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Autore: Jawn Dorian    26/12/2015    0 recensioni
Qualunque cosa fossero stati loro – una squadra, una famiglia, un equipaggio – Jet non l’aveva salvata.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ed, Faye Valentine, Jet Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I close my eyes and I keep seeing things
Rainbow waterfalls
Sunny liquid dreams
Confusion creeps inside me raining doubt
Gotta get to you
But I don't know how
 
Jet aveva pensato a lungo a cosa dirle, quando l’avrebbe rivista.
 
Non si aspettava un cambiamento esagerato. Non si aspettava che quella mocciosa tutta pelle e ossa ora fosse diventata una quasi-donna. E aveva ragione.
Edward Radical era rimasta Edward Radical. Non c’era una singola cosa in lei che fosse realmente cambiata. Era diventata più alta, questo sì, e un accenno di fianchi più rotondi e femminili aveva cominciato a fare capolino e ora bastava una semplice occhiata più attenta per capire che si trattava di una ragazza.
E okay, aveva imparato ad indossare dei vestiti – adorava farli svolazzare mentre strillava ‘wwwwooosh’ – e delle scarpe, un paio di vecchi stivali polverosi.
Ma per il resto, Edward Radical era rimasta Edward Radical. La stessa sciocca Ed.
Jet si sforzò di pensarlo a lungo. La cosa lo rassicurava: aveva sempre conservato inconsciamente l’idea che Edward rimanesse ferma lì, senza cambiamenti, ferma in anima e corpo, solo per aspettarlo.
Sì, doveva essere così: Ed l’aveva aspettato. Ed non gli avrebbe mai tolto la possibilità di vederla crescere, vero? Non l’avrebbe mai fatto. Sarebbe sempre rimasta la loro stupida Ed.
Sì, stava andando dalla stessa ragazzina che altro non avrebbe definito se non completamente folle che cantava canzoncine prive di senso mentre si rotolava per tutta la sua nave con quello stupido cane pulcioso. Anche se il vero cane era lei, non Ein. Ed mordeva più di Ein, ringhiava più di Ein e indubbiamente mangiava quanto più tutti loro avrebbero mai potuto mangiare.
Stava tornando da una ragazza che solo fino a tre anni prima aveva annegato i suoi bonsai, rendendo scientificamente possibile la morte per annegamento di semplici piante.
Pensandoci bene, perché diavolo lo stava facendo? Chi glie lo faceva fare?
Ma chi diavolo credeva di prendere in giro. Jet sentiva, nel profondo, che non avrebbe resistito neanche un altro secondo senza poterla vedere.
Un fiume di ricordi prese a scorrergli in testa. In quel momento, nella sua mente, tutti quei momenti sembravano un’esplosione di colori e di vita, e si chiese come avesse fatto ad essere così cieco e a non accorgersi di quanto fossero belli mentre li stava vivendo.
“Quanto sei stupido” gli avrebbe detto Faye con superiorità “non lo sai che è il principio della felicità? Ti accorgi di averla avuta solo quando è andata via da tempo. E non puoi più recuperarla.”
Call me call me
Let me know it's alright
Call me call me
Don't you think it's 'bout time
Please won't you call and
Ease my mind
Reasons for me to find you
Peace of mind
What can I do
To get me to you
 
