o pedinare.

“Direi che trent'anni di testimonianze oculari parlano da sole. Sono prove inconfutabili.” Ora il ricercatore sembrava arrabbiato.

“Si, certo” rispose invece Stiles che ormai aveva gettato al vento il filtro tra bocca e cervello. “Ma il mio... amico... è stato rapito e...”

Improvvisamente intervenne la ragazza hippy dell'erba. “Un tuo amico è stato rapito?” Chiese eccitata. Era una ragazza carina, capelli rossi e lisci e occhi grandi ma, anche se a Stiles fosse piaciuto il genere, non l'avrebbe mai trovata attraente, troppo scialba e... fatta.

“Si...?” le rispose non capendo il perché di quella interruzione. Però dovette ammettere che, grazie al suo intervento, non stava più dando addosso a Wane Wytacar.

“Oh mio dio...”

Stiles la guardò stranito. “E' tutto a posto, tanto lo ritroverò” disse fiducioso.

“Quando è successo?” continuò la ragazza mentre Wytacar prendeva nota.

“Mezz'ora fa” rispose Stiles allontanandosi però di un passo. Aveva sbagliato ad andare lì, non lo stavano aiutando per niente.

“Puoi dirmi dove e a che ora? Tu eri lì? Hai visto qualcosa?” Wane Wytacar iniziò a tempestarlo di domande, mettendolo a disagio. A quegli individui non importava minimamente delle persone scomparse, ma solo degli UFO. Stiles non ne poté più e, dando involontariamente una spallata alla ragazza che si era fatta troppo vicina rendendogli difficile respirare, scappò via. Erano ormai le prime luci dell'alba e Stiles aveva bisogno di una dormita, doveva racimolare tutto il suo cervello straordinario per trovare Derek.


 

Stiles dormì per quasi tutto il giorno. Si svegliò solo alle tre del pomeriggio e, dopo un'abbondante pasto tardivo, si rimise al lavoro. Rilesse tutto il bestiario per sicurezza, fece altre ricerche in internet. Trovò, come aveva letto sul giornalino di Wane Wytacar, molte notizie su avvistamenti UFO e strane luci nel cielo. Tutto riportava agli alieni, ma non aveva senso. Eppure solo una persona aveva dichiarato di non credere agli E.T.: la signora Marion, che sosteneva si trattasse di fate.

Stiles inizialmente le aveva dato della pazza. Andiamo, perché prendersela con le Winx o Trilly? Era assurdo. Senza contare che sul bestiario non vi era nessuna menzione di questi esseri.

Però... Stiles da tempo aveva capito che, anche la più piccola delle teorie può risultare esatta e così, adocchiando l'orologio digitale del pc che segnava ormai le otto di sera passate, Stiles si mise al lavoro. La prima cosa che fece, fu digitare sulla barra di ricerca di Google “fate”.


 

Nella radura non vi era un rumore. Solo lo sbuffo del vento stava disturbando la quiete notturna, facendo svolazzare quei fili d'erba scampati al disboscamento.

Improvvisamente, un fascio di luce bianca illuminò il paesaggio e un Derek urlante che mulinava le braccia cercando di lanciare fendenti con i suoi artigli comparve.

Il lupo si guardò intorno, imponendosi la calma. Si trovava nella stessa radura di quando, chissà quanto tempo fa, era stato preso. Ma ora non vi era nulla, solo il buio del bosco. Derek annusò l'aria e percepì ancora quell'odore strano e dolciastro che continuava a percepire, ma era debole. Non c'era nulla in quella notte di cui aver paura. Anche il suo istinto di scappare sembrava attenuato.

“Ma che cazzo?” disse al nulla ricomponendosi. Rimase ancora per qualche minuto in silenzio, osservando l'ambiente, prima che il cervello riconnettesse i neuroni e lo fece scappare a gambe levate da lì.

Si diresse verso la sua Camaro, ma quando ci arrivò, non trovò nulla. Chiuse un secondo gli occhi. Solo una persona sarebbe stata talmente stupida da prendere la sua auto: Stiles.

Prendendo un respiro profondo, Derek si incamminò impettito verso la casa dello sceriffo.


 

Stiles stava ancora svolgendo le sue ricerche riguardo le fate. Era sorprendente la quantità di informazioni che aveva trovato, ma nulla era certo.

Non c'erano valide prove di una loro esistenza e Stiles stava ormai per abbandonare quella strada, ma qualcosa gli suggeriva che non sarebbe stata la mossa giusta. C'era qualcosa che gli sfuggiva, che non capiva fino in fondo.

Immerso nei suoi pensieri, con gli occhi incollati al computer, Stiles non si accorse della figura imponente e silenziosa che scivolò nella sua camera dalla finestra.

L'ombra avanzò piano, piano, attenta a non far rumore e, quando ormai era ad un soffio dal collo dell'umano, Derek tirò uno scappellotto a Stiles.

“Aaaaaah!!!” urlò Stiles spaventato saltando sulla sedia, ma si tranquillizzò quando sentì la voce che gli era mancata per tutto il giorno.

“Imbecille! Non osare mai più prendere la mia macchina senza il mio permesso!” lo sgridò Derek.

Stiles, però, era troppo felice di riavere il suo lupo con sé e, senza pensarci troppo, lo abbracciò di slancio, facendo scontrare la sua guancia contro l'incavo del collo di Derek, annusando il suo odore.

“Grazie al cielo stai bene...” sussurrò.

Derek, preso in contro piede dalla morbidezza del corpo di Stiles contro il suo e del suo odore, così buono e rinfrescante dopo quello dolciastro degli alieni, smise di essere il solito sourwolf e ricambiò l'abbraccio, stringendo ancora di più a sé Stiles prendendolo per i fianchi.

“Sto bene! Sto bene...” sussurrò il lupo sentendo la preoccupazione di Stiles.

Stiles annuì strofinando il suo naso sul collo del lupo, procurando a Derek tanti piccoli brividi che non riuscì a nascondere, facendo sorridere l'umano.

“Che è successo?” chiese dopo un momento di silenzio Stiles passato a coccolarsi e rassicurarsi a vicenda.

Derek scosse la testa, guardando con insistenza un angolo della parete di Stiles ma senza vederla, perso nei suoi ricordi.

“Sei stato via praticamente un giorno intero!” continuò Stiles stringendo le mani a pugno. “Ho cercato di indagare, ma non ho trovato niente! Niente! Credevo...”

Derek sentì l'angoscia del suo umano e, dicendo a se stesso di essere ancora scombussolato da tutta la faccenda, strinse nuovamente Stiles in un abbraccio.

“Sto bene” lo rassicurò nuovamente.

“No... c'è stato uno slittamento temporale...” disse Stiles. “Coincide con le teorie sugli alieni, ma...” Stiles si staccò da Derek per afferrare il giornalino del ricercatore Wytacar sfogliandolo febbrilmente.

Derek lo osservò in silenzio, cercando di riordinare i pensieri, ma l'urlo di Stiles lo fece sobbalzare.

“Non coincide niente! Niente!!!” Stiles era stanco, disperato e arrabbiato. Non riusciva a capire, a risolvere il mistero e stava andando fuori di testa.

Derek lo capì e lo costrinse a sedersi sul letto insieme a lui. “Io so solo che chiunque mi abbia preso era stronzo, incandescente e orripilante” disse con l'intento di farlo ridere e alleviare la tensione.

Ci riuscì. Stiles ridacchiò piano, facendo poi un gran sospiro. “Sono contento che sei tornato” sussurrò appoggiando la guancia sulla spalla del lupo.

Derek cedette. Accarezzò i capelli profumati di Stiles e annuì. “Anche io...”

Il silenzio tra di loro continuò confortevole per una decina di minuti. Stiles si sentiva in paradiso.

Però doveva sapere. “Perché hai accettato di aiutarmi?” chiese con voce sottile e gli occhi chiusi. Sentì Derek prendere un bel respiro, e la mano, che fino a quel momento aveva accarezzato i suoi capelli, si spostò fino a raggiungere il suo fianco. “Non farmelo dire, Stiles” rispose Derek.

