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Autore: ChelseaH    25/12/2015    0 recensioni
Harry è superstizioso e crede nelle tradizioni, Louis invece no.
Così quando l'organizzazione del loro matrimonio inizia ad andare a rotoli, Harry ovviamente si convince che sia tutta colpa di Louis.
[Harry/Louis, Wedding!AU]
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Prima di iniziare, mi sembra giusto linkarvi la playlist che ho creato apposta per questa OS, e che trovate qui (:


ALWAYS

 
When the world gets too heavy
Put it on my back
I'll be your levy...
 
Harry iniziò a tossire convulsamente mentre il caffè gli andava di traverso e il cellulare gli scivolava dalle mani, finendo rovinosamente a terra. Niall, seduto di fronte a lui, si sporse a dargli due pacche sulla spalla nel tentativo di aiutarlo, ottenendo però il risultato opposto, visto che l'accesso di tosse di Harry peggiorò.
"Haz, tutto bene?" gli chiese l'amico preoccupato, allungandogli la bottiglietta d'acqua che aveva comprato poco prima.
Harry bevve un sorso d'acqua mentre annaspava alla ricerca di un po' d'aria, la gola che gli bruciava. No, non andava tutto bene, non andava bene per niente.
"Louis- Non- Maledizione- Lui- Dopo-" ricominciò a tossire violentemente quando anche l'acqua che doveva aiutarlo gli andò di traverso. Il signore seduto al tavolo di fianco al loro gli offrì una caramella, che Harry declinò con un cenno della mano continuando a tossire, pensando che in fondo la morte per soffocamento a quel punto non fosse la peggiore delle disgrazie che potevano capitargli.
Undici anni.
Erano passati undici lunghissimi anni dal giorno in cui lui e Louis si erano conosciuti, dal giorno in cui erano stati protagonisti di un piccolo incidente nel bagno della Tate Gallery, e Harry si era innamorato di lui sopra un po' di pipì versata dove non avrebbe dovuto.
Nove anni e mezzo da quando si erano finalmente messi insieme, dopo un anno e mezzo in cui aveva dovuto pazientemente aspettare che Louis si mettesse in pace con se stesso, con la propria sessualità, con i propri amici.
Sei anni da quando erano andati ufficialmente a vivere insieme, in un appartamento che fosse loro e loro soltanto - piuttosto che la camera del dormitorio dell'università.
Sette mesi da quando Louis si era inginocchiato sulla riva del Tamigi e gli aveva chiesto di sposarlo.
Due minuti, due fottutissimi minuti, da quando Louis aveva mandato all'aria il loro matrimonio, quello che avevano passato mesi a organizzare, quello che lui aveva passato anni a sognare.
A questo punto tanto valeva morire per un accesso di tosse, piuttosto che dover affrontare le conseguenze del gesto sconsiderato di Louis.
Perché? Perché Louis doveva sempre agire senza pensare? Perché era patologicamente non in grado di mordersi la lingua - o tagliarsi le dita che aveva usato per inviargli il messaggio?
"Oh." Niall, impotente di fronte al suo attacco di tosse, si era chinato a raccogliere il cellulare e ora fissava lo schermo con espressione seria. "Oh," ripeté.
Oh.
Harry non aveva mai chiesto tanto dalla vita. Anzi, se proprio avesse dovuto stilare in maniera seria la lista delle cose senza le quali non avrebbe mai potuto vivere, su quel pezzo di carta ci avrebbe scarabocchiato solo cinque lettere.
Louis.
Okay, forse ci avrebbe incluso anche la propria famiglia e qualcuno degli amici più stretti, ma ciò non toglieva che al primo posto della lista ci sarebbero state sempre e comunque quelle cinque lettere.
Aveva da poco compiuto sedici anni quando aveva conosciuto Louis. Era in gita a Londra con la scuola, e nel paio di ore libere che aveva era andato insieme a una sua compagna a visitare una delle mostre temporanee della Tate. Prima di andare via si era fermato in bagno, dove si era imbattuto in un Louis poco più che diciottenne, anche lui a Londra con la scuola. Louis stava borbottando qualcosa fra sé e sé, come se fosse l'unico occupante del bagno, e Harry era scoppiato a ridere combinando un casino da parodia americana, visto che era riuscito a schizzare pipì ovunque - compreso sulle scarpe di Louis. Non il più romantico degli incontri, ma la mattina dopo i due si erano incrociati nuovamente, stavolta mentre aspettavano il loro ordine da Starbucks, in un caos fra scolaresche che aveva intasato il piccolo caffè. Quella sera, uno dei suoi compagni era riuscito a infilarsi nelle mutande di una delle compagne di Louis - suscitando l'ammirazione di tutti loro per aver fatto colpo su una ragazza di ben tre anni più grande - ed era rimasto in contatto con lei. Così Harry aveva finito col rivedere Louis meno di una settimana dopo, scoprendo che il ragazzo era di Doncaster e quindi non molto distante da lui che abitava a Holmes Chapel.
Avevano impiegato meno di un mese a lasciarsi alle spalle l'incidente del bagno e a diventare inseparabili.
Lui aveva impiegato meno di un mese per perdersi completamente negli occhi blu di Louis e innamorarsene, così, senza nemmeno rendersi conto di quello che stava accadendo. E ora, undici anni dopo, riusciva ancora a perdersi completamente in quel blu, e si rifiutava di credere che Louis invece avesse mandato all'aria tutto quanto.
 
OI OIIIII, sono fantastico ((((:
 
Questo era ciò che recitava il messaggio di Louis.
Al messaggio c'era allegata una foto, la foto di Louis nel camerino di un atelier di abiti da sposo, con indosso il vestito che evidentemente aveva scelto.
"Be', magari non stonerete, in fondo il tuo è uno smoking," commentò Niall alla fine. "Anche se… entrambi gli sposi in bianco? Non lo so, Haz, forse dovresti parlargli. Poi io me lo immaginavo in nero. O in blu scuro se proprio..."
Che Louis avesse scelto un abito spezzato con la giacca bianca e i pantaloni neri, era proprio l'ultimo dei problemi di Harry. Non capiva come Liam e Stan - i testimoni di Louis, che erano in giro con lui a caccia di abiti - non l'avessero fermato, visto che entrambi sapevano benissimo che Harry aveva scelto lo smoking bianco e nero, ma quella era una questione che poteva aspettare. Anzi, era una questione che non avrebbe nemmeno avuto bisogno di essere risolta, visto che ormai erano tutti maledetti.
"I-il v-vestito," riuscì ad articolare ritrovando l'uso della parola.
"Lo so, Haz… Chissà perché Liam e Stan non l'hanno fermato." Niall stava ancora fissando la foto, con espressione confusa.
"Il vestito, Niall!" Il tono isterico di Harry gli fece finalmente guadagnare l'attenzione dell'amico. "Ho visto il vestito dello sposo! Non sai quanto porti male vedere il vestito dello sposo prima del matrimonio?! Non posso credere che Louis sia così stupido."
A maggior ragione non poteva crederlo visto che una settimana dopo la proposta, aveva allungato a Louis quattro pagine che listavano tutte le cose e tutti i comportamenti che avrebbero dovuto evitare come la peste da lì al giorno del matrimonio, affinché tutto scorresse liscio e sereno. Louis aveva preso la lista e l'aveva lasciata ad ammuffire nel cassetto del proprio comodino, così qualche settimana dopo Harry, esasperato, l'aveva riesumata e aveva attaccato i quattro fogli in maniera ordinata al frigorifero, due fuori e due dentro. Louis gli aveva detto che era pazzo, ma il suo metodo aveva funzionato visto che l'altro si avvicinava al frigorifero una media di trenta volte al giorno.
Non posso credere che tu abbia scritto quattro volte per pagina che non possiamo vedere i vestiti dell'altro, cosa credi, che sia scemo? Andrà tutto bene, Harold, aveva commentato un giorno, strappando i due fogli dall'interno del frigorifero con aria stizzita. Sì, giunti a quel punto a Harry pareva evidente che Louis fosse scemo, come gli pareva altrettanto evidente che non sarebbe andato tutto bene.
"Non essere stupido Haz, è solo una superstizione. Vedrai che-" Harry fulminò Niall con lo sguardo prima che potesse finire la frase. Cosa doveva vedere? Che sarebbe andato tutto bene? Possibile che nessuno intorno a lui capisse? Che a nessuno importasse più delle tradizioni? Che nessuno sognasse un giorno perfetto per lui e per Louis, a parte per l'appunto lui? Sospirò sonoramente e sentì un accenno di magone nascergli in gola. Si alzò di scatto e uscì dal locale, il vento freddo dell'inverno londinese lo colpì in faccia come uno schiaffo. Era da quando era piccolo che sognava di vivere un amore da favola, una di quelle storie che non diventano mai noiose, mai routine, mai scontate. Sognava di trovare qualcuno che gli facesse battere il cuore a mille con ogni sguardo, che lo facesse sentire la persona più fortunata dell'universo ogni singolo istante della giornata. Sapeva che quella era pura utopia, sapeva che le farfalle dell'innamoramento spesso non sopravvivevano nello stomaco nemmeno un anno, sapeva che dopo due, tre, quattro anni sarebbe diventato tutto routine, tutto scontato, a volte noioso. Sapeva che il 'per sempre' e il 'finché morte non ci separi' erano utopie, l'aveva imparato in maniera brutale quando aveva sette anni e un giorno i suoi genitori avevano chiamato lui e sua sorella Gemma in soggiorno, e avevano spiegato loro che papà andrà a vivere da un'altra parte per un po', e due mesi dopo il divorzio era diventato ufficiale. Sapeva che la perfezione non esisteva, sapeva che per tanto così di felicità sarebbe dovuto scendere a compromessi, lo sapeva. Sapeva tutto questo anche se era solo un adolescente eppure, proprio perché era solo un adolescente, non aveva mai smesso di sognare che un giorno un principe azzurro si sarebbe presentato sulla porta di casa sua, in groppa al suo magnifico cavallo bianco - che nella sua testa era più un unicorno color arcobaleno. In fondo non gli importava se non sarebbe mai accaduto - o forse gli importava perfino troppo - ma sapeva che se avesse smesso di sognare, se si fosse arreso a tutte quelle consapevolezze che un ragazzo di quindici o sedici anni non doveva nemmeno avere, allora la sua vita sarebbe finita ancora prima di iniziare.
Poi aveva conosciuto Louis. Louis che era casinista, sboccato, combina guai, che fumava troppo, mangiava troppo cibo spazzatura, non sapeva cosa fosse lo spazio personale altrui, non capiva perché presentarsi alle tre di notte fuori da casa tua con un pallone da calcio in mano non fosse appropriato, e che guidava una vecchia Mini di terza mano con cui si presentava a Holmes Chapel all'ora del tè senza preavviso, portando piatti pieni di biscotti e pezzi di torta fatti da sua madre facendoli passare per frutto delle proprie mani. E nel caos imperfetto che era Louis, Harry aveva scoperto che la perfezione esisteva.
Erano passati undici anni dal giorno in cui si era reso conto di essere innamorato di Louis, e le farfalle non solo erano ancora lì, ma avevano anche procreato. Erano passati molto più di due o tre anni da quando si erano messi insieme, e non c'era un solo aspetto noioso nella loro vita insieme. Avevano la loro routine quotidiana, come qualunque altra persona adulta, ma riuscivano sempre a trovare modi per stupirsi a vicenda, per rendere ogni singolo giorno diverso da quello precedente.
Non si erano mai dati per scontati.
Harry non avrebbe mai potuto dare per scontata la presenza di Louis, perché sapeva che un amore simile tocca poche persone al mondo, e che lui era fra i fortunati. Ogni volta che guardava Louis, ogni volta che pensava a Louis, si sentiva l'essere umano più fortunato del pianeta e dopo tutti quegli anni, non riusciva ancora a credere che Louis avesse scelto proprio lui. E fin da subito, si era concesso di pensare che forse il 'per sempre' potesse esistere realmente.
Un sabato sera Louis era andato a trovarlo a Holmes Chapel e aveva bevuto qualche bicchiere di troppo, così Harry aveva insistito perché si fermasse a dormire da lui - non che Louis avesse opposto più di tanta resistenza. Ricordava ancora chiaramente il peso del corpo di Louis premuto contro al proprio nel suo letto a una piazza, e l'odore di alcol misto a nicotina che il ragazzo emanava.
"Sono proprio fottuto," aveva biascicato Louis nel dormiveglia.
"Perché?" gli aveva chiesto Harry, aspettandosi qualche vaneggiamento senza senso.
"Perché vorrei stare qui così per il resto della mia vita," e due secondi dopo era profondamente addormentato.
Non stavano ancora insieme, Harry non aveva mai provato a parlargli dei propri sentimenti per paura che Louis non fosse pronto - perché sapeva che non lo era. Ma quella notte capì che sarebbe andato tutto bene. Capì che sarebbe stato disposto ad aspettare Louis per tutto il tempo dell'universo. Capì che quando si concedeva di sperare che forse - seppur inconsapevolmente - Louis lo ricambiasse, non stava avendo le allucinazioni. Capì che l'unica cosa che avrebbe dovuto fare per essere felice, era credere in Louis.
Ed eccolo lì, tutti quegli anni dopo, a credere ancora ciecamente in Louis senza essersene mai pentito. Non fino a dieci minuti prima, quantomeno.
C'era una flebile voce da qualche parte nella sua testa, che gli stava dicendo che stava avendo una reazione esagerata. Che si trattava solo di una stupida foto e che Louis fosse oggettivamente fantastico con quel completo addosso. Che non sarebbe successo nulla ora che aveva visto l'abito, che il fatto che fossero entrambi vestiti di bianco non era poi sto gran dramma - anche se in realtà lo era, visto che sarebbero sembrati due camerieri un po' troppo eleganti piuttosto che due sposi. Poi però c'era un'altra voce - quella grossa e prepotente - che gli stava urlando che non era possibile che fossero riusciti a trovare una perfezione irraggiungibile ai più, e che stessero invece riuscendo a rovinare il giorno che usciva perfetto a chiunque, ovvero quello del matrimonio.
 
