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Autore: blackphotograph    28/12/2015    0 recensioni
Gli angeli vengono se tu li preghi
E quando arrivano ti guardano, ti sorridono e se ne vanno
Per lasciarti il ricordo di un sogno lungo una notte
Che vale una vita
E poi non torna più
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Forse, prima o poi, sarebbe passata una notte intera senza che Louis Tomlinson si svegliasse urlando, sedendosi di scatto sul letto con il petto che si alzava e abbassava in modo spasmodico obbligato dall'affanno che lo colpiva. Quella notte, però, fu come tutte le altre. Quasi.

Quando si rese conto di essere sveglio, si passò una mano sul viso, sentendo le gocce di sudore di cui era imperlata la sua fronte.
Ci mise qualche secondo a far scivolare via l'intensità del suo incubo ricorrente, che era come brina ghiacciata che lo ricopriva interamente, scuotendo la sua schiena con brividi incontrollabili.
Quella notte, però, non tornò a dormire fino a quando la sveglia lo avrebbe costretto a scendere dal letto. Quella notte le sue corde vocali vibrarono di nuovo, in un grido più intenso del precedente. Si affrettò ad allungarsi verso il lato del letto, raggiungendo l'interruttore e donando di nuovo luce alla sua stanza. Purtroppo questo non scacciò la sagoma che gli era sembrato di intravedere nella penombra. Le sue labbra si separarono di nuovo, pronte a squarciare ancora la quiete di quella notte di luglio, ma da esse non uscì alcun suono, perché la stanza fu riempita da un'altra voce. Le voce più bella che Louis avesse sentito in vita sua.

"Basta urlare. Non preoccuparti, non ti farò niente di male. Sono qui per aiutarti." La voce era terribilmente pacata, calma, e per quanto la cosa avrebbe dovuto far raccapricciare Louis ancora di più, quella ebbe per lui un effetto calmante. 
"Sei sempre uno sconosciuto che si è introdotto in casa mia. Di notte" rispose amaro Louis, indietreggiando leggermente sul letto, fino a posare le spalle contro la spalliera. "Ho una mazza da baseball sotto il letto, non costringermi a colpirti in testa ed ucciderti."
Il ragazzo di fronte a lui, contro ogni aspettativa, scoppiò a ridere. "Sappiamo entrambi che non è vero. Sotto il tuo letto c'è solo polvere e una scatola di preservativi. Bravo, non si è mai troppo prudenti. Anche se non penso che la tua mano possa passarti qualche malattia." Louis, da uomo qual era, prestò più attenzione all'offesa  al suo orgoglio, che al fatto che uno sconosciuto gli avesse appena detto di sapere esattamente cosa ci fosse sotto il suo letto. E quanto effettivamente fosse attiva la sua vita sessuale.

"Ma come ti permetti? Quanto sesso faccio e quanto spesso lo faccio non sono cazzi tuoi!" rendendosi poi conto di tutto quello che il ragazzo aveva detto aggiunse subito, "perché sai cosa c'è sotto il mio letto? Senti, scusa se te lo dico ma sei piuttosto inquietante. E anche poco credibile come delinquente." Era vero, i capelli ricci spettinati, le gambe magre e aggraziate, gli occhi luminosi e le fossette sicuramente non facevano pensare ad un criminale. "Hai la faccia da angioletto" disse poi, non aspettandosi che, di nuovo, il ragazzo di fronte a lui scoppiasse a ridere.
Louis sentiva qualcosa di estremamente sbagliato in quella situazione, che però gli sembrava totalmente giusto. Avrebbe dovuto tremare dalla paura, urlare, cercare di scappare e precipitarsi per la strada a trovare qualcuno che lo aiutasse a liberarsi dello sconosciuto che si era introdotto in casa sua, invece si sentiva decisamente tranquillo e non sentiva neanche il velo di inquietudine che lo accompagnava costantemente.
"E adesso perché ridi?"

