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Autore: LysL    24/12/2015    6 recensioni
Avete presente quelle mattine in cui vi svegliate, e siete già sicuri che la giornata andrà male?
Trafalgar Law sì, ma non ha ancora fatto i conti con Rufy!
Dal testo:
Era una fredda mattina di dicembre, l’aria gelida filtrava dall’esterno sotto forma di fastidiosi spifferi, che provavano ad infilarsi sotto la coltre di coperte avvolte ai due corpi addormentati sul letto. Rufy sbuffò, continuando a dormire, e ritirò al caldo il piede che sporgeva da sotto la trapunta. Non era ancora abbastanza però: anche nel sonno riusciva a sentire il fastidio delle dita gelide e mosse il piede verso la fonte di calore accanto a sé.
La fonte di calore altri non era che Trafalgar Law, il quale trasalì al contatto dell’alluce freddo di Rufy contro la caviglia, risvegliandosi di colpo da quello stato di torpore che lui chiamava sonno, mentre ancora l’altro ronfava beatamente.

Avvertimento: la storia potrebbe presentare un lieve OOC da parte di Law, ma è limitato ad una parte specifica, quindi non ho inserito l'avvertimento. Se credete che ce ne sia bisogno, fatemelo sapere!
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Monkey D. Rufy, Trafalgar Law
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Manipolazioni'
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Questa storia è per _Lady di inchiostro_
Che l’ha espressamente chiesta come regalo di Natale
Quindi, Buon Natale!
 
