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Autore: eolide98    26/12/2015    3 recensioni
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Dal testo:
"Io non avrò nessuno, mai. E rimarrò in attesa, di una persona che non arriverà, di qualcuno che possa salvarmi dal buio che ho attorno. Ma la mia attesa non verrà ripagata e rimarrò solo...solo...
Percy...
Avrei tanto voluto essere salvato da lui. Avrebbe potuto stringermi tra le braccia, semplicemente, con la naturalezza con la quale lo fa con Annabeth, e tenermi stretto per un po', per cacciare via il buio, la solitudine. E magari poi lasciarmi, anche, purché per un po' mi avesse tenuto stretto. Ma neanche questo mi è stato concesso e Dio,Dio, quanto tutto questo mi fa star male!"
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ade, Nico di Angelo, Percy Jackson, Reyna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ad Elena

 

 

ANIMA SOLA

 

 

Reyna accarezzò le lenzuola con delicatezza, cercando di piegarle di modo che il letto non restasse disfatto per tutta la giornata. Erano incredibilmente pulite, il materasso, soffice, era strapieno di fogli, libri , carte di ogni tipo. Un PC era stato abbandonato nei pressi della spalliera del letto, lo schermo ancora illuminato, sul quale danzavano lettere bianche su un fondo scuro, la playlist di youtube ancora attiva. La canzone riprodotta in quel momento era una delle preferite di Nico. Reyna lesse il titolo del pezzo sulla schermata: “ In The End”. Un pezzo dei Linkink Park ovviamente.

La ragazza sorrise, un sorriso dolce, uno di quelli che sciolgono anche il cuore più duro, accoccolandosi sul materasso e mettendosi il computer portatile sulle gambe. Scottava, così Reyna usò le lenzuola come fossero una sorta di piattaforma, interponendole tra le sue gambe, coperte da un vecchio pantalone, e la parte inferiore del PC.

Il suo sguardo cadde immediatamente sul testo, le cui parole apparivano e scomparivano dallo schermo. Era così strano pensare che proprio quella canzone, con quel testo, fosse una di quelle che Nico preferiva, era talmente assurdo che proprio lui, che fino a pochi mesi prima, nell'amore non aveva mai creduto, adesso ascoltasse musica che parlava di affetto, di fiducia e protezione reciproca, di prendersi cura l'uno dell'altro fino alla fine dei tempi. Era una cosa così..così... ecco, inconcepibile! Inconcepibile!

 

Reyna alzò il volume al massimo e si distese sulla spalliera, ma il PC, quasi il destino avesse deciso di combinarne una delle sue, cadde, quasi, per terra. La ragazza lo afferrò al volo ma la schermata internet si chiuse bruscamente, e sullo sfondo ( un'immagine di Nico e Reyna spalla contro spalla, vestiti da agenti segreti) comparvero le varie cartelle. Tra i vari nomi, una in particolare attirò l'attenzione di Reyna, il nome, “Patroclo”, ricordò immediatamente qualcosa alla ragazza, la quale fece due volte click sull'icona e si ritrovò davanti una finestra di protezione, sulla quale comparve a lettere cubitali la frase “INSERIRE PASSWORD”.

Un'idea si affacciò nella mente della ragazza ed il suo viso si tinse di scuro, contorcendosi in una smorfia di preoccupazione.

Ecco, Reyna era una persona molto rispettosa della privacy altrui, non si impicciava molto spesso negli affari degli altri, non le piaceva, lo riteneva scorretto. Eppure il profondo legame che aveva instaurato con Nico la spinse, assieme alla sua curiosità, a fare un tentativo, uno solo. In fondo quante erano le possibilità che indovinasse? Pochissime, certo, conosceva Nico da molto tempo, ed un'idea forse ce l'aveva, soprattutto se in quella cartella si nascondeva ciò che sospettava.

Tre lettere, una parola, un nome, IL nome.

Non era davvero possibile...

Reyna pigiò velocemente sui tasti, pregando di sbagliarsi, convinta di star facendo un tentativo inutile.

Sullo schermo apparve una scritta verde. “Password -ADE- accettata. Reyna osservò lo schermo, esterrefatta, la cartella era occupata da un unico file, si chiamava “Storia di un'anima sola”.

Reyna iniziò a leggere, scoprendo che, come aveva temuto, si trattava del diario di Nico, il resoconto di quei giorni terribili.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PROLOGO: LA VITA E' UNA PAGINA BIANCA

 

 

 

 

La vita è una pagina bianca.

Ci si può scrivere sopra il proprio destino, andando avanti pian piano, o segnare qualche nota lungo il margine, di modo che faccia da monito. Ci si possono incidere frasi, su quel foglio, e parole, e nomi di persone, di luoghi vicini, lontani, importanti. O ci si possono disegnare immagini, scarabocchi, magari pensando a qualcos'altro, rincorrendo sogni e speranze che sembrano fin troppo lontani. Puoi anche sbagliare a scrivere qualcosa, in effetti, e cancellare, lentamente, con un segno scuro, ciò che non andava bene. O, perchè no, sottolinearlo col colore rosso, di modo che salti agli occhi, che possa essere ricordato.