Faye ogni tanto la nominava. La nominava quasi come se fosse stata una presenza che si aggirava per il Bebop. Come se dovesse tornare da un momento all’altro, entrando da quella porta, con quello stupido cane tra le braccia. ‘Quella scema di Ed’, ‘quella stupida ragazzina’, ‘quella matta sempre appresso a quel sacco di pulci, ‘è un bene che non sia qui, altrimenti la cena sarebbe già finita’. La infilava in ogni conversazione, quasi a voler trattenere il suo ricordo, come se l’aver perso Spike fosse già troppo e quindi perché, perché mai nell’universo avrebbero dovuto perdere anche Ed?
Jet non l’aveva mai contradetta. Come avrebbe potuto? Il mondo di Faye Valentine era andato in mille pezzi prima che lei potesse renderlo davvero suo, e Jet se non altro voleva aiutarla a sostenerne l’illusione.
Certe volte la guardava e pensava che avrebbe potuto amarla, se non ci fossero stati tutti quei fantasmi a circondarli. Se non ci fosse stato il fantasma di Spike.
“Lo amavi?”
Glie lo chiese una sera in cui avevano bevuto qualche bicchiere di troppo. Glie lo chiese così, a bruciapelo, senza neanche mettere il soggetto nella frase. Non ce n’era bisogno.
Faye, con la testa ciondolante e le labbra ancora sull’orlo del bicchiere, non si era neppure girata a guardarlo. Aveva continuato a fissare il soffitto, e dopo un’ultima lunga sorsata di bourbon aveva finalmente rotto il silenzio.
“Non lo so.”
Jet si rese conto di aver trattenuto il respiro fino a quel momento. Si diede dello stupido.
“Non lo sai?”
“Ma vorrei saperlo. Darei tutto quello che ho. Avrei voluto sapere se lo amavo…così avrei potuto implorarlo di non andare e lui sarebbe ancora qui.”
Non seppe come sentirsi, ascoltando quelle parole. Si rese conto che faceva male.
Dio, cosa non lo faceva, ormai?
“Wow. Allora credi davvero tanto nel tuo fascino.”
“No. Non sarebbe mai rimasto perché aveva pietà di me. Sarebbe rimasto perché avrebbe avuto pietà dell’amore. Nessuno meglio di lui sapeva cosa vuol dire aspettare per sempre una persona.”
Jet sentì che stava per sviluppare un’allergia a quel particolare silenzio.
“No” si corresse intanto Faye “non sarebbe rimasto comunque, giusto? Non sarebbe mai rimasto.”
E poi pianse. Pianse ed era comunque bellissima, anche avvolta nel dolore, sfatta ma comunque elegante, acquattata come un gatto, e randagia, e testarda, e impossibile. Ma non era colpa sua. Nemmeno Dio in persona avrebbe mai potuto fermare Spike. Per cui Jet non potè fare altro che abbracciarla. Proprio quando cominciava a pensare che non avrebbe mai più abbracciato una donna.
I had your number quite some time ago
Back when we were young
But I had to grow
Ten thousand years I've searched it seems and now
Gotta get to you
Won't you tell me how
 
E poi non ce l’aveva fatta. Erano passati tre anni, e non ce l’aveva fatta a resistere oltre. Era come un magnetismo, era qualcosa che non avrebbe saputo spiegare. Il pensiero che Ed fosse lì, a pochi pezzi di cielo da loro, ormai riconciliata ed in pace con il suo passato, l’aveva reso irrequieto.  E non era da lui, accidenti, non era affatto da lui, e questo glie l’aveva fatto notare anche Faye.
“Ma sei scemo? Come sarebbe a dire ‘tornare a prendere Ed’?”
“Era solo una proposta.”
“Una proposta? Jet, ma ti stai ascoltando, mentre parli?”
“Saremo sulla Terra domani” sibilò Jet, guardando altrove “pensavo che salutarla sarebbe carino.”
“Cosa- no! Non hai detto ‘andiamo a salutarla’, ti ho sentito! Hai detto ‘andiamo a riprenderla’!”
“Mi sono espresso male” ammise, già scocciato dal tono supponente dell’altra.
“Questo è assurdo! Voi- tu…l’avete lasciata andare e ora…nnh!”
Non continuò. Cacciò un grido frustrato e senza neppure guardarlo in faccia se ne tornò in camera sua come una furia. In quei particolari momenti, in cui lei si arrabbiava,  Jet si sentiva come se lui e Faye avessero davvero costruito qualcosa insieme, qualcosa che sembrava tanto una famiglia in due. Arrossì, scacciando il molesto pensiero che gli ricordava che una famiglia in due vuol dire una coppia.
Non era così. Forse non lo sarebbe stato mai. Ma in ogni caso, qualunque cosa fosse quella cosa che avevano, dava il vago sentore che il Bebop stesse diventando qualcosa che Faye avrebbe potuto chiamare  ‘casa’, finalmente.
Jet si concentrò. Sentì che lo doveva a sé stesso.
Cercò di ricordarsi qual era stata l’ultima volta che aveva finito per pensare ‘torno a casa’, quando tornava da tutti loro al Bebop. Sentì una fitta allo stomaco. Erano state troppe, troppe volte.
Non poteva ignorare quella sensazione: il perpetuo chiedersi come stava Ed, cosa stava facendo e cosa era successo a quella dannata palla di pelo di Ein.
Forse, quella stupida idea sfociò repentina ed incoerente, se Ed fosse qui con noi…
Cosa, cosa sarebbe mai potuto cambiare? Avrebbero continuato a cacciare taglie litigando e soffrendo e vivendo in quel triste universo. E poi, ‘noi’? Quale ‘noi’? Non esisteva alcun ‘noi’, ormai.
Solo lui e Faye. Che genere di ‘noi’ era, quello?
Cos’erano, loro due? Due soci che cacciavano taglie? Due amici che bighellonavano nell’universo? Quel che rimaneva di un equipaggio? Non erano altro che i superstiti di ciò che il passato seminava.
Non importava. Voleva rivederla. Anche solo rivederla, quella disgraziata e petulante mocciosa.
Jet guardò dritto davanti a sé, rimirando per la prima volta dopo tanto tempo il cielo che si stagliava a perdita d’occhio di fronte a lui. Non sarebbe tornato indietro. Non avrebbe cambiato rotta.
Call me call me
Let me know you are there
Call me call me
I wanna know you still care
Come on now won't you
Ease my mind
Reasons for me to find you
Peace of mind
What can I do
To get me to you
 