***
 
"Se tuo figlio dovesse cercarmi, digli che sono andato a farmi una birra. Da solo. Come una povera zitella senza speranza. Solo."
La voce di Louis, di tre ottave più alta del normale, gli arrivò forte e chiara dalla cucina. Harry non aveva intenzione di dargli la soddisfazione di reagire, a dirla tutta non sapeva nemmeno cosa ci facesse Louis nella cucina di sua madre, a Holmes Chapel. Erano passati quattro giorni da quando non si rivolgevano la parola. Quattro giorni da quando Louis gli aveva mandato la foto maledetta e lui aveva abbandonato Niall da Starbucks, era tornato nel proprio appartamento, aveva infilato quattro vestiti a caso in un borsone di Louis ringraziando che il proprietario non fosse a casa, e si era messo in macchina direzione Holmes Chapel. Non aveva voglia di litigare con Louis, e sapeva che sarebbero finiti con il litigare se si fossero trovati faccia a faccia. Forse stava ingigantendo le cose, forse era solo stanco e aveva bisogno di staccare per qualche giorno dal caos cittadino. Si era accorto di aver lasciato il cellulare nelle mani di Niall solo quando, in macchina, l'aveva cercato nella tasca del cappotto per chiamare al lavoro e fingersi malato. Quella sera mentre cenava, Louis aveva chiamato sua madre e Harry era riuscito a sentire forte e chiaro all'altro capo del tavolo le sue urla isteriche. La cosa peggiore era che sua madre - la donna che per il solo fatto di averlo messo al mondo sarebbe dovuta stare sempre dalla sua parte - aveva dato ragione a Louis. Gli aveva detto che il povero Louis aveva provato a chiamarlo un numero imprecisato di volte quel pomeriggio, che si era sempre sentito rispondere da Niall e che andarsene così, lasciandolo senza un pasto caldo per la cena e senza avergli detto dove stesse andando, non era stato propriamente carino. Louis mandava all'aria le loro intere esistenze e lui era il cattivo? Lui sarebbe dovuto rimanere e perfino cucinargli la cena?
"Harry." Il tono secco della madre lo fece sobbalzare sul divano. "Quel poveretto è uscito dal lavoro ieri sera ed è venuto direttamente qui, per te. Non ti sembra di esagerare?"
Quel poveretto aveva bussato alla loro porta alle undici passate della sera prima, dopo tre giorni di silenzio, e quando lui aveva aperto chiedendosi chi potesse essere a quell'ora, si era visto lanciare addosso il proprio cellulare. "Sono abbastanza sicuro che questo sia tuo," aveva borbottato Louis, scansandolo per entrare in casa. A quel punto Harry aveva iniziato a sentirsi leggermente in colpa, ma poi Louis era corso a piagnucolare dritto fra le braccia di sua madre Anne, che l'aveva coccolato come avrebbe dovuto coccolare lui per gli ultimi tre giorni invece di difendere Louis. A quel punto aveva deciso che nessuno dei due si meritava le sue attenzioni.
"Perché non vai a bere una birra con lui, sono sicuro che vi divertireste un sacco a sparlare di me," borbottò, tirandosi sopra alla testa la coperta di pile nella quale era avvolto.
"Ci sono state un sacco di occasioni nelle quali avresti avuto tutti i diritti di avercela con lui, ma hai sempre sopportato e hai sempre cercato di capirlo. Perché hai deciso di impuntarti proprio ora?" Anne si sedette sul bracciolo del divano, scoprendogli la testa e accarezzandogli i capelli. Adesso il suo tono era più indulgente. Aveva ragione, c'erano state volte in cui Louis gli aveva reso la vita proprio difficile - come quando all'università aveva deciso di trovarsi una ragazza finta da esibire in pubblico al posto di Harry.
Era il primo anno di università di Harry, e lui era così felice all'idea di trasferirsi a Manchester e condividere la stanza del dormitorio con Louis, che avrebbe voluto urlare la propria contentezza al mondo. Non sarebbe stata una vera e propria convivenza, ma a lui sembrava un passo importante e non vedeva l'ora di poter finalmente stare con Louis ogni giorno, invece che essere costretto a poterlo vedere solo nei fine settimana. Poi Louis se n'era uscito con questa brillantissima idea, che secondo lui avrebbe evitato a entrambi un sacco di problemi visto che il campus era pieno di gente omofoba. A Harry le uniche persone omofobe nel raggio di chilometri sembravano gli amici di Louis, ma l'aveva comunque assecondato. Louis non era ancora del tutto a suo agio con la propria sessualità, e Harry si era ripromesso di non mettergli mai pressioni a riguardo, nonostante certi suoi atteggiamenti a volte lo ferissero. La storia della ragazza finta era durata due mesi e mezzo, fino a quando Louis - sì, Louis - era sbottato nel bel mezzo di una festa di compleanno e gli aveva infilato la lingua in gola davanti a tutti. Harry non si era ovviamente tirato indietro, ma le trovate di Louis in fatto di 'nascondersi al pubblico’ non finirono lì - anche se ormai tutto il campus universitario sapeva.
"Perché ne abbiamo passate troppe e non riesco a credere che lui abbia rovinato tutto così," si decise a rispondere.
"Innanzitutto, non sai nemmeno se quella foto sia effettivamente dell'abito che si è scelto."
"Lo so," sbuffò lui. Perché Anne continuava a difendere Louis?
"Secondariamente," proseguì la donna ignorandolo, "anche se fosse, tuo padre ha visto il mio abito prima del matrimonio, e non mi sembra che questo abbia pregiudicato le nostre vite."
"Tu e mio padre avete divorziato quando io avevo sette anni!" esclamò Harry tirandosi su di scatto per fissarla dritta negli occhi. "Ora sì che sono più tranquillo, grazie Anne!"
Sua madre assunse un'espressione divertita e si lasciò scivolare sul divano di fianco a lui.
"Io e tuo padre non abbiamo divorziato per uno stupido vestito, penso tu sia ormai abbastanza grande da capirlo," gli disse prendendolo sottobraccio. "Io fossi in te ricomincerei a parlare con quel povero martire. Ha passato gli ultimi tre giorni a crucciarsi per te ed è corso qui appena ha potuto, il minimo che potresti fare è raggiungerlo e offrirgli quella famosa birra."
"Tanto abbiamo il conto in comune, non sarebbe propriamente offrire," borbottò, per il semplice gusto di non darla vinta al team Lounne, come avevano preso a chiamarsi quei due fin dalla primavera in cui Louis aveva iniziato a bazzicare a casa loro, ancor prima che si mettessero insieme.
"Harry Edward Styles!"
"Okay, vado, vado," sbuffò Harry alzandosi.
In fondo era contento che qualcuno lo stesse obbligando ad andare da Louis.
 
