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Autore: ffuumei    30/12/2015    4 recensioni
HideKane
Un bambino di appena due o tre anni al massimo, dai capelli liscissimi e neri come il carbone, se ne stava accoccolato fra le coperte del suo lettino, tirate su fino al naso, che lasciavano scoperti il viso arrossato e gli occhi chiari, lucidi di lacrime. La luce della piccola lampadina posta accanto al lettino era accesa, perché altrimenti sarebbe scoppiato a piangere e la sua mamma lo sapeva perfettamente. Che cosa curiosa, il buio. Crea quiete e pace idilliaca, ma ciò che vi si cela all'interno resta sconosciuto fino al momento in cui appare nuovamente una luce. Crescendo avrebbe imparato che le cose al buio sono esattamente le stesse anche alla luce, che il buio le deforma momentaneamente, ma non ne potrà mai modificare l'essenza, la forma, i colori.

Quinta classificata e vincitrice della medaglia viola per la fanfiction con miglior caratterizzazione e della medaglia indaco per maggiore rispetto del canonverse, al contest "And this, kids, it's how i met your father" indetto da hirondelle_ sul forum di Efp. Prompts utilizzati: pioggia, automobile.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kaneki Ken, Nagachika Hideyoshi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Rain Drops.

 

 

 

 

Svegliarsi, la mattina presto, era quasi traumatico. Si ritrovava con i capelli ridotti ad un nero groviglio tondeggiante e crespo, gli occhi ancora simili a due fessure arrossate che più cercava di aprire e più si sentiva scemo, davanti allo specchio, a spalancare e poi strizzare le palpebre come un pazzo in preda a visioni che apparivano solo a lui. E poi c'era il suo corpo, reattivo quanto lo potrebbe essere una sedia, che reagiva agli stimoli con una pesantezza quasi dolorosa. Ma quel mignolo che andava a sbattere contro l'angolo della porta, oh, a quello si che reagiva, con una soffocata imprecazione. E questa era la normale routine mattutina a cui doveva sottoporsi per poter uscire di casa, non prima di essersi ovviamente svegliato per bene con una doccia, aver messo la divisa della sua scuola ed aver salutato sua madre, la quale era sempre indaffarata in cucina a quell'ora, per preparare la tazza di caffè che era solito bere prima di prendere lo zaino e incamminarsi verso l'edificio scolastico.

Quella mattina, la strada era più fredda del solito. L'inverno sarebbe arrivato un po' prima, probabilmente. A Kaneki piaceva l'inverno, la neve, il tepore sempre maggiore che fuoriusciva dalla sua dimora non appena apriva il portone. Non era nemmeno a metà strada fra la sua casa e la scuola, che già fantasticava sul suo ritorno al primo edificio. La verità era che non c'era posto in cui Kaneki si sentisse a suo agio, esclusa la sua casa. Forse perché stare in mezzo a così tante persone come in una scuola non faceva per lui, che invece era stato fin da bambino un tipo più solitario e amante della tranquillità, o magari perché non sopportava la prepotenza e l'irrazionalità di certi suoi compagni di classe, che si ostinavano a prenderlo pesantemente in giro per la sua divisa impeccabile, per i capelli dal taglio a scodella, per l'aspetto di topo da biblioteca, a detta loro, per la sua passione sconfinata per la lettura. Il motivo per cui si accanivano costantemente su di lui, poi, proprio non lo trovava. Era forse debole all'apparenza e quindi perfetto come bersaglio per gli sfoghi altrui? Chi lo sapeva. Ma la cosa peggiore era sentirsi appioppare il nomignolo di cocco di papà e dover puntualmente ricordare a tutti loro – e a sè stesso – che no, non poteva essere un cocco di papà, perché lui il suo papà non l'aveva mai conosciuto.

La mamma gli parlava spesso di suo padre. Lo dipingeva sempre come un uomo dal carattere austero e impostato, ma estremamente sensibile e con la buffa attitudine ad essere costantemente con la testa fra le nuvole. Era colpa di tutti i libri che era solito leggere, gli raccontava, e a lui leggere piaceva davvero molto, così tanto da aver insistito per allestire una delle stanze della loro casa proprio come uno studio, riempiendo le pareti di librerie stracolme di volumi di ogni genere e dimensione, dei più disparati autori. In quel modo, non c'era stato bisogno di dipingere i muri della stanza: le copertine colorate dei libri, stipati su ogni superficie piana, erano sufficienti a dare un tocco di luce alle pareti. Ma ciò che rendeva viva l'intera stanza non erano affatto i libri, non era nemmeno l'ampia finestra posta strategicamente sopra la scrivania in legno lucido. Era quell'uomo.