Il problema sorge quando quegli errori iniziano a riempire la pagina. Quando di segni rossi non ce ne sono più due o tre, ma molto, molti di più. Ben marcati, in vista, come ferite dolorose, ancora aperte, in attesa che qualcuno le chiuda, le medichi.

E se quel qualcuno non arriva?

E se quelle ferite, quelle cancellature, diventano così imponenti da rovinare l'intera pagina bianca? Da scurirla al punto tale che l'intero foglio diventa una macchia d'inchiostro?

E se quei tagli diventano il tuo passato, il tuo presente, il tuo futuro, se non riesci più ad ignorarli, tanto sono profondi e dolorosi?

Si diventa forti, dicono alcuni. Abbastanza da farsi scivolare tutto addosso, abbastanza da andar avanti a costo di perdere parte di sé stessi. Perchè, alla fine, l'anima temprata dalla sofferenza diventa forte, la più forte che esista, e tutto,con essa, si inspessisce, si indurisce. I caratteri più solidi, la forza di pensiero e l'autonomia, alla fine, non sono che il prodotto di tutte le cicatrici che segnano il nostro animo.

Ma anche la persona più resistente, anche l'anima più potente ed indipendente arriva ad un punto, alle volte, nel quale continuare a fare cancellature non è più possibile, nel quale non è più possibile star lì a ricominciare daccapo, a riscrivere, ancora ed ancora, le stesse parole, a rifare gli stessi, identici errori. Arriva un momento nel quale dire basta è l'unico modo per smettere di soffrire, nel quale smettere di vivere è l'unica scappatoia per fuggire ad un mondo che non ti apprezza, non ti desidera, non ti vuole.

E quando quel momento arriva, devi avere qualcosa che ti tenga a galla. Altrimenti affoghi, nell'oblio, nell'oscurità.

Questa è la storia di chi quelle cancellature le ha sentite sulla pelle per tanto, troppo tempo. La storia di un fiore appassito troppo in fretta, troncato dalla forza distruttrice dell'odio, di un cuore spezzato in frammenti talmente minuscoli che è difficile anche distinguerli dalla polvere. La storia di un'anima sola.

 

 

***

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AMAREZZA

 

Lunedì 10 Settembre.

 

Mi hanno detto che scrivere aiuta.

Che mettere su carta le proprie ansie, i propri timori, li rende più facili da sopportare, fa sentire più leggeri.

Penso che sia un'idiozia, una stronzata, per dirla a modo mio.

Scrivere non aiuta, non risolve, miracolosamente i tuoi problemi, non li rende meno dolorosi o imponenti, contribuisce soltanto a renderli reali, veri. Perchè quando inizi a dipingere parole su di un foglio immediatamente delle immagini ti appaiono davanti agli occhi, la finzione diventa realtà, o meglio, ciò che tenti di nascondere torna alla luce.

 

Ho accettato la mia omosessualità a quattordici anni. Ero ancora una ragazzino quando mi accorsi che le occhiate che il mio migliore amico rifilava alle ragazze mi infastidivano.

Lui si chiama Percy, ha un anno in più di me e da qualche giorno ha iniziato a frequentare una speciale accademia di perfezionamento per l'agonismo sportivo. Ecco è il tipico ragazzo estremamente bello, dolce e buono che ognuno ha incontrato almeno una volta nella propria vita. È una persona alla quale tutto va bene, tutto è sempre andato bene. Ha gli occhi verdi, del colore dell'oceano, splendidi e grandi, che si illuminano nel momento nel quale sorride. Ed un fisico perfetto, un carattere fantastico. Ecco, è un ragazzo di una dolcezza unica, sorprendente, una di quelle persone buone e basta, gentili e basta, che non si aspettano nulla in cambio del loro affetto.

Ed io credo di amarlo...

 

Non l'ho capito subito, non è stato il tipico colpo di fulmine, di quelli che ti colgono impreparato, mentre sei occupato a fare altro, ma una procedura lenta, una malattia infettiva, se vogliamo chiamarla così, che mi ha consumato lentamente.

Mi sono innamorato di Percy piano, come quando ci si addormenta e ci sono cascato in pieno, in questa trappola dalla quale non riesco più a tirarmi fuori.

 

Oggi Percy ha baciato una ragazza.

Il suo nome è Annabeth Chase, frequenta il mio stesso corso di lettere, è una brava ragazza, simpatica, credo. Una persona perfetta in tutto, la tipica ragazza bella e studiosa, che non fatica a farsi degli amici, che ottiene sempre quello che vuole.

Le loro labbra si sono toccate, davanti ai miei, occhi. E ha fatto male, tanto. Mi sono sentito calpestato, distrutto, fatto a pezzi, lentamente, in maniera sadica. E non ce l'ho fatta a restare davanti a quei due, a vederli assieme. Sono scappato, ho finto di sentirmi male e sono corso a casa.

Mi sono soltanto sdraiato sul letto, a faccia in giù e ho chiuso la porta a chiave. Nessuno doveva entrare, nessuno doveva sapere quello che stava accadendo.