Manipolazione, lame sul ghiaccio e abbracci
 
Era una fredda mattina di dicembre, l’aria gelida filtrava dall’esterno sotto forma di fastidiosi spifferi, che provavano ad infilarsi sotto la coltre di coperte avvolte ai due corpi addormentati sul letto. Rufy sbuffò, continuando a dormire, e ritirò al caldo il piede che sporgeva da sotto la trapunta. Non era ancora abbastanza però: anche nel sonno riusciva a sentire il fastidio delle dita gelide e mosse il piede verso la fonte di calore accanto a sé.
La fonte di calore altri non era che Trafalgar Law, il quale trasalì al contatto dell’alluce freddo di Rufy contro la caviglia, risvegliandosi di colpo da quello stato di torpore che lui chiamava sonno, mentre ancora l’altro ronfava beatamente.
Rufy si era del tutto raggomitolato sotto il piumone, con solo una gamba allungata verso di lui, e Law l’avrebbe trovato carino in qualsiasi altro momento, se quel piede gelido non l’avesse appena svegliato. E Rufy seguitava a dormire, con un’espressione da perfetto beota in faccia e la bocca aperta, ignaro.
Law gli scivolò accanto, stando ben attento a non far cadere la coperta dalle proprie spalle – aveva freddo anche lui! – e si sporse verso le spalle del minore, incurvate su se stesse. Dopo aver deciso con precisione chirurgica, e non per modo di dire, il punto che gli interessava, calò a labbra aperte su di esso, chiudendo la pelle tra i denti.
La reazione di Rufy fu praticamente immediata: il ragazzo saltò sul materasso, sbrogliando il groviglio di membra e lenzuola che era diventato, e la sua mano corse a massaggiarsi la spalla interessata. Il tutto sotto il ghigno sadico di Law.
«Ma ti sei impazzito?» esclamò offeso. Si era alzato sui talloni e nel farlo aveva tirato con sé tutta la coperta, lasciando Law a petto scoperto nell’aria pungente della stanza.
Quello afferrò un lembo di piumone e se lo sistemò di nuovo addosso, stavolta lasciando Rufy senza protezioni. «Colpa tua. Mi hai svegliato per primo.» spiegò calmo.
«Non è vero!» ribatté l’altro, testardo come sempre. «E ridammi quella coperta!» aggiunse dopo un secondo, rabbrividendo.
«Hai provato di nuovo a piazzarmi i tuoi piedi gelidi addosso.» lo informò Law, per nulla intenzionato a lasciare quel nido di caldo tessuto che si era costruito attorno.
«Avevo freddo!» si giustificò Rufy, poi si lanciò contro di lui, per appropriarsi di un piccolo spazio al calduccio. «E ho freddo anche ora.»
La leggera peluria sulle braccia del ragazzo era ritta, e aveva un’espressione così tanto imbronciata, che Law contemplò l’idea di lasciarlo morire di freddo solo per godersela; decise però di essere generoso, e tirò un lato di coperta verso Rufy. Quando entrambi furono nuovamente sotto il piumone, faccia a faccia, Rufy gli strisciò più vicino. «Però di notte diventi sempre bollente.» gli fece notare, ancora lievemente indispettito, poggiando un palmo freddissimo sul braccio dell’altro, tanto caldo da sembrare febbricitante.
«Non è un buon motivo per usarmi come scaldino, peste.» Law alzò gli occhi al cielo, senza riuscire a frenarsi dall’utilizzare quell’appellativo che svelava il reale affetto dietro le sue parole.
Rufy ridacchiò e si strusciò contro di lui, per rubargli un po’ di quel tepore, e questa volta Law glielo lasciò fare senza lamentarsi; lo fissava con un sopracciglio alzato, ma con un sorrisetto che gli stirava le labbra. Non riusciva a rimanere arrabbiato con lui, un po’ perché a Rufy non sembrava importare, un po’ perché trovava davvero difficile continuare ad esserlo quando quel corpicino si strofinava sul proprio.
«Stai fermo.» gli intimò, senza perdere quel ghigno, sovrastandolo. Rufy continuò a ridacchiare, ma accettò parecchio di buon grado i lievi morsi che Law prese a dargli sulle clavicole. Presto i morsi divennero baci, e si spostarono verso il collo, e ancora dopo sulla bocca. Mentre le mani tatuate del maggiore scendevano a posizionarsi sui fianchi di Rufy, quest’ultimo si tirò via dal bacio con un mugugno. Il suo sguardo non prometteva niente di buono, e Law seppe che quello che stava per chiedergli con tutta probabilità non gli sarebbe piaciuto.
Rufy, dal suo canto, aveva ormai brevettato quella tecnica; proporre attività a Law in quei frangenti gli assicurava un facile assenso: Law detestava perdere tempo, soprattutto quando cercava di fare sesso.
«Questo pomeriggio andiamo alla pista di pattinaggio?» gli chiese.
Law riprese a baciargli il mento, massaggiandogli l’addome con i polpastrelli, l’altra mano usata per tenersi in equilibrio. «Non sai pattinare.» puntualizzò, decisamente contrariato dalla piega che stava prendendo quella conversazione.
«Voglio imparare!» Rufy scivolò in alto, per impedirgli di continuare ciò che stava facendo e lo fissò.
Law si passò una mano sul viso. La situazione era parecchio semplice, a volerla analizzare: lui aveva un’erezione, e Rufy non aveva intenzione di demordere fino a quando non avesse accettato quell’assurda proposta. La sua parte più razionale gli diceva di non cedere, di dire “no”, opporsi alla natura di despota del ragazzino, che gli avrebbe portato solo rogne. L’altra, quella annebbiata dall’improvvisa affluenza di sangue alle proprie parti basse, lo pregava di dire “sì” e passare alla parte in cui scopavano.
Alla fine, maledicendosi per la sua carne debole, Law si arrese e annuì in silenzio. Rufy si lasciò scivolare nuovamente sotto di lui e gli rivolse un sorriso a trentadue denti, con quella sua risata da demente. Law gli tappò la bocca con un ennesimo bacio, ricambiato con slancio dall’altro, e le sue mani tornarono nella posizione di prima, mentre gli sussurrava nell’orecchio “però i tuoi fratelli li chiami tu.”
 
