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Autore: heysassenach    27/12/2015    1 recensioni
[Robert Fitzhamon/Guglielmo II d'Inghilterra]
Anno del Signore 1062.
Robert ha 7 anni, e sogna di essere un cavaliere come suo padre.
Un padre che non lo ha mai considerato degno, a causa della sua costituzione fragile.
Il suo sogno di diventare un cavaliere è messo a dura prova, ma Robert non si arrende, e il destino lo porterà ad incontrare un principe, Guglielmo, il figlio del grande Conquistatore. Da questo momento in poi, le loro vite saranno indissolubilmente legate...
Genere: Angst, Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Medioevo
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Il rumore dei suoi passi leggeri rimbombò e si disperse nell'immensa sala. Tutto era esattamente come l'aveva immaginato: il pavimento di pietra, le enormi finestre che irradiavano luce, e il trono, che torreggiava imponente su chiunque si presentasse al cospetto di sua Maestà. L'uomo che stava seduto sul trono, però, non era il giovane bello e vigoroso re che Robert si era aspettato. Al contrario, a fissarlo mentre timidamente avanzava per la sala subito dietro a Ulrik, erano due occhi acquosi, incorniciati da una fitta ragnatela di rughe e da una miriade di capelli argentati. Quell'uomo, si disse il bambino, era persino più anziano del servo che abitava nel suo piccolo castello: non avrebbe mai immaginato che l'età del re fosse tanto avanzata. L'unico, inconfondibile segno che non gli fece dubitare che quello fosse effettivamente il re, fu la corona indossata dall'uomo. Persino da quella, tuttavia, Robert si sentì in parte deluso: si era aspettato un'imponente e pesantissima corona d'oro massiccio, tempestata di pietre preziose, eppure quella che ora stava in bilico sul vecchio capo canuto era piuttosto disadorna, con un'unico, grosso rubino incastonato sul davanti. Ma naturalmente non lo diede a vedere: ricordava quello che ser Ulrik gli aveva detto su re Edoardo, nonostante ci fossero altissime probabilità che si trattasse di sciocchezze inventate per fargli paura.  Non appena il suo accompagnatore si prostrò dinanzi al trono, Robert si affrettò ad imitarlo. Sperò che quella sua lieve goffaggine non avrebbe indotto il re a condannarlo alla pena capitale.  
Ci fu un istante di silenzio, che sembrò durare una vita. Robert non osava alzare gli occhi dal pavimento per paura di offendere, in qualche modo, re Edoardo.  Una voce roca risuonò da qualche parte sopra di lui. "Alzatevi", ordinò pacatamente il sovrano. Il bambino scattò in piedi come una molla, bramoso di studiare per bene il volto anziano di un uomo tanto importante. Fu ser Ulrik, con suo immenso sollievo, ad introdurlo al re. Per qualche istante, l'eventualità che dovesse farlo lui stesso, si era materializzata nella sua mente. 
"Maestà", la voce del giovane tremava leggermente, "il fanciullo al vostro cospetto è il primogenito, nonché unico erede legittimo di ser Rollon Fitzhamon, vostro fidato cavaliere".
Aveva parlato tutto d'un fiato, come se pronunciare quelle parole il più velocemente possibile lo avrebbe protetto da ogni pericolo. Qualunque cosa Ulrik temesse, comunque, svanì nel momento esatto in cui il re alzò una mano ossuta per imporgli il silenzio. Robert pensò di non aver mai visto un uomo tanto anziano. 
"E così questo è il ragazzo di Rollon". Lo sguardo indagatore negli occhi incorniciati da una miriade di rughe era tutt'altro che malevolo: per una volta, la prima cosa che saltava agli occhi del suo interlocutore non era la sua fragilità fisica, ma il fatto che suo padre fosse un uomo d'onore. Robert deglutì e rimase in un cauto silenzio. Non voleva rischiare di rovinare quel breve momento di gioia interiore. 
"Qual è il tuo nome, giovane Fitzhamon?" domandò il sovrano, protendendosi leggermente in avanti per scrutarlo meglio. D'istinto, il bambino abbassò ancora una volta lo sguardo sul freddo pavimento di pietra. Per quanto gentile, lo sguardo indagatore del vecchio sovrano era per lui impossibile da sostenere. "R-Robert", balbettò con un filo di voce, lo sguardo ostinatamente fisso su una mattonella scheggiata. 
