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Autore: Hermione Weasley    29/12/2015    4 recensioni
“Non siete il primo che è venuto a vedere la strega,” alluse, il sospetto vivissimo.
“Io non credo alle streghe,” non poté fare a meno di sottolineare, vagamente risentito dall'essere stato accomunato ai superstiziosi babbei del villaggio.
“Però siete venuto a vederla comunque,” la ragazza non voleva proprio mollare il colpo. Si sentì messo alle strette, innaturalmente indispettito.
“Ero curioso.”
“Quindi ci credete.”
“No, che non ci credo. Questo posto è piccolo e gli estranei sono sempre fonte di curiosità, non vi pare abbastanza?”
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XVIII secolo. La vita di Clint Barton, figlio adottivo dell'eccentrico lord Phillip Coulson, cambia radicalmente quando una presunta strega viene ad abitare nel bosco vicino alla villa della famiglia. Clint dovrà fare i conti con la superstizione, gli obblighi, le responsabilità e forze in gioco molto più grandi di lui.
[1700 AU] [Clint/Natasha] [apparizioni di tutti gli Avengers + alcuni personaggi di Agents of Shield] [COMPLETA]
Genere: Avventura, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 17
~

 

La stanza in cui l'avevano condotto aveva i soffitti più alti di quelle che aveva visto fino ad allora. Maria l'aveva ripreso in consegna dal colonnello Fury per mollarlo da solo in quella camera circolare, occupata per la maggior parte da una tavola rotonda.

Gli vennero in mente le storie di prodi re e cavalieri che sua madre era solita raccontare a lui e Barney quand'erano più piccoli. Ma quello era solo un vecchio tavolo pieno di crepe, scheggiato in più punti: probabilmente era una sorta di sala consiliare raffazzonata alla bell'è meglio. Ricordava ancora cosa gli aveva detto Maria durante la loro prima e unica conversazione: in altre circostanze non sarebbero stati là dentro... ovunque fossero realmente. Clint si era accorto che mancavano finestre, il che gli aveva fatto sospettare di trovarsi sottoterra. Magari l'accesso al quartier generale dell'ordine dello Scudo era solo a qualche cunicolo di distanza dal punto in cui i loro uomini li avevano sorpresi.

Il medaglione che l'uomo gli aveva consegnato gli appesantiva la tasca dei pantaloni: non sapeva neanche perché l'avesse accettato. Fury era stato parco di spiegazioni e alla fine aveva borbottato qualcosa sull'essere troppo occupato e aveva richiamato la suora perché se lo portasse via. Li aveva visti lanciarsi un cenno d'intesa e poi, dopo altri interminabili corridoi tutti uguali, era finito lì.

Solo come un cane se non fosse stato per i mille e più pensieri che gli vorticavano nel cervello. C'era il chiodo fisso di Natasha, sicuramente rinchiusa da qualche parte in attesa di essere processata (da chi, però, e con quale autorità? Le avrebbero concesso una difesa degna di questo nome?); e dall'altra quello di lord Phillip, della vita a villa Coulson che adesso – in retrospettiva e alla luce di quel poco che Fury gli aveva rivelato – gli appariva completamente diversa da come l'aveva vissuta. Il matrimonio con lady Jemma non era stato altro che un espediente per ottenere la prova della sua lealtà alla famiglia e Clint aveva fallito. Clamorosamente. Non solo non aveva avuto il coraggio di confessare i propri dubbi a lord Phillip, ma aveva persino pianificato d'andarsene... e l'aveva fatto. Era vero che l'attentato del capitano aveva velocizzato le cose, ma il risultato non era stato troppo diverso da quello che aveva pianificato.

Adesso capiva che il capitano Rogers non era d'accordo con l'ammutinamento dell'esercito. Probabilmente i capi militari avevano deciso di toglierlo di mezzo perché troppo fedele al re: un ostacolo alla buona riuscita del colpo di stato. Ricordava le tirate infinite che lord Phillip gli dedicava con cadenza regolare, su quanto fosse coraggioso, giusto, fiero, capace di guadagnarsi il consenso e il rispetto dei suoi uomini. Ci sarebbe sempre stato qualcuno pronto a credere nel re se il capitano Rogers fosse rimasto in piedi; conosceva a menadito le mancanze del sovrano e ne avrebbe riconosciute anche a dio se fosse stato necessario. Di sconti non ne avrebbe fatti a nessuno, ma credeva nella buona fede del re Stark ed era fermamente convinto che, con i consiglieri del caso, potesse essere una buona guida per il regno. Non era stata una messinscena – Clint adesso lo capiva con estrema chiarezza. Probabilmente il capitano non era neppure capace di mentire.