Se mio padre mi avesse visto piangere per l'ennesima volta, senza un motivo, mi avrebbe dato ancora della donnetta. Non lo avrei sopportato.

 

Lui e mamma non lo sanno.

Non sanno di me, dei miei sentimenti, di quello che provo. Perchè a loro quelli come me fanno schifo, lo dicono di continuo. Loro quelli come me li vedono solo come degli sperimentatori, gente che non ha nulla da fare, che sta con gente del suo stesso sesso per gioco, per curiosità o, come dice mio padre, “per pazzia”.

E' una malattia per loro, la mia. Una specie di influenza dalla quale si guarisce con difficoltà, una cosa che attacca il cervello, che lo costringe a fare cose che non dovrebbe, rendendo la persona innaturale, diversa.

E' così che mi sento io, diverso, e solo...

 

Io non avrò nessuno, mai. E rimarrò in attesa, di una persona che non arriverà, di qualcuno che possa salvarmi dal buio che ho attorno. Ma la mia attesa non verrà ripagata e rimarrò solo...solo...

Percy...

Avrei tanto voluto essere salvato da lui. Avrebbe potuto stringermi tra le braccia, semplicemente, con la naturalezza con la quale lo fa con Annabeth, e tenermi stretto per un po', per cacciare via il buio, la solitudine. E magari poi lasciarmi, anche, purché per un po' mi avesse tenuto stretto. Ma neanche questo mi è stato concesso e Dio,Dio, quanto tutto questo mi fa star male!

 

Mi fa male sapere che io le sue labbra non potrò toccarle, che le sue braccia, che tengono stretta Annabeth, non mi stringeranno mai mentre dormo. E non potrò appoggiarmi al suo petto, o accarezzargli i capelli. Non potrò intrecciare le mie dita con le sue, né mettermi i sui vestiti, caldi ed una taglia più grande dei miei.

Perchè io non sono una ragazza, non sono Annabeth Chase, sono solo... questo...

QUESTO!

UN ERRORE! UN FOTTUTO SBAGLIO! UNA MALATTIA, UNA PERVERSIONE!

Un animale in gabbia, che non può scappare, che resta in mostra, sotto gli occhi di tutti, senza che nessuno lo capisca, senza che nessuno si preoccupi di indagarne lo stato d'animo , i sentimenti.

 

Perchè a me?

Non ho fatto nulla di male, nulla di male...

 

 

***

 

BASTA SPERARE

 

Sabato 3 Ottobre

 

Reyna dice che passerà.

Che questa notte non durerà per sempre, che una luce verrà, anche per me, che anche il tunnel più lungo ha una fine.

Reyna dice che non sono un errore.

E mi rimprovera quando la chiamo, di notte, quando il sonno fatica ad arrivare, quando la testa è piena di mille pensieri, che riempiono l'oscurità soffocando la stanchezza, uccidendo i ricordi felici e mi scuso una, due, tre volte, per averla disturbata.

Mi dice sempre che lei è qui per me.

Che anche nel momento meno opportuno, mentre lavora, segue il master o cucina, al cellulare può rispondere.

Mi dice sempre che con lei posso sfogarmi, sempre e comunque.

Che a lei posso dire tutto.

 

Ma di quanto è capitato oggi, con lei, non ne ho fatto parola.

Semplicemente perchè alcune cose vanno affrontate da soli, senza nessuno al nostro fianco. E non per vittimismo o per protagonismo, non per un bisogno ipocrita di combattere senza alcun aiuto, perchè da soli si soccombe sempre, in ogni caso, ma perchè in alcuni momenti si ha bisogno di dimostrare a sé stessi di essere ancora umani, ancora abbastanza forti per farcela, per rialzarsi, continuare, senza un motivo preciso, semplicemente perchè è giusto farlo, perchè deve essere così.

E a volte, il peso che ci viene scaricato addosso è tanto imponente che anche il solo farne parola sembrerebbe scorretto. Perchè ognuno ha i suoi fantasmi con i quali fare i conti, e scaricare i propri su qualcun altro è una dimostrazione di egoismo.

 

Il mio fantasma si chiama Ade. È un uomo forte, severo, all'antica. Sono cresciuto con lui, senza una mamma, senza una famiglia vera, con la costante ansia di non essere abbastanza.

Mio padre mi ha sempre ritenuto una disgrazia, un aggettivo inutile in una frase già completa, una bocca da sfamare più che un figli da crescere.

Mi ha sempre detto che non sono abbastanza.

Ed i miei voti non erano abbastanza alti, ed il mio fisico troppo gracile, la mia salute troppo cagionevole. E quegli “Alzati e smetti di piangere!”, perchè gli uomini per papà non piangono, gli uomini veri per papà menano cazzotti a destra e a manca, e si fanno prendere a cazzotti, impassibili.

 

Non lo saprà mai, mio padre, quello che sono, quello che provo, quello che sento. Perchè mi farebbe male, mio padre, mi caccerebbe di casa, mi lascerebbe in mezzo ad una strada, perchè , come dice lui “meglio un figlio morto che un figlio frocio”.

