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Autore: Primula1390    26/12/2015    1 recensioni
John viene rapito da Moriarty, Sherlock lo ritrova e con lui dovrà trovare la forza di mettere da parte razionalità e logica.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti. Voglio avvisarvi che questa storia l'ho divisa in due parti per motivi di raiting differenti e per motivi di lunghezza. La seconda parte si intitola "Dalla burrasca alla quiete". Grazie e buona lettura.
 
IL RAPIMENTO
“Vieni a prenderlo!” JM
“Dove siete?” SH
“Deduci.” JM
“Sono qui. Apri.” SH
“Benvenuto nella casa delle streghe consulente investigativo! J ” JM
“Dove sei?”, un urlo squarciò l’ingresso di quella casa vecchia e decrepita, Sherlock Holmes vi era arrivato dopo aver seguito gli indizi lasciatigli da Moriarty. Sperava di trovarlo quel bastardo, di ucciderlo una volta per sempre, ma ancor di più sperava di trovare lui, il suo amico e compagno di vita John Watson.
A rispondergli fu solo il suo eco, come era inevitabile che fosse il suo nemico aveva lasciato quel posto da un pezzo. Si inoltrò all’interno, l’ingresso si apriva su un ampio salone diviso dalla cucina da un semplice bancone, o almeno e così che sarebbe dovuto essere dedusse Sherlock dalle impronte che i mobili avevano lasciato su quel pavimento ormai vuoto.
Erano anni che qualcuno non vi abitava più lì dentro, i prezzi della sua vendita era calati dopo che vi avevano trovato il corpo senza vita di un bambino, che troppo giovane per morire si aggirava tra quelle mura alla ricerca della sua famiglia e di quella vita che non avrebbe mai avuto. Il consulente investigativo aveva portato quella storia alla mente da uno dei comparti del suo Mind Palace  e senza rendersene conto si trovò al piano superiore.
Tre camere sul lato destro e due sulla sinistra, si diresse dritto spedito verso la seconda alla sua sinistra, non si sarebbe fiondato in tutte le stanze, col fiato affannato e la paura nel cuore come avrebbe fatto la gente comune al pensiero che in una di quelle maledette cinque stanze c’era il proprio caro che era stato rapito da un pazzo e geniale consulente del crimine.
No, lui non era normale, lui era razionale, freddo e lucido in qualunque situazione, questo gli aveva permesso di identificare le tracce nella polvere del parquet, nel rendersi conto che sul lato sinistro c’erano segni di trascinamento e la carta da parati era stata strappata via, poteva dirlo con certezza perché li dove era strappata c’era sangue, ed era fresco.
John si era aggrappato a quella carta solo qualche ora prima, per cercare di sfuggire al suo aguzzino che lo trascinava dolorosamente sul pavimento tirandolo per il braccio sinistro, sulla cui spalla era impressa la cicatrice che gli ricordava costantemente che lui, la guerra dell’Afghanistan, non l’aveva solo vista in tv.
In breve Sherlock annullò le distanze e si ritrovò sull’uscio della stanza, era buio dentro e il motivo era uno soltanto, doveva premere l’interruttore alla sua sinistra, prese un respiro profondo, la sua razionalità si stava sgretolando, la parte più recondita di sé sperava si stesse sbagliando, che i suoi ragionamenti erano stati deviati per l’ansia di ritrovare il suo amato soldato. Ma così non fu, premette quell’interruttore e un unico fascio di luce illuminò un corpo, malamente avvolto in una coperta, esattamente al centro della stanza.
Holmes si avvicinò, le barriere razionali ormai distrutte, “Ciao Sherlock”, era lì, era vivo, ma subito il senso di sollievo fu soppresso da un pensiero, la voce di John era debole, ostentava una sicurezza inesistente, le sue  dita si mossero a tastare il ritmo cardiaco, lento e irregolare. Doveva trovare la fonte del malessere.
“John cosa ti ha fatto Moriarty?”, gli chiese anche per continuare a tenerlo vigile. “No, non lui, ma chi per lui.” rispose lentamente l’ex – soldato, sul volto di Sherlock si disegnò un’espressione a metà tra la rabbia e lo stupore, quel bastardo aveva lasciato fare il lavoro sporco a qualcun altro, li avrebbe ammazzati, avrebbe sgominato quella manica di assassini e gli avrebbe uccisi lentamente e dolorosamente. 
“Volevano sapere cose su di te, la tua vita e la tua famiglia,” si fermò un attimo a riprendere fiato, “non aveva senso, perché chiedere a me, lui è come te, non ha bisogno di chiedere per sapere …”, si fermò di nuovo, sentiva di non poter spiccicare altro o sarebbe svenuto nel tentativo.