***
 
"Questo letto è scomodo," bofonchiò Louis riemergendo da sotto le coperte, arrampicandosi letteralmente sul corpo nudo di Harry.
"E tu sei troppo chiassoso," replicò Harry con il respiro corto, anche se sapeva benissimo di essere stato lui quello particolarmente chiassoso, stavolta.
"Sì, proprio," ridacchiò Louis cercando le sue labbra con le proprie e Harry si rendeva assolutamente conto che sua madre dall'altra parte del muro probabilmente stava sentendo tutto, ma non riusciva a trovare la forza di volontà necessaria per staccarsi da Louis. "Non fare quella faccia, Anne ci è abituata da quando avevi diciassette anni, tesoro."
Louis sembrava molto divertito dalla sua debolezza quando si trattava di lui. Due ore prima aveva accolto Harry al bancone del pub con una pacca sulla spalla e un potevi resistere un'altra mezzora, adesso devo ad Anne ben venti sterline, e Harry si era limitato a sbuffare chiedendosi cosa ci trovassero di divertente Louis e sua madre a fare scommesse idiote su di lui. Era iniziato tutto la prima volta che lui e Louis si erano baciati e Anne li aveva trovati due ore dopo avvinghiati l'uno all'altro, mezzi nudi, sul pavimento del salotto. Anne aveva scommesso che Harry aveva già raccontato tutto a sua sorella Gemma - probabilmente quando era andato in bagno a ricomporsi - mentre Louis gli aveva dato tempo fino al giorno dopo prima che iniziasse a divulgare la notizia. Ovviamente aveva vinto Anne, perché Harry si era chiuso in bagno proprio per chiamare Gemma e raccontarle che finalmente Louis l'aveva baciato.
"A cosa pensi?" la voce di Louis lo riportò al presente.
"A quanto mi hai fatto penare prima di rompere gli indugi e saltarmi addosso," borbottò, senza però riuscire a trattenere un sorriso.
"Nessuno ti ha mai impedito di prendere l'iniziativa," replicò Louis accoccolandosi meglio sopra di lui. Sentiva il respiro di Louis sulla propria spalla, il suo cuore battere poco distante dal proprio. Sapeva che di lì a cinque minuti sarebbe stato profondamente addormentato. Sapeva che se avessero dormito così, lui la mattina dopo si sarebbe svegliato tutto dolorante, ma non avrebbe rinunciato al peso del corpo di Louis su di sé per nulla al mondo, così come tutti quegli anni prima non avrebbe mai preso l'iniziativa di fare il primo passo. Era stato frustrante, snervante. C'erano state notti che aveva passato a soffocare i singhiozzi nel cuscino, con Gemma che si infilava nel suo letto e lo abbracciava forte fino a quando lui non si addormentava. C'erano stati giorni in cui la vicinanza di Louis era quasi insopportabile, in cui anche solo sentirlo al telefono gli procurava fitte di dolore talmente forti da togliergli il respiro. Ma non aveva potuto fare altro che aspettare, perché Louis non era come lui, non era cresciuto consapevole della propria sessualità, aperto a qualunque cosa. Louis aveva bisogno di rendersene conto e di accettarlo, e Harry non poteva forzarlo, o sapeva che Louis avrebbe finito con l'odiarlo. Poi un sabato pomeriggio erano seduti sul pavimento del salotto di casa sua, schiena contro al divano. Harry stava finendo di leggere un libro sul quale doveva scrivere un saggio breve, Louis leggeva fumetti. A un certo punto Louis aveva lanciato il fumetto dall'altra parte della stanza emettendo un urlo strozzato. Si era voltato verso di lui e gli aveva detto che non ce la faceva più a vivere così. Harry aveva inarcato un sopracciglio, chiedendosi che problemi avesse l'altro e perché dovesse averli proprio quando lui doveva assolutamente finire quel dannato libro. Louis l'aveva fissato dritto negli occhi per un tempo che gli era sembrato infinito, poi si era sporto verso di lui e l'aveva baciato. Harry non se lo aspettava minimamente e nove anni e mezzo dopo, ricordava ancora come si era sentito in quel momento. Ricordava il suo cuore impazzito, ricordava l'incapacità del suo cervello di riuscire a formulare un pensiero coerente, ricordava di essersi buttato su di lui e di non essersi più staccato fino a quando due ore dopo sua madre non era rientrata in casa.
"Lou?" sussurrò, ma Louis dormiva già. Improvvisamente Harry si sentì terribilmente in colpa per gli ultimi quattro giorni, per la maniera con la quale era scappato da Londra e per il broncio che aveva tenuto per una stupida foto. Louis non si meritava un simile trattamento, non dopo che aveva lasciato cadere tutte le proprie barriere di autodifesa per lui, non dopo che gli aveva consegnato il suo cuore su di un piatto d'argento fidandosi ciecamente del fatto che Harry se ne sarebbe preso cura come se si trattasse del proprio.
 
***
 
Harry sbadigliò sonoramente mentre appoggiava la tavoletta grafica sulla scrivania di fronte a sé. La sera prima Niall si era presentato sullo zerbino di casa loro a un quarto a mezzanotte, esaltato all'ennesima potenza per com'era andata la sua prima cena a lume di candela con la ragazza che frequentava da sì e no una settimana. Louis aveva deciso molto democraticamente di essere troppo stanco per starlo ad ascoltare, e che in fondo Niall fosse più amico di Harry che suo, quindi l'aveva mollato in soggiorno con l'altro e se ne era andato a dormire. Alle due e mezza Niall stava ancora parlando a macchinetta, e a quel punto Harry aveva appreso perfino il conteggio esatto delle calorie di ciò che avevano mangiato, o l'esatta inclinazione delle ciglia di lei quando gli aveva detto che si era divertita e che lo dovevano rifare. Poi c'era stato il momento paranoie, durato circa fino alle quattro, in cui Harry aveva dovuto tirare fuori tutta la pazienza di cui era dotato, e far capire a Niall che non c'era assolutamente motivo per il quale questa ragazza sarebbe dovuta scappare da lui prima della seconda cena romantica - momento che era stato accompagnato da una vaschetta di gelato alla vaniglia condivisa, e il ricordo di tutte le storie di Niall andate a rotoli entro il primo mese di vita, il tutto perché Niall si faceva prendere sempre troppo dall'entusiasmo e tendeva a essere un po'… appiccicoso? Louis una volta l'aveva definito asfissiante, ma per come la vedeva Harry, Niall era semplicemente un cucciolo con tanto affetto da dare agli altri, solo che a volte aveva problemi a dosarlo questo affetto. Era abbastanza sicuro che fossero finiti con l'addormentarsi insieme sul divano, ma quando Louis l'aveva svegliato passandogli una tazza di tè fumante sotto al naso, Niall non c'era più e a lui sembrava di aver dormito al massimo cinque minuti. Quindi ora eccolo lì, seduto in ufficio a sbadigliare e a maledirsi per aver avuto la pessima idea di offrirsi come tributo per quel progetto dell’ultimo minuto, quando non riusciva nemmeno a tenere gli occhi aperti. Un settimanale per neo mamme si era mostrato interessato a pubblicare un estratto di questa storia di un'autrice esordiente, e Harry - che illustrava libri per bambini - si era offerto di buttare giù un paio di illustrazioni per accompagnare l'articolo e renderlo più accattivante. Peccato che avesse solo due giorni di tempo per portare a termine l'impresa e l'unica cosa che avrebbe voluto fare, era accucciarsi sotto alla scrivania e dormire per le dieci ore successive. L'avrebbe anche fatto, se non fosse che l'autrice in questione era una cara amica della madre di Louis e che aveva potenziale da vendere, quindi se poteva fare qualcosa per aiutarla, l'avrebbe fatto più che volentieri. Era proprio mentre stava per riprendere in mano la tavoletta grafica che il cellulare gli squillò prepotentemente dalla tasca del cappotto, appeso in un angolo dell'ufficio. A Harry saliva sempre un po’ di ansia quando gli squillava il cellulare al lavoro. Louis di solito lo chiamava direttamente in ufficio, e il resto del mondo sapeva che aveva bisogno di spazio quando era in fase creativa, quindi lo chiamavano solo in caso di emergenza. Poi però c’era Niall, Niall che tendeva troppo spesso a dimenticarsi che a differenza sua Harry aveva un lavoro con degli orari fissi, e che lo chiamava per i motivi più stupidi a qualunque orario. Era per questo che aveva messo la suoneria personalizzata a Niall, e quella chiamata decisamente non veniva dall’amico. Si alzò controvoglia e tirò un sospiro di sollievo quando vide il numero che lampeggiava sullo schermo, nessuna emergenza. Si trattava solo del contatto della villa che avevano affittato per il ricevimento di nozze, ogni tanto lo chiamavano per chiarire qualche dettaglio.
In realtà non avevano affittato proprio la villa ma solo la parte di giardino adibita ai ricevimenti esterni, e già così era loro partito un bell’insieme di organi. Quando Harry aveva ancora sedici anni, Louis ne aveva ancora diciotto e non stavano ancora insieme, un sabato pomeriggio Louis si era presentato a Holmes Chapel e l’aveva caricato di peso in macchina dicendogli che si annoiava e che era giunto il momento di fare un road trip fra uomini. Aveva detto ad Anne di non aspettare sveglia suo figlio, e che gliel’avrebbe riportato sano e salvo in tempo per andare a scuola il lunedì mattina. Era l’inizio di maggio, faceva insolitamente caldo e la loro avventura durò un’ora e mezza di macchina, ovvero fino a quando la Mini di Louis non si era bloccata in mezzo a una stradina di campagna che avevano imboccato per vedere dove andasse a finire, rifiutandosi di ripartire. Erano scesi e avevano preso a camminare in una direzione a caso, sperando di sbucare su una strada e di trovare un distributore o qualcosa del genere, invece erano finiti nel cortile di questa villa, nel bel mezzo del ricevimento di un matrimonio. Si erano allora resi conto di stare morendo di fame, e Louis con una faccia tosta incredibile, era andato a raccontare la triste storia della propria Mini a una delle invitate, che li aveva subito presi in simpatia e li aveva invitati a servirsi al buffet mentre aspettavano il carro attrezzi che aveva chiamato lei stessa. Sarebbero benissimo potuti tornare a casa e decidere di concludere così la loro piccola fuga giovanile, ma invece quella notte – dopo che la Mini era stata ricoverata in un’officina poco distante da lì – tornarono alla villa e sgattaiolarono dentro al cortile muniti di sacchi a pelo. Era stata la notte in cui Harry aveva iniziato a nutrire speranze sul fatto che magari Louis potesse ricambiare i suoi sentimenti, e qualche anno dopo gliel’aveva raccontato, accoccolato nudo contro di lui sotto al piumone del proprio letto nel dormitorio universitario. Quando si erano seduti al tavolo della loro cucina a pensare alle possibili location per il ricevimento, entrambi avevano avuto la stessa identica idea.
Era a questo che Harry stava pensando quando rispose alla chiamata.
“Parlo con il signor Styles?” gli chiese la voce all’altro capo del telefono.
“Sì, il solo e unico!” rispose con entusiasmo, ma quando la signora dall’altra parte riprese a parlare – dopo un attimo di esitazione – Harry improvvisamente si sentì mancare. Non sapeva come fosse tornato alla propria scrivania, non si era accorto di aver chiuso la chiamata mentre la sua interlocutrice era ancora nel bel mezzo del suo elaborato discorso di scuse, non si era reso conto di aver preso in mano il cordless dell’ufficio e composto il numero di casa della madre – non fino a quando sentì la voce di lei nelle proprie orecchie. Si lasciò andare a un sospiro disperato. Aveva voglia di piangere, aveva voglia di prendere a pugni il muro di fronte a lui, di buttare la tavoletta grafica giù dalla finestra, di...
“Voglio ucciderlo. Perché è così stupido, perché mamma?” Harry sentiva di avere di nuovo cinque anni, quando Gemma aveva rotto il suo camioncino dei pompieri nel tentativo di smontarlo e lui era corso a piangere dalla mamma.
“Cosa ha fatto stavolta, tesoro?” Il tono di Anne era calmo e accondiscendente. Harry se la immaginò mentre si metteva comoda sul divano, pronta ad ascoltare ogni singola parola del suo sfogo, la fronte leggermente aggrottata dalla preoccupazione.
“Almeno tu e papà siete durati sette anni, io e Lou non ci sposeremo nemmeno.”
Era passato un mese dall’incidente del vestito, e Harry era riuscito a farsene una ragione. Aveva perfino deciso di andare a cercare un abito alternativo per se stesso, giusto perché lui e Louis non sembrassero due ridicoli pinguini gemelli nel giorno del loro matrimonio – ce l’aveva davvero messa tutta per non cedere alle superstizioni.
E poi quella telefonata.
Avevano fatto confusione, avevano preso due prenotazioni per lo stesso giorno e avevano deciso di mantenere l’altra per puri motivi logistici, perché le persone che avevano deciso di tenere lo stupido pranzo per un altrettanto stupido battesimo avevano pagato con largo anticipo l’intera cifra richiesta per l’affitto di quello spazio. Insomma, lui e Louis erano rimasti fregati solo perché non erano ricchi abbastanza da potersi permettere di saldare quel conto astronomico in un’unica soluzione. Non esistevano più persone con un cuore a questo mondo? Come potevano dare la precedenza a un battesimo piuttosto che al suo matrimonio, al matrimonio di lui e Louis? Come se cinquant’anni più tardi quel bambino ormai nonno, avesse potuto ricordarsi del proprio battesimo e raccontare ai propri nipoti di com’erano belli i fiori che adornavano la scena, o di come fossero stati poetici i salici fra i quali erano stati posizionati i tavoli.
“Tesoro, mi dispiace tanto. Vedo se riesco a organizzarmi con Jay e domani andiamo di persona a capire se può essere trovata una soluzione, non fasciarti la testa.”
Harry si ritrovò a scuotere la testa in cenno di diniego, sapeva benissimo che sua madre e quella di Louis sarebbero state capacissime di sborsare di tasca loro una cifra superiore rispetto a quella pagata dagli altri pur di ridar loro la location perfetta, e non poteva assolutamente permetterlo. La pregò di lasciar perdere, che ci avrebbe pensato lui, e le promise che sarebbe tornato a Holmes Chapel per il weekend. Lei concluse la chiamata pregandolo di non andarci troppo pesante con Louis quando gli avrebbe comunicato la notizia. Le rispose di non preoccuparsi. Tanto non aveva nessuna intenzione di rendere noto a Louis che il suo matrimonio perfetto stava colando a picco.
 