Si coprì il volto con entrambe le mani, maltrattenendo a stento un'imprecazione. La porta si aprì in quell'istante e una ragazzetta conciata da novizia entrò per portare una brocca d'acqua e un bicchiere. La vide lanciargli un'occhiatina imbarazzata e arrossire prima di sparire da dov'era venuta. Non si chiuse la porta alle spalle, però, e un attimo dopo sulla soglia comparve una figura minuta. Clint ci mise un attimo di troppo a riconoscerla con quei vestiti semplici e pratici addosso.

Lady Melinda gli andò incontro con soltanto il fantasma di un sorriso a incresparle le labbra. Gli sembrò sul punto di abbracciarlo, ma quando gli fu vicino optò piuttosto per sedersi sulla sedia subito alla sua sinistra.

Non ricordava di averla mai vista senza uno di quei suoi vaporosi abiti addosso, senza uno dei ventagli giapponesi a nasconderle parte del viso, e nemmeno con i capelli sciolti. Erano più corti di quanto immaginasse, ma neri, lisci e lucidi che le ricadevano sulle spalle.

“Il colonnello Fury mi ha detto che eri qui,” esordì, stringendogli delicatamente un braccio. Forse per infondergli coraggio o per convincerlo delle sue buone intenzioni. Ma si fidava di lei, del suo tono asciutto, dei suoi modi di fare bruschi, eppure sinceri e dritti al dunque.

“Dov'è lord Phillip?” Le chiese quasi automaticamente, perché i pensieri continuavano a battere su quell'unico punto.

“Phil non è qui,” rispose, rivelando una familiarità che non poté fare a meno di stranirlo. “Dopo l'attentato abbiamo dovuto lasciare la villa,” spiegò. “Sarebbe andato tutto secondo i piani se Fitz non fosse rimasto indietro per recuperare dio solo sa cosa,” il contrattempo doveva averla contrariata parecchio. “Phil l'ha seguito. Alla fine a tornare indietro è stato solo Leopold.”

Una sensazione spiacevole gli riempì lo stomaco. Dov'erano tutti gli abitanti di villa Coulson, adesso? Dov'erano Antoine, Leo e lady Jemma?

“Crediamo sia opera della lega dell'Idra,” puntualizzò.

“La lega dell'Idra?” Ne aveva abbastanza di tutte quelle organizzazioni dai nomi misteriosi che – se aveva capito qualcosa dacché quella storia era cominciata – tenevano le fila delle sorti del regno. Aveva sempre pensato che il re e la chiesa fossero le principali parti in gioco, ma a quanto pareva si era sbagliato. Da sempre.

“Qualche anno fa alcuni membri dell'ordine hanno abbandonato lo Scudo,” Melinda cercò i suoi occhi, come per far attecchire più rapidamente le informazioni. “Persone che non avevano fiducia nella dinastia Stark e che hanno votato la loro vita a toglierla di mezzo.”

Quindi erano quelli dell'Idra che avevano messo in piedi il colpo di stato, loro che si erano infiltrati nell'esercito per farvi serpeggiare il malcontento e convincere i soldati al tradimento.

“E' vero che era tutto un inganno per farmi diventare uno di voi?” Si ritrovò a chiederle, perché del re non gliene importava poi così tanto. Quello che contava era che lord Phillip era nelle mani del nemico e che i pochi punti fermi che credeva di avere nella vita si erano disintegrati di colpo, come per effetto di un terremoto che aveva compromesso per sempre gli equilibri della sua esistenza.

“Non lo definirei un inganno,” rispose Melinda col suo solito tono neutro, quasi ostile tanto era asciutto e diretto. “Phil credeva che saresti stato un'ottima aggiunta alla squadra,” spiegò. “Fury dice sempre che tutti possiamo fare di più quando ci rendiamo conto di essere parte di qualcosa di più grande e importante di noi.” Si strinse nelle spalle e si riappoggiò allo schienale della sedia che aveva occupato. C'era una sorta di malcelata tristezza nella sua voce, mista a rabbia per quello che non aveva potuto fare per riportare lord Phillip al sicuro. “Phil sapeva che ti sentivi... senza radici,” l'espressione risuonò buffa sulle sue labbra. Clint realizzò senza difficoltà che quella linea di pensiero non le apparteneva minimamente. “Sperava che far parte di tutto questo ti avrebbe dato un po' di stabilità. Qualcosa per cui combattere.” Le sue parole, però, andarono dritte al punto, colpendolo dove faceva più male.