“Io lo voglio sapere però!” continuò Stiles con un sorriso. Aveva capito, certo che aveva capito. Ma certe cose si devono dire.

Derek sospirò. Forse anche per lui doveva essere sincero. Con se stesso e soprattutto con Stiles, ma non in quel momento. Non con gli alieni o altro che stavano rapendo le persone.

“Dopo il caso” disse quindi. “Risolviamo in fretta queste sparizioni e poi parleremo, promesso.”

Lo guardo fiducioso che Stiles rivolse a Derek convinse quest'ultimo che il momento era finalmente arrivato.


 

“Quindi vengono presi solo i figli maschi?” chiese Derek per essere sicuro.

Stiles aveva aggiornato Derek su tutte le sue scoperte e sui suoi sospetti sulle fate.

“Già! E questo non c'entra nulla con gli alieni. Se dovessimo prendere per vero tutte le testimonianze, allora sappiamo per certo che gli UFO rapiscono anche donne per... oh, che schifo” commentò leggendo il giornalino. “Per metterle incinta con sonde che... no, non voglio leggere.”

Derek annuì concorde. “Quindi eliminiamo gli alieni” disse. “E concentriamoci su altro. Stavi dicendo delle fate.”

Stiles annuì. “Si, ti ricordi la signora Marion? Potrebbe sapere qualcosa...”

Derek mugugnò in assenso, riflettendo. “Se devo essere sincero... tutto quello che ho visto dopo la luce è stata una strana stanza...”

“Davvero?” Stiles non aveva chiesto nulla a Derek. Aveva immaginato di doversi comportare come se si fosse trattato di una vittima di rapimento o stupro. Suo padre gli aveva insegnato di aspettare, in casi straordinari, che fossero le persone a voler parlare delle loro esperienze.

“Puoi chiedere se vuoi” rispose Derek e, quando Stiles annuì imbarazzato, iniziò il racconto.

“Beh... c'era questa...” Derek tentennò, non sapendo come spiegarsi. “c'era questa luce bianca splendente. Non riuscivo a vedere nient'altro, ma ho trovato comunque la forza di scappare. Sono corso nel bosco ma... quella luce mi ha.. come dire? Inseguito? Sembrava un fascio di un elicottero quando insegue un criminale... io... non lo so... so solo che, ad un certo punto, non riuscivo più a seminarla. Era più veloce di me! E mi ha preso...”

Stiles sussultò a quelle parole, ma Derek non se ne accorse. “All'improvviso mi sono ritrovato in un posto completamente diverso. C'erano questi esseri luminosi... così luminosi che... come con la luce, non riuscivo a vedere nulla. Non riuscivo a guardarli. Però sentivo il loro odore... lo stesso presente nella bottega di Patrick Ackles, solo più forte.”

Stiles sussultò a quell'informazione, ma non disse nulla, lasciando che Derek continuasse con il suo racconto. “Sentivo anche che mi spingevano su una specie di tavolo...”

Stiles pensò immediatamente alle sonde e alla procreazione degli alieni con gli umani scritta dettagliatamente sul giornalino e rabbrividì. “Non ti hanno fatto nulla, vero?” chiese apprensivo.

Derek lo guardò brevemente e arrossì, guardandosi le scarpe.

“Cosa?” chiese ancora Stiles agitato. “Che ti hanno fatto, Derek?!”

Derek scosse la testa. “Non mi hanno fatto nulla” confessò lasciando Stiles senza parole. “Non ne hanno avuto il tempo.”

“In che senso?”

Derek tentennò. “Sono... diciamo che sono... più o meno... impazzito.”

“Impazzito?” chiese Stiles preso in contro piede.

“Ho cominciato a tirare calci e ho snudato le zanne e gli artigli...” Derek ridacchiò incredulo. “Devo dire che sembravano molto sorpresi. Non credo che qualcuno avesse mai reagito così.”

Stiles ridacchiò sollevato. “Mi sa di no” disse. “Hai avuto un incontro ravvicinato e hai vinto!”

Derek, a quell'uscita e, probabilmente, smaltendo finalmente l'adrenalina, si lasciò andare ad una risata sollevata di cuore, lasciandosi perfino cadere sul letto di Stiles.

Stiles osservò il suo lupo ridere. Lo ammirò come se avesse davanti il David di Michelangelo. Derek, in quel momento, così libero e con quella risata così carina, era magnifico.

Le risate scemarono presto e Derek si ritrovò a corto di fiato. “Posso farmi una doccia?” chiese.

Stiles sbarrò gli occhi, ma non si lasciò sfuggire questa occasione. “Dovresti decisamente farti una doccia!” disse, praticamente spingendolo nel suo bagno privato.

Il sorriso che regalò alla porta chiusa sembrò quello di un maniaco. Però non sapeva che Derek, un po' confuso dalla velocità con la quale si era ritrovato in quel bagno con in mano accappatoio e salvietta, aveva lo stesso identico sorriso sul volto. E un piano in mente...


 

“Ci hai messo poco!” disse Stiles sentendo la porta del bagno aprirsi. “Stavo pensando di andare a fare qualche domanda alla signora Marion. Sembrava che ne sapesse parecchio di fate e fatine.”

Quando Derek non rispose, Stiles si girò innocentemente per vedere se ci fosse qualche problema. Ma il problema lo ebbe Stiles alla respirazione quando vide lo spettacolo che Derek gli stava donando.

Il respiro gli si fermò in gola, in un rantolo poco elegante, ma Stiles non lo notò. Era troppo occupato a gustarsi le goccioline d'acqua che scendevano tra gli incavi degli addominali di Derek che, con solo un piccolo asciugamano a coprirgli i gioielli di famiglia, restava lì a farsi guardare con un sorrisino divertito.

“Tutto bene?” ebbe anche la faccia tosta di chiedere il lupo.

Stiles, non si sa come, riuscì ad annuire, ma gli occhi rimasero incollati su Derek, squadrandolo affamati.

“Mi stavo chiedendo” continuò il lupo. “Se posso restare per la notte. Sai, a quanto dici sei un possibile bersaglio, non voglio che ti succeda qualcosa.”

Beh, questo è un pensiero molto carino pensò Stiles distrattamente mentre il suo collo, di propria volontà, mosse la testa su e giù in segno affermativo.

“Mi presti dei boxer puliti?” proseguì quindi Derek avvicinandosi al cassetto della biancheria dell'umano, facendo in modo di mostrarsi di lato, per far vedere come la curva della sua schiena lasciasse posto alle perfette rotondità che aveva come sedere.

Stiles deglutì, cercando di mandare giù un po' di saliva che sembrava stesse per uscirgli di bocca.

Derek fece cadere l'asciugamano e si piegò per infilare prima una gamba e poi l'altra nelle mutande dell'umano. Stiles non seppe mai dire il perché non fosse morto in quel preciso istante. Fatto sta che la ragione della resurrezione del suo piccolo amichetto a sud dell'equatore la capì eccome.

“Derek...” sussurrò Stiles.

Il lupo guardò il figlio dello sceriffo con – Stiles non poté descriverlo diversamente – sguardo da predatore e ammiccò. “Che ne dici se, prima di andare a letto, ordinassimo una pizza? Non so te, ma io sto morendo di fame...”

Stiles, ovviamente, annuì. Non sarebbe stato capace di negare nulla a Derek in quel momento.


 

Stiles era ancora incredulo. Derek si era almeno messo una sua maglietta – che gli fasciava perfettamente gli addominali, ma questo era un altro problema – rifiutandosi di mettersi un paio di pantaloni e ora stava mangiando una fetta della sua pizza peperoni e funghi come se ne andasse della sua vita.

Stiles lo osservò incantato. Non aveva mai visto Derek mangiare e ora poteva dire che faceva schifo, in un senso buono però. Era adorabile con il filo di mozzarella che pendeva dal mento.

Stiles aveva l'insana voglia di ripulirlo con la sua lingua.

“Dunque. Domani mattina andiamo a trovare la signora delle fate?”

Stiles annuì, recuperando un briciolo di concentrazione. “Direi che ormai è l'unica pista disponibile... a parte Patrick Ackles.”