 

Oggi Luke Castellan mi ha preso a botte, a scuola. Mi ha rotto un labbro e quasi fratturato una costola e, se Percy, che mi era venuto a prendere, non fosse intervenuto, probabilmente sarebbe andato oltre, mi avrebbe letteralmente preso a pugni fino allo sfinimento.

E tutto questo solo perchè deve intrattenersi passare il tempo, trovare un modo per darsi delle arie, costruire la sua superiorità sugli altri, prendendoli in giro, insultandoli, facendo loro del male.

Semplicemente perchè non sa fare altro, Luke, perchè ci sono persone, persone come lui e mio padre, che vivono di odio, e di odio si nutrono.

 

Quando sono tornato a casa avevo le lacrime agli occhi, mi faceva male tutto, e sentivo il desiderio di vomitare, sempre più forte. Mio padre mi ha guardato per un attimo che è sembrato un'eternità, ha analizzato i miei lividi ed il sangue secco come se fossi una sorta di manichino.

Poi mi ha guardato negli occhi, fisso, per qualche momento.

Mi ha detto che ero patetico, così conciato, in lacrime. “Fragile da far schifo, una femminuccia senza spina dorsale, un frocetto privo della capacità di difendersi da solo”, mi ha detto un mucchio di cattiverie, una più grossa dell'altra, fino a farmi scoppiare.

Mi sono rifugiato in camera mia, da solo.

Ho vomitato, sono stato male, male davvero. E non ho dormito né mangiato.

E ho capito che per me non c'è alcuna speranza.

 

Che la mia felicità non ha alcuna possibilità di realizzarsi.

Che sono stufo di sperare in un futuro migliore, quando tutto ciò che vedo è cattiveria, distruzione ed odio.

Che non voglio più illudermi di poter essere libero, quando in realtà sono in trappola.

Nè continuare a credere che qualcuno verrà a salvarmi, strappandomi a questa vita, a questa gabbia, a questo dolore.

 

E lo so che per me non ci sarà un lieto fine, che non smetterò mai di essere odiato, messo da parte, maltrattato, senza un motivo, solo perchè non sono come gli altri. E so anche che a nessuno interessa tutto questo, che la gente non vede, non vuole vedere. O se vede lo fa con cattiveria, con odio.

 

Ed io sono stanco di illudermi che tutto questo possa cambiare...

Così stanco...

 

***

 

 

 

Reyna abbassò lo sguardo, le lacrime agli occhi. Perchè quel dolore, quella ferita atroce della quale Nico più volte le aveva parlato, solo adesso riusciva a percepirla, con chiarezza, solo adesso le sembrava chiaro quanto quel ragazzino fosse stato male, da solo, a sobbarcarsi un peso più grande di quanto potesse sopportare.

E pensò, Reyna, a tutti i messaggi notturni, a tutte le mail che riceveva mentre stava lavorando o mangiando. A tutte le volte nelle quali Nico si era sentito solo, abbandonato, e lei non aveva saputo far altro che ripetergli di sfogarsi, di buttar fuori tutto il veleno che aveva dentro, perchè, come diceva spesso, se non lo avesse fatto nemmeno con lei, l'unica che sapeva, allora sarebbe scoppiato.

Ed era scoppiato, nonostante tutto, nonostante il suo aiuto, le sue parole dolci, le sue cure e le sue attenzioni, i suoi regali, spediti per posta.

Perchè abitavano a settecento chilometri di distanza, lei e Nico. E nonostante più volte Reyna gli avesse offerto un letto, un posto in cui stare, il denaro per scappare, lui aveva sempre rifiutato, mettendo a tacere il grido di solitudine che sembrava voler uscire dalle sue labbra.

E la ragazza si sentì inutile, annientata davanti a quell'oscurità devastante, che albergava in quelle pagine, in quel testo trovato per caso. E si sentì piccola, davanti alla forza che il suo amico aveva dimostrato, nel sapersi rialzare, una volta dopo l'altra.

E si chiese cosa avrebbe fatto lei, di fronte ad una situazione del genere, tanto disperata. Un battaglia persa in partenza, come l'aveva definita Nico. Una trappola senza uscita.

Continuò a leggere, mancavano poche pagine alla fine di quel diario, di quel pozzo che era servito a Nico come sfogo, come confessore segreto di tutto ciò che , a voce, non riusciva a dire.

Reyna fece scorrere la schermata fino ad arrivare a una delle ultime pagine, timorosa, in effetti, di quanto potesse nascondersi in quelle righe. Non appena lesse le prime parole, le lacrime tanto a lungo trattenute iniziarono a scorrere, senza ce lei potesse far nulla per fermarle.

 

 

 

***

 

FINISCE QUI

 

 

Giovedì 15 ottobre

 

E chi cercherai,

Anima Sola,

Quando nessuno sarà rimasto accanto a te,

E a camminare ti ritroverai nel buio?

 

Sei così fragile,

Anima Mia,

Nella tua teca di vetro,

Nella tua gabbia di speranze tradite.”