“E il matrimonio era solo-”

“E' una delle prove standard per assicurarci della lealtà dei candidati.”

“Ho fallito,” si ritrovò a pronunciare mestamente.

“Non hai fallito,” Melinda scosse il capo, seccata, “ognuno risponde a determinati stimoli.”

“Che significa?”

“Che ti abbiamo sottoposto alla prova sbagliata. Speravamo di informare sia te che il capitano Rogers dei nostri piani dopo la festa al paese,” serrò le labbra fino a ridurle ad una linea sottile, “ma non ne abbiamo avuto il tempo.”

Era arrabbiata. Realizzò la portata della furia che doveva albergarle in corpo solo in quel momento, guardandola stringere i pugni con discrezione.

Non fece in tempo a dire niente che si era già rimessa in piedi e lo invitava a fare altrettanto.

“Ho delle reclute da allenare,” gli disse, come se fosse la cosa più naturale del mondo. “Ti porterò dal capo, così potrà spiegarti i piani per domani e tu potrai scegliere cosa fare.”

“Ho già parlato con Fury,” obiettò, seguendola senza farselo ripetere due volte.

“Non è di Fury che sto parlando.”

Clint si chiese chi diavolo potesse essere tanto autorevole da convincere l'imponente colonnello a prendere ordini da qualcun altro.

 

*

 

Maria sedeva rigida sulla sedia accanto alla sua. Davanti a loro uno scrittoio ricoperto di carte ordinatamente arrotolate o ripiegate; su quelle erano sparse altri strumenti di vario genere e un paio di boccette d'inchiostro. Chiunque fosse il fantomatico capo dell'ordine dello Scudo, Clint non aveva una gran voglia di incontrarlo. Anzi.

Era già stufo di tutti quei colloqui non richiesti: Maria prima, Fury poi. Rivedere lady Melinda gli aveva fatto piacere, invece. Era la prima faccia amica che incontrava da quando il viaggio era cominciato, l'unica prova concreta e tangibile che la sua vita a villa Coulson era davvero esistita, che non se l'era solamente inventata.

L'aveva lasciato davanti alla porta della stanza in cui si trovava attualmente; gli aveva stretto di nuovo il braccio e aveva aggiunto: “sono contenta che tu sia qui”. Poi se n'era andata.

Per arrivare allo studio, più spazioso di quello del colonnello, avevano attraversato corridoi e stanze sempre meno deserti man mano che si erano avvicinati alla meta. Donne e uomini si muovevano in ogni direzione, alcuni vestiti da suore e frati, altri in abiti borghesi. Tutti indiscriminatamente, però, sembravano avere una gran fretta. Gli era parso di intravedere almeno due aule adibite all'addestramento e una che aveva l'aria dell'armeria improvvisata. Si era chiesto se tutte le forze a disposizione del re si trovassero là sotto, se davvero tutto ciò su cui il sovrano potesse contare era un manipolo di religiosi (veri o falsi che fossero) e una manciata d'armi.

Maria era arrivata poco dopo, sfoggiando la stessa espressione assente e ostica di sempre. Clint non aveva ancora capito se il nervosismo fosse dovuto alla sua specifica presenza o agli eventi del giorno. La possibilità che quella fosse la sua condizione naturale gli aveva fatto capolino nel cervello, ma ancora non osava prenderla per buona.

Il silenzio, però, cominciava a farsi insopportabile. Per questo, stufo di passare in rassegna ogni singolo oggetto presente nella stanza, si decise ad aprir bocca.

“Quindi sareste una specie di cane da guardia,” constatò e non dovette aspettar molto per l'occhiataccia che aveva pronosticato di ricevere.

“Non sono niente del genere,” puntualizzò Maria.

“Se non siete qui per tenermi d'occhio, siete qui per farmi da cicerone... e se non vi dispiace, come cicerone fate un po' schifo.”

“Cosa credete che sia?” Era sbottata, subito sulla difensiva. “Un grand tour per rampolli nobili e annoiati?”