Derek annuì distrattamente. “Se anche lei si rivelerà un buco nell'acqua, direi di iniziare ad indagare sugli Hobbit!”

Stiles si strozzò con la pizza. “Hai fatto un'altra battuta?!” chiese sconvolto tra un colpo di tosse e l'altro. “Chi sei e che cosa hai fatto a Derek Hale?”

Derek sorrise. “Mi piace leggere di tutto e di più...” spiegò con una scrollata di spalle.

“Va bene, ragazzo-lupo” rispose accondiscendente Stiles gettando la crosta della sua ultima fetta di pizza e dando un'occhiata all'ora. “E' mezzanotte passata, direi di dormire e domani mattina andremo a parlare con la signora Marion.”

Derek annuì afferrando la crosta della pizza di Stiles e mangiandola distrattamente. “Va bene” rispose mettendo il cartone sul pavimento e distendendosi tra le coperte del letto dell'umano.

Stiles lo guardò confuso, ma anche euforico. “Dormi qui? Con me?” chiese.

Derek si limitò ad annuire e Stiles, felice come una pasqua, spense la luce e si distese al suo fianco.

“Buona notte” disse.

Derek sbadigliò e, dopo aver messo un braccio intorno alla vita di Stiles, mugugnò, già sul treno per il mondo dei sogni.

 


 

La mattina trovò Stiles e Derek ancora abbracciati e addormentati. Derek stava bene al calduccio vicino al suo umano e non aveva affatto voglia di alzarsi, ma dovevano risolvere il mistero di turno e non avevano alternative. Il lupo aprì un po' gli occhi e la prima cosa che vide fu il viso di Stiles addormentato con la bocca spalancata. Sorrise inconsciamente. Non era come nei film, Stiles non era il bello addormentato, perfetto, con l'alito fresco di menta, ma per Derek era molto meglio così. Significava che era reale, che stava succedendo davvero.

Derek stava per perdersi nella contemplazione di Stiles quando un'ombra sbucò dalla finestra. Era un uomo anziano, con un berretto rosso e lo stava fissando.

Derek lo guardò minaccioso e, nella fretta di alzarsi, svegliò Stiles. “Che succede?” mugugnò il ragazzo assonnato grattandosi gli occhi con il pugno. Si alzò di scatto a sedere quando vide Derek ringhiare verso la sua finestra, ma non c'era nulla.

“Derek?” chiese provando ad attirare l'attenzione del lupo. Derek, però, fece solo uno scatto verso il vetro e aprì velocemente la finestra senza smettere di ringhiare. Stiles si alzò velocemente cercando di capire quale fosse il problema.

Derek però non fece altri gesti avventati e rimase semplicemente lì, immobile ad osservare. Le zanne e gli artigli, piano piano, se ne andarono lasciando spazio ai lineamenti umani di Derek.

“Che succede?” chiese Stiles guardando nella stessa direzione, senza scorrere nulla di strano.

Derek non rispose. Lo sguardo ancora fisso sull'uomo con il berretto rosso vicino alla sua Camaro.


 

“Che c'è?” chiese Stiles per la milionesima volta. Derek alla fine si era calmato ed ora sedeva sul letto di Stiles pensieroso.

“C'era un uomo” ripose infine Derek congiungendo le sua mani sotto il mento, coprendosi parzialmente la bocca. “E ho sentito ancora lo stesso odore.”

“Ok... ma io non ho visto nessuno...” ragionò Stiles.

Derek, finalmente, alzò il viso e lo guardò. “Lo so.”

“Ok, senti” disse Stiles dopo un attimo di silenzio. “Perché non vai giù in cucina e ti bevi un po' di caffè intanto che io mi faccio una doccia? Dopo possiamo andare dalla signora Marion!”

Derek annuì. Aveva bisogno di raccogliere le idee e di calmarsi. Dall'esterno non si notava, ma Derek era preoccupato. Perché solo lui aveva visto quel tizio con il berretto rosso?

Derek scese lentamente le scale, sospirando amareggiato. La sera prima sembrava tutto rose e fiori, con Stiles stretto a sé, mentre ora erano ritornati nell'incubo che era la realtà.

Afferrò la prima tazza che gli capitò sottomano, neanche a dirlo, una di Stiles con la scritta “sarcastic bastard” che lo fece sorridere e si versò del caffè freddo. Stava per inserire la tazza nel microonde quando la luce che aveva acceso vicino al lavello iniziò a tremolare.

“Che cazzo?” sussurrò guardando la lampadina che, alla fine, si spense.

Poggiò la tazza sul mobile e si guardò intorno, sfoderando gli artigli. C'era qualcosa che non andava. Come dal nulla, Derek percepì nuovamente il solito odore, che, francamente, iniziava a stancarlo.

Anche se era già sorto il sole, Derek, però, notò la luce della radura illuminare la finestra della cucina. Il panico lo paralizzò, non tanto per la paura di essere preso, quando perché Stiles, che era al piano di sopra, era un possibile bersaglio.

Rifiutandosi di farsi battere da una stupida luce, Derek ruggì.

Mentre l'urlo assordante del lupo lasciava la sua gola, la finestra dove vi era la luce si ruppe in mille pezzi, sparpagliando il vetro nella cucina di casa Stilinski e ferendo leggermente Derek.

Subito dopo, una strana lucina gialla, più o meno grande come una palla da tennis, entrò dalla finestra volando. Derek si fermò confuso ad osservarla. Non sembrava pericolosa e si avvicinò, ma sempre tenendo artigli, zanne e soprattutto nervi sull'attenti.

Derek avvicinò il viso a quella strana lucina, che iniziò a brillare sempre di più. Derek trattenne il fiato, non poteva davvero star vedendo quello che stava vedendo.

“Capezzoli?” sussurrò incredulo.

La lucina dovette arrabbiarsi, perché, in un istante, sferrò un pugno a Derek sullo zigomo, talmente forte che lo fece sbattere contro il frigorifero. “Stronza!” urlò Derek sconvolto. Quella era forse la cosa più strana che gli fosse mai successa.

La lucina, però, continuò l'attacco. Colpì Derek allo stomaco e cercò di colpirlo nuovamente sul viso, ma Derek riuscì a schivare il pungo all'ultimo secondo, beccandosi però, un colpo sulla spalla che gli fece scappare un lamento. La lucina era piccola, ma forte.

La pallina luminosa iniziò a vorticare su se stessa in un piccolo cerchio, distraendo i sensi del lupo e sferrando un altro attacco al viso di Derek, colpendolo dritto sul naso. Derek cadde a terra, ma, con un balzo, tornò all'attacco, cercando di ferire la luce con i suoi artigli. Ma la pallina era veloce e schivò facilmente il fendente, prendendo la rincorsa per, probabilmente, il suo ultimo attacco.

Derek, però, si rese conto di star dando le spalle al microonde e, con una folle idea fulminea, spalancò lo sportello, giusto in tempo per farci finire dentro la lucina, e fece partire il cronometro.

Osservò la pallina illuminata agitarsi nel piccolo spazio e farsi sempre più accecante. Illuminò tutto il vetro del microonde, iniziando a farlo traballare. Derek fu costretto ad afferrarlo, per cercare di non far uscire quella cosa distogliendo lo sguardo: la luce era troppo accecante.

Improvvisamente, Derek sentì un pop e il microonde smise di agitarsi. Derek arrischiò uno sguardo e, tutto quello che vide, fu il vetro dell'elettrodomestico completamente nero.

“HaHaHa!” ridacchiò sollevato seguito dal bip di fine cottura. Aveva vinto ancora!


 

Stiles osservò l'interno del suo microonde perplesso. “Che cosa dovrei vedere?” chiese nuovamente.

Derek, che aveva le braccia conserte, le alzò al cielo. “Te l'ho detto! Non vedi il nero? Lo schifo?”

Stiles riportò lo sguardo sul suo microonde. A lui sembrava che tutto fosse normale. Non vedeva nulla.

“Nope!” rispose scrollando le spalle.

Derek sospirò, determinato ad avere ragione. “E' pieno di sangue e... di tutte quelle schifezze.”

“Mi dispiace, Derek, ma non vedo niente” rispose ancora Stiles. Che doveva fare? Mentire?