In quello che aveva imparato essere il suo sommario ed inconfondibile stile, il destino li aveva fatti incontrare sul serio. E no, Edward non era rimasta la loro sciocca bambina Ed. Jet lo capì dal primo momento in cui i loro sguardi si incontrarono. Lo guardò a lungo con la curiosità che l’aveva sempre contraddistinta, ma con un inesorabile velo di malinconia. Malinconia. Solo il tempo sapeva imprimere la malinconia a qualcuno, e questo dimostrava che sì, il tempo era passato anche per Ed, che Ed era cresciuta. Non aveva aspettato di vederlo tornare per piagnucolare, ridere, divertirsi e mangiare con un trasporto fuori dal comune qualunque cosa le venisse presentata davanti. Edward era andata avanti per tre anni.
Era cresciuta senza di lui.
Non aveva detto niente. Era convinto che l’avrebbe vista urlare cose sconnesse e poi fare capriole – perché era così che faceva quando era felice – per arrivare verso di lui.
E invece no. Edward aveva solo spalancato la bocca in una delle sue solite espressioni ebeti. E poi aveva fatto una corsa disperata – senza lanciarsi per terra - e gli aveva gettato le braccia al collo.
Ed e il suo atteggiamento senza senso.
 “Ed pensava che non ti avrebbe rivisto mai più!”
Jet aveva pensato a lungo a cosa dirle, quando l’avrebbe rivista. Ma in quel momento non riuscì a spiccicare nemmeno mezza parola. Edward stava piangendo?
No. Non era così che sarebbe dovuta andare.
 
Come on now won't you
Ease my mind
Reasons for me to find you
Peace of mind
Reasons for livin my life
Ease my mind
Reasons for me to know you
Peace of mind
 