“Perché ve la prendete così tanto? Cicerone era molto probabilmente un ciccione che andava in giro in ciabatte... non mi scoccerebbe più di tanto non essere paragonato ad uno come lui.” E poi era decisamente troppo pomposo per i suoi gusti.

“Non siete divertente.”

“Siate indulgente,” la canzonò un poco. “Che fareste al mio posto?”

“Non sono solita discutere di cose improbabili.”

Valutò se chiederle o meno, per l'ennesima volta, dove si trovasse Natasha e se fosse possibile vederla. Parlarle. Ma fu Maria a riprendere la parola.

“Se Phil si fida di voi, allora non vedo dove sia il problema,” decretò con il tono definitivo di una verità incontrovertibile. Aveva addolcito leggermente la voce nel pronunciare il nome di lord Phillip, abbastanza da fargli capire che i due dovevano aver lavorato insieme... prima d'allora.

Realizzò di non avere la più pallida idea di che aspetto avesse la vita di lord Phillip; sapeva che viaggiava molto, ma gli era sempre apparso come un nobile spiantato ed eccentrico con una predilezione per i casi disperati, di certo non come un membro di una potente organizzazione segreta nata per proteggere il re. Bè, in effetti della potenza dello Scudo non era esattamente convinto... ancora.

“Non sono neanche sposati, non è vero?” Si sentì chiedere.

“Chi?” Maria si voltò finalmente a guardarlo.

“Lord Phillip e lady Melinda.” Gli sembrò di indovinare l'ombra di un sorriso sul volto austero della donna, e alla fine, anche se riuscì ad impedirsi di farlo troppo apertamente, il divertimento le aveva acceso lo sguardo. Le faceva strano che qualcuno li chiamasse in quel modo.

“No, non sono sposati,” ammise.

“E gli altri? Sono tutti membri dell'ordine?”

“Candidati,” lo corresse.

“Perché non ci hanno detto niente?” Finì per domandare, più a se stesso che a lei.

“Non eravate ancora pronti. L'ordine sopravvive grazie alla segretezza dei suoi membri. Non è facile decidere di chi ci si può fidare e di chi no,” distolse lo sguardo.

“E adesso?”

“Adesso abbiamo bisogno di tutti gli uomini disponibili.” Una ruga le si era formata sulla fronte, l'unico segno tangibile della sua preoccupazione.

Avrebbe voluto dirle del biglietto che Natasha aveva trovato sul tenente al villaggio dopo il ponte di pietra, leggerle il messaggio, raccontarle del sogno che aveva fatto su lord Phillip, quello in cui l'aveva visto morire appeso per il collo. I traditori e i membri dell'ordine dello Scudo saranno giustiziati sul posto – ormai aveva imparato la frase a memoria. Tutta quella gente sarebbe morta se l'Idra avesse avuto la meglio. Si stava chiedendo se suo fratello e i suoi ribelli ne facessero parte, quando la porta si aprì senza alcun preavviso.

Si voltò mentre una macchia bordeaux si infilava nello studio. Registrò la sua fretta prima ancora di poterla guardare in faccia.

“Maria, signor Barton, vi prego di seguirmi. Devo ancora controllare l'infermeria e sono indietrissimo sulla tabella di marcia.”

La donna – perché di una donna si trattava, Clint si accorse – si concesse a malapena il tempo di recuperare alcuni fogli dallo scrittoio e quello che sembrava un grembiule da uno dei cassetti. Clint imitò Maria e si rimise in piedi, accodandosi alla sconosciuta che era già uscita nel corridoio.

Portava un grosso abito rosso scuro dalla gonna ampia e voluminosa, ma senza strascico. I capelli, di un bel castano scuro erano sistemati in un'ingombrante acconciatura che le traballava sul collo ad ogni passo. Era leggermente spettinata e anche il vestito era sgualcito in più punti, come se non si fosse fermata per tutto il giorno. O forse più a lungo.

“La vostra amica si è divertita a prendere a pugni i nostri uomini, signor Barton.” Aveva una bella voce e un accento che non gli risultò familiare. Sembrava divertita dalle proprie parole e quando Clint non rispose si voltò giusto un attimo per rivolgergli un rapido sorriso. Un sottile velo di trucco le metteva in risalto gli occhi e gli zigomi, e le labbra erano di un bel rosso cupo.

“Natasha?” Si ritrovò a chiedere. Com'erano passati dal definirla una nemica della corona al considerarla sua amica? Possibile che fosse riuscita a liberarsi?