La mamma gli parlava anche di come suo padre fosse bravo e paziente quando, alla sera, lui per dormire aveva necessariamente bisogno di farsi raccontare una storia. Riusciva perfettamente ad immaginare la scena, proprio come se potesse ricordarla fin nei minimi dettagli.

Un bambino di appena due o tre anni al massimo, dai capelli liscissimi e neri come il carbone, se ne stava accoccolato fra le coperte del suo lettino, tirate su fino al naso, che lasciavano scoperti il viso arrossato e gli occhi chiari, lucidi di lacrime. La luce della piccola lampadina posta accanto al lettino era accesa, perché altrimenti sarebbe scoppiato a piangere e la sua mamma lo sapeva perfettamente. Che cosa curiosa, il buio. Crea quiete e pace idilliaca, ma ciò che vi si cela all'interno resta sconosciuto fino al momento in cui appare nuovamente una luce. Crescendo avrebbe imparato che le cose al buio sono esattamente le stesse anche alla luce, che il buio le deforma momentaneamente, ma non ne potrà mai modificare l'essenza, la forma, i colori. Il bambino continuava a guardarsi intorno con sguardo preoccupato, osservando ogni singolo angolo ombroso della sua cameretta, dove la luce soffusa ed ovattata non poteva arrivare. Era in quei momenti che suo padre entrava nella stanza, proprio quando il piccolo cominciava a tremare, raggomitolandosi sotto la coltre morbida di lenzuola. L'uomo gli appariva senza un volto, la sua figura era interamente sfuocata come se facesse parte di un dipinto completamente sbagliato, eppure lui sentiva che quella persona apparteneva al quadro che aveva creato nella sua mente. La colpa di ciò era da attribuire all'età troppo giovane per poterne conservare ricordi e ai racconti di sua madre, che evocavano in lui questo tipo di fantasie piacevoli da trasformare in proprie memorie. Ma non riusciva comunque a dare un volto al suo papà, non riusciva a trovargliene uno adatto nemmeno quando si sedeva sulle ginocchia accanto al letto del bambino che era lui stesso, tirando fuori un libro colorato da sotto la giacca e cominciando a leggerglielo. Immaginava la sua voce. La immaginava profonda e gentile. Immaginava il suo sorriso, quello poteva vederlo. Solo il suo sorriso, preso dalla foto del matrimonio dei suoi genitori. La foto che soleva rigirarsi fra le mani e poi nascondere sotto il cuscino tutte le sere, prima di addormentarsi, nel tempo reale. Nella sua mente, a quel punto, si era già addormentato, cullato dalle parole morbide del suo genitore. Con questo ricordo acquisito chiudeva gli occhi ogni sera, carezzando con la punta delle dita un angolo di quella foto che ritraeva la sua famiglia, tenuta accuratamente sotto il cuscino. Chiudeva gli occhi e si addormentava, Ken Kaneki. Si addormentava e sognava di potersi svegliare come quando era piccolo, con sua madre ai fornelli e suo padre in abito formale, in piedi sulla soglia della sua stanza. Come quando quell'uomo era presente in quella casa, invece di essere solo un nome inciso sulla pietra fredda e lugubre di una lapide.

Ken scosse energicamente la testa, scacciando i pensieri che vi si erano crudelmente annidati. Il tragitto verso l’edificio scolastico non era certo il luogo adatto per rimuginare su quell’argomento.

Frequentava il secondo anno di scuola media superiore, aveva ottimi voti, studiava regolarmente e nessun professore aveva mai contestato il suo lavoro. Poteva considerarsi perfettamente uno studente modello, tenendo conto anche del suo comportamento silenzioso e gentile, e della sua costante puntualità. A sedici anni i ragazzi sono ribelli, vanno contro le regole, si rifiutano di studiare. Kaneki no. Kaneki era sempre stato l'opposto di tutti i suoi coetanei. Arrivato nel cortile del suo edificio scolastico adocchiò subito una panchina posizionata sotto un albero dalle fronde enormi, scosse dal leggero venticello che spirava quella mattina. Con venti minuti d'anticipo, Ken avrebbe avuto tutto il tempo per prendere il suo libro preferito dallo zaino e sedersi con calma, per continuarne la lettura. Gli piaceva soffermarsi sulle parole più complicate e ricercate, magari scrivere su un foglio le più interessanti, oppure segnarle con un leggero tratto di matita, per non rovinare la superficie immacolata delle pagine. Era preciso, Kaneki, in quasi tutto quello che faceva. L'unica cosa in cui peccava gravemente, era l'argomento relazioni interpersonali.

