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Autore: Subsonica_EFP    25/12/2015    3 recensioni
'Io ti proteggerò.'
Così aveva detto Itachi a cinque anni, tenendo in braccio, quell'ammasso di ossa e carne, appena nato.
Ma non sapeva, che quella promessa detta silenziosamente a se stesso, gli sarebbe costata, molto, troppo.
Perché, Itachi, si era ritrovato a dover proteggere Sasuke, proprio da se stesso..
         
Sasuke non sa, Sasuke non capisce, Sasuke diventerà un ammasso di odio, rancore, e vendetta.
'Ricordo, che ad un tratto sembravamo, eravamo diventati due estranei.'
Parole, gesti, affetto;
sempre meno parole, sempre meno gesti, sempre meno affetto;
quasi assenza di parole, quasi assenza di gesti, quasi assenza di affetto;
mancanza di parole, mancanza di gesti, mancanza di affetto.
                                                  
Il nulla.
                                                  
E poi..altri significati:
altre parole, altri gesti, altro affett..amore.
_[UchinhaIncest][Slow-burn] [Soulmates-tatoo] -IN REVISIONE, modificato il prologo leggermente-
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Itachi, Sasuke Uchiha
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
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Prologo.
 


Non dovresti essere un Uchiha.’

Sembrò che qualcosa di estremamente doloroso avesse trapassato la sua pelle. Quelle parole, quel tono, cosi maledettamente familiari, eppure così estranei in quel preciso momento. Ebbe la voglia di accartocciarsi su se stesso per proteggersi.
La pelle del polso gli bruciò terribilmente. Quasi si sentì il fiato spezzarsi in gola prima di arrivare ai polmoni.
Fu, un dolore sordo, acuto. Meglio identificato come la spasmodica inadeguatezza, appiccicata come una seconda pelle. 

Non abbastanza. Mai abbastanza.

Freddo. Il suo stato d’animo sembrava riversato tutto lì. Nelle sue vene, che pompavano ghiaccio anziché sangue.
Immaginare quegli occhi d’ossina così simili ai suoi, eppure così diversi..così ingiustamente distanti.                                                                                                                
Non voleva più incrociare quegli occhi, perché sarebbe stato scoperto.      
Il suo dolore, la sua anima. Tutto. Tutto sarebbe stato scoperto, ancora vulnerabile.                                                                                                         
Non era mai stato bravo con le emozioni; nonostante questo, suo fratello riusciva a cogliere ogni suo stato d’animo. Bastava specchiarsi nel suo riflesso, così speculare al suo, ed era capace di leggerlo, dentro, fin nel profondo. Dove si suoi silenzi il più delle volte pesavano come macigni,  suo fratello, era sempre capace di dire o fare, la cosa giusta al momento giusto, per lui. Era sempre stato più bravo ad esprimere ad esternare: si esprimeva per entrambi, dove lui non riusciva..
 
Niisan, c’era.
 
In quell’istante, a mille kilometri di distanza, tramite una voce mezza distorta dal segnale, non riusciva a scorgere niente di familiare.
Niente di così speculare.                                                                        
Non sentiva più le solite parole rassicuranti, il solito tono di voce terribilmente gentile e comprensivo. Il solito sguardo capace di smussare la sua scontrosità adolescenziale. Il suo cipigli critico quasi astioso e introverso quasi infantile.
Non riusciva più ad immaginarsi il solito tocco, che gli riservava, sempre e solo a lui, che teneva sempre e solo per sé.
Come se fosse qualcosa di importante.
                                                                                                                                                                   
Non c’erano più quelle braccia, dove da piccolo, trovava un posto sicuro in cui stare, dove si sentiva a casa. Dove era stata casa.
 
Niisan, non c’era.
 
Faceva male, un male dell’anima, che si riversava nel fisico..  il polso sembrava violaceo, e la testa sembrava vorticargli, gli occhi bruciare.
Non poteva più guardarlo, lasciarsi guardare negli occhi, quegli occhi dove suo fratello sembrava perdersi ogni volta, dove ogni volta tutti i suoi timori venivano spazzati via, senza bisogno di parole. La presenza dell’altro, bastava a rassicurarlo.                                                       
Suo fratello, era l’unico a decifrare i suoi silenzi, ad andare oltre il suo carattere.
Lo capiva. Perché non solo lo capiva, ma lo comprendeva. Come una metà di sé, complementare a sé.

