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Autore: Ciulla    26/12/2015    4 recensioni
Whis alle prese con i primi mesi di allenamento. Beerus è un gattino di quattro anni che ha ucciso senza nemmeno volerlo il precedente dio della distruzione, e ne deve prendere il posto... I mesi trascorrono senza che il piccolo impari a fare nulla, tranne affezionarsi al suo maestro.
"Enorme era stata la sua sorpresa quando si era ritrovato davanti un cucciolo sorridente di quattro anni.
Lo stesso cucciolo che ora correva di qua e di là per il giardino con indosso le scarpe di Whis, ridendo come se infilarsi sui piedi quelle enormi calzature fosse il gioco più divertente del mondo."
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lord Bills, Whis
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Un maestro per sempre'
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Era passato meno di un anno da quando Mashru, il precedente dio della distruzione, era morto. Whis a volte ci pensava, pur senza malinconia alcuna; aveva trovato il ragazzo quando aveva nove anni, gli era stato accanto per millenni allenandolo e istruendolo e poi, appena ne aveva avuta l’occasione, ne era fuggito. Quell’essere lo ripugnava per la soddisfazione con cui si macchiava di crimini eccessivi; non aveva senso della misura, non aveva cuore, non aveva rispetto. Non aveva sofferto alla sua morte; si era limitato a recarsi dal suo assassino per offrirgli il grado di divinità o, in caso di rifiuto, eliminarlo e cercare altrove il successore di Mashru.
Enorme era stata la sua sorpresa quando si era ritrovato davanti un cucciolo sorridente di quattro anni.
Lo stesso cucciolo che ora correva di qua e di là per il giardino con indosso le scarpe di Whis, ridendo come se infilarsi sui piedi quelle enormi calzature fosse il gioco più divertente del mondo.
Quando, dopo la morte del precedente dio, era giunto in prossimità del pianeta del cucciolo, aveva subito notato nell’aria un ki particolare. Era oscuro, inquietante, molto simile a quello di Mashru; doveva per forza appartenere al suo esecutore. Guidato da questa energia era atterrato con grazia all’interno della sua abitazione, sfondando il tetto, e si era ritrovato di fronte ad una famigliola che cenava; o meglio, un bambino divorava quantità di cibo enormi, mentre i genitori lo fissavano spaventati e preoccupati.
Whis aveva subito capito che quel bambino era il prodigio che stava cercando.
“Mi chiamo Whis" si era presentato titubante. “In questa zona del pianeta è stato ucciso un mio allievo, il dio della distruzione Mashru…”
In contemporanea, i due adulti avevano indicato terrorizzati il proprio figlio, che aveva sollevato la testa dal piatto e aveva sorriso. “Ciao uomo blu!”
Whis aveva riso, rimanendo stupito dal suono della sua stessa voce. Erano anni, anzi, milioni di anni che non gli capitava; la sua esistenza si era quasi sempre trascinata nella noia e nella solitudine, e né un sorriso né una risata avevano attraversato il suo volto per tanto, troppo tempo.
Ricordava benissimo, Whis, le lacrime che quel giorno aveva versato la madre del piccolo. “Non si rende nemmeno conto di quello che ha fatto” aveva singhiozzato. “È sempre così. Esplode, distrugge qualcosa o qualcuno e poi…”
Whis si era voltato verso di lei, dandole qualche pacca sulla spalla per cercare di calmarla. “Vostro figlio è speciale” aveva spiegato. “È normale che ne siate spaventati. Senza nemmeno volerlo ha distrutto una delle divinità più potenti dell'universo. Il suo potere è immenso e pericoloso, deve imparare a controllarlo, oppure…” aveva concluso sospirando, “deve essere distrutto.”
Il padre del cucciolo lo aveva guardato allibito. Solo allora, ammirando come le sue lunghe orecchie si fossero drizzate, Whis aveva notato come tutti loro assomigliassero straordinariamente a degli animali pelosi che aveva incontrato su molti pianeti stranieri. Li chiamavano con innumerevoli nomi diversi, ma a lui piaceva il nome Gatto. Quegli esseri avevano lo stesso muso, la stessa coda, gli stessi baffi dei gatti.
“Mio figlio morirà?” aveva chiesto il padre. Non sembrava triste o spaventato; solo sconcertato e quasi speranzoso. Whis ne era rimasto disgustato. “No” aveva risposto, decidendo repentinamente il da farsi. “Lo allenerò e diventerà un dio. Lo porterò sul pianeta del precedente dio della distruzione, Mashru. Sempre che per voi vada bene.”
“Va benissimo!” aveva urlato la madre. “Lo porti via. Quel bambino è malvagio.”
Eppure, tornando al presente, mentre il piccolo lo guardava imbronciato per essere inciampato nelle sue stringhe, non sembrava affatto malvagio. Sembrava solo un cucciolo amorevole e impacciato; un cucciolo naturalmente refrattario all’apprendimento, pigro e dispettoso che egli avrebbe dovuto trasformare in un perfetto dio della distruzione.
Ma perché diavolo si era ficcato in quella situazione tremenda?
“Per non ucciderlo" rispose immediatamente una vocina dentro di lui. Whis, l'essere più potente del settimo universo, l'incaricato dell'addestramento e della supervisione degli dei, non aveva avuto il coraggio di uccidere il bambino che lo aveva fatto ridere. Dopotutto, come avrebbe potuto fare una cosa del genere ad uno scricciolo come lui, dallo sguardo così puro e innocente?