***
 
Harry era felice che Louis fosse stato costretto a rimanere a Londra, visto che era fine mese e aveva un sacco di lavoro arretrato che sperava di recuperare quel sabato.
“Povero Louis, non è stato molto carino da parte tua piantarlo in asso così,” gli fece notare Gemma mentre infilava la testa in uno degli scomparti frigoriferi del supermercato e ne riemergeva con due scatole di pizza surgelata in mano.
Harry sbuffò.
Aveva passato tutta la settimana a mordersi la lingua, a fare buon viso a cattiva sorte e a resistere alla tentazione di ficcare nuovamente quattro vestiti nel borsone di Louis e andarsene di nuovo senza dirgli niente. Era stato bravo, ogni sera gli aveva fatto trovare una cena fumante in tavola, l’aveva ascoltato pazientemente mentre si lamentava del fatto che era pieno di lavoro fin sopra i capelli, l’aveva coccolato fino a farsi venire lui stesso il latte alle ginocchia, e la sera prima aveva addirittura accettato di uscire con lui, Liam e Niall – e inutile dire che l’argomento preferito di tutti e tre era l’incredibile festa che stavano organizzando post cerimonia e banchetto nuziale.
Nessuno di loro sapeva che avevano perso la villa, ma possibile che il matrimonio in sé interessasse solo a lui?
“Lo sai che Louis odia quel lavoro, poverino,” proseguì Gemma, infilando la testa in un’altro scomparto e uscendone con in mano una confezione di crocchette surgelate. Harry alzò gli occhi al cielo, se avesse sentito un altro membro della propria famiglia parteggiare per Louis in maniera così spudorata, era abbastanza sicuro che sarebbe corso all’anagrafe a farsi cambiare le generalità. “Poverino,” ripeté Gemma emergendo da un terzo scomparto con in mano due vaschette di gelato.
Okay, Harry si sentiva leggermente in colpa.
Leggermente.
Sapeva che Louis odiava il proprio lavoro e sapeva che lasciarlo solo per il weekend era stato un colpo basso, ma quando aveva promesso alla madre di tornare a casa non aveva idea del fatto che Louis non sarebbe potuto andare con lui, non ce l’aveva davvero. Il fatto che essere lì senza Louis in realtà lo avesse fatto sentire sollevato, era solo un altro motivo per il quale iniziava a sentirsi in colpa.
Fino a un anno e mezzo prima Louis allenava la sezione pulcini e quella dei ragazzi di un club di calcio della periferia di Londra. Ogni mattina si alzava entusiasta e motivato e ogni sera andava a dormire soddisfatto e col sorriso sulle labbra. Si era preso a cuore ognuno di quei bambini e ognuno di quei ragazzi come se fossero stati suoi figli. Tutti quanti loro sapevano di poter andare da lui per qualunque problema, e nel corso degli anni Harry si era ritrovato a distribuire cupcake e muffin fatti con le sue mani a un numero indefinito di loro che, soprattutto al sabato pomeriggio, bussavano alla porta del loro appartamento all’ora del tè nella speranza che Harry quella mattina non avesse avuto niente di meglio da fare che infornare dolci. Si sedevano sul pavimento del loro salotto e passavano ore a sfidarsi a Fifa, arbitrati da Louis che a un certo punto aveva addirittura comprato un’agenda appositamente per appuntarsi i punteggi di tutti a FIFA. Si trattava di una classifica che anno dopo anno era diventata motivo di orgoglio e infamia fra i suoi ragazzi, un po’ come la Coppa delle Case in Harry Potter. Poi dal nulla l’agenda di FIFA era stata chiusa in un cassetto, i muffin e i cupcake rimanevano lì – al punto che Niall aveva iniziato a fare delle improvvisate a casa loro, mirate a procacciarsi la colazione per tutta la settimana successiva – e Louis aveva iniziato a essere taciturno. Harry sapeva bene che quando Louis smetteva di assordare il mondo con le proprie stupidaggini, allora significava che l’apocalisse stava per scatenarsi su di loro. Aveva passato settimane a cercare di capire cosa stesse succedendo, ma Louis si era chiuso a guscio e non c’era stato verso di farlo parlare. Poi, in una fredda sera di dicembre, Louis era rincasato bagnato fradicio ma Harry aveva capito subito che anche se fuori si era scatenato un uragano, quelle che gli rigavano il volto non erano gocce di pioggia ma bensì lacrime. Non gli aveva chiesto nulla, l’aveva stretto forte a sé e poi l’aveva trascinato sotto la doccia nella speranza che il getto di acqua calda lo riscaldasse nel minor tempo possibile. L’aveva rivestito come se fosse un bambolotto e gli aveva asciugato i capelli. Gli aveva preparato una tazza di tè con un goccio di latte, l’aveva fatto sedere sul divano e aveva avvolto entrambi in una morbida coperta di pile. Louis l’aveva lasciato fare senza opporre resistenza, senza proferire parola. Gli unici suoni nell’appartamento erano stati la voce di Harry che lo guidava con amore da una parte all’altra della casa, i singhiozzi di Louis e lo scrosciare incessante della pioggia sui vetri delle finestre. Alla fine era rimasta solo la pioggia a rendere meno pesante il silenzio, Louis aveva smesso di piangere e Harry era rimasto a corto di cose da dire senza sentirsi un inutile idiota. Si erano addormentati sul divano così, e Harry era stato svegliato qualche ora più tardi dalla mano di Louis che gli tirava insistentemente la felpa. Era buio pesto nel loro soggiorno e Harry aveva impiegato qualche istante a capire dove si trovassero e a ricordare lo stato in cui Louis era tornato dagli allenamenti.
“Mi hanno cacciato,” aveva sussurrato Louis, la voce attutita dalla felpa di Harry nella quale aveva affondato il viso. “Mi hanno cacciato perché sono gay.”
Non aveva aggiunto nient’altro, si era limitato ad aggrapparsi a Harry con tutta la forza che aveva in corpo e a Harry si era spezzato il cuore.
Gli si era spezzato perché sapeva quanto Louis fosse orgoglioso del proprio lavoro.
Gli si era spezzato perché in un certo senso era lui la causa scatenante di tutto.
Gli si era spezzato perché nonostante questo, era a lui che Louis si stava aggrappando come se ne dipendesse la sua vita, come se fosse l’unica persona in grado di cancellare quell’incubo a occhi aperti che si era abbattuto su di lui.
La mattina dopo Louis gli aveva finalmente raccontato tutto, di come da mesi aveva iniziato a spargersi fra i genitori il pettegolezzo che lui e Harry potessero essere più che semplici coinquilini, di come alcuni di questi genitori avessero visto la sessualità di Louis come un pericolo per i propri figli, un cattivo esempio da sradicare dalle loro vite, di come avessero presentato reclamo ufficiale all’associazione calcistica e di come tutto fosse finito.
Louis aveva impiegato mesi – quasi un anno a dirla tutta - a trovarsi un altro lavoro, e Harry sapeva che per i primi tempi non ci aveva nemmeno provato. Quando Harry si era accorto che non avrebbero potuto continuare a permettersi Londra e quell’appartamento ancora per molto con il suo solo stipendio, erano iniziati i litigi. Ce n’era stato uno in particolare nel quale Harry aveva tentato di far ragionare Louis per l’ennesima volta e non era stata assolutamente sua intenzione fargli pesare nulla, era perfino disposto a fare i bagagli e andare a vivere altrove se questo avrebbe potuto aiutare Louis a riprendersi. Però era stato troppo brusco e Louis aveva frainteso le sue intenzioni, era salito in macchina ed era tornato a Doncaster, o almeno questo era quello che gli aveva fatto credere. Quella stessa notte aveva chiamato Harry in lacrime, l’aveva supplicato di non lasciarlo e gli aveva detto che gli dispiaceva per tutto quanto. Gli aveva anche detto di essere nel parcheggio due vie più in la rispetto al loro appartamento, che non era riuscito ad andare più lontano di così da lui, di avere un freddo cane e che se gli avesse preparato una tazza di tè caldo lui sarebbe stato a casa in meno di cinque minuti.
Quella era stata la notte in cui Louis gli aveva chiesto di sposarlo.
Erano abbracciati l’uno all’altro, seduti sul pavimento con la schiena appoggiata al divano e la solita coperta ad avvolgerli. Louis aveva tirato leggermente su la testa per riuscire a guardarlo negli occhi, e Harry ricordava di aver pensato che nonostante tutto quel casino, non avrebbe rinunciato a Louis nemmeno se gli avessero detto che doveva scegliere fra la propria vita e Louis – che comunque fossero andate le cose avrebbe sempre scelto Louis.
Anche se fossero finiti a vivere sotto a un ponte.
Sposami, gli aveva detto Louis.
Non era una domanda, sembrava più un comando che non ammetteva repliche.
Harry l’aveva stretto ancora più forte a sé e gli aveva detto che quella era la proposta di matrimonio peggiore nella storia delle proposte di matrimonio, e ricordò che Louis aveva alzato gli occhi al cielo irritato, si era alzato di scatto e l’aveva costretto a uscire nel cuore della notte senza nemmeno dargli il tempo di mettersi dei vestiti veri addosso. Louis aveva guidato per circa mezzora in una Londra deserta e silenziosa, fino a quando non aveva accostato bruscamente la macchina sul ciglio della strada – Harry era abbastanza sicuro che quello non fosse nemmeno un parcheggio – l’avesse trascinato fuori dall’abitacolo e l’avesse letteralmente spinto di fronte a lui costringendolo a camminare per circa cinquecento metri alla cieca. Fu solo quando sbucarono sul fiume che Harry si rese conto che erano sulla riva del Tamigi, la Tate dietro di loro.
Louis – in pantaloni del pigiama e felpa della tuta – si era inginocchiato di fronte a lui e gli aveva comandato di nuovo di sposarlo. Poi si era rialzato senza aspettare una risposta e l’aveva trascinato nuovamente alla macchina, dicendogli che ora dovevano fare sesso per festeggiare ed era stato crudele costringerlo a uscire di casa solo per una questione formale. Harry era riuscito finalmente a pronunciare quel solo qualche ora dopo, quando si era accasciato addosso a Louis sfinito ed entrambi avevano ancora il respiro corto. Era stata la proposta più assurda di sempre ma proprio perché erano lui e Louis, era stato un momento perfetto.
Due settimane dopo Louis era riuscito a trovare lavoro come revisore dei conti, facendo valere la laurea in economia che nessuno sapeva bene perché avesse preso, visto che odiava i numeri e la matematica.
“Hai intenzione di aiutarmi o cosa?” la voce di Gemma riportò improvvisamente Harry al presente, e vide la sorella ferma di fronte alla porta di casa con due sacchetti della spesa in mano, che lo fissava in attesa che lui le aprisse.
Forse, in fondo, Louis meritava di sapere che avevano perso la location per il matrimonio.
E forse non meritava che lui l’avesse lasciato solo a Londra con il proprio lavoro.
Sospirò e si diresse alla propria macchina, parcheggiata qualche metro più in la rispetto a quella di Gemma.
“Dì alla mamma che la chiamo più tardi, devo tornare a Londra,” le disse, e si infilò nell’abitacolo senza voltarsi indietro.
 
