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Autore: Stella_Del_Mattino    26/12/2015    0 recensioni
E' la notte di Natale e Olly è bloccata in aeroporto. Con lei ci sono le ultime persone che avrebbe voluto incontrare: Ricky Bonfanti, l'ex fidanzato della sua migliore amica, Marika Sarti, la Crudelia Demon del liceo, Nicoletta e Francesco Carlesi, gli sfigati che non ha mai avuto il coraggio di aiutare, e Gigi Polletti, il ragazzo a cui ha rifilato un sonoro due di picche. Le prospettive non sono dunque delle migliori e, inoltre, una terribile donna turba i sogni di Olly. Per la sconosciuta, quella della ragazza è la generazione dei senza sogni, una masnada di ragazzini succubi della società da cui non ci si può aspettare nulla di costruttivo. Ma è la notte di Natale, qualcosa di buono può ancora accadere, anche tra sei adolescenti che a mala pena si sopportano.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NdA: Salve a tutti e, con un giorno di ritardo, buon Natale! Questo è il mio primo racconto originale, assolutamente senza pretese. E'un pochino lungo, ma se doveste arrivare in fondo vi chiedo gentilmente di lasciare una recensione per farmi sapere cosa ne pensate. Grazie.
Stella.

~~La generazione dei senza sogni

Olimpia Targetti, per gli amici Olly, non era mai salita su un aereo, e quella che sarebbe dovuta essere la sua prima volta si era rivelata un fiasco totale. Era la vigilia di Natale e il suo volo, come molti altri, era stato annullato. Il maltempo aveva costretto a restare a terra almeno trecento persone e l’aeroporto si stava gradualmente trasformando in un dormitorio d’emergenza, animato dalle voci sconsolate di chi non aveva la possibilità di cercare un hotel. Era questo il caso di Olly, la quale, al verde e senza un mezzo di trasporto, si era rassegnata a dormire su una sedia di plastica e a subirsi l’inferno che si sarebbe scatenato quando i suoi genitori lo avrebbero saputo. Sua madre avrebbe dato di matto, terrorizzata dagli infiniti pericoli che potevano insediare una ragazza sola, ma suo padre si sarebbe davvero, davvero incazzato.
Olly sapeva quanto Targetti senior ci tenesse a passare la vigilia in famiglia, nello sperduto chalet di zio Franco, sulle Alpi, e sperava che notasse il messaggio che gli aveva lasciato il più tardi possibile, perché se le aveva concesso di raggiungerli con un giorno di ritardo, adesso non sarebbe stato altrettanto accondiscendente. Anzi, con ogni probabilità le avrebbe suggerito – leggi: intimato – di cercarsi una nuova migliore amica, che non compisse gli anni il ventitré dicembre come Rebecca Taddei.
Una suoneria trapanò l’ovattato chiacchiericcio dei passeggeri appiedati e Olly trasalì, salvo poi accorgersi che a squillare non era stato il suo smartphone, bensì quello di un ragazzo moro, francobollato a un distributore di merendine, una paio di metri più in là. Quando la Targetti lo vide, lo riconobbe all’istante e il sollievo provato poco prima lasciò il posto a nuovo sconforto. Non poteva crederci, non voleva crederci.
Riccardo Bonfanti era decisamente l’ultima persona che avrebbe voluto incontrare.
Era l’ex fidanzato di Rebecca ed era quello che si può definire un perfetto idiota. Perennemente vestito come un rapper squattrinato, con un paio di jeans sbrindellati, una maglia fosforescente e un ridicolo cappellino da baseball, insisteva per farsi chiamare Ricky e ostentava una cresta alta quattro dita. Completavano il quadro un grosso orecchino al lobo sinistro, una collana simile a un collare, un paio di piercing e un piccolo, fastidioso dettaglio anagrafico: Ricky era cugino di qualche grado di Mattia, l’ex di Olly.
I due non avevano molto in comune – quanto l’uno era appariscente, tanto l’altro era monotono –, eppure l’idiozia doveva essere di famiglia, perché il completo menefreghismo di Ricky verso ciò che gli stava intorno ricordava alla ragazza l’incomprensibile apatia di Mattia.