"Parla più forte, giovane Fitzhamon: sono anziano, e il mio udito mi sta abbandonando. Tuo padre non sarebbe contento di vederti così...pusillanime, dico bene?" 
Al sentire nominare suo padre, Robert sentì le guance diventare ardenti come tizzoni. Tutti i pensieri che gli erano frullati in testa fino a quel momento gli scivolarono addosso con una tale naturalezza che egli stesso si sorprese nel fissare deciso il suo sguardo in quello tanto profondo del vecchio re. "Robert, Maestà", ripetè a voce più alta, e forse anche troppo, visto che sentì quella stessa voce frantumarsi e disperdersi contro gli spessi muri di pietra quasi disadorna della sala del trono. Robert aprì la bocca per articolare il suo pensiero immediatamente successivo, 'non sono pusillanime', ma il re parlò per primo. 
"Robert Fitzhamon". Soppesò quelle due parole, sovrappensiero, come se in quello stesso momento stesse progettando il futuro del bambino. Robert ammutolì nuovamente, e attese. 
"Ti verrà insegnato a leggere e a scrivere, naturalmente, e il comportamento da adottare a corte. Secondo il volere di tuo padre, non appena sarai pronto sarai educato anche all'arte della guerra". Robert si concesse un composto sospiro di sollievo, stando attento a non risultare, in qualche modo, oltraggioso. 
Un breve colpo di tosse alle sue spalle gli ricordò ancora una volta di comportarsi come ci si aspettava dal rampollo di una famiglia tanto fedele alla corona. Robert non esitò, e si prostrò ancora una volta dinanzi al trono, il capo chino in segno di rispetto. "Vi ringrazio, mio Signore", riuscì a dire in un tono di voce reso quasi stridulo dall'emozione. 
"Ma bada bene", lo ammonì il vecchio, perentorio, "comportati da sciocco anche solo una volta e verrai rimandato da dove sei venuto". Il bambino deglutì. Per quanto la nostalgia di casa sua fosse già  intensa, il solo pensiero di veder sfumare i suoi sogni di gloria gli tolse il fiato. Strinse i pugni fino a farsi male, il capo ancora rigorosamente chino. 
"Non accadrà, Sire, ve lo garantisco". Robert aveva quasi dimenticato la presenza di Ulrik, alle sue spalle. Per la prima volta, da quando era stato 'rapito', fu veramente grato a quel giovanotto di bell'aspetto. "Bene. In piedi, giovane Fitzhamon". 
Robert scattò in piedi. Si concesse un rapido sguardo all'anziano re adagiato sul trono come un grosso uccello spennacchiato nel suo nido. I suoi giovani occhi incontrarono quelli blu e acquosi del vecchio. Per un momento il silenzio fu così intenso, che il bambino cominciò a pensare di aver azzardato troppo, puntando i propri occhi in quelli del re. 
"Potete condurlo ai suoi alloggi, ser Ulrik. Rimetto nelle vostre mani l'educazione di questo giovanotto". Un altro inchino, altre parole di ringraziamento. E in pochi minuti Robert si ritrovò a trotterellare felice dietro il mantello svolazzante di ser Ulrik, immaginando sè stesso, da adulto, entrare trionfante dalle immense porte della sala del trono ed essere elogiato dal re. 

Nonostante Robert fremesse per soddisfare la propria sete di conoscenza quanto prima, la prima lezione non ebbe luogo che due settimane più tardi. Suo malgrado, si era reso conto di quanto vivere in un castello tanto grande potesse talvolta essere noioso. Trascorreva le sue giornate in esplorazione, e quando proprio non c'era di meglio da fare, intavolava una conversazione con la servitù. Sebbene non avesse accesso agli alloggi reali, qualche volta gli capitava di vedere re Edoardo dirigersi verso la sala del trono in compagnia delle sue guardie, due uomini giovani ed imponenti. Camminava lentamente, i lunghi capelli argentati che rilucevano alla luce del sole. Se anche un tempo era stato un uomo alto e robusto come quelle sue guardie, era difficile, per il bambino, immaginare un re giovane e forte. Era di fronte a visioni come quella, che il piccolo  Robert si chiedeva come avrebbe fatto a rimanere per sempre giovane. 