 Il ragazzo si riprese dopo qualche secondo, smettendo finalmente di ridacchiare. "Perché sei molto più perspicace di quanto pensassi. Non sono un delinquente, sono un angelo" rispose, il sorriso che non abbandonava mai il suo viso.

"Certo. Sei un angelo. Da quanto mi risulta, gli angeli hanno le ali, non si vestono con skinny jeans neri, degli stivaletti, inguaribili se permetti, e camicie sgargianti. Poi non credo proprio abbiano dei tatuaggi" rispose Louis, stando al gioco. Almeno poteva trarre un po' di svago dalla situazione. Un delinquente si presenta in camera sua e sostiene di essere un angelo, di certo non capitava tutti i giorni.
"Allora, prima di tutto, questi stivaletti sono pazzeschi. Poi, con le mie gambe, posso permettermi questi pantaloni, e lo sai, sei solo geloso. Per le ali posso dirti che è solo una leggenda, probabilmente tutto quello che pensi di sapere sugli angeli è falso. E i tatuaggi sono arte! Anche se di alcuni mi pento, come la sirena sconcia che ho sull'avambraccio" ribatté stizzito il ragazzo, facendo anche ondeggiare i capelli e portandoli indietro con un gesto veloce della mano a metà discorso.
A quel punto Louis, che si era sporto in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia, con le gambe incrociate ancora coperte dalle lenzuola, era veramente divertito dalla presenza nella sua stanza.
"Se sei un angelo, dimostramelo." Lo sconosciuto sorrise spavaldo, raddrizzandosi con le spalle, come se non stesse aspettando altro che quella domanda.

"Primo, in questo momento non sei né in ansia né impaurito, ed è grazie a me, che posso controllare lo stato emotivo di una persona vicino a me. E so anche che ti stai chiedendo perché sia così.
Poi, dai, guardami, sono celestiale. Ma se la visione paradisiaca che sono non ti basta, guarda questo." La luce all'improvviso si spense, spaventando per qualche secondo Louis, che però si riprese subito, quando la luce sul comodino dall'altro lato del letto si accese. Spostò il suo sguardo sul ragazzo in piedi di fronte a lui, che alzò un sopracciglio, puntando lo sguardo verso la lampada appesa al soffitto che si accese al posto di quella illuminata in quel momento. Andò avanti per un po', con le lampadine che seguivano diligentemente i suoi gesti. Louis si trovò a ridere quando il ragazzo creò un effetto discoteca facendo lampeggiare tutte le luci, improvvisando anche un goffo balletto. Poi, di nuovo, fu investito dalla lucidità, con la luce che tornava chiara nella stanza, in una strana metafora di quello che stava succedendo nella sua testa. Stette un attimo in silenzio, ragionando, poi tornò a ridere scuotendo la testa.
"Certo. Sto ancora dormendo. Peccato, è stato veramente interessante conoscerti."

 Vide il ragazzo alzare gli occhi al cielo. Niente che non avesse previsto. Si aspettava la reazione 'sto sognando', era la più classica.

"Nei sogni non puoi sentire la tua voce o la senti particolarmente roca. Contati le dita delle mani, se sono dieci, sei sveglio. La stanza ti sembra normale? Se sì, sei sveglio. Muovi le gambe o le braccia, non puoi farlo nei sogni. E nei sogni non puoi leggere né parole né numeri. Girati e leggi che ore sono sulla tua sveglia."

"Wow, hai fatto i compiti a casa" disse sarcastico Louis, prima di fare comunque tutto quello che gli era stato detto. Tutto regolare. Lo scetticismo di Louis non era pronto a crollare così facilmente, però.
"Oddio. Ora ho anche le allucinazioni. Che bello! Un nuovo argomento per il mio psicologo, ne sarà molto felice!" Il ragazzo gli si avvicinò, sedendosi a gambe incrociate di fronte a lui, dopo essersi sfilato gli stivaletti. Si guardano per qualche secondo negli occhi, studiandosi a vicenda, finché Louis vide lo sconosciuto allungare una mano verso di lui, lasciandola sospesa fra loro.
"Non stai immaginando niente. Sono qui e sono reale. Prendimi la mano" disse piano, l'atmosfera della stanza completamente trasformata.  