Olly distolse in fretta lo sguardo dal finto rapper – ciò che avrebbe voluto per Natale non era certo un ricordo vivente del suo ex – e, pur di ignorarlo, decise repentinamente di aver bisogno del bagno. S’incamminò verso il cartello “WC”, in direzione opposta al distributore, ma non riuscì ad allontanarsi che di pochi passi, poiché Bonfanti, accortosi della sua presenza, l’apostrofò con un fischio sgarbato.
« Chi non muore si rivede, Targetti » chiosò il ragazzo con un sorriso sardonico. « Come sta la Rebby? »
« Benissimo, adesso che non ti ha più tra i piedi. »
Olly accennò un sorrisetto di circostanza, ma si astenne dal rigirare la domanda per chiedere notizie di Mattia: era consapevole del fatto che qualunque risposta diversa da “È finito sotto un tram” l’avrebbe delusa.
Ricky emise uno strano grugnito e sprofondò il viso in un pacchetto di patatine. Per un attimo a Olly parve di ritrovarsi davanti il bambino dispettoso che, ai tempi delle medie, le rubava le matite, ma fu soltanto un istante, perché poi Ricky si ficcò due dita in bocca e fischiò di nuovo. La Targetti si voltò di scatto e non appena individuò il destinatario, o meglio la destinataria, di quel segnale, desiderò scomparire.
Se aveva pensato che Riccardo Bonfanti fosse la cosa più brutta che poteva accaderle la notte di Natale, aveva sbagliato di grosso. Marika Sarti era molto, molto peggio.
Bionda – platinata, per la precisione – , magra – eccessivamente – e truccata – da far paura –, incarnava tutto ciò che Olly non sopportava: ipocrisia, conformismo estremo, zero personalità E pensare che – incredibile ma vero –  in prima elementare erano state amiche per qualche mese, finché Marika non aveva preferito passare dalla parte di Francesca Gentile, la smorfiosa della classe.
La Sarti rispose al fischio di Ricky con un cenno del capo e si avvicinò ai due coetanei. Squadrò Olly con sufficienza, ma non le disse nulla. Piuttosto, guardò oltre le sue spalle e sogghignò divertita.
« Che c’è stasera, un raduno di sfigati? » commentò, riferendosi alla Targetti e ad altre due figure, ritte di fronte al check point.
Nicoletta e Francesco Carlesi, l’una comunemente conosciuta con l’appellativo di “Stangona” e l’altro universalmente chiamato “Ciccio”, spiccavano in mezzo alla folla che occupava il lato destro della hall dell’aeroporto. I due avevano un che di bislacco e non erano esattamente delle bellezze della natura – Nicoletta fin troppo alta e stranamente spigolosa, Francesco basso e paffutello – , motivi per cui nel crudele circuito del liceo non avevano affatto vita facile. Marika e i suoi amici, infatti, li bersagliavano costantemente con masnade di prese di giro e Olly, seppur dispiaciuta per il trattamento che ricevevano, era sempre rimasta a guardare, come molti altri studenti. Non aveva mai mosso un dito mentre Nicoletta piangeva, offesa da qualcuno che le aveva detto che un manico di scopa era più sexy di lei, o mentre Ciccio si chiudeva in bagno, cercando di sfuggire ai compagni che volevano misurare la circonferenza della sua pancia.
La valigia di Nicoletta cadde con un tonfo e la ragazza, chinandosi per raccoglierla, incrociò lo sguardo di Olly. Un secondo dopo, aveva notato anche Ricky e Marika. A quest’ultimi riserbò una smorfia contrita e, scrollando altezzosamente i capelli, si allontanò in fretta, trascinandosi dietro il fratello.
La tensione stava salendo rapidamente, però la situazione pareva destinata a peggiorare ulteriormente, poiché nella hall era comparso un quinto elemento: Gigi Polletti, per tutti il “ Pollo”.
Se i Carlesi erano considerati quasi dei fenomeni da baraccone, il Pollo era decisamente lo zimbello del liceo, colui il cui costume, in un lontano party in piscina di quattro anni prima, era scivolato un po’troppo in basso, svelando un lato B più bianco della norma (da pollo, appunto).
« Non ci credo, il Pollo! » ululò Ricky, scorgendo Gigi.