Scrivere gli piaceva molto. Imparare a decifrare quegli strani simboletti chiamati lettere, ascoltare il rumore raschiante della piuma sulla pergamena, e persino sporcarsi la mano di inchiostro nero, erano tutte piacevoli distrazioni che lo distoglievano dalla monotonia della vita in un castello immenso e abitato quasi unicamente da adulti che con lui non volevano avere niente a che fare. Aveva visto qualche bambino giocare e rotolarsi nel fango, e mai prima di allora aveva desiderato così ardentemente di potersi unire a loro. Ma poi, a far sfumare quei sogni ad occhi aperti ci pensava Ulrik, ormai divenuto la sua ombra, che gli ricordava la sua appartenenza ad una classe sociale troppo alta per potersi rapportare con la servitù. "Io voglio giocare", protestò Robert dopo l'ennesima predica su nobiltà e servitù. 
"Sei stato destinato ad uno scopo diverso, giovane Robert. La corte di re Edoardo non è un piccolo castello di campagna, e da te ci si aspetta ben altro. Quella gente rimarrà ignorante, e morirà ignorante. Tu diventerai qualcuno". E nonostante quelle parole in parte l'avessero rincuorato, tanto da fargli amare ancora di più le lunghe lezioni di ortografia, filosofia, latino e teologia che occupavano le sue giornate, Robert si ritrovò più di una volta ad immaginarsi libero di correre nei campi così come era solito fare a casa sua. 
Una mattina stava recandosi nello studio di Padre Olyver, per assistere alla consueta lezione di latino, quando qualcosa di insolito attirò la sua attenzione. Robert era abbastanza sicuro di non aver visto altri bambini aggirarsi indisturbati in quell'ala del castello, eppure quello che sentì sembrava proprio il pianto di un bambino. Sentì dei passi avvicinarsi, e nonostante non stesse facendo niente di proibito, decise di correre ai ripari. Nascosto dietro una grossa colonna di pietra, potè finalmente vedere la fonte di tutto quel baccano. Erano in due, e avanzavano lungo il corridoio che lui aveva appena percorso. Robert aguzzò la vista per poterli osservare meglio, nella penombra. L'uomo era alto e robusto, quasi quanto le guardie del re, ma anzi che l'armatura indossava abiti riccamente decorati. Portava i lunghi capelli corvini sciolti sulle spalle, salvo due trecce ai lati del viso che oscillavano prepotentemente ad ogni passo. La barba,contrariamente al colore dei capelli, era di un rosso acceso in alcuni punti, mentre in altri, a quanto potè vedere il giovane Robert, virava al castano scuro. Un individuo decisamente bizzarro, ma tutto sommato di bell'aspetto, pure con quella cicatrice lungo il volto e lo sguardo gelido. Non poteva avere più di trent'anni. 
L'esserino rumoroso che questi si trascinava dietro con somma impazienza invece, doveva essere suo figlio. Anch'egli era vestito in maniera regale, con la piccola casacca verde smeraldo intarsiata di fili d'oro. I suoi capelli erano del color del fuoco, lisci e setosi e così diversi dalla zazzera riccioluta di Robert. Doveva avere forse qualche anno meno di lui, a giudicare dalla stazza e dal comportamento. Forse era stato educato in un modo diverso, ma Robert non si sarebbe mai sognato di fare tutto quel baccano in quel castello. In ogni caso, li seguì con lo sguardo fino alla porta di legno dello studio del monaco, lo stesso luogo dove anch'egli si sarebbe dovuto recare. L'uomo non fece in tempo a bussare che la testolina ingrigita del precettore fece capolino con un grosso sorriso stampato in faccia. Il pianto del bambino con i capelli rossi era troppo rumoroso e troppo perseverante, tanto che Robert non riuscì a capire niente di quello che il monaco e lo sconosciuto si dicevano. Non doveva trattarsi di qualcosa di particolarmente complicato però, dato che dopo pochi minuti l'uomo robusto si allontanò, lasciandosi alle spalle il monaco che si teneva stretto quella peste con i capelli infuocati. Se non altro, quel fastidiosissimo pianto servì a Robert come sveglia, dal momento che aveva quasi dimenticato la sua lezione. Era terribilmente in ritardo, e affrettò il passo verso la porta ormai socchiusa. Quando bussò, non ottenne nessuna reazione da padre Olyver: il pianto del bambino sovrastava ogni altro rumore. Ed eccola lì, la fonte di tutto quel baccano: seduto su uno scranno- quello in condizioni migliori, nella stanza dall'arredamento decisamente spartano- il bambino era scosso dai singhiozzi e non accennava a voler smettere. Non appena il monaco si accorse della sua presenza, anzi che rimproverarlo per il suo ritardo, gli rivolse un'occhiata supplichevole. 