Il detective lentamente gli tolse la coperta che lo avvolgeva, era nudo, completamente. Pieno di lividi, graffi e … “quelli te li ha fatti con un coltello?”, non serviva una risposta, lo sapeva come erano fatti i tagli da coltello e quelli erano anche cauterizzati, ciò significava che la lama era stata arroventata. La mano si strinse a pugno attorno la coperta, la rabbia infuriava in lui, quando sentì un tocco gelido sulle nocche, era la mano del dottore, si fermarono a fissarsi l’un l’altro per un po’, John con un sorriso che tentava di tranquillizzare Sherlock, era debole ma non in fin di vita.
Non voleva pensare allo scenario più tragico, ma la sua natura di egocentrico genio portò la sua mente ad un unico pensiero, prese il compagno di peso e lo voltò su un fianco, le mani si strinsero sul braccio di John che emise un lamento di dolore, subito Sherlock rilasciò la presa e lo strinse forte a sé, sangue misto a sperma, ecco cosa aveva visto.
Avvolse l’ex – soldato nel suo capotto e lo portò via di là verso casa a Baker Street.
La prima cosa che fece fu quella di adagiarlo dolcemente sul letto, poi si allontanò verso il bagno ed aprì il rubinetto della vasca. Tornò nella camera di John lo prese in braccio e, arrivati in bagno, lo lasciò scivolare lentamente nella vasca ora piena. Non ci furono parole ma solo gesti, lo lavò, lo asciugò e lo riportò in camera, nella sua stavolta e lo adagiò nel letto. “John come posso curarti le ferite?”, chiese con dolcezza, doveva aiutarlo ma era totalmente inesperto in campo medico, o meglio, in campo medico per quanto riguardava i vivi.
“Vai a prendere la mia borsa dalla sala.” gli rispose. Il detective uscì e ritornò poco dopo con l’ampia borsa nera tra le mani, si diresse verso il letto portandosi dietro una sedia, si sedette al bordo del letto e poggiò la borsa sulla sedia che aveva sistemato di fronte a lui.
Dopo di che spalmò della crema per le ustione, nonché cicatrizzante ed antibatterico, sulle ferite cauterizzate richiudendole poi con delle garze, seguendo tutto ciò che John gli diceva di fare. Quando ebbe finito, risistemò tutti gli attrezzi nella borsa, lo vestì  e rimase lì a fissare il vuoto.
“Sherlock mi sento terribilmente solo anche se sei a pochi centimetri da me. Sei stato freddo e distaccato da quando mi hai trovato. Ti ringrazio per tutto quello che hai fatto, ma ora, la cosa di cui ho più bisogno sei tu, ho bisogno che tu mi resti vicino, ho bisogno di sentire di non essere un lurido verme che si è fatto fottere dal primo capitato, che il dolore che ho sentito e che ancora pulsa in me venga dimenticato.” Aveva detto tutto questo con un tono di voce sempre più crescente e sempre più spezzato dalle lacrime. Poi tacque, il suo corpo fu scosso da singhiozzi di pianto all’inizio trattenuti e poi lasciati liberi di infrangere l’aria.
Sherlock si sentì uno stupido, il suo compagno aveva bisogno di lui, in quel momento non ci doveva esser posto per Moriarty, i suoi scagnozzi e i suoi piani criminali, doveva rinchiudere tutto quello per un momento e dedicarsi a John, che era lì di fronte a sé, che si mostrava a lui con una nuova nudità, quella dell’anima.
Lo strinse forte, la testa del dottore contro il suo petto, il corpo ancora scosso dai singhiozzi, “Parlamene”, disse il detective in un tono dolce ma che al contempo non ammetteva repliche, lo sapevano entrambi, un evento traumatico andava condiviso e non tenuto celato nel cuore perché avrebbe finito con l’avvelenare la mente e lo spirito.  
Un fiume in piena, le parole uscirono così dalla sua bocca, rabbia, frustrazione, dolore, senso di inadeguatezza, vergogna, tutte queste emozioni fluirono fuori con le parole, le lacrime continuavano a scendere imperterrite sulle sue guance, in alcuni momenti si chiudeva in lunghi silenzi, allora Sherlock gli prendeva la mano e gli accarezzava il viso a ricordargli che lui era là, ogni barriera veniva infranta e le parole ritornavano a fluire con le emozioni e le lacrime.
Si sentiva stravolto alla fine. In un giorno era stato rapito, torturato e violentato e quello stesso giorno aveva dovuto rivivere tutto di nuovo, non aveva più lacrime, sentiva che tutte le forze lo avevano abbandonato, ma si sentiva più rilassato e calmo, il dolore era lontano ora  e i suoi occhi si fissarono in quelli di Sherlock, piangeva anche lui e si strinsero in nuovo abbraccio, era quello di cui necessitavano. Sentirsi vicini, sentirsi vivi, sentire l’uno il battito del cuore dell’altro.
John si addormentò così, tra le braccia del suo amato, adesso era al sicuro, non doveva avere paura più di nulla.

 
   
 
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