Polletti, immobile sotto lo spelacchiato albero di Natale che campeggiava al centro della hall, sobbalzò e per qualche istante roteò gli occhi in ogni direzione, spaesato. Quando individuò Bonfanti, alzò una mano a mo’di saluto, ma non accennò ad avvicinarsi. Al contrario, voltò le spalle al trio e prese a fissare il pavimento, visibilmente in imbarazzo.
« Che fa, non ci raggiunge? » mugugnò la Sarti. « Da un mese a questa parte non ricordo di avergli fatto niente di male... »
« Io ho sputato nel suo hot dog, circa due settimane fa » replicò Ricky, ridacchiando tra sé.
Olly non intervenne, preferendo tacere il reale motivo che aveva spinto il Pollo a snobbarli: un mesetto prima, Gigi le aveva chiesto di uscire con lui, ma lei, su consiglio di Rebecca, aveva rifiutato. Da allora, il ragazzo la evitava in ogni volta che poteva.
« Sei un villano » stava intanto brontolando Marika. « Solo i cavernicoli sputano negli hot dog! »
« Io almeno non distruggo l’autostima dei nerd » le rinfacciò il ragazzo, irritato.
« Non è colpa mia se sono bella e popolare » si difese lei. « Il nostro liceo è pieno di gente insignificante, amebe ambulanti che qualcuno deve pur rimettere al loro posto. »
« No, Marika, è che tu sei proprio una stronza » s’intromise Olly con insolita durezza.
« Parla quella che ha torturato Mattia per mesi con le sue lagne! » contrattaccò la Sarti.
« Taci, oca, non sai niente di me e Mattia! » esplose la Targetti, per la quale quella storia era ancora una ferita aperta.
« So che lo assillavi con discorsi contorti che non stavano né in cielo né in Terra » insisté l’altra. « Per forza alla fine ti ha lasciato, non ti sopportava più. »
« Non so voi, ma io mi accampo » annunciò improvvisamente Bonfanti, interrompendo la discussione e indicando un misero sacco a pelo steso in terra. « Preferisco dormire che sentire le vostre ciarle. »
« Io vado a cercare una coperta, non voglio congelarmi » comunicò Marika, allontanandosi.
« Io invece rimarrò qui » sussurrò Olly, stizzita, accucciandosi su una sedia e stringendosi nel cappotto di lana.
Le insinuazioni della Sarti l’avevano messa di cattivo umore e le vibrazioni del cellulare nella tasca dei jeans, segno che suo padre aveva letto il fatidico messaggio, la tormentavano ulteriormente.
Non era decisamente così che aveva immaginato la sua diciottesima notte di Natale. Nei suoi piani, aveva festeggiato il compleanno della sua migliore amica, la sera precedente, poi quel pomeriggio si era regolarmente imbarcata sul volo che avrebbe dovuto permetterle di raggiungere la sua famiglia. Nella realtà, invece, dopo interminabili ore di attesa, si trovava ancora nella hall di un aeroporto, al freddo e con le ultime persone che avrebbe voluto incontrare. Riccardo Bonfanti, sdraiato nel suo sacco a pelo, a poca distanza da lei. Marika Sarti, ora avvoltolata in una coperta a quadri, che le rivolgeva occhiate velenose. Nicoletta e Francesco Carlesi, fermi nel loro atteggiamento di sdegno. E Gigi Polletti, che col suo imbarazzo per nulla dissimulato metteva in difficoltà anche la Targetti.           
Sotto questo nugolo di sguardi ostili, Olly ben presto si appisolò. Cadde in un sonno agitato che durò sì e no qualche ora, dopodiché una mano gelida la scosse.
« Svegliati, ragazzina. Muoviti » ordinava una voce autoritaria.
Olly si ridestò e per poco non urlò di stupore e spavento: l’aeroporto intorno a lei era scomparso e al suo posto c’era una stanza ampia, addobbata con fiocchi di neve fluttuanti. In mezzo alla stanza, una donna terrificante e altera.
La parte sinistra del suo volto aveva la pelle incredibilmente liscia e i capelli biondi, ma nell’altra metà della faccia l’epidermide era incartapecorita, la cute rovinata e coperta di fili albini. Come se ciò non bastasse, dal corpetto di un vestito di velluto rosso fuoriuscivano – Olly si stropicciò più volte gli occhi, per accertarsi di non avere le allucinazioni – due ali evanescenti.