La donna annuì prima di imboccare delle ripide scale a chiocciola. Clint invitò Maria a precederlo nella salita, ma la religiosa gli lanciò un'occhiata di fuoco, spronandolo a darsi una mossa.

“A quanto pare il nostro sedativo non è stato altrettanto efficace su di lei,” ricominciò a spiegare. “Non sappiamo molto della Stanza Rossa, ma è possibile che i suoi adepti siano addestrati a resistere a determinate sostanze.”

Non sapeva perché avesse sentito il bisogno di dirglielo, ma gli sembrò plausibile. In certi libri che aveva letto, di viaggio soprattutto, c'era sempre qualcuno che si era abituato ad assumere veleni in piccole dosi per diventarne – alla lunga – immune.

“Posso vederla?” Le chiese allora, affrettandosi su per la scala. Si accorse che la donna indossava scarpe alte eppure si muoveva con tanta rapidità da essere costantemente sul punto di seminare sia lui che Maria.

“Non adesso, se non vi dispiace,” il tono era gentile, ma fermo. “Ve l'ha detto lei di chiamarsi così?”

Clint non rispose perché erano arrivati al piano superiore: altri corridoi di pietra punteggiati da aule e stanze di varia misura, ma stavolta c'erano delle piccole finestrelle in cima ai muri, segno che dovevano essere ancora sottoterra, ma decisamente più vicini alla superficie.

“La conosciamo con molti nomi diversi da queste parti,” la donna aveva ripreso a parlare. “Ogni area del regno le affibbia un nome diverso. Morte Rossa, Ombra Slava, Vedova Nera...”

Gli tornò in mente il modo in cui si era arrabbiata quando l'aveva accusata di essere troppo misteriosa, di essersi cucita addosso un personaggio improbabile col preciso intento di ingannarlo. Aveva perso completamente il controllo – l'unica volta in cui si era lasciata sopraffare dalla furia con cui doveva fare i conti ogni giorno. Doveva essersi stufata di sentirsi dipingere come qualcosa che sentiva di non essere, di essere considerata una sorta di simbolo invece che una persona in carne ed ossa. Un concetto, magari. Non apparteneva a nessun luogo, non aveva un'identità stabile e nessuno riusciva a vederla per quello che era, un essere umano come tanti altri. Certo, con abilità letali che le permettevano di risultare fatale in mille e più circostanze, ma pur sempre un essere umano.

“Per me è solo Natasha,” sentì il bisogno di dire. “Non vi aiuterò se non la lasciate libera.” La condizione gli era uscita di bocca senza che avesse realmente preventivato di farlo. Ma non appena le parole furono fuori, libere di fluttuare nell'aria, Clint realizzò che ci credeva fino in fondo.

“Non dite sciocchezze,” intervenne Maria.

“No, Maria, lascialo stare,” la donna senza nome la redarguì con pacatezza.

Non si erano fermati un secondo: ancora la seguivano in quel labirinto infinito di corridoi e stanze. Solo quando furono in dirittura d'arrivo per una doppia porta, si legò il grembiule in vita. Si infilò nell'ampio stanzone riempito dalla luce dorata del pomeriggio senza bussare, con irruenza.. Clint fece fatica ad abituarsi all'illuminazione naturale, ma individuò subito le schiere di letti che costeggiavano entrambe le pareti. Su ognuno era disteso o seduto un uomo o una donna che sfoggiava una ferita o un acciacco diverso. Altre persone giravano tra i giacigli portando acqua, bende e dio solo sapeva cosa. C'era uno sgradevole odore dolciastro nell'aria che Clint riconobbe come l'olezzo del sangue misto a qualcos'altro. Erbe, aromi, spezie.

Sembrava un ospedale in piena regola, anche se non del genere che garantisce vitto e alloggio ai poveri.

Alcuni degli infermieri presenti si staccarono dalle loro occupazioni per raggiungere la donna. Parlarono a turno, ognuno comunicandole la situazione di un paziente diverso. Quando ebbero concluso, la sconosciuta consigliò cose diverse a ciascuno, raccomandandosi di fare tutto il possibile seppur col poco che avevano a disposizione.