**
 
Tutto sommato, Law doveva ammettere che quell’idea non era stata un completo disastro. Il tirocinio lo stava uccidendo, e potersi distrarre un po’ durante i finesettimana non gli faceva che bene, anche se significava stare due giorni interi a stretto contatto con quella piaga del suo ragazzo. Durante la settimana era difficile che potessero vedersi, e le poche volte che accadeva, era Law ad andare da Rufy, beccandosi le occhiate scure dei suoi due fratelli.
Quindi non gli dispiaceva il fatto che Rufy passasse il sabato e la domenica a casa sua, comunque, pur impegnandosi al massimo per non darlo a vedere; Rufy lo sapeva, e quella era la cosa importante.
Aveva anche trovato parcheggio a soli cinque minuti dalla pista, e adesso camminava con le mani affondate nella giacca nera, gli occhi puntanti sulla figura super eccitata di Rufy. Il ragazzo saltellava nella neve, precedendolo di qualche metro verso l’entrata del palazzetto. Aveva il cappello tutto pieno delle neve che, lenta, scendeva vorticando dal cielo bianco.
Rufy si fermò proprio prima di entrare e si voltò a guardarlo con il solito sorriso sgargiante, per fargli cenno di sbrigarsi, mentre scompariva all’interno della porta girevole che dava nell’atrio. Law accelerò il passo, e, una volta dentro, lo trovò alla coda di una fila di persone, probabilmente a turno per il ticket.
Si affiancò al minore e gli lanciò un’occhiata scocciata, che l’altro liquidò con un risolino. «Non vedo l’ora di mettere i pattini!» stava esclamando a gran voce, attirando nel frattempo tutto gli sguardi dei presenti.
Law, suo malgrado, stirò l’angolo della bocca in un ghigno. «Hai detto di non saper pattinare.» gli ricordò. Rufy lo fissò per qualche secondo, poi gli passò un braccio attorno al busto e rise. «Allora mi insegnerai tu, Torao.»
«Non credo proprio.»
 