I ricordi tornarono ad invaderlo. Si ricordò di quando, subito dopo la sua conversazione con i genitori, il bambino si era alzato e lo aveva guardato con gli occhi lucidi. “Ma mamma e papà mi potranno venire a trovare?” Era stato un momento di una dolcezza infinita che lo aveva disarmato completamente; aveva mormorato piano che sarebbero potuti venire quando volevano, ma nel cuore sapeva che non sarebbe mai successo. Nessuno tranne lui sembrava capire il bisogno che il cucciolo aveva di una presenza affettuosa e costante, nessuno poteva capire quanto fosse dolce, solo e perso. “Come ti chiami, piccolo?” aveva chiesto. “Mi chiamo Beerus. E tu, uomo blu?”
“Whis”.
Si erano stretti la mano, ed erano volati via insieme.
“Maestro Whis!”
Urlando, il piccolo lo distrasse dai suoi ricordi, mostrandogli orgoglioso i suoi piedi. “Sono riuscito ad allacciarmi le scarpe!”
L'alieno azzurro sorrise. “Bene, Beerus. Peccato che quelle siano le mie!”
“Uomo blu antipatico!” urlò il piccolo. “Sono stato bravo e tu non mi dici nulla!”
Cominciava a capire come mai tutti avessero paura di lui sul suo pianeta; quando si arrabbiava quel gattino si circondava di un’aura viola piuttosto inquietante e sprigionava un potere incredibile. Erano ormai tre mesi che vivevano insieme e ancora Beerus non riusciva a controllarsi minimamente quando era infuriato, nonostante si allenassero tutti i giorni affinché vi riuscisse.
Whis non era abituato a istruire bambini così piccoli e non sapeva quando il gattino avrebbe imparato a dargli più retta, obbedendogli e apprendendo qualcosa. A volte, la sera, non riusciva ad addormentarsi, preoccupato per quello che il mostriciattolo avrebbe combinato il giorno dopo; il gatto era senza dubbio l’allievo che gli stava dando più problemi tra tutti quelli che aveva avuto.
Eppure, con lui intorno, Whis era felice come non lo era mai stato.
“Beerus, calmati” gli disse ridendo. “Sei stato bravissimo, d'accordo? Ora però devi andare a riposare.”
“Non sono stanco" brontolò il cucciolo cercando di reprimere uno sbadiglio. Come accadeva sempre, Beerus poteva anche essere un'esplosione di energia vivente, ma se gli si nominava un letto o qualunque cosa avesse a che fare con esso diventava subito assonnato. Il gattino adorava dormire, era il suo terzo passatempo preferito, superato solo dal mangiare e fare dispetti al maestro.
Si trascinò faticosamente fino alle gambe di Whis e gli tirò la tunica. “Però mi prendi in braccio?”
L'alieno azzurro scoppiò a ridere, sollevando da terra. “Guarda che ti porto a letto. Non dormirai tutto il tempo in braccio a me come settimana scorsa.”
Il cucciolo brontolò. “Va bene papà.”
Ci vollero alcuni istanti perché Whis realizzasse come lo aveva chiamato la piccola palla di pelo che teneva tra le braccia. Quando se ne accorse, sorrise compiaciuto ma malinconico.
“Non sono il tuo papà, cucciolo” mormorò mentre lo cullava piano.
Il gattino era arrossito fino alla punta delle orecchie per quell'errore; a Whis sembrò la visione più dolce del mondo.
“Scusa" mormorò Beerus. “È che tante volte la notte sognavo che il mio papà mi coccolasse come stai facendo tu.”
“E non l’ha mai fatto?” chiese Whis allibito.
Premendo il musino contro il suo petto, il micio scosse la testa. “Una volta gliel'ho chiesto, ma mi ha detto che non voleva perché avrei potuto fargli male. Non ho capito cosa intendeva.”
Lo sdegno di Whis cresceva ad ogni parola del piccolo. Comprendeva come mai lo avessero temuto, ma era convinto che i genitori amassero i figli a dispetto di tutto. I suoi lo avevano fatto, gli erano stati accanto anche quando aveva dato dimostrazione dell’enorme potere distruttivo che possedeva; perché quel piccolo gatto non aveva potuto avere quello che spetta di diritto ad ogni bambino, una famiglia amorevole e disposta a correre ogni rischio per amor suo?
“Whis, tu sei proprio come avrei voluto fosse lui. Non ti posso chiamare papà?”
Whis ci pensò seriamente, preso com’era dai suoi pensieri densi di compassione, ma poi scosse la testa sorridendo tristemente. “Sono il tuo maestro, piccolo. Sono solo il maestro Whis.”
Eppure, mentre lo diceva, fece a se stesso una promessa: lui per quel gattino ci sarebbe sempre stato. È vero, non aveva avuto una vita felice e d’ora in poi, a causa degli allenamenti, si sarebbe fatta sempre più difficile, ma lui gli sarebbe stato accanto con affetto e costanza. A millenni di distanza, se gli avessero chiesto chi era stato l'uomo più importante della sua vita, non avrebbe risposto, come tanti fanno, “Papà". Avrebbe risposto “Whis".
“Buonanotte piccolo”, gli disse dolcemente.
“Notte… Papà.” Con gli occhi chiusi, Beerus gli fece una linguaccia.
Che maledetto, dispettoso microbo.
   
 
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