« Così ecco qua la generazione dei senza sogni » mormorò tra sé la sconosciuta, fissando la Targetti.
« Prego?! » esclamò la ragazza, sbalordita.
« Io sono la Fata del Tempo » continuò la donna, ignorandola. « Tu, invece, devi essere Olimpia. »
Olly annuì. « Sono io, e gradirei tornare all’aeroporto: ho un volo da prendere all’alba. »
« Potrai salire sul tuo aereo, mia cara, dopo aver esaudito una mia piccola richiesta » rispose la fata.
La Targetti rabbrividì – le fate non sarebbero dovute essere buone? – ma cercò di non darlo a vedere.
« Che richiesta? »
« Vedi, Babbo Natale – sono sicura che hai sentito parlare di lui – sostiene che ci sia qualcosa di buono nella tua generazione, ma io non sono affatto d’accordo » spiegò la donna con voce melliflua. « Lui vi ha conosciuto da piccoli, quando i sogni ardevano ancora in voi, ma io ho il dominio sul Tempo e vedo come al momento siate rinunciatari, deboli, quasi succubi di quei vostri aggeggi elettronici. »
« Noi non... » tentò di opporsi Olly, ma non fu ascoltata.
« Quindi, Olimpia, tu sei stata scelta per mettere fine a questa controversia. Devi darmi un valido motivo per cambiare opinione sulla tua generazione o, in alternativa, ammettere che ho ragione sul vostro conto. »
« Farle cambiare idea o darle ragione sono due richieste, signora, non una » puntualizzò la ragazza, sforzandosi di sdrammatizzare.
Il volto della fata s’indurì all’istante e la sua voce subì il medesimo mutamento. « Olimpia, cara, forse non hai intuito che le tue azioni avranno delle conseguenze molto serie. Se il mio pensiero rimarrà invariato, io non riterrò tu e i tuoi coetanei degni di sottrarre molto tempo alla Terra e le vostre vite si abbrevieranno drasticamente. »
Olly deglutì, sentendosi la gola improvvisamente secca. Si metteva male, decisamente male.
« Non hai presupposti per ritenerci dei pappamolli » obiettò con poca convinzione, giusto per non tacere a oltranza.
« Davvero? Giudica tu stessa. »
La donna serrò le mani intorno a uno dei fiocchi di neve che riempivano la stanza e, quando le schiuse, al posto del fiocco si era formato uno specchio di ghiaccio.
« Su, guarda, Olimpia. »
La Targetti si alzò sulle punte dei piedi e sbirciò dentro la lastra trasparente. Sotto il suo naso, un’immagine prese forma sulla superficie liscia, dapprima sfocata poi sempre più nitida, e Olly riconobbe senza sforzo l’aeroporto dove si trovava fino a qualche ora prima. Era esattamente come l’aveva lasciato, tranne che per una differenza non trascurabile: non era più affollato e solo cinque bambini occupavano la sala d’aspetto, addormentati in posizione fetale.
« Quella sono io! » strillò la ragazza, riconoscendosi in una piccoletta distesa su due sedie. I restanti bambini altri non erano che Ricky, Marika, Nicoletta, Francesco e Gigi.
Prima che Olly potesse aggiungere altro, sei vocine infantili s’insinuarono e si mischiarono nella sua testa, cominciando a chiacchierare disordinatamente.
“Caro Babbo Natale, puoi regalarmi un principe azzurro? Magari non quest’anno, perché papà brontola che sono troppo piccola per pensare ai ragazzi, ma quando sarò alle medie o alle superiori. Per allora, vorrei avere una bella storia d’amore come quelle dei film, una di quelle che durano per sempre. Nel frattempo, magari recapitami Cicciobello Bua, va bene?”
“Caro Babbo Natale, perché, oltre al microfono che ti ho già chiesto e che mi serve assolutamente per diventare un cantante, non porti anche un lavoro per il mio papà? Da quando è stato licenziato, in casa sono tutti arrabbiati: dicono che non dovevano mandarlo via, perché era il più bravo del suo ufficio, ma che hanno preferito tenere il figlio del direttore, un “raccomandato”, qualsiasi cosa significhi. Quando sarò grande, sarò diventato famoso e avrò aperto una casa discografica, li eliminerò io, questi raccomandati, ma intanto, Babbo Natale, trova un lavoro per papà.”