Fu in quel momento che la realizzazione lo colpì come un fulmine a ciel sereno. Era lei, la donna senza nome, il capo dell'ordine dello Scudo. Tanta era stata la rapidità con cui era entrata e uscita dallo studio, da impedirgli di ricollegare immediatamente le due cose. Il colonnello Fury, alto, scuro e minaccioso, prendeva ordini da quella signora vestita elegantemente, dal sorriso gentile e l'accento bizzarro. Non gli capitava spesso di provare subitanea ammirazione per qualcuno, ma quel giorno, per quella donna, fece un'eccezione.

“Venite,” sembrò ricordarsi di loro solo in quel momento e li esortò a seguirla ulteriormente. Dopo lo stanzone in cui si trovavano ce n'era un altro uguale e da quello risbucarono in un secondo corridoio, più stretto dei precedenti. Su questo si aprivano diverse stanze, ma la donna si fermò davanti ad una in particolare.

“Finisco qui e poi vi raggiungo,” avvertì sia lui che Maria prima di bussare leggermente.

Una voce familiare l'invitò ad entrare e la donna sparì oltre la soglia, dimenticando però di richiudersi la porta alle spalle. Clint non voleva esattamente spiare, ma la camera era ben visibile dal punto in cui la donna li aveva lasciati. Si intravedeva lo spartano mobilio, la finestra alta sul muro, e poi un letto alto dalla struttura in legno.

Il vestito bordeaux della donna gli oscurava la visuale, chinata com'era su chiunque occupasse il materasso, ma la voce... quella voce. Riuscì ad identificarla con un secondo di ritardo, proprio mentre gli ritornavano alla memoria le parole del tenente dell'esercito, quello che aveva voluto visitare Natasha nella sua cella: … qualcuno l'ha rapito dall'ospedale in cui era ricoverato.

La donna si spostò per andare a prendere qualcosa nell'angolo della camera fuori dal suo campo visivo, e allora Clint ebbe la sua conferma.

Il capitano Steve Rogers era seduto con la schiena dritta contro la testiera del letto, le lenzuola disordinatamente drappeggiate in grembo e sulle gambe; il busto era nudo e una fasciatura lo copriva quasi del tutto, agganciata com'era ad una delle spalle per mantenerla più ferma.

L'ordine dello Scudo aveva il capitano Rogers. E se il capitano era in combutta con loro, allora i traditori l'avevano voluto togliere di mezzo, senza che però ogni singolo membro dell'esercito ne fosse messo al corrente. Forse Rogers era una presenza talmente scomoda da non poter essere cancellata dal panorama politico senza una buona dose di manipolazione a più livelli. Magari anche qualcuno dei più convinti nemici del re avrebbe vacillato nel sapere che l'Idra aveva osato uccidere un ufficiale di talento come lui.

Sbatté le palpebre e un attimo dopo Maria aveva riaccostato la porta, impedendogli di continuare a sbirciare all'interno della camera. Le lanciò un'occhiata incomprensibile, anche se la religiosa stava facendo finta di niente.

“Cos'è successo dopo l'attentato al capitano?” Le chiese allora.

Maria rimase in silenzio un po' troppo a lungo per non innervosirlo; intrecciò le braccia al petto infine, sostenendo ostinatamente il suo sguardo.

“Gli uomini di Rogers, i superstiti, vi hanno accusato dell'attentato e hanno emesso un mandato di cattura.” La taglia sulla sua testa, quella che aveva convinto il direttore della compagnia di saltimbanchi a fargli la festa... o a provarci, se non altro. “Il veleno usato per ucciderlo proveniva dalle scorte di Leopold Fitz.”

“C-Che cosa?” Ricordò il volto pallido del cugino mentre trafficava con la borsa che gli aveva riportato dalla villa nella disperata speranza di poter salvare il capitano. Se era una sostanza di sua invenzione allora aveva sicuramente sperimentato anche l'antidoto, non sarebbe stato tanto stupido.

“... e la freccia era una delle vostre. Qualcuno che conosce voi e i Coulson ha fatto in modo che sembrasse colpa vostra.”

“E poi?”

“Quando hanno capito che eravate fuggito, si sono rivolti a Phil, ma lui era già stato allertato da alcuni contatti all'interno della gendarmeria.”

A quel punto doveva aver messo in fuga la famiglia intera, salvo poi dover tornare indietro per recuperare Leo... qualcosa era successo per convincerlo a non tornare dagli altri, ma avrebbe dovuto parlare col cugino per capirne di più. Lady Melinda non era stata molto specifica e adesso tutte le domande che avrebbe dovuto farle gli si accavallavano nel cervello, implorando di veder soddisfatta la loro curiosità.