 

 

Oggi ho smesso di combattere, di provare ad aggiustare quello che sono. Ho smesso di provare a reprimere i miei sentimenti, quello che amo, che odio, ho iniziato a dirmi che vado bene anche così, ho smesso di mentire.

L'ho detto ad Ade. A tavola, noi due soli, l'uno a guardare l'altro, impassibili, immobili, intrappolati entrambi in una torre di ghiaccio di parole non dette, di contatto mancato, di odio senza amore, di amore senza odio, di forza messa da parte per troppo tempo, di lotta senza speranza.

Gli ho detto tutto, ogni cosa.

Gli ho parlato del mio essere, dei miei sbagli, dei miei silenzi, dei miei errori. Di quello che non ho mai accettato, dell'amore che mi è stato negato, di tutto quello che ho patito, da solo, in silenzio. Gli ho detto quello che Reyna mi ripete sempre. Che non sono un errore, non sono uno sbaglio, ma una persona forte, incredibilmente forte.

Perchè non è forte chi combatte, urla, strilla, si arrampica sull'affetto degli altri per trarne un beneficio, seppur minimo. Lo è chi piange di notte, in silenzio, senza farsi né vedere né sentire da nessuno. Lo è chi, quando qualcuno gli chiede come sta, risponde “tutto bene” anche se in realtà sta morendo dentro, e chi le lacrime le lascia cadere lungo il volto, perchè non ha il coraggio neanche di asciugarle, né la capacità di nasconderle ancora. E chi non chiede aiuto, anche se ha un bisogno disperato di essere salvato. È forte, davvero, chi ha imparato a convivere con il proprio dolore, con i propri fantasmi, affrontandoli, nel buio, dove sono più forti e spaventosi, cadendo, tante, troppe volte. Ma rialzandosi, sempre. Che è forte chi non dimostra quello che sente.

Gli ho detto di me, di ciò che sono, ho messo tutto me stesso nelle sue mani, come un piccolo fiore di cristallo, fragilissimo.

E per un attimo, un attimo soltanto, ho creduto che tutto potesse andare bene.

 

Il primo pugno mi ha preso in faccia, il secondo mi ha fatto cadere dalla sedia, al terzo sputavo sangue. Il quarto l'ho evitato, le dita si sono infrante sul pavimento, sono corso in camera mia, veloce, tanto, troppo veloce. E ho chiuso la porta, di modo che non potesse raggiungermi.

 

Questa cosa finirà adesso...

Non ho più intenzione di vivere così.

Devo soltanto salutare Reyna, poi potrò andar via, libero, finalmente.

La mia battaglia finisce qui, la mia resistenza, la ma forza, la mia speranza. Finisce qui, la mia voglia di restare, vivere. Finisce qui, muore, assieme a quel poco di affetto che mio padre mi mostrava.

 

***

 

E Reyna se la ricordava, quella lettera, quella sua ultima lettera, che di lì a poco avrebbe letto. E ricordava della corsa fino alla macchina del suo papà, delle chiavi che giravano nel pannello di controllo, della strada che correva veloce, davanti ai suoi occhi, di notte, i fari accesi. E ricordava quelle parole, che le volteggiavano nella testa mentre la paura di perdere quello che oramai per lei era un fratello più piccolo si faceva strada dentro di lei. Era il primo Novembre, il giorno dei morti, l'ultima notte della sua vecchia vita, l'ultima notte di Nico Di Angelo.

 

La pagina contrassegnata dai versi rossi scivolò via, lasciando spazio ad un nuovo insieme di lettere, parole, sentimenti marci, sudici, sporchi.

Reyna contemplò la stanza che aveva attorno, inspirò profondamente, tentando di calmarsi, poi riprese a leggere.

 

***

 

FAI IN MODO CHE SI SAPPIA

 

Giovedì 1 Novembre

 

Ma ormai è tempo di andare, per me a morire, per voi a vivere: chi di noi si avvii verso una sorte migliore, è oscuro a tutti tranne che al dio.”

- Apologia di Socrate

 

Mio padre non mi ha più rivolto la parola da quel giorno. Esce la mattina presto e rientra la sera tardi, non ci incontriamo neanche più a tavola.

Come potremmo, del resto? Ho smesso di mangiare, di dormire, ho perso interesse nel rimanere in vita, distrutto dal destino, da questa stupida, inutile vita.

E a lui di tutto questo non importa nulla, né importa ai miei presunti amici, a Percy, a Jason. E mi sento irrimediabilmente sopraffatto dagli eventi, come una barca in un mare in tempesta, vessata dal vento e dalla pioggia, incapace di rimanere a galla, di continuare a sperare, ancora ed ancora, di illudersi di poter vivere in tranquillità.

Ho scritto a Reyna oggi, la mia ultima lettera. Per lei, per nessun altro.

E' il giorno giusto per farla finita. Lo farò stanotte, quando nessuno potrà sentire nulla, avvolto dalle tenebre, coperto dalle ombre. E ritornerò ad essere parte di quell'oscurità dalla quale avevo pensato di potermi staccare.