La casa di Ed era una catapecchia in mezzo alle macerie terrestri. Un’accogliente catapecchia, questo Jet glielo concesse. Un posticino tranquillo e polveroso, con una delle poche metropoli della Terra rimaste che distava qualche ettaro da lì. Lei a quanto pare se ne era stata in quella casucola con suo padre tutto il tempo, crescendo tranquilla e aiutandolo nella ricerca di non-sapeva-cosa su quel pianeta ormai decaduto. Era stata felice.
Non glie l’aveva detto, ma era stato così. Era cresciuta con un padre effettuoso ed era stata felice.
Si sedettero nella piccola cucina circondati da scatoloni e apparecchi elettronici.
“Ed ora è ancora più in gamba” gli aveva detto fiera, e lui non stentava a crederci.
Riusciva quasi a vedere frammenti di ricordi sparsi per quella casa sfrecciargli davanti agli occhi: ecco, ecco un orsacchiotto tutto mangiucchiato sulle orecchie, ed ecco una casa delle bambole che Ed era riuscita a devastare, dei modellini di areoplani attaccati al tetto, delle girandole colorate, un aquilone, un osso di gomma, croccantini per cani – Ein era ancora lì, era ancora lì con lei – fogli, appunti, articoli, carta straccia, libri illustrati e ovviamente tanti di quei congegni e computer da domandarsi se quella fosse davvero la dimora di una semplice ragazzina. Ed aveva vissuto tutto quello, senza di lui.
Jet la guardò tutto il tempo, quella ragazza. Aveva un vestito, addosso. Un groviglio di stoffa colorata e strappato sui bordi, ma un vestito. Era quasi carina, a modo suo. Ossuta e allampanata come sempre, ma carina.  Non poteva credere che sotto quel vestito dai colori dell’autunno ci fosse Edward.
Jet aveva pensato a lungo a cosa dirle, quando l’avrebbe rivista, e ora le parole non uscivano.
Era per come l’aveva guardato, che aveva capito. Era chiaro. Edward sapeva.
“Spike-Spike è morto.”
Non la credeva in grado di capire cosa fosse la morte. Si sentì un perfetto idiota.
Non l’avrebbe mai riavuta a bordo senza Spike.
Non l’avrebbe mai riavuta a bordo.
Non l’avrebbe mai riavuta.
 “Sì” disse solamente “Spike è morto.”
“Faye-Faye e Jet…sono ancora sul Bebop insieme?”
Avrebbe tanto voluto risponderle con un sorriso ad increspargli le labbra, ma non ce l’aveva fatta.
“Sì.”
Edward inspirò dalle narici, come se la cosa gli procurasse un indicibile sollievo.
“Sei tornato a riprendere Ed?”
Jet respirò profondamente ricordandosi che quella era l’ultima opportunità che aveva per essere onesto con sé  stesso, con il Jet di tre anni prima che aveva lasciato andare via tutti e sapeva, sentiva di star distruggendo qualcosa. Qualcosa di piccolo, poco significativo agli occhi di quell’universo infinito, ma in qualche modo dolorosamente bello per lui. Qualunque cosa fossero stati loro – una squadra, una famiglia, un equipaggio – Jet non l’aveva salvata. L’orgoglio era una specie di scoglio che se ne stava lì all’altezza del petto e ormai era una parte di sé. Per stavolta sarebbe bastato solo mettere a tacere tutta quella paura di essere felici.  I giorni con voi sono stati felici.
“Sì.”
Edward abbassò lo sguardo.
“Ed non può più venire con voi.”
Non riuscì proprio a trattenersi dal corrugare la fronte. Quasi risentito, perché tutto sembrava volergli impedire di portare a compimento quella semplice impresa. Dannazione…lui era un disastro in quel genere di cose. Convincere qualcuno a restare, a quanto pare, era la cosa che sapeva fare peggio.
“Perché?” domandò con il rammarico che gli graffiava la voce “tu vuoi tornare.”
“Sì” ammise Ed e il suo sguardo si fece più sicuro “ma Ed non poteva più fuggire dal suo sogno di avere il suo papà, almeno per un po’. Ed voleva una famiglia…voleva mostrare al suo papà quanto era diventata brava, e quindi se ne è andata. Era triste, mentre lo faceva, ma se ne è andata. Ed non ha mai pensato di tornare, non sa cosa pensare.”
Jet aveva pensato a lungo a cosa dirle, quando l’avrebbe rivista.
Era il momento di dirlo.
 