“Caro Babbo Natale, vorrei che tu mi aiutassi a salvare il parco giochi vicino casa. La mamma ha detto che lo distruggeranno per costruire un centro commerciale. Butteranno giù le altalene, uccideranno gli alberi e il ruscello, però io non voglio che accada, voglio continuare a giocare lì con le mie bambole. Sono fate, sai? Si chiamano Winx e sono sicura che se tu mi concederai anche solo la metà dei loro poteri, potrò salvare questo parco.”
“Caro Babbo Natale, sotto l’albero vorrei trovare una cosa dal nome complicato, una certa “parità dei sessi”. È una parola che ho sentito alla televisione e Ciccio dice che è perché non c’è che la mamma non è felice. Lei ha lasciato il suo lavoro per occuparsi di noi bambini e quando vuole qualcosa, deve chiedere soldi a papà, proprio come noi, ma non sembra affatto contenta di farlo. La nonna, inoltre, dice che, quando la mamma lavorava, la pagavano meno di papà, perché è una donna e avrebbe potuto avere figli. La nonna è convinta anche che io sia troppo piccola per capire queste cose e forse un po’ha ragione, ma io sono sicura che questa è un’ingiustizia. Quindi, Babbo Natale, aiutami a creare, in qualche modo, un mondo senza ingiustizie.”
“Caro Babbo Natale, per Natale vorrei ricevere una cinepresa. La mamma non vuole che io l’abbia, perché secondo lei costa troppo, ma mi serve davvero. La Nichi è convinta che se non dimagrisco tutti continueranno a prendermi in giro, però io so che l’importante è essere belli dentro e vorrei girare un film per farlo capire anche agli altri bambini, così nessuno sarà più escluso. E non si può mettere su un film senza una cinepresa.”
“Caro Babbo Natale, hai delle scarpe da calcio per me? Le mie sono ormai rotte e vorrei tanto quelle rosse che ci sono al centro commerciale. Con quelle scarpe sarei invincibile, potrei diventare un vero campione, al pari di quell’altro che si chiama Gianluigi come me. Per favore, Babbo Natale, aiutami a realizzare il mio sogno.”
La scena mutò sotto gli occhi esterrefatti di Olly e i bambini cominciarono a crescere più rapidamente del normale, come in una pellicola mandata avanti a velocità massima. In appena qualche secondo, i loro corpi si svilupparono e diventarono quelli di adolescenti stanchi e infreddoliti. Le voci ripresero a turbinare nella mente della Targetti, ma con meno allegria.
“Bella fregatura, l’amore. Prima ti rende felice, poi ti pugnala. E quel coglione di Mattia? Mi ha fregato per bene. Mesi e mesi a dirmi che mi ama e poi? I suoi “per sempre” sono svaniti in appena un paio di sms. Basta, con l’amore ho chiuso. Al diavolo le favole e i loro happy ending inesistenti.”
“Nessuna risposta, niente di niente. Ho mandato le mie canzoni rap ad almeno tre case discografiche, ma le avranno cestinate senza neppure ascoltarle. Scommetto che se fossi stato il figlio del direttore le avrebbero pubblicate a prescindere. Mondo di merda, meglio continuare a fingere di fottersene.”
“Il centro commerciale è allagato. Che sorpresa, è costruito praticamente sopra un torrente... Se non avessero coperto con una colata di asfalto il mio parco, non sarebbe successo. Ma devo ammettere che quel negozio è utile: non devo andare fino in centro per comprare mascara e ombretti. A proposito, dovrei informarmi su quali colori sono di tendenza, non sia mai che io resti indietro.”
“Eccoci, con la Sarti che mi squadra dalla testa ai piedi sono proprio a posto. Ma non potevo nascere maschio? I ragazzi hanno molte meno pressioni. Da una ragazza tutti si aspettano che voglia truccarsi, che sogni di sposarsi e avere una famiglia, che sia felice di torturarsi per togliersi ogni singolo pelo residuo. Che sia almeno un po’oca, e per chi non lo è, ci sono le Sarti pronte a colpire. Speriamo di poter limitare i danni.”