“Non vedi le schifezze?” chiese Derek nervoso indicando l'interno dell'elettrodomestico. “Sono proprio lì!”

“Ok” cercò di calmare gli animi Stiles. “Supponiamo che tu le veda e io no, come l'uomo con il berretto.”

Derek annuì, rigido.

“Che cosa diavolo era?” concluse Stiles.

Derek, che si era aspettato la domanda, chiuse gli occhi, tentennando. “Era una... una piccola...”

Derek sospirò. Non poteva credere di star davvero dicendo questo. “Una piccola donna nuda, ok?”

Stiles lo guardò sconvolto. “Era... che cosa?”

Derek si agitò, spostando il peso da un piede all'altro. “Era una piccolissima e scintillante... donna nuda con... i capezzoli e... mi ha preso a pugni.”

Stiles non sapeva se ridere o... ridere. Quella storia era a dir poco assurda. Ma riuscì a mantenere un contegno. Derek sembrava a tanto così dall'esplodere.

“Quella... piccola donna... aveva le ali?” chiese. Se la risposta fosse stata affermativa, allora avrebbero davvero dovuto parlare con la signora Marion il più presto possibile.

Come Stiles aveva sospettato, Derek annuì. “Andiamo” disse quindi l'umano.

“Che ti prende?” chiese Derek seguendolo.

Stiles frugò nelle sue tasche, cercando le chiavi della Camaro che poi lanciò a Derek. “Hai cotto Trilly!” sbottò. “La teoria delle fate non è più tale. Abbiamo una pista, ma non sappiamo come combatterli.”

Salirono in macchina, immettendosi subito in strada. “Andiamo a parlare con la signora Marion” spiegò Stiles. “Ora sono più convinto che mai che lei sappia molto più di quanto crediamo.”

 


 

“Ci sono le Fate, gli Spiritelli, gli Spriggan, i Boggart e i Brownie[5]” spiegò la signora Marion servendo un piatto di biscotti ai due investigatori. “Il piccolo popolo ha un'infinità di nomi.”

Derek, però, stava ascoltando distrattamente. Poco distante da lui c'era una piccola riproduzione della stronza che lo aveva attaccato quella mattina. “Si” disse arricciando il naso arrabbiato. “Quella è proprio lei”.

Stiles gli rifilò uno gomitata nel costato e sorrise alla signora Marion. “Grazie signora” disse Stiles afferrando un biscotto. “Ma che mi dice di quel piccolo Babbo Natale e il Troll e...”

“Oh, quello è un piccolo Gnomo da giardino[5]” rispose la donna prendendo la statuina per mostrarla più da vicino ai due ragazzi. “Mentre quest'altro è un Grande Goblin.[5]

“Ma sono tutti delle fate?” chiese l'umano curioso.

“Si, certo” rispose la signora Marion sorridendo felice. “Hanno moltissime forme e dimensioni. Esseri magici e birichini che vengono dal Regno della Porta Accanto.”

“Il Regno delle Fate?” chiese Derek.

La donna annuì. “E' una specie di altra dimensione?” chiese quindi Stiles.

“Esatto! E' un'altra realtà” rispose Marion. “Solo le persone che ci sono state e poi sono tornate nel nostro mondo possono vedere le fate qui.”

Derek si strozzò con il boccone di biscotto che aveva appena morso, mentre Stiles sbarrò gli occhi. Ecco spiegato il mistero dell'uomo con il berretto rosso e della fatina cotta a microonde.

“E... come mai le fate rapiscono le persone?” chiese Stiles mentre batteva una mano sulla schiena del suo lupo, ancora intento a strozzarsi con il biscotto.

“Beh, ci sono un bel po' di teorie e pochissimi fatti” rispose la signora Marion pensierosa. “Sappiamo che rapiscono solo i figli maschi primogeniti, proprio come nella fiaba di Tremotino.”

A quella risposta, Stiles sorrise. Era un genio!

“Se volete la mia opinione” continuò poi la donna con sguardo serio, abbassando la voce. “Io credo che li portino ad Avalon, per servire Oberon, il Re delle Fate.”

Stiles annuì, ghignando. “Hey, Derek” disse. “Hai servito Oberon il Re delle Fate?”

Derek gli rifilò un'occhiataccia, ma Stiles non si fece intimorire e ridacchiò divertito. Avrebbe avuto materiale di scherzi per molto, molto tempo.

“Marion” intervenne Derek. “Che cosa possiamo fare per... emm...”

Marion guardava Derek confusa, non capendo cosa volesse chiedere. Per fortuna, si intromise Stiles.

“Per interagire energicamente con loro” disse accompagnando il tutto con un bel sorriso rassicurante.

“Oh!” Marion sorrise felice. “Per ingraziarvi una fata, dovete lasciarle una ciotola di panna fresca perché loro adorano la panna!”

“O....k” continuò Stiles. “E un po' più energicamente?”

Marion si fece pensierosa. “Beh, tutte le fate odiano il ferro e le fate oscure bruciano quando vengono toccate con l'argento. Che altro? Oh! Versate dello zucchero o del sale davanti a loro. Non importa quanto la fata sia potente, deve comunque chinarsi a contare ogni granello.”

Stiles sorrise, prendendo nota. “Bene, perfetto. Grazie signora Marion.”

La donna sorrise raggiante e, dopo averli obbligati a finire il the che aveva preparato loro, li salutò con un abbraccio imbarazzante.

“Dio, che situazione del cazzo” disse Derek al sicuro da nonnine prosperose e affettuose nella sua Camaro.

“Già... E poi l'odore di incenso mi ha fatto venire mal di testa” rispose Stiles.

“Tutte quelle stronzate New Age, blah!” commentò Derek odorandosi. Sentiva la puzza delle candele profumate delle donna su di sé e per il suo olfatto sensibile era una tortura.

“Mi sento come se avessi la pazzia addosso...” disse poi Derek.

Stiles ridacchiò. “Hai solo i brillantini addosso!”

“Mi viene voglia di credere di nuovo agli UFO” continuò il lupo facendo finta di non aver ascoltato il commento dell'umano.

“Che si fa, ora?” chiese poi.

Stiles si strinse nelle spalle. “Anche se abbiamo scoperto chi è che rapisce le persone, non sappiamo ancora come sono venuti qui. Marion ha detto che arrivano da un'altra realtà quindi qualcuno deve averli chiamati, evocati, convocati o qualcosa del genere.”

“Ma chi?”

Stiles tentennò. “Non so. Per ora il mio unico sospettato è Patrick Ackles. E' l'unico che ha avuto comportamenti strani, senza contare che tu hai sentito l'odore – che ora sappiamo che è quello delle fate – nella sua bottega.”

“Quindi sorveglieremo il signor Ackles?” chiese Derek.

“Quindi sorveglieremo il signor Ackles” rispose Stiles.


 

Stiles e Derek arrivarono nei pressi della bottega di Patrick Ackles e parcheggiarono in modo da avere una buona visuale.

Aspettarono circa un'ora prima di vedere un movimento. Il signor Ackles, infatti, era appena tornato e stava scaricando dalla sua macchina scatole contenenti panna fresca.

“Le fate adorano la panna...” ragionò Derek.

“Già. Qualcosa mi dice che il signor Ackles è passato da sospettato a principale indagato. E' stato lui, non c'è alcuno dubbio.”

Così come era arrivato, Patrick Ackles se ne andò, chiudendo la bottega.

Derek sospirò. Stava per fare la cosa più difficile della sua vita.

Spense la Camaro e consegnò le chiavi a Stiles. “Tu segui Patrick, io darò un'occhiata al negozio.”

Stiles lo guardò con gli occhi enormi spalancati. “Derek... davvero?”

Il lupo annuì. “Io posso vedere le fate, tu no” spiegò. Ma in realtà voleva al sicuro Stiles. Le fate erano forti e avrebbero potuto prenderlo.

Stiles annuì, ma, prima di lasciarlo uscire, gli diede un bacio sulla guancia. Derek non lo ammise, ma seppe di essere arrossito. “Prometto che non le succederà niente” disse Stiles. E Derek pensò solo: prometto che non succederà niente a te. Ma non disse niente, e scivolò fuori dalla Camaro con un piccolo sorriso.