Che poi, magari, morire è anche meglio di vivere. Che, infondo chi mi dice che tutto quello che si dice su di me, su quelli come me sia vero? Magari morire è come prendere sonno. Non te ne accorgi e resti incosciente, chiuso in una bolla, per sempre a dormire un sonno ristoratore, senza sogni, dove tutto e tutti sono ombre sfocate. Magari dall'altra parte andrà meglio.

Papà mi ha lasciato una cravatta sul letto, una cravatta nera, con sopra le mie iniziali. Penso sia perfetta per un funerale...

 

***

 

Cara Rey,

Mi hai sempre detto che sono una persona forte, che non ho nulla da invidiare ai miei compagni, ai miei coetanei. Mi hai accettato per quello che sono, nonostante tutto, nonostante i miei difetti, le mie stranezze, le mail notturne, le chiamate ad orari assurdi.

Viviamo lontani io e te, Rey. E settecento chilometri sono troppi, decisamente troppi. Ma nonostante la distanza tu hai pensato a me, ti sei presa cura del mio cuore, spezzato in pezzi minuscoli, troppo, davvero troppo piccoli. E, anche se non sei riuscita a rimetterli assieme, ci hai provato con tutte le tue forze. E per questo ti ringrazio. Ti ringrazio per il supporto mai negato, per l'affetto disinteressato, per la forza, la tua forza, che ha sostenuto entrambi. E ti ringrazio per le notti passate a pensare a me, ai miei problemi piuttosto che ai tuoi, a riflettere su ciò che mi stava accadendo su quello che provavo.

Ti ringrazio per aver tentato di proteggermi da una vita che non faceva che ferirmi, da una forza oscura che mi voleva per terra, disteso, ammanettato, intrappolato. E ti ringrazio per aver provato a sostenermi fino alla fine.

Ti ringrazio per i piani delle undici, di fuga di libertà, di solitudine.

E ti ringrazio per tutte le volte che mi hai inviato un libro, un pacco, un CD, per le cartoline, le lettere, le serate passate a spiegarmi biologia dall'altro lato del telefono.

E ti ringrazio per non avermi lasciato solo, per tutto questo tempo.

 

E mi dispiace per quanto sto per fare, per la debolezza che, ancora una volta, mostrerò a te e a chi mi sta intorno, nella mia totale incapacità di affrontare la situazione che si è venuta a creare.

Mi dispiace, Rey, ma io così non riesco più a vivere.

Sono stufo, stufo.

Vorrei essere libero, libero di volare via , di fare ciò che mi pare, di essere chi mi pare senza che nessuno venga a dirmi cosa fare, cosa essere.

Ma come si fa ad essere liberi? COME CAZZO SI FA AD ESSERE LIBERI?

Sono stanco di sopravvivere senza vivere, senza potermi mettere in gioco stufo di queste pareti di vetro che mi separano dalla felicità, che mi intrappolano nella solitudine.

Sono stufo delle lacrime immotivate. E stanco della gente, della gente che piange per stronzate quando loro non lo sanno com'è sentirsi tristi, non avere nessuno cui star avvinghiati, cui attaccarsi per non affogare.

E loro non lo sanno com'è sentirsi morire... sentire che la speranza se ne vola via lasciando posto al dolore, alla sopportazione..

Io a che servo Rey?

A chi servo?

Non a te, che di tutto hai bisogno tranne di qualcuno che ti getti addosso ansie e preoccupazioni, non a Percy, che una spalla sulla quale piangere, per poi mostrarsi felice, mano nella mano con Annabeth il giorno dopo, la può trovare ovunque, non a mio padre, che mi ritiene colpevole di tutto, di tutto, della morte di mamma, di Bianca, dei suoi problemi. Che mi guarda come se avessi fallito, come se fallissi sempre.

 

Non ho salvato nessuno Rey, non sono nemmeno stato in grado di salvare me stesso.

Non sono capace, non so come si faccia a dare una mano.

Non ce la faccio ad essere ancora da solo.

Non ce la faccio a sentirmi morire, a vedermi diventare un fantasma.

Non ce la faccio a non essere amato da nessuno all'infuori di te, che mi conosci per come sono.

Non ce la faccio ad essere odiato.

Non ce la faccio, non ce la faccio, non ce la faccio.

 

Ho deciso di smettere di combattere, di arrendermi, di lasciare che le cose vadano come sarebbero dovute essere da tanto tempo. Che in fondo, che io ci sia o meno non cambia molto. Vorrei che tu prendessi il mio PC e pubblicassi il mio diario, lo facessi leggere, lo rendessi noto. Di modo che tutti sappiano, che tutti conoscano la mia storia. Che quello che è successo a me, che capta a tanti, troppi ragazzi, non venga dimenticato, che tutti ricordino che una parola fuori posto, un insulto mascherato da scherzo, un borbottio ed una frecciatina, il costante sminuire l'altro, non sono che dardi avvelenati, che colpiscono la mente ed il cuore fino ad ucciderli, a soffocarli.

La pubblicherai vero?