“Dannata ciccia. Sono stato relativamente a dieta nell’ultimo mese, eppure i chili sono ancora al loro posto. E proprio oggi che c’è Marika nei paraggi, il mio maglione non snellisce nemmeno un po’. Di questo passo non riuscirò mai a farmi notare da lei, né da nessun altra ragazza. Chi vorrebbe fidanzarsi con un cicicone?”
“Olly, Olly, Olly. Se mi avessero preso nelle giovanili dell’Inter, saresti uscita con me, vero? Peccato che mi abbiano scartato, e che tu e quella tua superficiale amica non vogliate abbassarvi al livello del “Pollo”. Non sono abbastanza per te, immagino. E forse hai ragione: avevo un unico, grande sogno ed ho fallito. Potrei sempre fare l’arbitro, ma allora tu mireresti a un bomber.”
La lastra di ghiaccio tornò a mostrare solo il riflesso del viso di Olly e lei si ritrasse, scombussolata.
« Un quadretto affascinante, non trovi? » la provocò la fata. « Ragazzi e ragazze che non credono nell’amore né nella diversità. Persone che, pur di non esporsi, sopportano o si adeguano, che abbandonano tutti i sogni perché uno è fallito, che si nuocciono a vicenda. »
« Che vuoi farci, crescere è complicato » sussurrò la Targetti, ripensando con nostalgia alla sua versione undicenne che desiderava una storia d’amore da favola.
« Certo, avete acquistato una pazienza notevole, per subire i dettami della società, ma la vostra furia dov’è? » incalzò la donna. « La voglia di cambiare il mondo, il coraggio,  la fiducia nel futuro? »
Olly non ribatté subito. C’era del vero nelle parole della fata, non poteva negarlo, ma doveva trovare il modo di difendersi. La posta in gioco era troppo alta per arrendersi.
« Siamo fragili, questo sì, ma vogliamo vivere! Io voglio vivere! » sbottò alla fine. « Ho sbagliato a non dare una possibilità al Pollo, a lasciare che un bastardo mi facesse smettere di credere nell’amore, a non aiutare mai Nicoletta e Ciccio, a odiare Ricky senza conoscerlo e a giudicare Marika fermandomi alle apparenze, ma è il mondo che va così! E noi siamo solo pesciolini nel mare, che, smarriti, sono trasportati dalla corrente. Questo, però, è successo agli adolescenti di tutte le generazioni, soltanto che alcuni sono stati più fortunati e hanno trovato degli ideali forti a guidarli. Noi, invece, dobbiamo fabbricarli per conto nostro, gli ideali, perché la società rifiuta chiunque ne esprima di troppo diversi dall’opinione comune, chi rifiuta di aggregarsi al branco. Ma in ognuno di noi c’è un potenziale, è solo difficile da esprimere. »
La ragazza riprese fiato e, prima che la donna replicasse, la stanza intorno a lei iniziò a vorticare. Non sapeva se il mobilio si stesse seriamente muovendo o se piuttosto si trattasse di un improvviso capogiro, ma, in ogni caso, il vestito scarlatto della fata e il suo volto inquietante svanivano sempre più. Dopo qualche secondo, la Targetti perse i sensi.
Quando rinvenne,  vide davanti a sé la faccia pallida di Ricky, che sbraitava e la scuoteva vigorosamente.
« Che diavolo... la fata... »
« Devi aver avuto un incubo » tagliò corto il ragazzo, liquidando le farneticazioni di Olly. « Ti agitavi convulsamente e blateravi perle di saggezza sulla vita. »
La ragazza si passò una mano sulla fronte, sudaticcia nonostante il freddo invernale, e s’irrigidì.
« Mio padre ha un amico che lavora in uno studio di registrazione » buttò lì, cercando di suonare disinvolta.
Il rapper inarcò le sopracciglia, colto alla sprovvista. « E quindi? »
« Può darti una mano con il sound dei tuoi pezzi » chiarì lei. 
« Perché me lo stai dicendo? » Bonfanti le scoccò un’occhiata diffidente.
« Ha importanza? » si schermì Olly.