Louis sentiva una strana tensione immobilizzarlo, mentre fissava la mano del ragazzo, che paziente attendeva una sua mossa. Tremando allungò il braccio, facendo scontrare le loro dita. Non colse il sorriso che spuntò sul viso del ragazzo di fronte a lui, dato che non riusciva a spostare lo sguardo dai suoi polpastrelli che tracciavano la pelle candida dello sconosciuto.

"Visto? Niente di strano. Te lo prometto, sono reale. Mi credi?" Sussurrò ancora, inclinando di poco il viso, mentre osservava l'espressione di Louis cambiare, attraversata dal dubbio. Le sue sopracciglia erano aggrottate, ma annuì ugualmente.

"Uhm... come ti chiami?" chiese allora Louis, non azzardandosi a spostare la mano da quel contatto che lo stava facendo sentire così bene.

Il ragazzo sembrò pensarci, come se fosse stato colto alla sprovvista dalla domanda.
"Oh... Edward. No, non mi piace. Harry! Si, meglio. Harry Edward. Uh, così sembra molto interessante, quasi regale, non è vero?" Rispose con un sorriso.

Louis rispose ridendo, "Si, sembra interessante! Te lo sei appena inventato?"
"Beh, sì. Gli angeli non hanno un nome" disse alzando leggermente le spalle. "Non abbiamo bisogno di riconoscimenti, di etichette, o di categorie. Io sono io, e anche se nemmeno io conosco precisamente la mia identità, i miei desideri, o i miei sentimenti, va bene così, perché nessuno mi forzerebbe mai ad esprimerli. Anche perché non abbiamo una voce, quindi sarebbe impossibile." 

Louis rimase leggermente confuso dalla descrizione, tanto quanto ne rimase meravigliato."Ma tu hai la voce, mi stai parlando" disse ovvio.

"Si, ma tecnicamente non sono io a parlare. Vedi, la concezione che molti uomini hanno degli angeli è totalmente errata. Non siamo uomini con le ali, che volano e annunciano eventi miracolosi. Siamo degli organismi indipendenti, pensanti e che provano emozioni, sì, ma non abbiamo forma umana. Siamo grandi come granelli di polvere, come quelli che vedi solo se colpiti da un fascio di luce. Ecco, fra quei miliardi di piccole entità fluttuanti, è possibile che siano presenti almeno qualche centinaia di angeli. Tu li vedi, ma non lo sai." Louis era affascinato da quello che stava ascoltando, sentendosi come un bambino che ascolta la favola prima di dormire.

"Io... io ti vedo, però. Cos'è, una proiezione del mio cervello?" chiese titubante.

"No. Nessuna proiezione" rispose subito sorridendo, "Possiamo interagire con chi vogliamo, prendendo la forma che vogliamo, a seconda del nostro compito. Un fiore, una goccia d'acqua, un pixel sullo schermo di una televisione, potreste svegliarvi con una luna in più, o qualche nuovo pianeta nel sistema solare, ma siamo abbastanza cauti da cercare di non scombussolare gli universi in cui ci troviamo."

"Quanti universi ci sono?" chiese allora, gli occhi azzurri pieni di meraviglia. Una meraviglia che non era pura, macchiata dalla paura che non riusciva ad allontanare.