 

Derek osservò bene la vetrina della bottega, ma tutto sembrava chiuso e, anche con l'aiuto della sua vista da lupo, non scorse nulla.

Decise di andare sul retro e di forzare la porta. Doveva vedere all'interno, ora che aveva anche la vista oltre all'olfatto.

La bottega era come se la ricordava, disordinata e piena di orologi mezzi completati. Aprì la porta lentamente, attento a non far rumore. Per fortuna, poco dopo la porta, vi era un rientranza da dove avrebbe potuto osservare tutto il negozio senza farsi vedere.

Il rumore di piccoli ingranaggi in funzione e di metallo su metallo lo raggiunse subito, ma quello che vide fu quello che lo scioccò maggiormente.

Tanti piccoli esserini dalla fattezze umane stavano lavorando sugli orologi. Come nella favola del calzolaio e degli gnomi[6]. Facevano il lavoro al posto del signor Ackles!

Sparse per la stanza c'erano tante piccole ciotole di panna fresca e Derek osservò con gli occhi sbarrati una piccola fata uomo poggiare un ingranaggio per poter berne un sorso.

Stiles aveva ragione. Patrick Ackles aveva portato in questo mondo le fate.

Silenzioso come era entrato, Derek lasciò la bottega. Dovevano parlare con Patrick.


 

Stiles aveva seguito Patrick Ackles fino allo stesso pub della prima volta, non importava che fossero le dieci di mattina. L'orologiaio aveva ordinato un bicchiere di Rum. Stiles lo osservò sconsolato. Quell'uomo gli procurava tanta tristezza.

Improvvisamente, il suo cellulare squillò e, quando vide il nome di Derek, rispose con il cuore in gola. “Dimmi che non sei stato rapito” esordì.

Il negozio è pieno di folletti!” disse invece Derek.

“Cosa?”

Si! Penso che Ackles abbia stretto un patto con le fate.”

Stiles si morse il labbro. “E' possibile, anzi. Decisamente probabile!”

Dove sei?” chiese Derek.

“Al pub. Patrick è qui.”

Ok. Aspettami e ci parliamo insieme, ok?”

Stiles annuì distrattamente. “Ok, ciao.”

Appena chiuse la chiamata, Stiles si alzò. Patrick era lì, e le fate avrebbero potuto rapire altri ragazzi.


 

“Stiles!!” urlò Derek al telefono. “Cazzo...” E si mise a correre.


 

Stiles si avvicinò con passo baldanzoso verso il bancone del bar, dove Patrick Ackles si stava lentamente ubriacando. “Allora” disse. “Ci rivediamo.”

L'uomo lo guardò sorpreso e scocciato per poi riportare lo guardo sul bicchiere che stringeva tra le mani. “Lasciami in pace, ragazzo” rispose.

Stiles però non demorse. In un attimo, la rabbia e lo sdegno per quell'uomo gli salirono da dentro il petto. Tutte quelle persone, il suo stesso figlio, presi dalla fate per colpa di quell'uomo.

“Le ho mai detto quanto siano meravigliose le sue creazioni?” lo provocò.

Questo attirò l'attenzione dell'uomo che si girò a guardarlo con sguardo confuso. “Cosa?”

“I suoi orologi” specificò Stiles. “Sono... splendidi! Però non riesco a capire come un solo uomo possa costruirne tanti...”

Stiles voleva farlo confessare. Patrick Ackles non poteva sfuggirgli.

Sorrise, prima di gettare la prima bomba. “Se non sapessi come stanno le cose, penserei che abbia un gruppetto di folletti che lavorano per lei.”

Il signor Ackles, non disse nulla. Così Stiles continuò ad infierire. “Ma io so come stanno le cose” disse. “Lei ha davvero un gruppetto di elfi che lavorano per lei!”

Patrick Ackles rise. “Sei fuori di testa.” Ma Stiles sapeva riconoscere un'ammissione di colpa quando la vedeva. Patrick Ackles aveva degli elfi che lavoravano per lui e ne aveva paura.

Stiles decise di porre fine a quello stupido scambio, gettando l'ultima e più potente bomba per far ammettere la verità all'uomo. “Allora mi dica: come mai un padre decide di scambiare il proprio figlio per un po' di orologi?” Ackles abbassò la testa osservando mesto il liquore nel bicchiere.

“Quale scusante ha?” infierì Stiles.

Patrick guardò Stiles furioso. “Non hai capito niente, giovanotto!” disse facendo poi trasparire tutto il suo dolore. “Non è andata come pensi...”

Stiles sospirò. “E com'è andata allora?”

Patrick Ackles lo guardò negli occhi e Stiles trattenne il fiato. Il dolore nello sguardo dell'orologiaio l'aveva visto solo in altre due persone: suo padre e nel suo riflesso nello specchio. Subito dopo aver perso la persona più importante della loro vita, Claudia Stilinski.

Forse Patrick Ackles aveva portato gli elfi nel mondo, ma non era di certo il colpevole. Forse, era stata la prima vittima.


 

Derek stava correndo. Aveva un brutto, brutto presentimento. Improvvisamente, però, sentì di essere osservato e rallentò. Se era seguito, allora non doveva assolutamente permettere che arrivasse a Stiles, soprattutto una fata.

Iniziò a camminare, anche se mantenne un passo spedito, mentre con la coda dell'occhio osservava l'ambiente, aiutato anche dall'olfatto. Quasi si pietrificò quando sentì il tipico odore dolciastro delle fate provenire dalla sua destra. Con un movimento casuale, si fermò per dare un'occhiata ad una vetrina e, quello che vide nel riflesso, gli fece sbarrare gli occhi: l'uomo con il cappello rosso lo stava osservando intensamente dall'altra parte della strada.

Derek deglutì. Si guardò intorno, ma nessuno parve notare nulla di strano. Prendendo un respiro profondo, Derek decise di girarsi per guardare la fata faccia a faccia. Non voleva mostrarsi pauroso. Lui era un licantropo. E avrebbe sconfitto Berretto Rosso nello stesso modo in cui aveva fritto Trilly.

Decise, quindi, dopo aver scoccato un'occhiata da Prova a Prendermi alla fata, di ritornare sui suoi passi, cercando un posto isolato per lo scontro. Derek sapeva di essere l'unica persona in grado di vederlo in città, non voleva rischiare di essere etichettato come pazzo, oltre che asociale.

La fata colse il suggerimento e, quando Derek iniziò a camminare, lo seguì.


 

“Ho mantenuto la mia famiglia per trent'anni facendo l'orologiaio” disse Patrick Ackles a Stiles. Erano seduti in un tavolo appartato nel pub, Stiles non stava più nella pelle. Voleva sapere come diavolo avesse fatto l'uomo ad evocare le fate da un altro mondo.

La sua sete di sapere era inestinguibile.

“E' l'unica cosa che so fare” continuò Patrick. Stiles lo osservò bene e, quando vide l'uomo abbassare la testa e alzare una mano tremante, capì il problema.

“Mi è venuto il morbo di Parkinson” disse infatti Patrick.

Stiles chiuse gli occhi, tremendamente triste per il signor Ackles. Quella era una malattia terribile.

“Stavo perdendo l'uso delle mani... stavo perdendo tutto.”

“Ma perché evocare le fate?” chiese Stiles.

Patrick sorrise. “Mia nonna diceva sempre che le fate esistono davvero. Quando ero piccolo mi raccontava delle storie su come evocarle... su come ottenere favori da loro.”

Stiles annuì. “Così ha imparato come fare un incantesimo.”

Patrick Ackles tentennò, forse ancora incredulo per le sue azioni. “Sinceramente io dubitavo che avrebbe potuto funzionare. Ma ero talmente disperato...”

Stiles osservò l'uomo prendere nuovamente un sorso del suo rum. “Ma come ha fatto?” incalzò.

“Mia nonna mi aveva lasciato un libro” spiegò alla fine l'orologiaio. “Quindi ho svolto il rituale nel retro-bottega due mesi fa.” Patrick Ackles annuì a se stesso, ripercorrendo mentalmente i fatti di quella sera.