È la notte di Natale, posso ancora combinare qualcosa di buono, pensò tra sé, rimuginando sullo strano sogno che l’aveva tanto scombussolata. 
Ricky la fissò per qualche istante, poi cedette. 
« Sgancia il suo numero » bofonchiò, allungandole un pezzetto di carta e una matita.
La Targetti scrisse rapidamente le cifre e gli restituì il foglio. Rialzando lo sguardo, si accorse che Marika, semisdraiata sulla fila di sedie di fronte a lei, non stava dormendo e aveva osservato l’intera scena.
Olly fu tentata di sbottare rudemente “Che hai da guardare?”, ma si trattenne. Tuttavia, non aprì bocca neppure per dire qualcosa di carino. Dopotutto, pure a Natale la Sarti era colei al cui confronto una Barbie pareva spontanea, che rigirava qualsiasi frase a proprio vantaggio. Per quella notte, alla Targetti sembrò sufficiente instaurare un silenzioso patto di non belligeranza con lei. Con Nicoletta e Ciccio, invece, si sentiva in dovere di fare di meglio. Frugando nelle tasche del cappotto, racimolò i pochi spiccioli che aveva con sé e comprò una barretta di cioccolato fondente al distributore di merendine, dopodiché raggiunse i fratelli Carlesi, accampati dall’altra parte della hall. Quando la vide arrivare, Nicoletta storse il naso, ma, sorprendentemente, accettò di buon grado il cubetto di cioccolato che Olly le porgeva. Ciccio, al contrario, cercò di rifiutare.
« Non si sta a dieta a Natale » lo rimbeccò la Targetti. « E non ascoltare la Sarti che è quasi anoressica: ognuno ha il proprio metabolismo e non è il peso che definisce una persona. »
Francesco si rilassò e sfoderò un sorriso riconoscente, come se aspettasse un discorso simile da anni – e probabilmente era così – e addentò con gusto la propria razione.
Olly staccò un quadro di cioccolato anche per sé e si sedette a terra davanti ai due, rigirando tra le mani la metà restante della tavoletta. “Mi dispiace, sono stata una codarda” voleva dire con quella piccola ambasciata e fortunatamente il messaggio pareva essere passato. Solo una persona ancora non lo aveva ricevuto. Voltandosi impercettibilmente verso destra, la ragazza intravide Gigi, rannicchiato sotto l’albero di Natale, e lo invitò ad avvicinarsi sventolando una mano. Lui rispose con un cenno di diniego.
« Se Maometto non va alla montagna, allora la montagna va da Maometto » sospirò la Targetti, risollevandosi dal pavimento per raggiungere il ragazzo.
« Il tuo invito è ancora valido? » gli domandò, allungandogli un pezzo di fondente.
« Come?! » Il Pollo strabuzzò gli occhi e per poco non si strozzò col cioccolato.
« Lo prendo per un sì » dedusse Olly, scambiando uno sguardo divertito con Nicoletta e Ciccio, che nel frattempo l’avevano seguita. « Bowling, sabato prossimo? »
Gigi annuì con il capo, sbalordito, e stese meglio la coperta su cui era seduto, per permettere agli altri tre di condividere la sua postazione.
« Targetti, ci molli così? » s’intromise improvvisamente Ricky, unendosi alla compagnia insieme a Marika.
Olly lanciò a Bonfanti ciò che era avanzato della tavoletta, affinché se la spartisse con la ragazza, e quando il cioccolato fu terminato, la carta stagnola fu tramutata in una pallina, che i sei presero a passarsi a vicenda per stabilire i turni di un’insolita partita a “Obbligo o Verità?”.  Ad iniziare fu Ciccio, il quale, stupendo l’intera combriccola, tirò la palla alla Sarti. Lei scelse “Verità” e il ragazzo sfacciatamente le chiese con quanta ovatta imbottisse i suoi reggiseni. Marika borbottò un che di indecifrabile e la hall fu svegliata da un fiotto di risate fragorose.
Olly reclinò la testa all’indietro, per ricacciare nei loro condotti le lacrime che, per il troppo ridere, rischiavano di annebbiarle la vista. Era certa che quella notte, che aveva temuto non passasse mai, sarebbe trascorsa fin troppo in fretta.

 

  
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