La prima campanella suonò troppo presto, con disappunto e una nota malcelata di tristezza da parte del moro. I libri avevano la capacità di fargli perdere il senso del tempo, quando si immergeva nella lettura come un subacqueo nelle profondità dell'oceano. Era piacevole estraniarsi dalla realtà ed entrare in un mondo alternativo, cullati dalla voce dei propri pensieri, con lo sguardo legato alle pagine del libro, ma la mente altrove, morbidamente intrecciata con la creazione di avvenimenti e situazioni descritte in poche, semplici righe, immortalate in nero su bianco. Con un sospiro sconsolato, Ken rimise con cura il libro nel suo zaino e si alzò dalla panchina, rabbrividendo quando una folata improvvisa di vento gelido gli scosse i capelli e gli si insinuò fra i vestiti, attraversandogli tutto il corpo. Si diede una veloce sistemata alla giacca della divisa, prima di incamminarsi verso l'entrata della scuola e addentrarsi nei corridoi un po' bui e tristi, causa arrivo della stagione invernale. Era ancora presto, per questo la sua classe era quasi interamente deserta. C'erano solo due sue compagne, sedute nei banchi centrali dell'aula, intente a sfogliare freneticamente un libro scolastico alla ricerca di chissà quale risposta a chissà che quesito – ma probabilmente riguardava il test di matematica che si sarebbe svolto quella mattina. Con molta calma, Kaneki prese posto accanto alla finestra. In questo modo avrebbe avuto il beneficio di poter osservare un paesaggio sicuramente migliore del volto del professore, una volta terminata la verifica. Ovviamente la vista non era poi tutto questo gran ché: si vedeva il cortile della scuola, persino la panchina che aveva occupato fino a qualche minuto prima, le fronde degli alberi mosse dal vento e il cielo grigio, con quelle nubi incombenti che contribuivano a rendere tetro il paesaggio e tristi i volti degli studenti che, in massa, si apprestavano a raggiungere l'istituto. Molto presto, la classe si riempì e Kaneki tornò con la mente alla realtà, distaccandosi dal filo senza fine dei suoi pensieri. Leggendo continuamente come era solito fare, prima o poi finiva con il creare monologhi interiori persino su cose insignificanti come la vista dalla finestra della propria aula. Si grattò la tempia con noncuranza, stiracchiandosi l'altro polso, poi prese il libro di matematica per rileggere la teoria, pur consapevole di non averne per nulla il bisogno, perché ricordava perfettamente ogni singolo teorema, regola, operazione. Tutto. Non era un genio, Ken, era soltanto portato per lo studio e si applicava con costanza.

La seconda campanella suonò fra il vociare degli studenti nelle classi e nei corridoi, che si affrettavano a concludere le conversazioni o – perché no? – alcuni anche i compiti da consegnare quella stessa mattina. Dopo poco, l'unico rumore che persisteva erano i sussurri degli alunni nelle aule, i passi svelti dei ritardatari, la porta della classe di Kaneki che veniva chiusa brutalmente con la stessa delicatezza che potrebbe possedere un elefante adulto, lasciando entrare il professore di matematica. Sul volto teneva un cipiglio tutt'altro che amichevole, cosa che contribuiva ad accentuarne le rughe già marcate del viso stanco e severo, facendolo sembrare tutt'altro che un uomo di cinquant'anni, dandogli anzi tutto l'aspetto di un ultrasessantenne eternamente accigliato e burbero. Tutti si alzarono in piedi in segno di rispettoso saluto, per poi sedersi nuovamente. C'era qualcosa di insolito quella mattina. Il professore avrebbe già dovuto fare la sua sclerata giornaliera lanciando loro i fogli del compito insieme ad una serie improbabile di minacce di defenestrazione e torture varie in caso qualcuno avesse avuto la brillante idea di mettersi a scopiazzare le risposte dal vicino di banco, mentre invece se ne stava muto e serio, in attesa del silenzio. Si schiarì la gola, tossendo orribilmente.

- D'ora in poi avrete un nuovo compagno di classe, - esordì, restando impassibile mentre un vociare curioso si alzava nell'aula. - Si è appena trasferito in città, mi auguro per voi che lo trattiate come si deve.

Il professore tossì di nuovo, un rumore sofferto e profondo che metteva i brividi. Kaneki lasciava vagare lo sguardo da un lato all'altro dell'aula con discrezione, senza farsi notare. Tutti avevano qualcuno con cui condividere pensieri, battute, dubbi, tutti si stavano confrontando a vicenda esprimendo pareri e soffocando risate. Era una cosa che al moro era sempre mancata, l'avere degli amici. Ed ora si ritrovava a chiedersi chi fosse questo nuovo compagno di classe in silenzio, nella propria mente, fissando lo sguardo sulla porta della classe.