"Non ne ho idea. E se lo sapessi non te lo direi. Sarebbe troppo da concepire, non potresti sopportarlo." Louis stava quasi per controbattere, quando si rese conto che aveva totalmente ragione. Sin da bambino, le cose troppo grandi o sconosciute gli avevano fatto paura. Pensare a quanto fosse insignificante e minuscolo gli faceva rivoltare lo stomaco. Lui si sentiva inesistente nella sua piccola stanza della sua piccola casa, pensare a cosa fosse lui nell'infinito era semplicemente troppo per lui. Diverse volte ci aveva pensato, a volte troppo a lungo ed il tutto era sfociato in attacchi di panico o urla nella notte. Per qualche ragione anche in quel momento l'ansia lo colpì al petto facendo aumentare il ritmo del suo respiro ed appannandogli la vista, la tensione vissuta in quegli ultimi minuti che gli si riversava addosso. La stanza iniziò a vorticare per il fiato corto e la scarsa ossigenazione. Poi, due mani si posarono sulle sue guance, attirando la sua attenzione.

"Ehi. Non importa quanti universi ci siano, quante persone o quanti angeli. Tu sei qui, ora. Qualsiasi momento tu perda a preoccuparti di qualcosa che non sei neanche certo che esista è un momento perso. Non farti rubare neanche un secondo dalla paura dell'ignoto" disse deciso Harry, aspettando che si calmasse. Non ci volle molto per far aprire di nuovo gli occhi a Louis, che li puntò immediatamente in quei pozzi verdi, che seppur sconosciuti erano appena diventati la sua ancora.

"Tutti gli angeli si atteggiano come filosofi da quattro soldi?" chiese sarcastico, però con un'inconfondibile traccia di riconoscimento nello sguardo.

"No, quello lo faccio solo io" rispose ridendo Harry, felice di aver risolto la situazione in pochi secondi.

"Non avevo mai superato un attacco di panico così velocemente. È per quello che hai detto prima? Puoi controllare le mie emozioni?" sussurrò tornando serio Louis.

"Più o meno. Io non posso controllare le emozioni di nessuno, se non le mie, cosa che comunque spesso mi risulta difficile. Io sono in grado di percepire le sensazioni degli altri e provare a moderarle. Non so bene come spiegarlo, è come se io potessi accumulare una scorta di energia ed utilizzarla per bilanciare un'emozione, riportando l'atmosfera ad uno stato di quiete ed equilibrio. Ovviamente con il contatto l'azione è molto più forte" rispose Harry, altrettanto serio. "Per questo ti sei calmato così velocemente, se fossi stato lontano sarebbe stato più difficile."

Louis era sbalordito. Solo l'idea di avere una tale capacità lo faceva impazzire. Per tutta la vita aveva avuto problemi a controllare le sue emozioni. 
Gli era stato detto che provare paura, dopo quello che gli era successo, era totalmente normale, anzi, sarebbe stato preoccupante se non ne avesse avuta. Ma dopo sedici anni di vita vissuta nel terrore, da quando quello che gli era successo era successo, dopo le migliaia di notti in bianco, dopo le persone che lo avevano abbandonato, quelle che lo avevano ingannato, era terribilmente stanco di avere paura. La paura è solo uno stato mentale, che però ti logora dentro. È inutile provare ad evitarla, o fare finta di non soffrirne, perché tutti hanno paura di qualcosa, solo che alcuni sanno controllarla meglio. Louis si trovava in uno strano limbo. I primi mesi aveva avuto una pietrificante paura della paura. Era una situazione nuova e provare quella sensazione così forte all'improvviso lo aveva devastato. Alcune persone sostengono di ricordarsi la prima volta in cui hanno avuto paura. È altamente improbabile, visto che la paura è una sensazione che ci accompagna sin dai primi giorni di vita. Louis, però, può raccontare la prima volta in cui ha veramente capito cos'è la paura. Quella vera, quella che ti immobilizza, senza lasciarti alcuna possibilità di reagire. Col tempo, però, la paura era diventata un'abitudine, poi quasi una necessità. Era una costante nella sua vita e lui che era sempre stato così spaventato dal cambiamento aveva imparato a renderla la sua migliore amica. L'ansia e la paura lo distruggevano, ma erano comunque le uniche emozioni che credeva di essere capace di provare.