***
 
“Tadaaaannnn!” Liam girò lo schermo del proprio iPad verso Harry, con espressione trionfante. “Vedi? Sono composizioni che possono essere adattate a qualunque ambiente, interno o esterno. Zayn ti chiamerà più tardi per sentire il tuo parere, ma mi ha detto che prima riesci a fargli sapere il numero di tavoli e il tipo di ambiente, e prima riuscirà a piazzare l’ordine finale al suo fornitore. Ovviamente il grosso è già stato ordinato e pagato, quindi da questo punto di vista puoi stare assolutamente tranquillo. Louis mi ha detto che eri piuttosto nervoso negli ultimi giorni, per quello abbiamo pensato di mettere un po’ di pressione a Zayn per farti avere le foto delle composizioni, per tranquillizzarti. Io e Lou l’abbiamo pensato, intendo. Zayn ha passato tutto il fine settimana a comporre ciò che hai di fronte, io penso facciano un figurone questi fiori. Poi sai...”
Liam continuò a parlare a macchinetta, ma nelle orecchie di Harry le sue chiacchiere diventavano ogni istante di più un brusio lontano, molto lontano. Sentiva le tempie pulsargli violentemente e non avrebbe saputo dire se fosse stata rabbia, frustrazione oppure disperazione. Certo, le composizioni floreali che Liam gli stava mostrando con orgoglio – quasi le avesse fatte lui con le proprie mani – erano certamente artistiche ma, a meno che lui non fosse diventato daltonico nell’ultima mezzora, era abbastanza sicuro di star fissando delle foto che mostravano l’arredamento floreale per un matrimonio il cui tema era giallo.
Chi sceglieva il giallo come tema per un matrimonio? Al massimo quello sarebbe potuto essere il colore per un tea party, se proprio, ma anche lì avrebbe avuto da ridire. Di sicuro non era il colore scelto da lui e Louis, che avevano messo in chiaro fin dal principio che il loro matrimonio sarebbe stato verde e blu. Harry aveva perfino fatto qualche schizzo a Zayn per illustrargli la propria idea, schizzi colorati che non lasciavano molto spazio all’interpretazione – cosa gli era saltato per la testa di affidare una cosa così importante all’amico pakistano di Liam la cui famiglia aveva una piccola, minuscola, attività floricola e che di sicuro non era specializzata in matrimoni occidentali? Ah sì, Louis, ecco cosa gli era saltato per la testa. Louis e le sue chiacchiere sul fatto che fosse meglio affidarsi agli amici (degli amici) per cose così importanti, perché loro sì che si sarebbero presi a cuore la situazione e poi Zayn è uno a posto, lo sapresti se venissi più spesso alle nostre serate fra compari.
E poi cosa significava che Zayn aveva bisogno del nuovo numero dei tavoli? Gli invitati rimanevano sempre gli stessi anche cambiando location, quindi non è che i tavoli si sarebbero potuti moltiplicare o dimezzare per qualche sorta di miracolo divino. E c’era davvero bisogno di commentare Louis che andava in giro a dire che lui era nervoso? Harry non era nervoso, si rese conto che ormai non era più nemmeno arrabbiato. Disperazione, quel pulsare continuo alle tempie che gli stava offuscando anche la vista, era sintomo di disperazione allo stato puro. Chiuse gli occhi e inspirò profondamente, cercando di ritrovare un po’ di calma interiore prima di affrontare Liam, che stava ancora parlando a raffica come se nulla fosse e tutto stesse andando esattamente come doveva andare.
Si ricordò di come la settimana prima avesse mollato sua sorella e sua madre in asso per il weekend, solo per tornare a Londra a fare da supporto morale a Louis. Gli aveva cucinato una cena che nemmeno alla corte del Re Sole, e Louis cosa aveva fatto? Uscito dall’ufficio era passato a prendere Liam e i due se n’erano andati a guardare la partita al bar, fra un hamburger e una birra. O forse anche tre o quattro birre. E un paio di superalcolici. Fatto stava che Louis era rincasato all’alba dell’una di notte, e aveva trovato Harry seduto al buio, in cucina, che fissava irritato la tavola imbandita di fronte a lui. Potevi avvisarmi, l’aveva liquidato l’altro evidentemente alticcio, prima di andare a buttarsi sul letto con ancora tutti i vestiti addosso. No, non poteva avvisarlo, perché se l’avesse avvisato la sua sorpresa non sarebbe più stata una sorpresa. Harry l’aveva seguito in camera da letto, si era avvolto nelle coperte senza scomporsi e gli aveva reso noto che avevano perso la villa a favore di un battesimo. Louis mugugnò qualcosa di incomprensibile e meno di un minuto dopo si era addormentato pacifico e beato, come se non ci fosse nulla al mondo a turbarlo. La mattina dopo, quando si era alzato, Harry l’aveva trovato seduto in cucina che faceva colazione con il risotto alle zucchine che aveva preparato lui la sera prima e una tazza di tè con dentro un goccio di latte. Gli si era seduto davanti e l’aveva fissato per cinque minuti buoni aspettando che Louis commentasse la notizia che gli aveva dato la notte prima, ma l’unica preoccupazione del ragazzo sembrava essere quella di riempirsi lo stomaco.
“Hai capito che abbiamo perso la villa?” gli aveva chiesto con un tono di tre ottave più alto del normale, rompendo il silenzio
“Harold sono le sette del mattino, non è un po’ presto per agitarsi?” era stata la risposta di Louis. A parte il fatto che erano le dieci passate, ma Harry aveva sentito il sangue salirgli al cervello mentre lo guardava alzarsi e andare a riempirsi di nuovo il piatto di cibo. “Comunque lo sapevo già, me l’ha detto Anne. Stavo solo aspettando che ti decidessi a rendermene partecipe,” aggiunse sedendosi nuovamente di fronte a lui.
“Non mi sembri preoccupato.” Harry inarcò un sopracciglio con fare irritato mentre tentava di fare training autogeno per non saltargli alla gola. Prese anche mentalmente nota di fare un discorsetto alla madre - che evidentemente aveva dei seri problemi a capire chi fra loro due fosse il figlio biologico, e chi invece il disgraziato che stava per acquisire come genero.
“Tanto ci sei tu a preoccuparti per entrambi, giusto, Harold? Non sembra nemmeno il nostro matrimonio, ma il tuo. Vuoi fare tutto tu perché sei più bravo e organizzato di me? Accomodati pure, meno lavoro per me,” fece spallucce Louis infilandosi una forchettata di riso in bocca.
Harry si era alzato di scatto, era andato a infilarsi quattro vestiti addosso ed era uscito di casa senza proferire parola, perché sapeva che se avesse aperto bocca ne sarebbero usciti solo insulti e che se fosse rimasto lì, avrebbe finito con l’uccidere a mani nude il suo futuro marito. Louis dal canto suo aveva continuato imperterrito a mangiare riso a colazione.
Così avevano passato il paio di giorni seguenti a parlarsi a monosillabi ed evitarsi il più possibile – o meglio, lui evitava Louis, e lui rivolgeva a Louis il minimo indispensabile di parole giornaliere, perché Louis in realtà era tranquillissimo e in pace col mondo.
E adesso Liam di fronte a lui non la smetteva di parlare, e parlare, e parlare e lui sentiva che se non si fosse zittito avrebbe finito per mettergli le mani addosso. Okay, forse non era poi così vero che la rabbia non faceva parte di lui.
“Dì a Zayn che è licenziato,” lo interruppe bruscamente. “Anzi, sei licenziato anche tu. E anche Louis. Non voglio più vedere né sentire nessuno di voi, ci sposiamo fra un mese e mezzo e l’unico a cui sembra importare qualcosa sono io!” Liam si zittì di colpo e a Harry sembrò quasi di vedergli la mascella crollare a terra in slow motion dallo stupore.
“Divertente,” replicò dopo qualche istante ridendo, ma c’era una nota di isteria nella sua voce.
“E dì al tuo amico Louis che se il giorno delle nozze non si presenta puntuale nel posto che gli comunicherò, può anche dimenticarsi della mia esistenza. Ora, se non ti dispiace, ho il mio fottutissimo matrimonio da salvare.” Harry si alzò dal divanetto di Starbucks sul quale erano seduti e se ne andò senza aspettare la risposta dell’amico. Louis voleva che facesse tutto da solo in modo da non doversi stressare in prima persona? Perfetto. Aveva un mese e mezzo di tempo per salvare la situazione e, quant’era vero che si chiamava Harry Edward Styles, avrebbe avuto il suo dannato matrimonio perfetto.
 