 
What can I do
 
“Siamo rimasti insieme su quella nave perché stavamo scappando tutti e tre dal nostro passato. Non guardarmi così, lo stavi facendo anche tu. Scappavamo tutti da ciò che eravamo stati, no? Scappavamo ma allo stesso tempo lo rincorrevamo. E’ stata una vera disgrazia incontrarci proprio quando non avevamo fatto i conti con noi stessi, vero?”
“Disgrazia” ripetè Ed facendo un broncio. Jet si chiese se stesse parlando al vento.
“Edward, anche tu sei scappata dal tuo passato, vero? Ma ora che hai aggiustato le cose, lo hai affrontato…ma facendo questo, sei scappata da noi. Siamo noi ad essere diventati il tuo passato.”
Ed si scosse, preda di un’improvvisa illuminazione.
Era vero. Era così vero. Quello era un circolo senza fine che l’universo aveva costruito apposta per gli uomini. Loro, tutti loro, erano andati incontro ai loro stessi passati, a ciò che avevano lasciato in sospeso. Ma facendolo avevano lasciato altro. E scappare da un ipotetico futuro, lasciando indietro i propri compagni di viaggio, per quanto poca fosse la sicurezza di averli amati, non procurava comunque un rimorso? Non li legava comunque e inevitabilmente a dei ricordi passati?
Ecco cosa avevano creato: un paradosso ancestrale, un enigma senza soluzione, un vicolo cieco nelle strade della vita.
Se torni in un posto, te ne mancherà un altro. Lascerai sempre qualcosa indietro.
Ma certo.
Edward sussultò. Un brivido la percosse tutta, e tornò a fissare Jet con gli occhi che sembravano due enormi bottoni dorati, illuminati. Tutti e due dello stesso colore. Tutti e due puntavano irrefrenabili ad una singola ed invariabile rotta. “Jet e Faye-Faye…ora sono il sogno di Ed.”
Ecco. Ecco qual era l’unica vera cosa da fare per vivere una vita vera, non ancora felice, ma vera: andare avanti. Ecco qual era la soluzione: andare sempre e comunque avanti, saltare giù dalla finestra con la vista migliore perché se non lo si faceva, quella finestra si sarebbe chiusa, non si sarebbe aperta più.
Andare avanti. Mai indietro.
“C’è una sola cosa che ho scoperto, andando ad aggrapparmi al mio passato: verso il passato non ci si gira. Indietro non si torna, nemmeno per prendere la rincorsa” scandì Jet, perché lei potesse comprendere appieno. E l’aveva fatto. Oh, sembrava una sciocca, ma non lo era.
“Edaward Radical” non era il suo vero nome, quello, ma era il nome con cui l’aveva conosciuta, e per lui andava bene così “ti prego, lascia che io sia il tuo futuro.”
L’assurda bambina che in parte era ancora in Ed battè le mani e rise con forza, mentre la sua parte nuova, adulta e consapevole le fece scivolare giù dalle guance copiose lacrime. Piangeva mentre rideva.
Oh, scegliere era così difficile.
“Ed credeva non glie l’avresti mai chiesto!”
Gli arrivò dritta addosso. Il suo naso gocciolante da ragazzina piagnucolosa sul petto – ma che schifo – e tutte quelle lacrime miste a risate sguaiate. Jet sorrise interiormente. Proprio quando cominciava a pensare che non avrebbe mai più fatto una proposta ad una donna.
 
 
 
To get me to you
 
 
 
 
Faye le aveva dato un pugno in testa, quando l’aveva vista arrivare con Ein al suo seguito. Nessun abbraccio, nessuna lacrima. Nessuna carezza.
L’aveva solo sgridata. ‘Perché non mi hai salutato quando te ne sei andata’, era stata la prima motivazione che aveva fornito ‘perché hai lasciato quel vecchio di tuo padre da solo’ si era corretta poi.
E poi aveva sgridato anche Ein, gli aveva urlato contro cose sconnesse tra cui Jet aveva annoverato anche un ‘e poi dicono che i cani sono creature fedeli!’
Ma Ein era più che fedele: era rimasto con Edward tutto quel tempo e l’avrebbe fatto per sempre.
E ora, Edward e Ein erano di nuovo a bordo del Bebop.
“Il papà ha detto che va bene così. Mi ha fatto promettere che lo tornerò a trovare.”
Ovviamente quella frase non era servita a calmare le acque.
La confusione sul Bebop fu istantanea, immediata, tanto che Jet finì per domandarsi se aveva davvero fatto la cosa giusta. Se loro tre – quattro, contando un certo sacco di pulci – fossero la cosa giusta.
“Stupida mocciosa volubile! Prendi una decisione!” aveva strillato Faye, inviperita.
“Jet e Faye-Faye…ora sono il sogno di Ed.”
Bastava e avanzava, come decisione.
 