 


 

Patrick prese il libro dal vecchio baule di nonna Rose. Era da anni che non si divertiva a sfogliarlo, facendo finta che le fate uscissero dalle pagine e che gli ballassero attorno.

Patrick accarezzò la rilegatura di cuoio, con la mano che, ormai, tremava incontrollabilmente.

Nonna, fa che sia vero” disse al nulla, anche se non ne era convinto. Le fate erano solo una stupida fantasia di un bambino solo, non potevano esistere sul serio. Però era disperato, e quella era la sua ultima occasione per modificare la realtà.

Fece fatica a girare le pagine. Le dita non volevano collaborare, complice anche il nervosismo.

Si era procurato tutto: una bacinella dentro cui era stata versata della panna, tolto di mezzo tutto il ferro e l'argento, in più aveva appeso delle foglie di alloro per il loro profumo calmante.

Le parole che riportava il libro erano complicate, e simile alla magia per rispedirle nel loro mondo.

Con il segnalibro, Patrick, mise il segno su quelle due pagine. Se l'incantesimo per portare le fate nel proprio mondo avesse funzionato bene, gli sarebbe potuto servire anche la formula per rimandarle indietro e notò divertito che non era altro che l'incantesimo per chiamarle al contrario.

“Shool wasaba gheita end duinsha cum agus ret emma gun. Yeinst arno, salvacia cum.”

All'improvviso, una forte luce bianca accecante eruppe dal libro e fece tremare tutto.

Patrick chiuse gli occhi. Che cosa aveva fatto?

 

 

“E così è apparso quest'uomo... ha detto di essere un leprecano.”

Stiles sbarrò gli occhi, incredulo. “Un leprecano?” chiese per conferma.

Patrick annuì guardandosi intorno nervoso. “Gli ho chiesto solo di curarmi le mani, ma lui ha detto che avrebbe fatto di meglio, che mi avrebbe procurato un successo mai avuto prima... mi ha detto che mi avrebbe portato uno squadra di operai, così avrei potuto salvare la mia attività, il mio nome.”

Stiles aveva capito. Nulla, a quanto pare in tutti i mondi, si fa per niente.

“Che cosa voleva in cambio?” chiese sapendo già la risposta.

“Solo un posto dove si potessero riposare, e dove potessero prendere il frutto della natura. E io ho detto di sì, non ragionavo. Non avevo capito.”

Stiles annuì. “E il frutto della natura era il suo primogenito.”

Patrick annuì mesto. Stiles vide una lacrime cadere dal suo occhio sinistro. “E non solo il mio” continuò. “Hanno preso tutti i figli maschi, indistintamente dall'età. L'importante era che fosse il primo figlio maschio, senza tener conto di sorelle più grandi.”

Stiles annuì, fermandolo con un gesto della mano. “Si, quello l'ho già capito” disse.

“Ma non si fermano!” proruppe Patrick agitato. “Non hanno alcuna intenzione di fermarsi!”

“Ci sarà un modo per annullare l'incantesimo.”

“Si che c'è” rispose l'orologiaio. “Ma il libro di mia nonna con su la formula è nella cassaforte del mio negozio. Non mi ci lasceranno avvicinare. Sono troppo forti. Sto vivendo un incubo.”

Patrick stava per crollare sotto la pressione e la colpa, Stiles non poteva certo fargliene un torto, tuttavia cercò comunque un modo per risollevarlo. Speranza, ecco cosa gli serviva.

“Lei però può vedere le fate...” disse Stiles.

Patrick annuì, confuso e Stiles sorrise. Aveva un piano. “Patrick” disse. “Questa sera prenderemo a calci in culo qualche fata.”

Patrick sembrò più confuso di prima, ma, quando Stiles si alzò per andare a pagare le sua patatine, lo seguì.

Nessuno notò Stiles rubare la saliera sul tavolo del bar.


 

Derek aveva continuato a camminare. Non poteva neanche chiamare Stiles, non voleva che la fata sentisse i loro piani. Dando un'occhiata all'orologio, però, Derek notò che si era fatta sera inoltrata. Stiles non lo avrebbe aspettato un eterno, e si sarebbe messo nei casini.

Iniziò a camminare più velocemente, quasi alternando dei piccoli saltelli con il passo normale, ma la fata non demordeva. Ormai Derek aveva anche abbandonato ogni tentativo di nonchalance, e ogni due per tre si girava per controllare Berretto Rosso, che gli stava sempre più alle calcagna.

“Cazzo... cazzocazzocazzocazzo” sussurrò Derek ad un certo punto. Si sentiva vulnerabile. E di certo non poteva attaccarlo così, dal nulla.

Alla fine, Derek giunse in un vicolo poco illuminato, un luogo perfetto per sfoderare i suoi artigli e le zanne. Corse velocemente per seminare la fata e, girato l'angolo, si appoggiò contro il muro. La sua unica possibilità per sopraffare quella creatura era un attacco a sorpresa.

Aspettò pazientemente, ma ancora in forma umana; avrebbe sfoderato le sue armi solo quando si fosse trovato di fronte alla creatura.

Non notò, però, che l'ombra che lo stava inseguendo, man mano, diventava sempre più piccola, e più piccola ancora.

Sentendo però il rumore dei passi, Derek sorrise. Ce l'aveva in pugno.

Con un balzo, atterrò la figura nell'ombra e cercò di tenerla giù a terra. Gli sembrò strano che la fata non esercitasse nessuna pressione per liberarsi e che, al contrario, stesse gridando aiuto.

Derek si accorse troppo tardi, quando ormai aveva bloccato la figura a terra, delle dimensioni piccole e cicciottelle della fata. Berretto Rosso era alto e mingherlino come un fuscello.

“Che cosa...?” si chiese.

Abbassando lo sguardo, infatti, notò che quello che aveva acciuffato con era Berretto Rosso, ma un nano!

La creatura, però, continuava a strepitare chiedendo aiuto.

All'improvviso, un fascio di luce illuminò la scena e, attirati dalle urla, frotte di gente circondarono Derek e il nano.

Derek fissò stupito la massa. Riuscivano a vedere il nano? Com'era possibile?

A risolvere l'enigma, fu una bambina che, alla vista del nano bloccato a terra gridò “papà!”

Derek si bloccò confuso e, finalmente, mollò la presa sul nano. L'uomo affetto da nanismo, vestito in giacca e cravatta con un paio di occhiali da vista, si alzò spazzolandosi i vestiti.

“Oh dio no...” sussurrò Derek capendo quello che stava succedendo. Aveva attaccato una persona normale, non un nano.

In tutto quel trambusto, qualcuno dovette aver chiamato lo sceriffo perché James Stilinski, con sguardo confuso e pieno di domande silenziose, si ritrovò ad osservare un Derek Hale, ancora sdraiato a terra, e confuso quanto lui.

“Andiamo ragazzo...” disse James facendogli un gesto secco con la mano. James scosse la testa. In quella situazione c'entrava sicuramente suo figlio Stiles.

“Purtroppo devo arrestarti, Derek” disse lo sceriffo.

Derek annuì e, sussurrando con voce sottile per non farsi sentire, avvertì James. “Chiami suo figlio, deve dirglielo.”

James annuì, mentre già pensava a liberare quel povero lupo. Ovviamente era colpa di Stiles. Ovviamente.


 

“Che diavolo significa che l'hai arrestato?” chiese Stiles al padre al telefono.

Senti, figliolo, non ho potuto fare diversamente. Ha aggredito un procuratore distrettuale!”

Stiles sbuffò. “Ma ho bisogno di lui! Le fate...”

La fate?!”

Stiles si morse il labbro, ricordandosi improvvisamente di non aver aggiornato il padre sul caso. “Eh già...” disse ridacchiando istericamente. “Sai le sparizioni sulle quali stai indagando? Ecco, sono fate!”

Fate.”

“Fate.”

Fate fate?”

“Si, pa'! Fate fate!”

Quelle con le ali?”

Stiles fece spallucce. “Non le ho viste, ma credo di si.”

Come non le hai viste?”

“Beh, praticamente solo chi è stato rapito e poi è tornato nel nostro mondo può vederle.”