***
 
Harry chiuse la chiamata e posò il telefono sul pavimento sul quale era seduto a gambe incrociate. Prese l’agenda che teneva aperta di fronte a sé e spuntò un’altra voce dall’elenco delle chiamate che doveva fare quella mattina: aveva chiamato la banca chiedendo di congelare l’assegno circolare che avevano staccato per l’anticipo dell’affitto della villa, e che fortunatamente non era ancora stato incassato - il tutto perché stavano facendo storie per la restituzione dei soldi, accampando le scuse più disparate. Sicuramente non sarebbe finita lì, ma per ora i loro soldi erano virtualmente al sicuro, e solo il cielo sapeva di quanto avrebbero finito per sforare dal budget ora che dovevano – doveva – riorganizzare tutto dall’inizio. Poi aveva chiamato un’amica di sua madre che lavorava nell’ambito dell’organizzazione eventi da più di vent’anni, che dopo aver fatto a sua volta un paio di chiamate per controllare la disponibilità delle date, gli aveva consigliato un ristorante con un ampio giardino esterno molto ben curato a Castleton. Non era esattamente il giardino della villa che avevano perso – e sicuramente non aveva lo stesso significato emotivo – ma Castleton era circa a metà strada fra Holmes Chapel e Doncaster, e in più il proprietario del ristorante – e quella era stata la terza telefonata – gli aveva detto che volendo potevano ricavare uno spazio anche per la cerimonia, risolvendogli un ulteriore problema. Erano rimasti d’accordo che quel fine settimana Harry sarebbe andato a vedere di persona, ma l’uomo all’altro capo del telefono gli era sembrato molto disponibile e le foto che aveva trovato in internet l’avevano ispirato subito, quindi era abbastanza fiducioso. Infine aveva chiamato un paio di fiorai per fissare un appuntamento – sempre nel fine settimana – e cercare di sistemare anche la faccenda fiori. Sicuramente stavolta si sarebbe assicurato che l’arredamento floreale del suo matrimonio fosse curato da dei professionisti, e non da uno dei compagni di bevute di Louis e Liam.
Tutto sommato era stata una mattinata produttiva e la giornata di permesso che aveva preso dal lavoro stava dando i risultati sperati. Si guardò intorno e annuì soddisfatto alla lavagnetta che aveva momentaneamente appeso al muro di fronte a sé, e sulla quale aveva segnato a grandi linee tutte le cose di cui doveva occuparsi, poi iniziò a raccattare tutti i fogli che aveva sparso sul pavimento pieni di preventivi e di altre liste di cose da fare a cui avrebbe pensato nel pomeriggio – per ora poteva anche concedersi un pranzo veloce.
Aprì il frigorifero e scoppiò a ridere quando vide un biglietto attaccato all’ultima coppetta di budino rimasta, sul quale c’era scritto semplicemente ‘di Niall’. Vivere con Niall – perché era lì che si era trasferito dopo aver decretato che le redini di quel matrimonio sarebbero passate al cento per cento nelle sue mani – era fin troppo semplice per lui che era abituato a tutto il chiasso, tutto il disordine e tutti i guai che combinava Louis. Niall era probabilmente il coinquilino perfetto, bastava non toccargli il suo prezioso cibo e diventava praticamente impossibile avere alterchi con lui. Eppure – nonostante Niall fosse a favore dei turni ai fornelli, fosse pulito e ordinato, sapesse avviare una lavatrice e fosse in grado di rispettare gli spazi altrui – doveva ammettere che Louis gli mancava da morire, ed era passata una misera settimana e mezza da quando se n’era andato di casa per riuscire a salvare quello stupido matrimonio. Cucinare per Niall non era come cucinare per Louis: Niall si buttava su tutto ciò che Harry gli metteva nel piatto già solo per il motivo che si trattava di cibo commestibile, Louis si buttava su tutto ciò che Harry gli metteva nel piatto perché era stato cucinato da Harry appositamente per lui, con tutto l’amore del mondo. Niall non aveva bisogno del babysitter che passasse parte della propria giornata a raccattare i suoi vestiti sporchi e buttarli nella lavatrice separando i bianchi dai colorati con cura, ma gli mancava Louis che si infilava le sue felpe troppo grandi per lui con la scusa di non avere vestiti puliti, e ci si accoccolava dentro lasciandosi coccolare dall’odore di Harry quando aveva giornate particolarmente difficili. Gli mancava essere svegliato nel cuore della notte da un Louis insonne che andava in salotto a giocare a Fifa e finiva per fare un casino che nemmeno allo stadio. Gli mancavano le serate passate a chiacchierare, o a guardare un film, o a non fare niente tranne starsene uno fra le braccia dell’altro a godersi la reciproca vicinanza. Gli mancava perfino litigare con Louis, gli mancavano i suoi modi di fare chiassosi e irriverenti, gli mancava Louis.
C’erano stati dei momenti nel corso degli ultimi giorni, in cui aveva pensato che in fondo non ne valesse la pena. Che avrebbero potuto prendere un aereo, volare a Las Vegas, farsi sposare da un tizio ubriaco che aveva perso tutti i propri soldi non più di due ore prima al casinò più vicino, e risparmiarsi tutti quei problemi e quelle discussioni. Che magari era la sua fissazione per il matrimonio perfetto ad aver incasinato tutto. Che forse a rendere quel giorno perfetto non sarebbe stata l’organizzazione, ma il semplice fatto che sarebbero stati lui e Louis nella loro bolla felice. Avrebbe voluto chiamare sua madre per esternarle tutti quei pensieri, ma non aveva voglia di sentirla schierare nuovamente dalla parte di Louis.
O forse, vedere che la sua famiglia era così apertamente pro Louis gli riempiva solo il cuore di gioia – perché lo faceva sentire ancora più vicino a lui - ma non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura.
 
***
 
“Okay, questo forse è colpa mia,” esordì Louis entrando nell’ufficio di Harry, che inarcò un sopracciglio con aria interrogativa. Non lo vedeva da giorni e sapeva bene che per Louis era quasi impossibile prendere un permesso dal lavoro quindi, di qualunque cosa si trattasse, immaginava che non gli sarebbe piaciuto ciò che stava per sentire. “Hai presente il menù per il pranzo? Quello che avevamo scelto?”
“Sì...” rispose Harry, aspettandosi che da un momento all’altro Louis si slacciasse il giubbino rivelando una bomba a orologeria pronta a scoppiargli in faccia.
“A dire il vero sarebbe più giusto dire quello che tu hai scelto da solo, ma ti ringrazio per essere stato così magnanimo da mettermene a conoscenza, almeno so di quanti e quali tipi di intossicazione alimentare rischierò di morire nel mio grande giorno e poi-”
Louis!” lo interruppe Harry esasperato.
“Guarda come ti agiti per niente, devi rilassarti, dico sul serio. Comunque... ecco... diciamo che quando mi hai chiesto di inoltrare il menù definitivo al ristorante, per sbaglio ho allegato la parte vegana che avevamo scartato, e ora si stanno attrezzando per farci un banchetto tutto vegano.” Harry non era sicuro di aver sentito bene.
Innanzitutto il loro menù prevedeva una piccola scelta vegana perché alcuni dei loro amici erano vegani, ma Harry aveva detto chiaro e tondo al proprietario del ristorante che dovevano essere giusto due piatti di numero, per non mancare di rispetto a nessuno, quindi non capiva come quest’ultimo potesse aver creduto che improvvisamente avessero optato per fare tutto vegano. Secondariamente, aveva dato a Louis un solo compito, uno, e non era riuscito a fare nemmeno quello. Non gli sembrava difficile inviare una mail con allegati due file, esattamente come gli sembrava assurdo che il proprietario del ristorante non avesse battuto ciglio di fronte a quell’improvviso cambio di rotta
“Bene, io devo tornare al lavoro,” aggiunse Louis indietreggiando cautamente, senza mai perdere il contatto visivo con lui. Quasi che se avesse sbattuto anche solo mezza volta le palpebre, Harry gli si sarebbe fiondato alla gola colmando in un battito di ciglia lo spazio che li separava, letteralmente. Peccato che Harry fosse rimasto freddato sul posto e avesse perfino perso l’uso della parola.
A questo punto non riusciva più nemmeno a capire se quelle disgrazie a raffica gli stessero piovendo addosso per colpa di Louis che non era stato in grado di rispettare le tradizioni, o se fossero semplicemente nati maledetti.
 
***
 
“Okay, ricapitoliamo,” disse Harry emettendo un sospiro di frustrazione mentre fissava dritti negli occhi Niall, sua madre e Gemma a turno.
“Tesoro, dovresti rilassarti,” gli disse Anne sfogliando il bloc-notes sul quale Harry aveva appuntato pagine, e pagine, e pagine, e pagine di cose da fare e controllare.
“Oggi pomeriggio io andrò con Gemma a Castleton a vedere se riesco a rimediare al casino del menù. Capisco che loro debbano organizzarsi con un po’ di anticipo ma non è che cucinino la roba con tre settimane di anticipo, giusto?” Fissò nuovamente a turno tutti i presenti, che si scambiarono delle occhiate fra di loro invece di rispondergli. “Giusto?” ripeté alzando di mezza ottava il tono di voce.
“Non dovrebbe esserci Louis qui al mio posto?” chiese Niall.
Pazienza, Harry doveva aggrapparsi all’ultimo briciolo di pazienza rimasto nell’intero universo.
“No, Horan. Tu sei il mio testimone, ed è un tuo preciso dovere aiutarmi,” rispose cercando di essere diplomatico.
“Ma Louis è lo sposo. L’altro sposo, intendo. Perché anche tu sei uno sposo. Insomma, non lo vedo molto coinvolto in questa organizzazione. E poi-“
Appunto,” sottolineò Harry interrompendolo. Il problema era proprio quello, ovvero che Louis non era poi così coinvolto nell’organizzazione di quel matrimonio, o nessuno di quei guai sarebbero capitati.
Innanzitutto, se avesse seguito le sue linee guida, non gli avrebbe mai e poi mai sventolato sotto al naso il proprio vestito di nozze. Se non fosse rimasto senza lavoro per quasi un anno, non avrebbero avuto problemi a saldare il conto della villa e non avrebbero perso la loro location perfetta. Okay, forse questo era un pensiero cattivo, ma se Louis non si fosse intestardito ad assumere come fiorista il suo stupido compagno di bevute che sembrava uscito da un ghetto per gente disagiata, non avrebbero avuto problemi con i fiori. Se Louis avesse prestato più attenzione ai menù, anche quel problema si sarebbe potuto evitare. Infine, se Louis avesse mostrato un minimo di interesse – generalmente parlando – per quel matrimonio, ora Harry non si sarebbe sentito così frustrato, triste e disperato. Anche se fosse riuscito a sistemare tutto, con che spirito si sarebbe presentato all’altare sapendo che per Louis quel matrimonio non contava quanto per lui? Con che spirito avrebbe ascoltato qualcuno dichiararli marito e marito, sapendo che Louis se n’era tirato fuori con nonchalance?
“Sei stato tu a estromettere Louis, non dimentichiamocelo,” affermò Gemma rompendo il silenzio che era calato nella stanza, e Harry decise che non ne poteva più. Non ne poteva più di sentire la propria famiglia difendere Louis a spada tratta, non ne poteva più di passare per il cattivo della situazione quando l’unica cosa che desiderava era un giorno perfetto – e non lo desideravano tutti in fondo? E non ne poteva più di stare lontano da Louis, e non solo fisicamente. Paradossalmente ciò che avrebbe dovuto unirli ancora di più – ovvero la strada verso il loro matrimonio – era diventato ciò che li stava dividendo e di nuovo, Louis la stava prendendo molto meglio di lui a giudicare dal fatto che nel proprio tempo libero invece di crucciarsi per lui, se ne andava a giocare a calcetto con Liam, o a bere con Liam, o a ingozzarsi di cibo spazzatura con Liam al punto che non sarebbe più nemmeno entrato in quello stupidissimo abito di nozze.
“Louis si è auto estromesso, altre obiezioni?” commentò laconico.
“Harry, tesoro-“
Mamma. Se stai per dire qualcosa, qualunque cosa, che comprenda il nome di Louis, evita.”
Anne fece per aprire nuovamente la bocca, ma poi sembrò ripensarci e si chinò verso Gemma sussurrandole qualcosa nell’orecchio. Niall – che probabilmente era riuscito a sentire – annuì in cenno di approvazione, poi si misero tutti e tre a fissarlo come se fosse lui quello fuori posto. Ne aveva ufficialmente abbastanza.
“Sapete che vi dico? Dimenticavi di tutto quanto,” così dicendo strappò dalle mani della madre il proprio bloc-notes, recuperò l’iPad che aveva lasciato sul tavolo e salì in camera sua. Chissà cosa gli era passato per la testa quando aveva indetto quella riunione strategica a Holmes Chapel e si era portato dietro Niall – ormai iniziava a capire molto bene il detto ‘chi fa da sé fa per tre’.
Si buttò a pesce sul proprio letto, quel letto che aveva visto la prima volta di lui e Louis e tantissime altre cose, e soffocò un urlo nel cuscino. E fu solo allora che si rese conto di una cosa: aveva disdetto la prenotazione dello smoking bianco per non risultare ridicolo di fianco a Louis vestito anche lui di bianco, ma non aveva ancora scelto un altro abito. Mancavano tre fottutissime settimane al matrimonio e stavolta l’inghippo se l’era creato completamente da solo.
 