"Bene quindi adesso tu sei mio? Sei tipo il mio angelo custode?" chiese Louis con il suo solito tono ironico, costruendo un muro di sarcasmo come faceva sempre, quando iniziava a sentire troppo chiaramente le sue emozioni.

"Beh in realtà no. Se sono qui, non è perché sono tuo ma perché è così che compirò il volere del mio Dio." 

Louis storse il naso a quelle parole, vecchi rancori che continuavano a perseguitarlo.
"Non c'è nessun Dio" disse sprezzante, mantenendo lo sguardo fisso negli occhi di Harry.

"Hai ragione anche su questo, in un certo senso. Se parliamo di un signore onnipotente che rimprovera gli uomini per i loro peccati, allora neanche io ci credo. E per quanto io sappia non esiste. Ma se mi sbagliassi, sarei lieto di conoscerlo" cominciò Harry, sostenendo lo sguardo di ghiaccio che stava ricevendo. "Ma devi sapere che noi non abbiamo nessun Dio a cui siamo obbligati a rispondere. Possiamo scegliere. Proprio come voi, scegliamo in cosa credere e se farci guidare dal credo che abbiamo scelto, affidandoci totalmente ed incondizionatamente, pronti ad eseguire i compiti che ci verranno assegnati. Il mio Dio, permettimi di usare questa parola anche se non credo sia quella più adatta, non è sempre buono. Anzi, a volte è un vero stronzo." Louis venne colto alla sprovvista dalla scelta di parole, non aspettandosi volgarità da un angelo. Cosa che ovviamente divertì molto Harry. "Cosa? Ti ho già detto che quello che pensi di sapere sugli angeli è falso. Dimentica la purezza e l'innocenza, per quanto mi riguarda le ho perse entrambe molto tempo fa. Vedi, ti dico che il mio Dio non è sempre buono, anche se in realtà non è così. Questo Dio è semplice, sempre. Solo che tutto il resto non lo è, quindi ci capita di dare la colpa a lui, quando in realtà dovremmo biasimare noi stessi. Tutto inizia e finisce con lui. Una vita senza di lui, non è una vita vera. Lui è in ogni piccola cosa, in ogni piccolo gesto. A volte si potrebbe sacrificare la vita per lui, a volte sembra troppo grande da sopportare, ed anche se è la cosa più bella dell'universo, molti ne hanno paura. Sinceramente non credo che tu capisca, se continuo a parlarne come 'Dio'. Anche perché credo che voi uomini lo chiamiate Amore."

 

 

Ciao a tutti! Questo capitolo è in realtà un po' improvvisato... In questi giorni mi è venuta voglia di rispolverare questa storia che avevo iniziato molto tempo fa, molto prima di cominciare Sorry, i didn't get your name. Gli aggiornamenti saranno ancora più lenti che nell'altra storia, sia perché darò la precedenza a quella (che sta per finire, dato che mancano solo due capitoli), sia perché da quando ricomincerà la scuola sarò sommersa dallo studio. Spero che vi piaccia questa  anche se un po' diversa dall'altra e che siate magnanimi per quanto riguarda gli aggiornamenti. Oggi volevo solo darvi un'assaggio della storia e sapere cosa ne pensate.

Un grazie a chi leggerà e mi farà sapere cosa ne pensa; un ringraziamento speciale ad Ali, Gemma, Marghe e Totta (in ordine alfabetico così non litigate ahahah) che anche se a quest'ora già delirano mi sono state molto d'aiuto per questo capitolo. 
P.S se non si fosse capito, la storia è ispirata alla canzone di Tiziano Ferro... complimenti a chi coglierà tutti i riferimenti!

Un bacio e alla prossima!

 

   
 
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