 

Sento il petto svuotarsi pian piano.

Manda via tutto questo buio, ed accompagnami, quest'ultima notte, prima che sorga l'alba, sii la luce necessaria ad illuminare ancora un po' il PC, per scrivere un altro po'.

Solo un altro po'.

Non biasimarmi ti prego, non sono farneticazioni le mie. Sono allo stremo delle forze, la mia battaglia titanica sta per giungere al termine. Perchè io non sono più in grado di essere forte, non so più dirmi che domani andrà meglio, che tutto finirà bene.

 

Nessuno può più difendermi.

Nessuno.

Neanche tu...

Non sono più in grado di proteggermi nemmeno da me stesso...

 

***

 

Le immagini di quella notte maledetta iniziarono a prender vita davanti agli occhi velati di tristezza di Reyna, le iridi che si tingevano di ansia. La scena la conosceva fin troppo bene, tante volte la sua immaginazione aveva vagato, incentivata dai racconti, dalle parole di chi l'aveva vissuta. Ma, ancora adesso, Reyna non riusciva appieno a comprenderne molte dinamiche. Immaginava Nico seduto sul letto, in silenzio, il volto teso in un'espressione di cupo dolore, con il viso coperto dalla penombra, le luci della stanza da letto della sua piccola stanza erano oscurate, di modo che sembrasse ancor più buio e poco luminoso di quanto non fosse, e le mani strette tra loro, intorno ad un pezzo di stoffa nero, una cravatta scura, di ottima fattura, italiana, forse.

Ed immaginò il ragazzo chinare il capo con lentezza, inspirando ed espirando con calma, in una maniera estremamente calcolata, nel tentativo, forse, di modulare il battito cardiaco, impazzito a causa dell'ennesimo scherzo che il destino aveva voluto fargli. E Nico che provava a mettersi all'impiedi, invano.

E Reyna quasi riuscì a sentire il senso di angoscia, rabbia, crescere lentamente nel ragazzino, pronto a fare qualcosa che nessun essere umano dovrebbe mai nemmeno immaginare.

Forse si era chiesto, Nico , cosa ne sarebbe stato dei suoi amici, della sua famiglia, dopo. Che cosa avrebbe fatto Ade, cosa avrebbe detto Reyna. E forse non gli importava poi tanto. Magari, per una volta, Nico stava pensando a sé stesso prima che a chiunque altro, alla sua fatica nel trascinarsi avanti, a fatica.

 

E Reyna ricordò quello che una volta Nico stesso le aveva detto. Che le persone si spezzano, e cadono, e si rompono. Che mentre la vita ti calpesta, ancora ed ancora, e ti spinge in basso e ti lascia per terra, e non ti aiuta che a sprofondare, l'unica resistenza che si può fare è lasciarsi passare tutto addosso, nella speranza che non faccia troppo male. Le aveva detto che anche l'anima più forte, prima o poi, cede. Sotto il peso di qualcosa che nemmeno lei può più sorreggere. Che ognuno, prima o poi, perde la sua battaglia. Sconfitto dalla vecchiaia, dal dolore, dalla vita. E muore, pian piano, preda del veleno che tutti gli iniettano nelle vene.

Le aveva detto che tutti, prima o poi, cadono. Che nessuno resiste per sempre, che nessuno è forte per sempre. Che nemmeno lui avrebbe potuto esserlo ancora per molto.

 

Immaginò una risata gutturale uscire dalla bocca del ragazzo dalla pelle bianca come il latte, mentre le dita, rapide, riacquistavano velocità, annodando quel pezzo di tessuto nero che stringeva tra le mani in maniera meticolosa, precisa, fino a formare un cappio.

E poi Nico che si alzava dal letto, dirigendosi verso una parte particolare della stanza, dove dal soffitto pendeva il lampadario spento, tenuto sospeso da una struttura ad anelli non molto complessa, simile ad una catena, molto ma molto resistente. Ed il ragazzo che faceva entrare l'estremità scoperta della cravatta nell'anello superiore, e che ve l'annodava, salendo su una sedia.

 

***

 

Reyna lasciò le chiavi nel cruscotto, la macchina ancora accesa e si catapultò verso la porta d'ingresso della casetta scura il cui indirizzo combaciava con quello a cui spesso spediva dei pacchi. Se l'era immaginata diversa la casa di Nico, più come una sorta di prigione dalla quale era impossibile evadere. Ma in fondo le gabbie peggiori sono quelle senza sbarre e senza catene non è vero? Quelle che bloccano il tuo pensiero, il tuo cuore, le tue idee, che soffocano la tua libertà pian piano. E casa Di Angelo, stando ai racconti di Nico, era proprio un posto del genere.

La ragazza corse verso la porta. Era tardi. Tanto, troppo tardi. Il sole sorgeva alle sue spalle, mentre una, due, tre volte, il dito di Reyna spingeva sul campanello, facendolo squillare nella notte.

 

Una preghiera. Il principale ricordo di quella sera è una preghiera. Fatta a non si sa quale Dio, non si sa quando. Magari per tutta la notte. Silenziosa, profonda, dolorosa. “Salvalo, fa che io arrivi in tempo, lascia che lo porti via”.