Ah...”

“Derek le vede perché è stato rapito.”

Pure lui?”

“Eh già...”

Ah... E perché rapiscono le persone?”

Stiles tentennò. “Per servire Oberon il Re delle Fate.”

Stiles sentì lo sceriffo sospirare e non poté non ridere. Tutta quella situazione era assurda, ma Stiles poteva scommettere tutto il denaro del mondo che suo padre, in quel preciso momento, fosse seduto alla sua scrivania, una mano a tenere il telefono e l'altra persa nei suoi capelli. Nei suoi occhi solo rassegnazione per il mondo nascosto che gli causava sempre guai.

Va bene... non voglio sapere” disse infine lo sceriffo. “Dovrò tenere Derek in cella per questa notte, è la prassi. Domani vedrò di convincere il procuratore a non sporgere denuncia.”

Stiles sorrise. “Grazie pa'!”

Si, si. Vedi di stare attento, Stiles.”

“Non preoccuparti, ho un piano.”

Dall'altra parte ci fu solo silenzio. “Papà?”

Hai detto LA frase. L'hai detta. Lo so che ci saranno guai. Lo so...”

James Stilinski poteva scommettere tutto il denaro del mondo sul fatto che, in quel momento, sul viso del figlio, ci fosse una smorfia incredibile. E avrebbe vinto.

 

 

James attaccò la comunicazione con il figlio e si diresse verso le celle.

“Derek, figliolo, stai bene?”

Il lupo annuì. “Mi dispiace signor Stilinski. Credevo fosse una fata e...”

“Si, si. Stiles mi ha spiegato a grandi linee. Purtroppo non posso farti uscire, dovrai passare la notte qui.”

Derek chiuse gli occhi e annuì. James sorrise triste. Gli piaceva quel ragazzo, alla fine. “Tornerò tra un'ora con la cena.”

“Grazie.”

 

 

Patrick Ackles osservò il ragazzino parlare con il padre. Quando Stiles chiuse la telefonata, diede voce ai suoi dubbi. “Che facciamo ora?”

Stiles lo guardò e l'occhiata che ricevette non piacque molto a Patrick.

“Combattiamo le fate!” rispose Stiles determinato.


 

Entrare nella bottega fu facile. Tutto era silenzioso, tranne che per gli ingranaggi degli orologi.

Patrick fece cenno a Stiles di fare silenzio e insieme, entrarono nel negozio. Per Stiles fu difficile. Sapeva che c'erano dei folletti, ma non vedere nulla era comunque strano.

Patrick invece vedeva bene quelle creature e sorrise quando le vide addormentate, il vasetto con la panna fresca rovesciato sul pavimento.

“Sono qui?” chiese Stiles alzando la sua mazza da baseball che aveva recuperato dalla Camaro, dove l'aveva nascosta dopo il rapimento di Derek.

Patrick annuì. “Si, ma è tutto a posto. La panna è come tequila per loro.”

Stiles ridacchiò. Folletti ubriachi. E seguì Patrick.

L'uomo andò a colpo sicuro verso la cassaforte e inserì la combinazione e tirò fuori il libro.

A prima vista, a Stiles, sembrò antico. Era rilegato con il cuoio e sulla copertina c'era intagliata una stella a cinque punte in un cerchio. Osservò Patrick cercare la pagina giusta e lo ascoltò iniziare l'incantesimo.

In un attimo, però, Stiles sentì il rumore di un vetro rotto e, girandosi per osservare Patrick, lo vide crollare a terra. Qualcuno – o qualcosa – gli aveva rotto una bottiglia in testa.

Stiles alzò la sua mazza, ma la abbassò incredulo quando riconobbe la fata.

“Tu...” sussurrò. “Tu sei il leprecano.”

Wane Wytacar Junior, l'editore del giornalino sugli UFO sorrise. “Sono proprio io.”

“Scusa per la confusione” continuò il leprecano.” Ma il tuo amico, qui, ha ritrattato il patto. Sfortunatamente, lui mi serve per rimanere qui. Siamo legati a chi ci invoca sai... una bella scocciatura però!”

“Tu non gli hai esposto i termini in modo abbastanza chiaro” disse Stiles. Se quel tipo gli stava antipatico prima, ora lo odiava proprio.

“Io gli ho detto che c'era un prezzo da pagare. Quando veniamo, veniamo per rimanere.”

Il tono di voce era sicuro e inquietante. Stiles tentennò, ma doveva batterlo ad ogni costo.

“Quindi prendete i primogeniti e poi? Che succede? Vi mettete a guardare mentre coprono i vostri rapimenti con tutte quelle stronzate sugli UFO? Che tu incoraggi, per di più! Bel trucchetto...”

Wane Wytacar si limitò a sorridere, tronfio e gonfio per le sue azioni.

“Ma la tua copertura è saltata” continuò Stiles.

“Saltata?” chiese però il leprecano. “Agli occhi di chi? Tu presto morirai” disse. “Patrick farà la tua stessa fine appena riuscirò e legarmi ad un'altra persona, mentre il tuo amico licantropo è segnato ormai.” Stiles notò solo in quel momento il grande e rigido bastone del leprecano e deglutì quando Wane iniziò a picchiare sul suo palmo il pomello. “E' stato nel ranch” continuò l'essere riferendosi a Derek. “Ora appartiene a noi.”

“Beh, non mi hai ancora ucciso, sai? E io ti fermerò!”

Wane rise. “Tu? Un patetico umano? E cosa pensi di farmi? Tu puoi vedermi solo se io te lo permetto.”

Improvvisamente, Wane Wytacar scomparve e, pochi secondi dopo, Stiles ricevette un colpo nel costato che lo fece piegare in due dal dolore.

 


 

Derek non riusciva a stare fermo. Continuava a passeggiare su e giù per tutta le cella, cercando di sgranchirsi le gambe. Era preoccupato per Stiles. Era da solo a combattere le fate. Poteva succedergli di tutto.

Mentre era nel bel mezzo di un piano per evadere e per correre a salvare il suo umano, davanti ai suoi occhi si materializzò dal nulla Berretto Rosso.

Derek si fermò sbarrando gli occhi e imprecando a mezza voce. Quella non ci voleva.

“James!!” urlò. Doveva uscire di lì, in quel piccolo spazio non avrebbe mai potuto batterlo.

Veloce come un fulmine, Berretto Rosso gli sferrò un potente pungo al petto, che gli mozzò il respiro e poi lo spinse forte contro le sbarre della cella.

Derek notò distrattamente che lo sceriffo era accorso al suo grido, ma era impotente.


 

James, infatti, sentendo Derek urlare, si era affrettato a raggiungerlo. E quello che vide venne immediatamente catalogata come la cosa più assurda mai vista.

Derek, nella piccola cella, veniva sbattuto dal una parte all'altra da... qualcosa... di invisibile.

James non riusciva a vedere nulla.


 

Derek cercò di riparare gli attacchi come meglio poteva, ma la fata era troppo forte. Gli artigli e i graffi che Derek riusciva a procurargli guarivano con una velocità sorprendente e la sua forza era nulla paragonata a quella di Berretto Rosso.

Tutto era nelle mani di Stiles, ora.

 

 

All'ennesimo colpo ricevuto, Stiles si accasciò al suolo. Era troppo veloce quel leprecano.

E con dalla sua la possibilità di sparire e riapparire, Stiles non riusciva a colpirlo con la mazza.

“Coraggio, ragazzo” disse Wane quando Stiles si mise faticosamente in piedi. “Non hai possibilità con me.”

Stiles notò il sorrisetto soddisfatto del leprecano e, mantenendo il contatto visivo, si mise una mano in tasca. Aveva ancora la sua arma segreta.

“Ti propongo un patto” continuò Wane. “Tu ti leghi a me e il tuo amico Derek è salvo. Che ne dici?”

Stiles mollò la mazza. “Hai ragione” disse. “Basta lottare. Quindi fammi un favore.”

Wane si avvicinò, sicuro della sua vittoria, ma non conosceva Stiles.

Stiles sorrise mentre, con tra le mani la saliera rubata al ristorante, la aprì, rovesciando tutti i granelli di fronte ai piedi del leprecano. “Conta questi.”