“Ho pensato di tornare,” mormorò tra sé. Era stato sul punto di farlo quando aveva spiato Natasha impegnata in una fitta conversazione con padre Selvig.

“Sarebbe stato stupido,” Maria scosse debolmente il capo. “Non avreste potuto fare niente. L'Idra avrebbe messo le mani su di voi e a quest'ora avrebbero un'ulteriore moneta di scambio da usare contro lo Scudo.”

Non fu sorpreso di constatare che Natasha, già a suo tempo, aveva avuto ragione. Ma anche dopo tutti quei giorni, lord Phillip continuava a rischiare la vita... a meno che non fosse già morto.

“Credete che gli sia successo qualcosa?” Finì per chiederle, sperando forse di essere confortato.

“Non possiamo saperlo,” rispose realisticamente la religiosa. “Se sanno chi è, staranno cercando di cavargli tutte le informazioni possibili.”

Non era sicuro del perché ne fosse così certo, ma lord Phillip non avrebbe parlato.

“Il figlio è andato a cercarlo,” aggiunse Maria sovrappensiero, “ma non abbiamo ancora ricevuto notizie.”

“Il figlio?” Si era perso per strada... di nuovo. Tutte quelle rivelazioni lo facevano sentire ubriaco.

“Grant.”

Non poté soffermarsi su quanto si sentisse stupido per aver completamente rimosso Grant dal teatro di puro caos che gli si stava articolando nel cervello, perché la donna senza nome era di nuovo tra loro, la porta della stanza del capitano ben chiusa alle sue spalle.

“Dicevamo,” riprese, scostandosi dal viso una ciocca di capelli sfuggita all'acconciatura, “speravo che avrebbe accettato di collaborare con noi, signor Barton.”

Clint era ancora troppo confuso per poter dire niente di sensato; si limitò ad annuire. La sconosciuta si era appoggiata alla parete lì accanto: sembrava stesse riprendendo fiato dopo una lunga corsa. Solo adesso che poteva guardarla per bene si accorse di quanto fosse bella, le braccia tornite e il seno prosperoso schiacciato nel corpetto, il viso segnato dalla stanchezza eppure ben truccato e composto.

“Pensiamo che il colpo di stato avverrà domani sera, alla festa in maschera organizzata al palazzo reale,” lo informò. “Alla celebrazione privata avranno accesso tutti i nobili del regno, alcuni popolani scelti tra la folla, vertici della chiesa e dell'esercito. Non sappiamo se l'assassinio del re avverrà a porte chiuse o in un luogo in vista...”

“Se la storia ci insegna qualcosa, vorranno almeno mostrarne il cadavere alla folla. Convincerli che è morto davvero per fugare ogni dubbio,” chiosò Maria.

“E' possibile che optino per la strategia più spettacolare,” aggiunse la donna senza nome, sovrappensiero. “Abbiamo già alcuni uomini che si infiltreranno alla festa per tener d'occhio il re. Non escludiamo che sia qualcuno a lui vicino ad essersi preso la briga di portare a termine l'uccisione.”

“Quel che è certo è che toglieranno di mezzo anche il giovane Stark,” di nuovo la religiosa, “devono eliminare l'intera dinastia e rimuovere qualsiasi erede se non vogliono che i loro sforzi si rivelino inutili.”

“Vorremmo che tu fossi uno degli infiltrati. Sappiamo che sei un ottimo tiratore e ci tornerebbe utile avere un paio d'occhi come i tuoi là in mezzo.”

Ancora non riusciva a capacitarsi di come fosse passato dalla passeggiata nella fogna a quell'assurda visita al quartier generale dell'ordine dello Scudo, il cui capo continuava a trattarlo come se fosse sempre stato uno di loro, come se non mancasse che un soffio a rendere la sua affiliazione all'organizzazione pressoché ufficiale.

“Ve l'ho detto,” Clint si sforzò di dire, “non farò niente se non libererete Natasha.”

“La donna è troppo pericolosa e la Stanza Rossa è coinvolta nel complotto. Pensiamo che abbia fornito uomini alla causa... il caos favorirebbe tutte le piccole sette criminali ed illecite del regno, Stanza Rossa inclusa.”

“Non è più fedele a quella gente,” insisté. “Hanno persino mandato un sicario ad ucciderla. Ormai è fuori dal giro.”