 

Il campanello che squilla ancora, il rumore dei passi, lontani, via via più vicini. Ed il suono di qualcosa che si rovescia a terra, una sedia. Gli occhi di Reyna che si spalancano, mentre le mani sbattono contro la porta ed un uomo alto, vestito di nero, dallo sguardo colmo d'odio viene ad aprire. Due sguardi che si incrociano. E per la prima volta un barlume di umanità in quegli occhi spenti.

I due si capirono all'istante, ma Ade se ne rimase impalato a fissare il vuoto, quasi lo shock fosse troppo. E Reyna lo mise da parte con una spinta, salendo le scale ad una velocità mai vista, inaudita, per trovarsi davanti ad una stanza dalla porta nera, lacera, graffiata all'esterno. La chiave era inserita, la porta bloccata, dall'interno della stanza proveniva solo un freddo silenzio.

-NICO SONO REY, APRI!- un sospiro, anzi un verso soffocato.

-NO...NO...- la prima spallata fece vacillare la porta, un senso di dolore e smarrimento che investiva Reyna. La seconda colpì la porta con una fora tale da far rimbalzare la ragazza per terra. Con la spalla destra in fiamme, Reyna si alzò ancora, arrivò il più montano possibile dalla porta.

-Sto arrivando, Nico, non avere paura...- la terza spallata sfondò la porta. Nico era appeso alla catena del lampadario, immobile.

Reyna si rialzò velocemente, portandosi ai piedi del suo piccolo amico, raddrizzando la sedia e salendoci sopra. Slacciò il nodo e prese Nico tra le braccia, quasi fosse un petalo di rosa, delicato, fragile. Era pallido, magro, troppo magro, e freddo, soprattutto freddo come il ghiaccio. Lo distese sul letto, piano, quasi avesse paura di ferirlo ancora.

Controllò il battito.

 

Salvalo, fa che io arrivi in tempo, lascia che lo porti via”.

 

Un paio di occhi scuri si aprirono, lentamente, mentre un sorriso inatteso velava le labbra di Reyna.

 

***

 

Nico spalancò la porta con la sua solita grazia elefantina, ritrovandosi all'interno della casetta che Reyna aveva comprato e che dividevano da ormai quattro mesi. Nico non era un granchè. Non lavorava molto, non sapeva fare il bucato, e riusciva a cucinare solo qualche dolce. Ma a Reyna non importava. Erano insieme, adesso, era riuscita a portarlo via da quella casa, da quell'uomo, da quelle catene invisibili. Ed adesso Nico era felice, quel giorno era persino uscito con un ragazzo, il su primo vero appuntamento!

-Cosa stavi leggendo?- chiese il piccolo Di Angelo, sbirciando il monitor e gettando da un lato della stanza la cartella.

Reyna chiuse il Pc con lentezza, assicurandosi che il suo “fratellino minore” non potesse leggere ciò che c'era su quel documento, che non vivesse ancora quel dolore, che dimenticasse quell'oscurità-

-Nulla di importante... Com'è andata con Will?- Nico arrossì fin sopra le orecchie -Avanti, Di Angelo, vieni qui e raccontami tutto...- Nico si sedette accanto a lei, sul letto ancora sfatto e la abbracciò. Senza un motivo, senza un perchè.

O forse una ragione c'era.

In fondo, senza di lei, non sarebbe stato lì.

Reyna l'aveva salvato, in tutti i modi in cui una persona può essere salvata.

 

 

VEDIAMO DI CAPIRE COSA CAZZO STA SUCCEDENDO

Scusate lo slang metropolitano ma avevo bisogno della vostra completa attenzione.

E' stato un brutto periodo.

E voi mi direte “cazzo vuoi, noi vorremmo che tu scrivessi”. Eh, lo so, me lo avete scritto in tanti. Però io, in questo tempo, una ragione per scrivere non l'avevo. O meglio non l'avevo del tutto. Allora mi sono detto che magari potevo trovarla una ragione, potevo fare qualcosa, inventarmi un modo, una maniera per tornare. Alla fine è stat un evento a riportarmi qui. E' stato il BUUUUM del mio povero cuoricino, fatto a pezzi.

Ecco.

Sono qua insomma. Di nuovo qua. E sono tornato per restare.

Dichiaro ufficialmente sospesa “il sangue di Nesso” e dichiaro riaperta la fic “SUPER”.

MA

SUPER non sta avendo recensioni, il che mi fa pensare ad un notevole malcontento ( o almeno disinteresse) per cui se il prossimo capitolo avrà ancora 0 recensioni interromperò tutto e mi dedicherò ad altro.

Adesso si ritorna in pista.

Tenete d'occhio la mia pagina fb mi raccomando, che a breve avverrano cose strane e carine muahahahahahah.

LASCIATE UNA RECENSIONE SE VI VA.

Una recensioe fa felice tutti, figuratevi me...

Dai dai dai

 

un abbraccio

E.f.

 

 

 

 

 

   
 
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