- Può entrare.

Non appena il professore ebbe tossito nuovamente – mal di gola? – l’anta in legno si aprì emettendo un leggero cigolio, avvolto nel silenzio spezzato soltanto dai sussurri curiosi degli studenti seduti. Fece la sua entrata in scena un ragazzo di media altezza, dai vestiti senza dubbio sgargianti in mezzo a tutto quel nero e blu scuro delle divise che portavano tutti. Pantaloni larghi di un verde militare, maglietta bianca un po' lunga e una felpa di uno sgargiante color arancione. Anche senza volerlo avrebbe dato nell'occhio, un abbigliamento simile. Kaneki si ritrovò ad osservarlo con cipiglio curioso, iniziando a memorizzare i dettagli di quella figura assolutamente nuova e luminosa, in una giornata spenta come quella. 

- Bene, provvederemo a fornirle l'uniforme a breve, signorino. Ora si presenti, forza.

Non poteva esserci professore peggiore per dare il benvenuto ad un nuovo studente. Il docente di matematica era freddo, burbero, calcolatore, non si perdeva certo in parole gentili, si limitava a dire il minimo indispensabile e ad osservare il povero nuovo arrivato dalla testa ai piedi, severamente, quasi come se volesse fargli diventare neri e blu quei vestiti tutti colorati. Quel ragazzo sembrava un po' a disagio, lì in piedi accanto alla cattedra dell'uomo anziano, teneva lo sguardo basso e prendeva un grosso respiro, sollevando il volto verso il resto della classe, stirando un sorriso.

- Io sono Hideyoshi Nagachika. Piacere di conoscervi!

Aveva le guance un po' arrossate, forse a causa dell'imbarazzo momentaneo, gli occhi che si spostavano senza sosta in ogni punto della classe pur di non incrociare nessun altro sguardo oltre al proprio, i capelli biondi con una buffa ricrescita castana, sparati sulla testa come gli spuntoni di un istrice. La sua voce era brillante – nonostante brillante non sia un aggettivo adatto a descrivere un suono. Eppure a Ken dava quell'impressione. La voce di quel ragazzo era brillante, così come l'intera sua presenza.

 

Il resto della mattinata trascorse monotono, senza più nessun particolare degno di essere ricordato nei minimi dettagli. Il test di matematica era stato semplicissimo per Kaneki, lo terminò utilizzando soltanto una delle due ore disponibili e passando la seguente ad osservare distrattamente il cielo grigio e nuvoloso oltre la finestra, le fronde degli alberi scosse dal vento, il clima piovoso che andava via via intensificandosi. Non aveva nulla contro la pioggia, Ken, anzi: amava fermarsi ad osservare il corso longilineo che effettuavano le innumerevoli goccioline trasparenti lungo il vetro della grande finestra posta sopra la scrivania, nello studio di suo padre. Le altre lezioni che lo separavano dall'ora di pranzo passarono veloci, probabilmente perché Kaneki non faceva altro che utilizzare il suo quaderno degli appunti come blocco da disegno, immortalando con la penna nera il paesaggio che poteva vedere dalla finestra. Non era un gran ché, ma con tutto il tempo passato ad osservarlo e descriverlo mentalmente, valeva la pena farne anche una bozza su un foglio. L'avrebbe poi sistemata a casa, riproducendola su un altro foglio, un po' più grande e senza le righe di un quaderno, con una matita e le dovute correzioni per renderlo guardabile. Kaneki era discreto nel disegno, tuttavia la sua vera passione restava la lettura.

Quando l'ultima campanella suonò, il moro prese tutte le sue cose e le ripose con cura nello zaino, mettendoselo in spalla ed incamminandosi verso l'uscita della scuola. Gli capitava spesso di buttare casualmente lo sguardo verso i gruppi di studenti che si formavano all'uscita. C'era chi chiedeva ad altri di andare a casa insieme, chi si organizzava per vedersi nel pomeriggio, gente che ricordava ad altri di presentarsi agli incontri del proprio club, amici che ridevano insieme per chissà che battuta. E Kaneki camminava a passo relativamente svelto in quei corridoi, schivando i gruppetti e le coppie, guardandosi intorno e sentendosi a tutti gli effetti come un estraneo, senza avere nessuno da cui potersi fermare per salutarsi, senza nessuno con cui poter sorridere o passare qualche minuto in compagnia. Strinse un pugno infilato nella tasca della giacca, sospirando impercettibilmente. Una volta tornato a casa avrebbe subito preso in mano il romanzo che stava leggendo negli ultimi giorni – lo stesso di quella mattina – ed avrebbe ricominciato a leggerlo sottolineando le parole più interessanti, seduto alla scrivania che un tempo era appartenuta a suo padre, osservando la pioggia che da poco aveva iniziato a cadere, a giudicare dai rumori esterni alla scuola, chiudendosi nel suo mondo e sentendosi finalmente in pace. Un tuono interruppe il filo dei suoi pensieri e si rese conto di essere ad un passo dalla scalinata che portava al di fuori dell'edificio scolastico, proprio sulla porta dell'ingresso. Alzando lo sguardo poté constatare che sì, aveva cominciato a piovere e no, non aveva portato con sé un ombrello. Dannato tempo autunnale.