Ma Law aveva di nuovo sottovalutato il potere manipolativo di Rufy e il proprio istinto di protezione nei confronti del ragazzo; era caduto già tre volte, di sedere, sul ghiaccio duro, e alla fine Law si era staccato dalla barriera che limitava la pista e gli si era avvicinato, scivolando piano sulla lastra. Rufy gli teneva gli occhi fissi addosso, con un’espressione invidiosa. «Mi insegni?» gli chiese di nuovo, una volta in piedi. Le gambe gli tremavano un po’ ed era palesemente in precario equilibrio. Law stese un braccio verso di lui, vacillando giusto un secondo quando quello vi si aggrappò, solo per ritornare fermo subito dopo.
«No.» rispose, diretto verso l’uscita della pista, con Rufy ancorato al braccio, che si lasciava trascinare.
«Perché no?» chiese. Aveva gonfiato le guance, come un bambino capriccioso, e lo guardava imbronciato; a volte, Law si chiedeva a cosa fossero serviti diciannove anni di vita su di lui, e se non fossero effettivamente andati persi a causa delle botte che aveva preso a kick-boxing. Per esempio in momenti come quello, quando Rufy sembrava regredire all’età di dieci anni, e pensare che fino a qualche ora prima ci aveva pure fatto sesso!
«Perché no.» ribadì.
Rufy conficcò la punta di metallo dei pattini nel ghiaccio, provocando il repentino arresto di entrambi. «Daai!» cantilenò e gli scosse il braccio. Lo tirò indietro verso la pista, ma la lama del pattino graffiò la lastra, perse quel poco attrito che aveva, e lui cadde all’indietro.
Non arrivò mai a toccare terra, perché Law era riuscito ad afferrarlo per il bavero del giubbotto giallo. «Tieni le gambe più dritte e un po’ divaricate. Così sei più fermo.» gli disse, mentre Rufy si rimetteva sui propri piedi, con un sorrisone, facendo quello che gli era stato detto.
«Hai ragione!» si mise a molleggiare sulle ginocchia, poi alzò lo sguardo verso il maggiore, uno sguardo stupito ed esaltato; aveva le guance arrossate e gli occhi lucidi, e Law quasi cedette all’istinto di dargli un bacio sulla punta del naso, rivolto com’era all’insù e arrossato anch’esso. Non lo fece, ma gli concesse un rapido sorriso.
«Per muoverti, devi spostare il peso da una gamba all’altra. Muovi i piedi verso fuori, appena senti meno attri- appena ti senti scivolare, posi l’altro piede.» gli spiegò, facendo qualche metro in modo che lo vedesse. Rufy annuì eccitato e provò ad imitarlo: buttò tutto il peso sulla gamba destra, ma appena sembrò perdere l’equilibrio, si appoggiò completamente sulla sinistra.
«Piegati in avanti, per darti meglio lo slancio, e per fermarti fai forza sui talloni, non sulle punte.» Rufy eseguì.
Imparava più in fretta di quanto si aspettasse, e già dopo pochi minuti, era capace di seguirlo anche a velocità più sostenuta. Certo, urtava contro tutti coloro che gli capitavano a tiro, ma andava bene, se si considerava che non aveva fatto altro che cadere fino ad allora. Rideva, contento, e si era messo a giocare ad acchiapparella con un gruppo di bambini sulla pista, sotto lo sguardo esasperato, quanto stranamente intenerito di Law, che nel frattempo era tornato alla sua postazione sul bordo della pista.
Non era tanto male stare lì ad osservare Rufy, e a vederlo ridere come un bambino, anche perché Rufy aveva un bel sorriso. Non che se ne fosse accorto in quel momento, ma c’erano volte in cui ci faceva caso più del solito. Mentre giocava con quei bambini, sembrava nel proprio ambiente naturale tanto quanto lo sembrava all’interno del cerchio di combattimento(*), quando neanche i colpi più forti riuscivano a scalfire la sua espressione concentrata e truce.
I primi tempi, Law aveva quasi pensato che Rufy soffrisse di sbalzi d’umore, poi aveva capito che era il suo modo di adattarsi alle situazioni. In quanto a classificazione, era proprio un bambino; per lui gioco era gioco, combattimento era combattimento, coccole erano coccole e così via. Allo stesso modo era per le emozioni: Rufy veniva totalmente investito da esse e passava dall’una all’altra con una rapidità che inizialmente lo confondeva. Gli ci erano volute settimane per stargli al passo.