I suoi occhi. I loro occhi. Lo specchio delle loro anime.
Così speculari. La prova tangibile del legame, dello stesso sangue, dare il sangue per quel legame.

E allora non l’avrebbe più guardato, non si sarebbe più lasciato guardare, perché altrimenti, suo fratello avrebbe capito il suo dolore, il suo enorme dolore, causato da quell’unica frase.                                                                                                                                                        
Una sola frase era bastata ad annientarlo, così debole, inutile. Vulnerabile.
Non era degno, di tale cognome.. anche suo fratello, come suo padre, pensava fosse solo un danno collaterale.
Le pulsazioni accelerarono di botto, quasi sentiva il pompare del cuore attraverso le orecchie, non distingueva altro suono.

Fratello.
Ha sempre fatto parte della sua vita, tutto è sempre ruotato intorno a quest’unica è semplice parola. Ha attribuito numerosi significati a quest’ultima.
Per la maggior parte delle persone, significa: famiglia, affetti, sicurezza, amore, protezione, spensieratezza, condivisione.

Mio Fratello.

Per lui, queste due parole significano altro.                                                                                     
Col passare del tempo, sono state sostituite, da altri sentimenti: abbandono, insicurezza, rancore, smarrimento, ira, frustrazione, solitudine.
Non ricorda, quando i suoi sentimenti sono mutati, quando è iniziato questo senso di inferiorità, di inadeguatezza.                                                                                                         
Di dolore al petto.                                                                                                                                    
Ricordo, che ad un tratto sembravamo, eravamo diventati innaturalmente due estranei solitari. Solitario, come il centro del suo petto.
Non dovresti essere un Uchinha.’

In quell’istante sentì, dentro, qualcosa spezzarsi pericolosamente.
In quell’esatto istante potette sentirsi andare in mille, piccoli pezzi, e per quanto una cosa la si può aggiustare, sapeva, che sarebbe rimasta sempre rotta.
Irreparabilmente danneggiato. 
Aveva perso l’unica persona al mondo, capace di comprenderlo, accettarlo.                      
L’unica persona che lo riteneva importante. L’unico legame oltre il semplice sangue. Oltre lo stesso sangue.

Era solo, e toccava a lui, rimettere insieme quei pezzi, alla meglio. Nel miglior modo possibile, nel modo migliore per se stesso.
La cornetta cadde, neanche ci fece caso.
La mano stretta intorno alla pelle del suo polso, ancorata spasmodicamente.
 
In quel momento decisi, che non mi sarebbe piaciuta più nessuna cosa in particolare, non avrei mostrato interesse per niente, così niente sarebbe mai stato portato via.                                                                                                                                         
Non avrei lasciato avvicinare più nessuno.                                                                                   
Avrei odiato, le cose che prima amavo e di conseguenza quella che amavo di più.                                                                  

In quell’istante, desideravo solo una cosa, in modo particolare. Non mi ero mai dedicato a niente, che non fosse lui, ma quel giorno si fece strada in me, un pensiero tangibile. Era sempre lui, l’epicentro, la in prospettiva diversa.
Avevo un’ambizione: sopraffare, annientare e distruggere, chi sapevo io.
 
Diventerò il migliore degli Uchinha.
 







Note** [Ho notato che non si scrive molto su ‘questi due’ che io adoro, letteralmente, e quindi volevo cimentarmi con una cosa nuova.   
Se questo genere, giustamente, può dar fastidio o suscitare sentimenti negativi, è inutile iniziare a leggere. Ovviamente mi attengo alle regole del sito, e non andrò propriamente nei particolari di alcune scene, senza renderle più esplicite del dovuto. 
Detto ciò, non ho alcuna pretesa, e spero di portarla a termina anche se non so bene dove andare a parare.]                           
Ps. La storia è scritta in terza persona, dal punto di vista di Sasuke, ma non mancheranno pensieri in prima persona e -forse- qualche pov di Itachi. O almeno questa è l’idea xD.                                                                          
Buona lettura!



 OVVIAMENTE; Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà degli ideatori; questa storia, è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
   
 
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