Sospirò, per l'ennesima volta quel giorno, sconsolato al pensiero di doversi fare un bel bagno durante l'allegra passeggiata sotto la pioggia che lo attendeva per poter tornare finalmente a casa. Riflettendoci un secondo, gli venne l'idea di aspettare qualche minuto. Magari l'intensità dell'acquazzone sarebbe diminuita, pensò. Si appoggiò al muro subito accanto al portone d'ingresso della scuola, dal lato esterno, stringendosi nelle spalle e rabbrividendo non appena una folata di vento troppo fresco per la sua temperatura corporea lo investì, smuovendogli i capelli neri e facendoglieli svolazzare intorno al capo. Cercando di distrarsi, gli venne in mente che, con un tempo simile, probabilmente le uniche attività pomeridiane che si sarebbero svolte sarebbero state quelle dei club che potevano lavorare benissimo anche al chiuso, perché di stare all'aperto proprio non se ne poteva parlare. Come minimo, ad esempio, il campo del club di calcio era già diventato una colossale piscina di fango.

Per quanto avrebbe atteso, Ken? Non più di una decina di minuti, si disse, altrimenti avrebbe fatto preoccupare sua madre ed era l'ultima cosa che mai avrebbe voluto. Anzi, non era nemmeno da includere nella lista. Sua madre aveva già troppe cose a cui pensare per potersi permettere anche di provare ansia nei suoi confronti, non vedendolo tornare a casa immediatamente dopo le lezioni, come era solito fare. Per questo, trascorsi i dieci minuti precisi, alzò lo sguardo e osservò i dintorni. Neanche a farlo apposta, l'intensità della pioggia non era per nulla diminuita, anzi: il cielo sembrava voler buttare giù tutta l'acqua che si era tenuto lassù durante l'estate più torrida che Kaneki avesse mai trascorso. Sospirò di nuovo, non aveva alternativa. A scuola non era rimasto praticamente nessuno, se n'erano già andati tutti ed ora quell'edificio pareva più triste che mai, con le pareti dipinte di un arancione slavato e l'intera zona avvolta dai colori tristi del temporale che imperversava in città. Sembrava morta, senza tutte quelle centinaia di anime che quasi ogni giorno vi si recavano ed occupavano il suo interno. Kaneki rabbrividì, facendosi coraggio. Mettersi a fantasticare cose assurde sulla scuola non avrebbe certo diminuito la quantità d'acqua che avrebbe avuto addosso durante il tragitto per tornare a casa. Diamine.

Scese gli scalini e già una spruzzata impertinente di goccioline lo investì, inumidendogli il volto. Sbuffando, proseguì la sua discesa fino a trovarsi perfettamente sotto la pioggia corrente, che cadeva a gocce enormi e gonfie, ripetutamente, senza tregua. Non riusciva nemmeno a guardare in alto da quanto intenso era il getto di liquido che sgorgava dalle nuvole. In meno di un minuto si era ritrovato già completamente fradicio, con i capelli appiccicati alla fronte e alle guance, e i vestiti tutt'uno con il corpo esile e minuto. Mosse un passo, uno solo.

- Ehi!

Prese a camminare, incerto.

- Ehi, tu!

Continuò, sempre con meno convinzione.

- Aspetta!

Si fermò.

- Dove hai intenzione di andare con questa pioggia e senza nemmeno qualcosa per ripararti?

Dapprima rimase interdetto, congelato sul posto, come se il tempo si fosse fermato ed avesse immortalato tutto quanto in un quadro eterno ed infinitamente diverso dalla normalità alla quale Kaneki era abituato. Non era certo cosa da tutti i giorni l'essere chiamato da qualcuno - un qualcuno di cui ricordava la voce, ma non riusciva a collegarla ad un volto - che non volesse da lui cose tipo i suoi soldi, i suoi compiti, soddisfazione nel non vederlo reagire alle provocazioni o simili.