Si chiedeva spesso perché e come una persona come Rufy avesse finito per fidanzarsi con lui. Rufy era espansivo, e tendeva a riversare affetto su chiunque gli si parasse davanti, ma lui? Law era tutto cinismo e impassibilità, l’affetto non era propriamente nelle sue corde, con poche eccezioni, e l’amore ancor meno. Eppure, più per effettiva memoria che per romanticismo (o almeno così soleva dire a se stesso), ricordava benissimo la prima volta che si erano incontrati: era un incontro di kick-boxing, al quale partecipavano i suoi due amici Shachi e Penguin. Rufy era della categoria inferiore, quindi ci era andato solo per guardare, ma quello non l’aveva dissuaso dal parlargli e provare ad essergli amico. L’aveva esasperato talmente tanto, che Law era arrivato a promettergli che avrebbe assistito al suo, di scontro, la settimana successiva. Nei giorni a seguire aveva deciso di non andarci, ma la sua coscienza non era d’accordo, e si era ritrovato a fissare Rufy che menava pugni e calci con estrema precisione e potenza. La settimana ancora dopo erano andati al cinema.
Gli ci era voluto di più per accettare il fatto che gli piacesse anche più che come un amico. Rufy non sembrava porsi problemi di alcun genere; non gli importava che Law avesse sette anni in più di lui, né che non andasse a genio a suoi fratelli, né che fosse un maschio. A Rufy, Law piaceva, e tanto bastava.
Per Law non fu così semplice. Non riusciva a concepire di essersi preso una sbandata per un ragazzino iperattivo, spesso infantile ed innegabilmente demente, però il proprio comportamento non lasciava dubbi: aspettava i suoi messaggi, diventava impaziente di vederlo e un paio di volte aveva provato la voglia di spingerlo contro la porta di casa e divorargli quelle labbra sempre atteggiate a sorriso. La terza l’aveva semplicemente fatto, e Rufy aveva semplicemente ricambiato, senza smettere un attimo di sorridere.
Da allora il loro rapporto si era stretto sempre più, e quella relazione fatta di ingenue manipolazioni, impercettibili sorrisi e, , anche parecchio sesso, aveva compiuto quasi un anno. E Law aveva finalmente capito che Rufy era proprio la ventata di aria fresca di cui la sua vita aveva bisogno.
Stirò di nuovo le labbra, proprio mentre Rufy gli si avvicinava, ancora un po’ barcollante e non del tutto stabile, e si addossava al bordo della pista di fianco a lui.
«Torao?» disse, per riscuoterlo dallo stato di trance in cui sembrava essere caduto.
Law scrollò le spalle e lo mise a fuoco. Rufy lo guardava dal basso, le ciocche nere sfuggite al capello di lana rossa che gli coprivano la fronte e gli occhi. Alzò il viso verso di lui, avvicinandosi per squadrarlo con aria curiosa. «Perché mi stavi fissando?» gli chiese, le iridi castane che intercettavano quelle grigie, già pronte a scattare verso l’alto.
Law era ormai abituato a domande di quel genere; sfoderò il suo ghigno e affondò una mano nella tasca del giubbotto. «Non posso farlo?» assottigliò gli occhi.
Rufy sembrò pensarci su. «Certo che puoi.» decretò infine, senza però sembrare tanto convinto delle proprie parole.
Il maggiore avvertì un improvviso moto d’affetto verso di lui e decise di rispondere senza sarcasmo, per un volta. «Pensavo che mi piace come ridi.» si strinse nelle spalle, e si godette l’espressione meravigliata di Rufy. «Sei carino.» gli rivelò. A quel punto Rufy produsse, se possibile, un’espressione ancora più sconcertata. Law non seppe mai cosa fosse passato nella testa del ragazzo in quel momento, ma pochi secondi dopo Rufy gli rivolse il sorriso più luminoso che avesse mai visto e gli si lanciò addosso, poggiando le labbra sulle sue, in un bacio dato tanto di slancio che i loro denti cozzarono. E a Law non restò che registrare le numerose paia di occhi fisse su di loro, prima di socchiudere i propri e lasciarsi andare al bacio.
 