***
 
“Oh, guarda chi è tornato all’ovile,” commentò Louis trovandolo sdraiato sul divano del loro soggiorno, con la coperta di pile tirata fin sopra la testa. Harry lo sentì togliersi il cappotto e buttarlo con noncuranza su una sedia e dal suo tono di voce comprese che aveva avuto una giornata pesante al lavoro. Lui invece aveva preso l’ennesimo permesso – era abbastanza sicuro che alla prossima richiesta di un giorno libero gli avrebbero indicato la porta, invitandolo cortesemente ad andarsene per sempre dalla casa editrice – aveva fatto il giro di otto atelier diversi di Londra, non aveva trovato nessun abito che gli urlasse di essere quello giusto come era successo con lo smoking bianco, e alla fine era tornato al punto di partenza chiedendo di poter riprovare la sua prima scelta. Peccato che nel momento in cui lui aveva sbloccato l’abito, avessero impiegato meno di due giorni per piazzarlo a qualcun altro e che il nuovo acquirente l’avesse già ritirato dicendo che avrebbe pensato da solo alle eventuali modifiche sartoriali. Sì, potevano ordinarglielo. No, non sarebbe stato disponibile prima di un mese.
Dovevano sposarsi fra due settimane e mezzo e lui – dopo essersi fatto in dieci per sistemare all’ultimo location, addobbi e menù – era senza vestito. Il che, tecnicamente, lo rendeva un disastro ambulante peggiore di Louis.
“Forse in fondo non è destino,” mugugnò attraverso la coperta.
Prego?” la voce di Louis gli arrivò da vicinissimo e uscì fuori dal suo rifugio quel tanto che bastava per vedere che l’altro era seduto sul pavimento, a pochi centimetri di distanza dal divano, e lo stava fissando.
“Dai Lou, sta andando tutto a rotoli. A questo punto non è nemmeno colpa tua, l’universo ci odia.” Harry sentì che gli si stava formando un magone in gola e si nascose nuovamente sotto alla coperta.
“Non è mai stata colpa mia,” affermò l’altro con tono piccato, arrampicandosi sul divano e costringendolo a fargli spazio sotto alla coperta. L’improvvisa vicinanza del corpo di Louis fu la goccia che fece traboccare definitivamente il vaso di tutto ciò che covava dentro, e Harry si ritrovò a piangere in silenzio nascosto nella camicia di Louis. In qualche parte del suo cervello trovò lo spazio per chiedersi se Louis avesse ancora camice pulite per andare a lavorare, se si fosse fatto la biancheria da solo in quell’ultimo periodo o se avesse portato tutto in lavanderia – o a Liam, cosa più probabile – e se i polsini e il colletto fossero stati stirati con tutto l’amore che ci metteva lui.
“Sono senza vestito,” si decise a dirgli dopo qualche minuto di silenzio.
E Louis scoppiò a ridere.
Rise così spontaneamente e così di gusto, che si ritrovarono entrambi a rotolare giù dal divano. Impiegarono un paio di minuti buoni a riuscire a srotolarsi dalla coperta e quando ci riuscirono, Louis stava ancora ridendo. Ed era così bello, e così spontaneo, e così Louis, che Harry si unì inconsapevolmente a quella risata, e risero fino a rimanere entrambi senza fiato. Poi Louis lo baciò, e santissimo cielo, quanto gli erano mancate le labbra di Louis. Come aveva potuto permettere che uno stupidissimo matrimonio si mettesse così fra loro, come aveva potuto rischiare di incrinare quella perfezione che non aveva bisogno di nient’altro per essere per l’appunto perfetta?
“Possiamo anche non sposarci,” sussurrò a Louis a fior di labbra.
“Okay,” replicò Louis riprendendo a baciarlo, e c’era una vocina nella testa di Harry che gli diceva che avrebbe dovuto rimanerci male per la facilità con la quale l’altro aveva accettato l’annullamento del matrimonio, ma poi ce n’era un’altra che invece gli urlava che tutto ciò di cui aveva bisogno era lì, fra le sue braccia, e un pezzo di carta non avrebbe cambiato nulla fra loro.
Le mani di Louis scivolarono sotto la sua felpa e quando le sentì sulla propria pelle nuda, improvvisamente lo assalì la consapevolezza di quanto Louis gli fosse effettivamente mancato e si sentì ancora più stupido.
“Lou,” gli disse mentre gli sbottonava la camicia, senza staccarsi dalle sue labbra.
“Le scuse dopo,” tagliò corto l’altro sfilandogli la felpa.
Harry sorrise, attirandolo ancor più a sé perché non voleva nemmeno un millimetro di spazio a separarli.
 
***
 
“Eddai Haz, svegliati!”
Qualcuno gli stava scuotendo il braccio, mentre qualcun altro si buttava prepotentemente sul letto facendogli venire il mal di mare.
“Harry, Harry, Harry?”
Una seconda voce, che veniva da vicinissimo eppure allo stesso tempo gli sembrava lontana, perso com’era in un sogno a cui cercava di rimanere aggrappato ma che stava già svanendo, andando a nascondersi nuovamente nel suo subconscio.
“Fagli il solletico.”
“Così?”
“Esatto.”
Harry si svegliò di scatto quando quattro mani presero a fargli il solletico in contemporanea. Si sentiva stordito e aveva l’impressione di non aver dormito più di cinque minuti, ma ricordava comunque benissimo che giorno fosse.
Il giorno del suo matrimonio.
O per meglio dire, quello che avrebbe dovuto essere il giorno del proprio matrimonio con Louis, se lui e Louis fossero stati in grado di organizzarne uno.
Invece sarebbe stato solo un sabato come tanti altri, anzi, perfino più noioso di tanti altri visto che la sera prima Louis aveva deciso all’ultimo di tornare a Doncaster per il weekend e si era messo in macchina senza nemmeno chiedergli se gli andasse di andare con lui. Harry sospettava che la decisione estemporanea del compagno fosse scaturita dal desiderio di stare il più possibile lontano da lui nel giorno del loro non matrimonio, quasi temesse che Harry ricominciasse a rinfacciargli la storia del vestito, delle tradizioni, della villa, dei soldi, dei fiori, del menù e di qualunque altra cosa fosse andata storta negli ultimi mesi, ma il fatto era che Harry ci aveva messo una pietra sopra. Si era messo l’anima in pace, si era rassegnato all’idea che magari non fosse destino che andassero in giro con le fedi al dito – non a quel punto delle loro vite quantomeno – e aveva deciso di lasciarsi tutta la faccenda alle spalle, se questo significava ricominciare a vivere la sua vita felice con il suo Louis.
“Vestiti, è tardissimo,” gli intimò Niall lanciandogli addosso un paio di jeans e Harry si accorse finalmente di lui. E di Liam, sdraiato di fianco a lui che rideva.
“Cosa ci fate qui?” chiese confuso.
“Come cosa ci facciamo qui? Hai già dimenticato i nostri piani per il weekend?” Liam sembrava offeso. Niall gli lanciò addosso anche una felpa, dopo aver frugato per bene nel suo armadio.
Harry non ricordava di avere piani per il weekend, il suo unico piano era quello di starsene a letto accoccolato a Louis, ma Louis l’aveva mandato all’aria con la sua improvvisa voglia di rivedere casa.
“Io, tu, Holmes Chapel?” disse Niall, lanciandogli anche una maglia a mezze maniche.
“E io mi sono aggregato, visto che Anne fa le torte più buone del mondo e non ho nulla di meglio da fare,” aggiunse Liam.
Harry sbatté le palpebre una paio di volte, sempre più confuso.
E comunque, che ora era? Fuori sembrava ancora buio pesto.
“Dai Haz, faremo tardissimo se non ti vesti,” così dicendo, Liam lo spintonò verso il bordo del letto.
Harry lanciò un’occhiata alla sveglia che c’era sul comodino di Louis, perché aveva l’abitudine di dormire dalla sua parte del letto quando lui non c’era, giusto per sentirsi meno solo.
Segnava le quattro e dieci. Del mattino.
“Siete impazziti?!” esclamò tentando di rimettersi sotto alle coperte, ma Niall fu più veloce di lui e glielo impedì, sfilandole completamente dal letto e buttando tutto sul pavimento.
E comunque, come avevano fatto a entrare nel suo appartamento? Harry era abbastanza sicuro che l’unica persona ad avere una copia delle chiavi fosse Lottie, una delle sorelle di Louis, che si era trasferita qualche anno prima a Londra per lavoro.
“Il tempo di vestirti e di saltare in macchina e saranno già le cinque. Consideriamoci fortunati se arriveremo ad Holmes Chapel per le otto, è tardissimo!” Liam gli diede un’altra spinta e stavolta riuscì a buttarlo giù dal letto.
Harry era consapevole che tutto ciò fosse assurdo, ma in qualche maniera i due riuscirono a costringerlo a vestirsi e lo caricarono in macchina di Liam, sul sedile posteriore – gli allacciarono perfino la cintura di sicurezza come avrebbero fatto a un bambino di sei anni. Harry appoggiò la testa al finestrino, rassegnato, e tirò fuori il cellulare.
 
Se ti dicessi cosa mi sta succedendo...
 
Venti secondi dopo gli arrivò la risposta di Louis.
 
Sei stato rapito nel bel mezzo della notte dai Niam? (:
 
Harry si grattò la testa, ancora più confuso di prima.
 
Tu cosa ne sai? E comunque, che ci fai sveglio?
 
La risposta di Louis arrivò in un battito di ciglia.
 
Calcetto in notturna con Stan :P Adesso doccia, ci sentiamo (:
 
Ci sentiamo? Per chi l’aveva preso? E cosa mai poteva avere da fare alle cinque e venti del mattino di così urgente da impedirgli di parlare con lui? E non pensasse che Harry non si fosse accorto del fatto che aveva bellamente evitato di spiegargli come facesse a sapere che i Niam lo avevano rapito.
 
LOUUUUUU
 
Stavolta la risposta arrivò più di un’ora dopo, mentre lui, Liam e Niall erano seduti a uno Starbucks appena fuori Londra a fare una colazione veloce – e solo perché lui si era impuntato.
 
Davvero Haz ho un sacco di cose da fare, a dopo!
 