- Ohi, ci sei?

Il ragazzo rise, palesemente divertito, mentre Kaneki trasalì voltandosi e mostrando probabilmente l'espressione più spaesata e buffa di sempre, perché l'altro si mise una mano sullo stomaco e rise ancora di più. Ma la cosa bella era che non era una risata di scherno, di circostanza, buttata lì per concludere qualcosa, affatto. Sembrava a tutti gli effetti una risata sinceramente divertita e il ragazzo a cui essa apparteneva era biondo, con i capelli sparati sul capo come gli aculei di un istrice e la presenza senza dubbio luminosa.

- Comunque, se vuoi possiamo dividere l'ombrello per un tratto di strada, magari eviti la broncopolmonite e ti prendi solo un raffreddore!

Rise ancora, alludendo al fatto che Ken fosse ancora sotto la pioggia e già praticamente fradicio da capo a piedi.

- Ti ringrazio, ma non c'è bisogno. - gli rispose educatamente, accennando un sorriso gentile.

Il biondo roteò gli occhi, per poi camminare verso Kaneki e posizionargli l'ombrello giallo canarino proprio sopra il capo, facendo attenzione a non scoprirsi troppo per non bagnarsi anche lui stesso. Il moro lo guardò palesemente confuso, facendo ridacchiare nuovamente l'altro.

- Dico sul serio, non serve che ti disturbi.

- Eh? Ma cosa vuoi che sia! - esclamò il biondo, portandosi il braccio libero dietro la testa, con noncuranza, passandosi le dita fra i capelli. - E poi sono nuovo di qui, mi serve assolutamente qualcuno che mi faccia da guida turistica.

Kaneki annuì, poco convinto e  spaesato come mai in vita sua. O forse un'altra volta simile c'era stata ed era il primo giorno in quella scuola, l'anno precedente. Il motivo per cui non l'aveva ancora rimosso interamente da chissà quale anfratto della sua mente, proprio non se lo spiegava. Ricordava perfettamente come fu costretto a sedersi al primo banco esattamente davanti alla cattedra, guadagnandosi subito imbarazzanti complimenti per il suo comportamento mite e gentile dalla professoressa di religione. Quello non era stato altro che l'inizio della sua condanna. Da quel momento in poi erano cominciate le prese in giro, sfociate in quelli che, se solo sua madre li avesse scoperti, avrebbe sicuramente appellato come atti di bullismo. Ma forse quello non era il momento adatto per mettersi a pensare cose simili, dopotutto quel ragazzo gli aveva fatto una buona impressione fin da quando si era presentato in classe. Il ragazzo nuovo, si disse mentalmente. È lui, come aveva detto di chiamarsi?

- A proposito, io sono Hideyoshi Nagachika, se ricordi. Mi sa proprio che siamo in classe insieme, sai? Ma tu puoi chiamarmi Hide, è più corto e veloce da tenere a mente. Tu invece come ti chiami? Non ho sentito nessun professore fare il tuo nome nemmeno all'appello, per tutta quanta la mattinata.

Che fosse logorroico? Iniziava a mostrarne i sintomi. Ma era sicuramente meglio così, piuttosto che passare il tragitto da scuola a casa in tombale silenzio. Il moro si passò le dita nella frangetta, tentando invano di scrollare un po' d'acqua e scollarsela dalla fronte.

- Sono Ken Kaneki, piacere di conoscerti. - gli rivolse un sorriso lievemente imbarazzato, per poi iniziare ad incamminarsi seguito prontamente a ruota dall'ombrello di quel giallo sgargiante e da Hide.

- E grazie, per l'ombrello. - aggiunse subito dopo, indicando la stoffa giallognola con una veloce occhiata.

- Ma figurati! - rise il biondino, grattandosi nuovamente il capo. - Per me non c'è nessun problema! 

Si sorrisero contemporaneamente, continuando a camminare tranquillamente lungo la strada disseminata di pozzanghere come fosse un campo minato.

Il moro non faceva altro che chiedersi perché. Perché quel ragazzo si era offerto così, dal nulla, di dargli un riparo dalla pioggia. Era una cosa che mai nessuno si era nemmeno sognato di fare, almeno non a lui. Lui era il ragazzino minuto e solitario che se ne stava sempre a leggere e nessuno osava mai interromperlo, per chissà quale motivo. Come se un tipo come lui potesse essere una minaccia o cose del genere! Kaneki era buono e gentile con chiunque gli rivolgesse la parola, anche se ultimamente quel chiunque rappresentava solo sua madre o qualche professore. Non era certo una minaccia, ma forse il vero problema stava nel rapportarsi con qualcuno che non fa altro che leggere, leggere, stare da solo, leggere, chiudersi in casa, leggere e leggere. Forse per questo Kaneki era una persona fondamentalmente sola e da tempo aveva smesso di chiedersene il motivo. Ma ora, quel ragazzo sembrava aver risvegliato in lui vecchi e scomodi pensieri, stavolta posti in modo opposto al solito. Si chiedeva cosa in lui avesse interessato Hideyoshi al punto da rivolgergli la parola, offrirgli metà del suo ombrello, accompagnarlo per un tratto di strada verso casa.