 
 
 
 
 
Jet si convinse definitivamente di aver fatto la cosa giusta solo un anno e mezzo dopo, in un giorno non così  qualunque, sul Bebop. Edward rimirava lo spazio infinito stringendo Ein tra le braccia e Faye l’aveva guardata, seppure per un solo attimo, con tanta tenerezza da sembrare una mamma fiera.
Le aveva porto un bicchiere di latte, mentre invece lei stringeva in mano il latte col whiskey – un cocktail che si chiamava Cowboy, perché Faye doveva proprio amare l’ironia – e senza bere, l’avevano aspettato.
Jet allora le aveva raggiunte, anche lui provvisto di bevanda, e le aveva fissate intensamente e con la premura di imprimersi quell’immagine nella mente, e rendersi conto di quanto quello fosse così simile alla felicità mista alla malinconia. Ma almeno avevano deciso di affrontarlo insieme.
Ecco.
Quello era l’unico fantasma che era rimasto sulla nave.
L’unico sguardo che loro tre rivolgevano sempre indietro, in quel giorno non così qualunque.
L’unica volta che si concedevano di sbirciare verso il loro passato. Perché era un passato che avevano in comune e che non dovevano rincorrere, agognare o risolvere. Perché era sempre lì con loro.
“A Spike” mormorò Jet, alzando il suo bicchiere.
“A Spike” ripeterono le donne della sua vita, alzando il loro.
L’unica vera ombra del passato per cui valeva la pena girarsi.
 

See you Space Cowboy
Somewhere, somehow
 
 
 
 
 
 


Note dell’autrice
Volevo pubblicare questa storia senza alcuna nota, senza la minima spiegazione.
Non so perché, forse credevo che tutti, come me, dopo aver visto Cowboy Bebop sentissero l’urgenza di immaginarsi un lieto fine qualunque, anche spiegato malissimo e all’insegna dell’OOC come questo. Mi sono resa conto col tempo che non è affatto così: la magia di Cowboy Bebop sta proprio nel fatto di avere un finale completamente aperto, dedicato all’amarezza del dubbio. Così ho avuto mesi di dubbi e ripensamenti, e non volevo pubblicare questa storia, affatto. Finalmente lo faccio.
Ho pensato solo che, ecco, Jet sarebbe cresciuto e che avrebbe imparato a fare i conti coi suoi sentimenti, prima o poi, e che lo stesso doveva valere per Faye. “Indietro non si torna, nemmeno per prendere la rincorsa” è una frase detta da un fumettista, Andrea Pazienza, originario della mia città natale. Ho pensato anche che non poteva essere una coincidenza e l’ho usata in questa storia. Avevo deciso che Jet e Faye si sarebbero ripresi il loro presente, anche senza Spike, perché meritavano di essere felici.
Per quel che riguarda Edward che so essere ispirata all’eroina della mia infanzia Pippi Calzelunghe, beh…tutti sappiamo che nonostante suo papà gli manchi, Pippi finisce sempre per rimanere con Tommy ed Annika. Volevo che per Ed la cosa non fosse diversa. Anche perchè lei è il mio personaggio preferito e senza di lei - per quanto mi riguarda - non c'è Bebop che tenga.
Et voilà, questo è il risultato di queste riflessioni dementi di chi non può fare a meno di un lieto fine.
Alla faccia di Mika e This is the way you left me, like this forever we’ll live the rest of out life, but not together. Probabilmente scriverò di altri ottocento finali, con ottocento modi diversi di rincontrarsi, rivedersi, riscorgersi tra la folla e già lo so che faranno tutti schifo come questo.
Ma che vi devo dire…mi piace rischiare.
 
 
  
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