“Stupido Lou,” borbottò sorseggiando il suo cappuccino, senza mancare di notare l’occhiata che si scambiarono Liam e Niall. “Tenetevi tutti quanti i vostri segreti,” aggiunse rivolto ai due amici.
Il resto del viaggio passò con Niall che faceva zapping fra una stazione radio e l’altra, cantando a squarciagola i tre quarti delle canzoni, e Liam che gli andava dietro inserendoci pezzi rap inventati sul momento. Lui, dal canto suo, si era lasciato sprofondare nel sedile posteriore e stava consumando la batteria del cellulare a furia di continuare a ripetere lo stesso dannato livello di Bubble Witch Saga, che non voleva saperne di lasciarsi passare. Trovarono un incidente nei pressi di Birmingham, che li rallentò parecchio nonostante il traffico di quell’ora del sabato mattina fosse pochissimo, si fermarono nuovamente per una sosta a meno di mezzora da Holmes Chapel perché lui si era impuntato sul fatto che non poteva aspettare nemmeno un minuto in più per andare in bagno – e no, non doveva nemmeno andarci in bagno, l’aveva fatto semplicemente per ricordare al mondo la sua esistenza – e alla fine arrivarono a Holmes Chapel alle otto e mezza passate.
Harry non si accorse di nulla, non fino a quando Liam non parcheggiò poco distante da casa sua.
Fu allora che assimilò un sacco di dettagli tutti insieme: le strade del piccolo paesino erano già vivissime, molto più vive di quanto non le avesse mai viste in tutta la sua vita. Sembrava il fermento delle grandi occasioni, delle feste a cui tutti volevano partecipare, peccato che a Harry non risultasse ci fosse qualche evento in programma. Poi notò che la porta d’ingresso di casa sua era spalancata e che all’interno sembrava esserci parecchio movimento. C’erano anche le decorazioni, la facciata della casa di Harry era tutta addobbata a festa, e l’ultima – e unica – volta che Harry l’aveva vista così, era stata in occasione del secondo matrimonio di sua madre, avvenuto ormai otto anni prima. Infine notò la Mini rossa parcheggiata proprio davanti a loro, e anche se non riusciva a leggere la targa l’avrebbe riconosciuta a colpo d’occhio fra altre mille Mini rosse, perché era quella di Louis – quella che si era comprato in memoria della Mini di terza mano che l’aveva accompagnato in così tante avventure. Liam e Niall si erano girati a guardarlo, e i loro visi erano illuminati da due sorrisi uno più immenso dell’altro.
“Sopresa!” esclamò Niall scendendo dalla macchina e dandogli una pacca sulla spalla.
Harry si sentiva perfino più stordito di quando l’avevano svegliato ore prima facendo irruzione nel suo appartamento, e si lasciò trascinare in casa senza opporre resistenza.
“Tesoro, finalmente! Vi aspettavamo almeno un’ora fa.” Era sua madre, che gli era corsa incontro e ora lo stava abbracciando commossa. “Su, su, abbiamo un sacco di cose da fare e troppo poco tempo, in camera tua giovanotto!”
Nonostante ora lo stessero trascinando di peso in camera sua, Harry aveva fatto a tempo a notare tutta un’altra serie di dettagli: dalla finestra del soggiorno che dava sul retro e sul loro giardino, era riuscito a scorgere tutta una serie di tavolini bianchi, e avrebbe giurato che ognuno fosse decorato con un enorme mazzo di fiori verdi e blu. In soggiorno regnava il caos, ci saranno state almeno una trentina di persone che inciampavano l’una sull’altra sbrigando ognuna qualcosa di diverso, ma Harry era sicurissimo di aver visto Phoebe e Daisy – le sorelle minori di Louis – e di aver sentito la voce della madre di Louis provenire dalla cucina, che dispensava ordini senza ammettere repliche. Aveva riconosciuto anche la risata di Stan, che proveniva da qualche angolo remoto della casa e il giubbino di jeans appeso all’ingresso era di Louis, anche su questo ci avrebbe messo la mano sul fuoco anche se l’aveva solo intravisto. E nonostante il suo cervello si rifiutasse di elaborare il pensiero, sentiva chiaramente lo stomaco del suo subconscio che si attorcigliava dall’emozione.
In camera sua venne accolto da Gemma che gli saltò al collo urlando di gioia.
“Congratulazioni fratellino, non posso credere che finalmente ci siate riusciti!”
Liam aprì l’armadio di Harry e ne tirò fuori un vestito avvolto nel cellophane.
“Q-questo è i-il mio abito,” balbettò Harry incredulo.
“Louis mi ha mandato a comprarlo non appena ha scoperto che avevi annullato la prenotazione, ovvero due giorni dopo che l’hai fatto.”
“Come faceva a sapere che-“
“Che fosse questo? Non lo sapeva. Mi ha detto ‘chiedi uno smoking bianco e dai le misure di Harry, non può aver scelto nient’altro, fidati’.”
Harry si ricordò improvvisamente di quella notte di così tanti anni prima, quando avevano dormito sotto alle stelle in un sacco a pelo, dopo che la macchina di Louis li aveva lasciati a piedi ed erano finiti con l’imbucarsi a un matrimonio. Quella notte gli aveva detto che sognava un matrimonio in smoking bianco. Sfiorò il cellophane nel quale era avvolto l’abito, il suo abito, stupito di come così tanti anni dopo, Louis si ricordasse ancora di quel dettaglio che all’epoca era assolutamente insignificante per le loro vite.
Liam stava ancora sorridendo e Niall aveva gli occhi lucidi.
“Come faceva a sapere che avevo disdetto l’abito? Non l’ho detto a nessuno, nemmeno a mia madre.”
“Ti ha tenuto monitorato per tutto il tempo. Mi chiamava venti volte al giorno per sapere ogni tuo singolo spostamento, e assillava quotidianamente anche tua madre e Gemma,” fu Niall stavolta a rispondergli, la voce rotta dall’emozione.
“Quando ha capito che stava andando tutto definitivamente a rotoli, ha messo in azione il piano B,” aggiunse Liam. “Ci ha convocati tutti nel vostro appartamento. Me, Niall, tua madre, Gemma e sua madre. Ci ha detto che cascasse il mondo, dovevi avere il tuo matrimonio perfetto. E che dovevi averlo oggi, perché era quello che ti aveva promesso.”
Harry sentiva le lacrime pungergli prepotentemente agli occhi.
Era a casa sua, a Holmes Chapel.
C’erano tutti i suoi amici d’infanzia, la sua famiglia, gli amici che aveva guadagnato nel corso del tempo. C’erano tutti gli amici d’infanzia di Louis, la sua famiglia e gli amici che si era guadagnato nel corso del tempo.
E Louis, poi c’era Louis.
Louis che aveva finto indifferenza ai preparativi del matrimonio.
Louis che aveva finto di cedere senza protestare all’annullamento dello stesso.
Louis che quando tutto era precipitato, aveva preso in mano la situazione senza dirgli nulla e aveva organizzato un intero matrimonio praticamente da solo.
Non doveva fare altro che indossare lo smoking che Liam stava ancora tenendo fra le mani, uscire dalla sua stanza, percorrere la navata improvvisata nel suo piccolo giardino e dire sì, sì lo voglio.
Sarebbe diventato il signor Tomlinson, o Louis il signor Styles. Non ne avevano mai parlato veramente, anche se una volta Louis e la sua mania dei nomi combinati, aveva scherzato sul fatto che potevano farsi cambiare il cognome in Stylinson.
“Bene, ti lascio nelle mani di Niall. Devo andare ad assicurarmi che anche l’altro sposo stia bene,” così dicendo lo abbracciò forte e passo il testimone – sotto forma di smoking bianco – a Niall.
Gemma e sua madre lo guardavano con orgoglio, e Harry non riusciva ancora a credere che stesse succedendo realmente.
“Da quanto lo sapevate?” chiese, mentre Gemma lo aiutava a vestirsi insieme a Niall e la madre gli sistemava i riccioli ribelli.
“Più o meno da quando Louis ha combinato il casino con i menù. Ci ha convocate a Londra d’urgenza e ci ha detto che c’era assolutamente bisogno di un piano B, perché era evidente che il piano A fosse destinato a fallire,” gli disse Gemma.
“Quel ragazzo si è diviso in mille per rendere tutto questo possibile, guai a te se ti vedo ancora prendertela con lui per qualcosa di tremendamente stupido come un vestito,” gli disse la madre, tirandogli una ciocca di riccioli più del dovuto giusto per sottolineare il proprio punto di vista.
“E vuoi sapere la cosa divertente? Quello non era nemmeno l’abito che aveva scelto,” gli disse Niall ridendo. “Se l’era provato solo perché era sicuro che tu ne avessi scelto uno bianco e voleva farti vedere che in fondo stava bene anche lui in bianco.”
Era tutto così assurdo che Harry scoppiò a ridere.
In fondo era bellissimo vedere sua madre parteggiare così tanto per il suo fidanzato, per il suo quasi marito. Era bellissimo vedere i loro amici più cari ridere di loro mentre si prendevano così bene cura di loro. Ed era bellissimo sapere che, qualche muro più in là, Louis si stava a sua volta vestendo, dopo aver passato la sua ultima notte da ‘uomo libero’ a giocare a calcetto col suo migliore amico, e che a momenti l’avrebbe rivisto e sarebbe diventato suo marito.
“Ho appena finito di renderti presentabile, ti proibisco di piangere,” gli intimò Gemma sventolandogli in faccia il pennello che aveva usato per coprirgli solo lei sapeva cosa. Ma Harry non sapeva se sarebbe riuscito a resistere, perché era sicuro che se non avesse pianto ora, l’avrebbe fatto poco dopo, quando avrebbe incontrato l’azzurro degli occhi di Louis con i propri e il loro per sempre sarebbe diventato ufficiale.
E fu quello che successe.
Quando mise piede in giardino, quando tutti gli invitati si girarono verso di lui, quando Louis lo guardo con lo sguardo pieno di amore e il sorriso più bello di sempre a increspargli il viso, Harry si ritrovò a strofinarsi timidamente gli occhi cercando di contenere le lacrime.
Era tutto perfetto, così bello e perfetto che Harry sentiva che il cuore avrebbe potuto scoppiargli da un momento all’altro. E la consapevolezza che quel momento perfetto – come tutti i momenti perfetti che aveva vissuto nella propria vita – erano merito solo e soltanto di Louis, rendeva tutto ancora più... perfetto?
Quando lo raggiunse, le loro dita si intrecciarono e si strinsero forte.
“Grazie,” gli sussurrò chinandosi leggermente verso Louis.
“Sai chi ha pensato ai fiori?” gli chiese Louis incurante del padre di Harry di fronte a loro che officiava la cerimonia. “Zayn!” esclamò tutto fiero di se stesso, e Harry si ritrovò a ridere di gusto mentre suo padre lanciava un’occhiataccia a entrambi senza scomporsi.
Quando vennero finalmente dichiarati marito e marito, non aspettarono la benedizione di nessuno per baciare il reciproco sposo, e Harry avrebbe potuto giurare che le labbra di Louis non avevano mai avuto un sapore più buono.
 
It was always you
Falling for me
Now there's always time
Calling for me
I'm the light blinking at the end of the road
Blink back to let me know



NOTE.
Happy Merry Christmas a tutti!
Lo so, lo so, questa non è una storia natalizia ma l'ho scritta come regalo di Natale per Linda, Michela e Silvia (rigorosamente in ordine alfabetico), e ho passato tipo le ultime... cinque? sei? ore della mia vita a finirla, rileggerla, fare la playlist, litigare con EFP e blablabla per riuscire a postarla prima della mezzanotte - se no che regalo di Natale sarebbe? VI VOGLIO BENISSIMO AMICHE ♥♥♥

Il titolo e i pezzi di canzone citati sono di Always dei P!ATD 


(E ora vado a leggermi tutti i messaggi che avevo nella posta in arrivo e che non mi ero accorta di avere, scusatemi lo so, sono pessima e chiedo perdono ;___;)




 
   
 
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