**
 
Erano rimasti a pattinare tutto il pomeriggio, o meglio, Rufy aveva pattinato, mentre Law aveva passato la maggior parte del tempo ad evitare che l’altro si procurasse fratture o lesioni multiple cadendo sul ghiaccio (anche se il ragazzo aveva la pelle più dura di quanto non sembrasse).
Law guardò il proprio orologio da polso, e si stupì di vedere che erano già le sette di sera; era il caso che entrambi tornassero a casa e che Rufy preparasse il borsone per tornare dai suoi fratelli. I due non erano molto rigidi sull’orario, ma Law era sicuro che non sarebbero stati contenti se l’avesse riportato tardi anche la domenica, cosa molto probabile, considerati i tempi del minore.
Si inoltrò sulla pista, giungendo al fianco di Rufy, che ancora cercava di esibirsi nei volteggi aggraziati mostratigli da uno strano uomo con dei pattini a forma di cigno. Il ragazzo si stava impegnando, ma non era elegante nemmeno la metà dell’uomo-cigno e perdeva l’equilibrio ogni due per tre.
Law gli afferrò un braccio, e richiamò la sua attenzione. «Dobbiamo andare, Rufy-ya.»
Rufy sgranò gli occhi e occhieggiò all’orologio dell’altro. «Di già!?» si lamentò, sporgendo all’infuori il labbro inferiore, salvo poi annuire, rassegnato. Si liberò dalla presa di Law con uno scatto. «Vado a salutare Bon-chan!» Law rabbrividì a quel soprannome, e ringraziò che Rufy si accontentasse di chiamarlo Torao, senza suffissi vari ed eventuali.
Pattinando veloce, Rufy si era avvicinato all’uomo-cigno, e adesso i due si stavano abbracciando come se fossero amici di vecchia data; Law poteva giurare di aver visto quel tipo tirare fuori dai propri pantaloni un fazzoletto ricamato che usò per soffiarsi il naso, per poi baciare Rufy su entrambe le guance. Si appuntò mentalmente di costringere il suo ragazzo a farsi una doccia con del disinfettante, mentre combatteva la voglia di strapparlo a quello strano individuo.
Alla fine, un po’ abbattuto, Rufy tornò verso di lui, e gli circondò i fianchi con un braccio, lasciandosi trascinare a bordo pista; Law, senza pensarci, passò invece il proprio braccio sopra le sue spalle sottili e strinse leggermente.
Non ci misero molto a togliersi i pattini e rimettersi le scarpe, e riuscirono anche a passare dalla caffetteria, dove Rufy prese due enormi panini con hamburger, che riuscì comunque a spazzolare in pochi secondi. Law si chiedeva ancora come diamine facesse.
La neve aveva ripreso a cadere lenta dal cielo, quando uscirono, e Law sfregò le mani coperte dai guanti tra di loro, soffiò dell’aria calda tra di esse, e indossò gli occhiali che schermavano i fiocchi bianchi. Cominciò a camminare, con il minore alle calcagna, che blaterava di quanto fosse stata una bella giornata, e di quanto però fosse stanco.
«Toraao!» chiamò. Law si voltò verso di lui. Rufy teneva le mani affondate nelle tasche, per mantenerle al caldo e lo stava guardando in modo strano. Mugugnò, facendogli capire che stava ascoltando.
Il minore sorrise, ma c’era qualcosa di troppo strano in quel sorriso. Era uno dei suoi soliti sorrisi, certo, tutto denti e occhi socchiusi, però Law era sicuro che Rufy stesse per combinarne un’altra delle sue.
«Torao, sono stanco.» Ripeté, spostandosi di lato, in modo che le loro braccia si toccassero.
L’altro alzò gli occhi al cielo. «Ti riposerai in macchina.»
«Ma io sono stanco ora!» ribatté di nuovo Rufy. Adesso Law stava cominciando a capire cosa volesse quella peste. Deglutì e si strinse nelle spalle, senza guardarlo.
«Aspettami qui, allora.» propose, ma sapeva già che il ragazzo non avrebbe mai accettato. Infatti, Rufy scosse la testa e gli si parò davanti, sbarrandogli la strada.
«Mi porti sulle spalle, Torao?» sbottò infine.
Il sorriso gli andava da un lato all’altro della faccia e – dannazione a lui – perché riusciva a buttare giù tutti i buoni propositi di Law sull’ignorare le sue assurde richieste, solo facendogli gli occhi dolci?
La palpebra sinistra del maggiore tremò appena, mentre lo spostava con un braccio e continuava a camminare. «No.» Quella volta non l’avrebbe avuta vinta; poteva ottenere quello che voleva sfruttando la sua incapacità di ragionare lucidamente mentre facevano sesso, ma in quel momento aveva il pieno controllo su se stesso, e non aveva intenzione di scarrozzarlo fino all’auto.
Purtroppo, ragionare in quel modo quando si trattava di Rufy, significava fare conti senza l’oste; un peso improvviso lo fece quasi cadere, un paio di gambe gli si allacciarono ai fianchi, e delle braccia gli circondarono le spalle e il collo, nel quale, a distanza di pochi attimi, affondò un naso freddissimo.
Law avvertì un’altra contrazione della palpebra, e inspirò a fondo per non mandare Rufy a gambe all’aria nella neve.
Rufy strofinò la guancia e le labbra sulla pelle esposta del collo di Law, riscaldandolo con il proprio respiro. Torao aveva un buon odore, e gli piaceva averlo nelle narici. Forse, si disse mentre inalava quel profumo che sapeva lievemente di disinfettante, forse gli piaceva quanto quello della carne.
Si rilassò contro la schiena del maggiore, sicuro che, volente o nolente, non l’avrebbe mai lasciato cadere giù, e sorrise quando sentì le braccia di Law passare sotto le proprie ginocchia, per sostenerlo meglio. «Sei insopportabile.» sussurrò quello, girando il viso per incrociare il suo sguardo. Cominciarono a muoversi.
Rufy ghignò e Law alzò gli occhi al cielo, prima che l’altro richiamasse la sua attenzione su di sé. «Però ti piaccio lo stesso!» esclamò e gli sorrise.
Law strinse le labbra e le guance gli si colorarono di un lieve rosso. Sbuffò, incapace di contraddire il minore, che per enfatizzare le proprie parole gli si era stretto addosso di più. «Anche tu mi piaci tanto, Torao.» borbottò Rufy, la voce smorzata contro la schiena di Law. «Anzi io…» iniziò a dire, prima di bloccarsi nel bel mezzo della frase. Il suo fiato fuoriuscì dalla bocca ancora aperta con una nuvoletta bianca.
Law, strano a dirsi, sentì lo stomaco contrarsi a quelle uniche due parole, e si scoprì curioso di sapere cosa Rufy volesse dire. Rafforzò la presa sotto le ginocchia del ragazzo, che gli si erano strette sui fianchi, e si voltò indietro, verso il viso premuto contro la sua scapola.
Sapeva benissimo, Law, di non essere una persona romantica. Eppure, in quel momento, quando i suoi occhi incrociarono quelli di Rufy, poté giurare di sapere perfettamente le parole che lui non era riuscito a pronunciare.
Il ragazzo mugugnò e distolse lo sguardo, come se avesse capito cosa stava passando per la mente di Law. Con il volto nascosto, non riuscì a vedere il piccolo sorriso che incurvò le labbra del maggiore, il quale, tornando a guardare la strada di fronte a sé, rispose.
«Anch’io, peste.»
Nonostante gli strati di stoffa, Law riuscì perfettamente ad avvertire il sorriso di Rufy aprirsi.
 