Wane Wytacar sgranò gli occhi, terrorizzato. “Oh no...” sussurrò gettando il bastone. Con movimenti rigidi, cercando di ribellarsi senza riuscirci, il leprecano si inginocchiò e, uno ad uno, iniziò a contare i granelli di sale.

“Perché non ci ho pensato prima?” si disse Stiles mentre, tenendosi una mano sullo stomaco recuperava il libro con la formula.

Ignorò lo “stronzo!” di Wane e iniziò ad intonare l'incantesimo.

Cum salvacia, arno yeinst .Gun emma ret agus cum duinsha end gheita wabasa shool.”

Quando Stiles disse l'ultima parola, le fate, i folletti, Berretto Rosso e il Leprecano furono risucchiati in una piccola lucina bianca, lasciando dietro di loro solo brutti ricordi.


 

Stiles, Derek e lo sceriffo non potevano ancora saperlo, ma nei luoghi in cui erano avvenute le sparizioni, i primogeniti scomparsi tornavano sul proprio pianeta, sconvolti e confusi, senza ricordi di Obero, il Re delle Fate.


 

“Cazzo, ce l'ho fatta!!” urlò Stiles nel buio della bottega di Patrick Ackles mentre l'orologiaio riprendeva lentamente conoscenza.


 

“Stiles...” sussurrò invece Derek accasciandosi sul letto. Berretto Rosso era sparito, Stiles doveva aver trovato il modo per rimandare le fate e compagnia da dove erano venuti. Derek era mal concio, ma nulla che un buon riposo non avrebbe guarito.


 

Lo sceriffo osservò il lupo di cui il figlio era innamorato sorridere e, anche se non notò nulla di diverso – a parte il fatto che il suddetto lupo non veniva più lanciato da una parte all'altra della piccola cella – ma capì che anche quella volta avevano vinto. E sorrise.

 


 

Era passata ormai una settimana dalla faccenda delle fate. Beacon Hills sembrava aver ritrovato la routine di sempre e tutti i fanatici degli UFO erano corsi via in un altro piccolo paesello testimone di strane sparizioni, tutti tranne Wane Wytacar Junior.

A causa della perdita di memoria di tutti i primogeniti rapiti, lo sceriffo chiuse il caso come se non fosse mai stato aperto. Tutti stavano bene, non vi era motivo di indagare ancora.

E a Beacon Hills fu taciuta ancora l'esistenza di esseri sovrannaturali.

Patrick Ackles decise di assumere un apprendista per il suo negozio, suo figlio Jared, e gli affari tornarono a galla nel giro di pochi mesi. Jared aveva un vero e proprio talento con gli orologi. Spesso, il padre, scherzava in giro dicendo che il figlio doveva avere le mani magiche come quelle delle fate.

Ma nessuno, tranne Stiles, Derek e altri pochi fortunati, capì mai la battuta.

Scott tornò dopo aver passato del tempo a New York con Kira e, dopo aver ricevuto un resoconto dettagliato di tutta la storia da parte di Stiles, si scoprì geloso, ma anche felice per il suo migliore amico, che aveva passato un'avventura fantastica con Derek Hale, che, grazie alle parole di convincimento da parte dello sceriffo e con la promessa che non avrebbe mai più provato ad atterrare un uomo effetto da nanismo blaterando su fate, fu libero di andarsene.

Patrick aveva inoltre giurato di non usare mai più la formula per evocare le fate e, grazie allo sceriffo che lo mise in contatto con Chris Argent, rinchiuse il libro di nonna Rose in un luogo che nessuno avrebbe mai scoperto. Alla fine, il branco aveva trovato un nuovo amico in Patrick Ackles, e ci aveva guadagnato degli orologi gratis.

 

Derek e Stiles invece...

 

“Derek!” urlò Stiles seduto sul cofano della Camaro indicando una notizia sul giornale che stava leggendo. In una cittadina poco distante da Beacon Hills, Elwood, erano spariti tre ragazzi nel giro di due settimane e tutti sospettavano la presenza di extra-terrestri.

“Che ne dici? Ti va di investigare?”

Derek sorrise, avvicinandosi a Stiles, il suo ragazzo. Si fece spazio tra le gambe del più piccolo e gli diede un morbido bacio sulle labbra, passando poi a leccargli il collo, tenendolo stretto per i fianchi.

Stiles ridacchiò, un po' per il solletico, un po' per l'incredulità di tutta la situazione. Si trovavano nella radura. Era diventato un po' il loro posto e Stiles ne era affezionato.

Grazie alla fate, lui e Derek avevano messo da parte le loro incomprensioni e paure e si erano finalmente dichiarati reciproco amore.

“No” rispose Derek morbido. “Preferisco decisamente stare qui, con te, così.”

Stiles sorrise, buttando il giornale da qualche parte e portando le sue braccia a cingere il collo del lupo.

“Non hai tutti i torti” sussurrò.

Derek sorrise tornando a baciare sulle labbra il suo ragazzo.


 

Una stella cadente passò nel cielo.

A Elwood i cacciatori di UFO esultarono credendo si trattasse di un nuovo segno della vita nello spazio, una ragazzina triste espresse il desiderio di far andare tutto bene, una coppia di amiche ridacchiò ricordando i loro stupidi desideri di trovare l'amore e due fratelli desiderarono di diventare campioni di Baseball.

Stiles e Derek, invece, non ebbero modo di notarla. Le stelle, per Derek, erano solo negli occhi di Stiles. E Stiles era troppo incantato dal sorriso di Derek per poter prestare attenzione ad altro.

“Ti amo.”

“Ti amo.”

 

 

 

Note:
[1]Jared Ackles → ho preso il nome dai due personaggi principali di Supernatural, Dean interpretato da Jensen Ackles e Sam, Jared Padalecki
[2]Hungry Like The Wolf → canzone dei Duran Duran. Ecco il video.
[3]Disco Stu → Qui le immagini.
[4]Relax, Frankie Goes To Hollywood → Qui il video.
[5]Fate, gli Spiritelli, gli Spriggan, i Boggart e i Brownie, Gnomo da Giardino, Grande Goblin → Fate, spiritelli, spriggan, boggart, gnomi e goblin.
[6]Favola del calzolaio e degli gnomi → Io la conoscevo come “Il calzolaio e gli elfi” ma voi forse la conoscete come “Gli gnomi e il ciabattino”. Qui il video della storia.
[7]Morbo di Parkinson → Malattia molto grave e degenerativa. Qui se volete più informazioni.

Buon Natale a tutti!!! :D
Vi è piaciuto come regalo?. Ho lavorato a questa one-shot nelle ultime due settimane, spero vi siate divertiti. Ho davvero combattuto contro me stessa per non pubblicarla prima, o per dividerla in tre e pubblicarla il 23, 24 e 25, ma mi piace che sia unita. Quindi... beh, questo è quanto. Non parla tanto del natale e non è a ratings rosso (non che non ci abbia provato a scrivere di sesso, ma non mi piaceva la situazione. Troppo presto per questa coppia).
Ho visto la puntata un paio di settimane fa e non ho potuto fare a meno di immaginami Stiles e Derek nella stessa situazione di Dean e Sam... devo dire che mi sono divertita a scriverla.
Quiiindi... grazie a chi è arrivato fin qui, a chi, se vorrà, lascerà un commento e a chi inserirà questa storia nelle seguite/preferite/ricordate. E anche alla mia beta, GilrWithChakram.
Ci vediamo con le nuove ff long a gennaio. (Penso di pubblicare la AU!NY lunedì 11 mentre quella di Spiderman arriverà la settimana dopo, cioè lunedì 14. Non ho ancora deciso se pubblicherò due storie nello stesso lunedì o alternare le settimane pubblicando di lunedì una alla volta. Ci penserò. Devo più che altro capire se potrò destreggiarmi nello scrivere due ff in contemporanea. Se ve lo state chiedendo si, ho scritto solo il primo capitolo di ogni ff e poco più. Sono pigra senza scadenze.)

Ancora Buon Natale e un Felice Anno Nuovo!!

Wislava <3

   
 
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