- Certo che sei silenzioso tu, eh?

La voce del biondo si frappose allo scrosciante rumore della pioggia battente sull'asfalto. Era un suono piacevole.

- Immagino di sì. Cioè, l'avevo notato già in classe, sai? Te ne sei stato tutto il tempo fermo a scarabocchiare o guardare fuori dalla finestra e mi chiedevo a cosa stessi pensando.

Fece una pausa, durante la quale buttò uno sguardo molto casuale in direzione di Ken, per poi sobbalzare lievemente sul posto.

- No, aspetta, adesso non farti strane idee! Non ho certo passato tutta la mattina a guardarti...

Kaneki doveva essere arrossito così tanto da scatenare un'altra fragorosa risata dell'altro, insieme a movimenti inaspettati come il grattarsi la cute quasi nervosamente. Fu un gesto curioso, ma il moro non se ne curò più di tanto, preferendo pensare a sè stesso ed al suo calore che non voleva saperne di tornare al suo corpo, si era tutto concentrato sulle guance e lì sembrava aver intenzione di restare. Voltò il capo dall'altro lato, imbronciandosi.

- Ma no che non mi faccio strane idee, ti pare? - disse, senza mai guardare l'altro ragazzo in viso. Era tuttavia certo che stesse ancora sorridendo, parecchio divertito.

- E comunque, se la metti così, penso che chiunque a primo impatto ti prenda come uno stalker. - aggiunse poco dopo, buttando la frase un po' sull'ironia. Nagachika sembrò apprezzare parecchio, data l'energia che iniziò ad emanare e che si percepiva solo standogli accanto.

- Ero solo curioso... non capita tutti i giorni di incontrare un tipo come te.

A quella frase Kaneki alzò leggermente le spalle, sorridendo. Non rispose nulla, non disse una sola parola. Si limitò unicamente a camminare al fianco del biondo con passo relativamente svelto, pensando a quanto effettivamente la voce di Hide avesse un suono stupendo. Sicuramente migliore dello stridio improvviso delle ruote di un’automobile a contatto con l’asfalto scivoloso.

- Ma che… - sentì parlare il biondo e si rese conto di aver istintivamente chiuso gli occhi, a causa del rumore assordante che fino a poco prima aveva riempito il silenzio tranquillo della via nella quale camminavano. A quanto pareva, doveva essere questa la cosa che Ken faceva nei momenti di potenziale pericolo: chiudere gli occhi ed aspettare, totalmente inerme. Era successo un episodio simile anche un bel po’ prima, quando sua madre possedeva ancora un’automobile.

All’epoca andava alle elementari e la mamma soleva accompagnarlo a scuola ogni mattina a bordo della loro modesta vettura. Non era moderna e qualche volta faticava ad accendersi e mettersi in moto, ma funzionava quel che bastava per portare a termine brevi tragitti ed andava bene così. Quel giorno la sveglia non doveva aver suonato, perché la mamma correva in uno stato di ansia paranoica per tutta la casa ed aveva svegliato il piccolo Ken con un urlo poco simpatico e ancor meno amorevole, proveniente probabilmente dalla cucina. Era stata una mattinata decisamente frenetica e per prepararsi aveva impiegato circa una decina di minuti – un tempo più che da record. Appena usciti di casa, il moro si ritrovò avvolto da un’atmosfera tetra e piuttosto cupa. Quello che doveva essere il giardino della loro casa era completamente immerso nella nebbia, che si presentava agli occhi del bambino come una grossa ed incombente nuvolona di cenere. Non ebbe molto tempo per osservare il paesaggio, comunque: doveva sbrigarsi a salire in macchina, altrimenti la mamma si sarebbe arrabbiata. Ci vollero più di un paio di tentativi per accendere il motore della vettura e il nervosismo della donna non era per nulla d’aiuto. Quando – finalmente – riuscì a mettere in moto, a Ken sembrava fosse passato un secolo. Ciò che fece da quel momento in poi fu guardare intensamente fuori dal finestrino, cercando di scorgere il sole attraverso le fitte nubi che oscuravano l’azzurro del cielo. Proprio quando era quasi certo di aver intravisto uno spiraglio di luce attraversare la monocromia della volta celeste di gennaio, sentì la macchina sobbalzare come dopo una brusca frenata. Guardò davanti a sé e vide un’automobile ferma, troppo poco distante perché anche quella sulla quale viaggiavano loro potesse fermarsi. Ken chiuse istintivamente gli occhi, riparandosi il volto con le mani, mentre un acuto stridio gli perforava i timpani e riempiva l’intero lasso di tempo che precedette la collisione. Fortunatamente, l’unica a farsi male fu l’automobile della mamma, che da quel giorno restò sempre parcheggiata in giardino, con il cofano ammaccato e il motore fuori uso. Le persone coinvolte nell’incidente non si fecero nemmeno un graffietto, ma nonostante ciò a Ken era rimasto impresso quel particolare giorno, più specificatamente il momento esatto in cui chiuse gli occhi. Si era sentito completamente estraniato dal mondo, con solo quell’orrendo stridio nelle orecchie e la botta, il sobbalzare della carrozzeria dell’automobile, il nero sul retro delle palpebre serrate e poi il silenzio. Null’altro. Né un pensiero, né una parola.