La donna assottigliò lo sguardo e lo fissò intensamente, come per accertarsi della sincerità delle sue parole. Maria, invece, non sembrava essere poi così impressionata dalla rivelazione.

“L'operazione è estremamente delicata,” sottolineò la donna senza nome, “non possiamo permetterci errori. E' possibile che la Vedova Nera sia-”

“Natasha. Si chiama Natasha,” ci tenne a puntualizzare.

“... è possibile che Natasha sia davvero una fuoriuscita, ma non abbiamo il tempo di esserne sicuri al cento per cento. Non posso mettere a repentaglio l'incolumità dei membri dello Scudo, non adesso.”

“Me ne prendo la responsabilità.” Non sapeva neanche perché si stesse ostinando tanto per convincerli a riabilitarla, ma saperla rinchiusa in una cella buia gli dava alla testa.

“Non possiamo fidarci,” ribadì duramente Maria.

Clint avrebbe voluto raccontare di come Natasha fosse tornata indietro a salvarlo quando avrebbe potuto abbandonarlo al suo destino, in balia di suo fratello e dei suoi ribelli, ma la stessa ragazzina che gli aveva portato l'acqua nella stanza circolare era appena sbucata dal fondo del corridoio. Era pallidissima.

“Lady Carter! Lady Carter! Dovete scendere immediatamente!” Strillò prima di sparire nuovamente da dov'era venuta.

Bastò quello a lanciarli tutti e tre in corsa, a ripercorrere rapidamente i loro passi, attraverso l'ospedale, i corridoi, la scala chiocciola e altri corridoi ancora. Finché non la videro in quella che aveva l'aria d'essere la stanza centrale del quartier generale, riempita di tavoli, panche, fogli, piume d'oca e boccette d'inchiostro. Una delle postazioni era stata ribaltata contro la parete e gran parte della gente che doveva essere a lavoro solo pochi attimi prima si era ritirata sul fondo della camera.

Clint registrò per primi i lamenti degli uomini a terra: alcuni si tenevano la testa, altri il viso, altri ancora gambe o braccia. Là nel mezzo c'era Natasha, i capelli spettinati, il fiato corto e un tappeto di avversari messi fuoriuso. Ne stava tenendo uno nella morsa delle proprie braccia e Clint impallidì perché sapeva fin troppo bene cosa seguiva quel particolare assetto.

“Nat!” La chiamò e la donna rialzò il capo, lasciando andare di colpo l'uomo che si affrettò ad allontanarsi strisciando sul pavimento.

Gli sembrò sul punto di dire qualcosa, ma altri membri dello Scudo si fecero avanti, alcuni attaccandola alle spalle, altri frontalmente. Natasha riuscì a sbarazzarsene, uno alla volta, con un ritmo impressionante. Nemmeno Clint aveva mai avuto realmente occasione di vederla all'opera: quello che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi era uno spettacolo in piena regola.

Maria alzò un braccio per chiamare rinforzi, ma la donna – lady Carter, l'aveva chiamata la ragazzina – la costrinse a riabbassarlo e a tacere.

Trattennero tutti il respiro finché anche l'ultimo degli agenti accorsi a ridimensionare l'exploit di Natasha fu steso a terra. Non ne aveva ucciso neanche uno.

La guardò fermarsi, le braccia stese lungo il corpo e il respiro affannoso, il petto che si alzava e abbassava in rapida sequenza e sentì qualcosa di molto simile all'orgoglio fiorirgli nello stomaco.

“Ve l'ho detto,” fu lui a parlare nell'assoluto silenzio che permeava la stanza. “Non è lei ad aver bisogno di voi, siete voi ad aver bisogno di lei.”

Lady Carter spostò lo sguardo da lui a Natasha, a tutti gli uomini – i suoi uomini – che aveva atterrato con tanta facilità, a quelli che invece erano rimasti indietro per paura di lasciarsi coinvolgere.

Infine annuì una sola volta.





Note: mi scuso per il ritardo prima di tutto, ma tra feste e drammi assortiti mi è proprio passato di mente.
Un altro capitolo di spiegoni tra facce vecchie e nuove (alcune più attese di altre :P), ma dal prossimo si entrerà nel vivo dell'azione finale.
Ringrazio chi mi legge e commenta e ovviamente la sociabeta Eli :*
A questo punto ci risentiamo il prossimo anno ù_ù auguri a tutti!
(◡‿◡✿)
  
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