 
 
 
 
(*) Il cerchio di combattimento a kick-boxing

Note della pazza autrice:
Sì, come ho già detto, questa storia è per la mia adorata _Lady di inchiostro_ (Zaira, per gli amici), che mi ha chiesto di pubblicarla come regalo di Natale, e non ho saputo dirle di no. (Psst! Se siete fan della Lawlu, andate a leggere le sue storie e sommergetela di recensioni, perché le merita tutte!)
Andiamo avanti. Sono perfettamente consapevole del fatto che questa storia sia un concentrato di fluff puro e che vi sarà schizzato il diabete alle stelle, ma capitemi. Le feste, la gioia, l’anime che si avvicina sempre più al capitolo 783… insomma!
Sono consapevole anche del fatto che Law è OOC, ma come ho detto, non credo lo sia per tutta la storia, quindi ho evitato di mettere l’avvertimento, ma se credete che sia necessario, lo farò senz’altro! A proposito di questo, la Lawlu per me è ancora in sperimentazione, quindi se avete consigli da darmi o critiche da muovermi, li accetterò sicuramente. Fatemi sapere cosa ne pensate, ve ne sarei grata!
La fanart non è mia, ma appartiene a tinytinyporing che potete trovare su tumblr e su pinterest.
Ultima cosa: BUON NATALE A TUTTI E BUONE FESTE!
  
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