"Ciao". Robert si avvicinò al bambino, sorridendogli amabilmente. Quantomeno quello smise di urlare, curioso di quello che aveva da dire, e lo fissò con gli enormi occhi azzurri arrossati dal pianto. "Come ti chiami?" 
Il nuovo arrivato rivolse un'occhiata dubbiosa al monaco in ascolto lì accanto. Poi deglutì rumorosamente, passandosi le manine sulle guance paffute per asciugare le lacrime. "William", rispose flebilmente. "Io sono Robert", replicò lui indicandosi con il dito a mo' di spiegazione, "e lui è padre Olyver". 
"Mio padre mi ha detto che dovrò vivere qui", replicò William mettendo di nuovo il broncio. Ma prima che Robert potesse dar voce a quel 'davvero?' che istintivamente gli avevano provocato le parole del bambino, il monaco parlò con il tono di voce più controllato che riuscisse a tirar fuori. "E' esatto, mio principe, ma non temete: questo mio umile studio non sarà affatto la vostra dimora. Verrete, naturalmente, sistemato in alloggi degni del Vostro nome". William fissò il monaco con somma diffidenza, ma decise che polemizzare non sarebbe servito a niente. Robert, dal canto suo, non riuscì a contenersi, e rivolgendosi al vecchio precettore con somma incredulità ripetè: "Principe?" 
Quello scosse la testa, sorridendo della sua ingenuità. "Giovane Robert, vi trovate dinanzi al figlio primogenito del principe Guglielmo, erede al trono del regno. Il giovane William è qui per essere educato anche più di voi, giacchè è anche da questo, che dipenderà il futuro del suo regno. Dico bene?" .
Ma il giovane principe si limitò al silenzio, mangiucchiandosi voracemente una pellicina sul pollice. Come un fulmine a ciel sereno, Robert si rese conto di come ci si doveva rivolgere ad una persona tanto importante. "Perdonate la mia maleducazione, William. Io non sapevo minimamente che il re fosse vostro nonno", disse in un tono allo stesso tempo solenne e dispiaciuto. Questo bastò a strappare un sorriso al visetto imbronciato del bambino dai capelli rosso fuoco. "Sei gentile", osservò il principe, "ma non sono ancora re. Sono solo William". 
"Solo William", gli fece eco Robert, sorridendogli a sua volta. Forse era solo una sua impressione, ma ebbe la sensazione che le sue giornate sarebbero state un po' più divertenti, d'ora in poi. 


Angolo autrice: 
Salve, miei prodi lettori! Se vi siete spinti fino a qui, vuol dire che il capitolo non vi ha annoiati a morte, e la cosa mi rende felice. Ci ho messo un bel po' a scriverlo, non perché non avessi idee, ma perché semplicemente sono stata sommersa di impegni ultimamente e ho trascurato un po' tutte le mie storie. In questo capitolo ho voluto introdurre la nuova vita del nostro giovane Robert a corte, e naturalmente il suo incontro con altri personaggi chiave: da re Edoardo (detto il Confessore) al piccolo William, passando per l'incontro indiretto con il futuro Guglielmo il Conquistatore. Il motivo per cui William e Guglielmo hanno nomi diversi, è per una questione pratica e spero capirete (standing ovation per Guglielmo il Conquistatore che chiama suo figlio Guglielmo, grazie tante). 
Come sempre, ogni consiglio, critica /costruttiva/ o parere è ben accetto, sbizzarritevi pure e cercherò di migliorarmi. 
Grazie a tutti coloro che mi seguono, a presto! 
   
 
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