E se non avesse più riaperto gli occhi? E se il nero ed il silenzio avessero continuato ad albergare per l’eternità intorno a lui?

- Ah, ma che cavolo! Con tutti i posti possibili ed immaginabili in cui un’automobile può frenare, proprio in quella pozzanghera doveva andare?

Kaneki riaprì gli occhi e ciò che vide non gli rese possibile trattenere una risatina piuttosto divertita. Nagachika se ne stava ad un passo da lui e reggeva l’ombrello con una mano, mentre con l’altra si tastava i vestiti completamente bagnati ed infangati. Sul viso teneva un’espressione sconsolata e veramente troppo tragica per ciò che era successo. Sembrava quasi una barzelletta, quell’espressione, e Kaneki non riusciva proprio a smettere di sorridere.

- Mi ha schizzato tutta l’acqua addosso! - esclamò il biondo, strizzandosi la felpa. - Sai che ti dico? Ormai siamo entrambi fradici, possiamo anche chiudere l’ombrello.

Detto questo, Nagachika tolse da sopra le loro teste il riparo fatto di stoffa color giallo canarino, lo chiuse malamente e se lo buttò nello zaino semi-vuoto. Ci fu un momento di silenzio, riempito soltanto dal rumore della pioggia che non accennava a smettere.

- Probabilmente adesso ti prenderai un raffreddore. - cominciò Ken, abbassando lo sguardo.

L’altro ragazzo gli rivolse appena un rapido sguardo con la coda dell’occhio, prima di spostare nuovamente la visuale davanti a sè.

- Non è colpa tua se quell’auto ha preso in pieno una pozzanghera.

- Però… - il moro strinse le dita attorno alla bretella dello zaino, torturando inconsciamente quel lembo di stoffa per cercare di lenire il nervosismo. - Se non avessi accettato di fare un tratto di strada con te, sono certo che non ti saresti bagnato e magari saresti già arrivato a casa.

Altro silenzio. Ken continuava imperterrito a guardare con finto interesse qualcosa molto vicino ai suoi piedi, Hideyoshi teneva lo sguardo fisso verso il bivio che si stava avvicinando sempre di più, man mano che camminavano.

- E che vuoi che sia? - prese parola il biondino. - Poi, se non sbaglio, sono stato io a chiederti se volevi fare un pezzo di strada con me. Al massimo la colpa è mia.

Ken gli rivolse un’occhiata furtiva e notò che si era portato entrambe le braccia piegate dietro al capo e guardava in alto, verso il cielo. Per qualche strana ragione, decise che poteva credergli. Che davvero non importava il fatto che entrambi fossero bagnati da capo a piedi e rischiavano una broncopolmonite da ricovero ridotti in quello stato, all’aperto e ad ottobre inoltrato. Che poteva smettere di preoccuparsi, di crearsi da solo inutili paranoie. Che poteva lasciare indietro tutti quei pensieri superflui che continuavano ad ingrigire le sue giornate. Che poteva concentrarsi sul suo presente. Che andava bene così.

- Se lo dici tu. - rispose, accennando un piccolo sorriso rivolto più a sé stesso che al biondo e tornando a guardare avanti. Avevano ormai raggiunto la fine della strada e quel bivio che si snodava in due differenti direzioni.

- Beh... io devo andare di qua.

Il moro prese a torturare ancora la povera spallina dello zaino, indicando con lo sguardo la via che si allungava sulla destra. Era stato piacevole incontrare quel ragazzo.

- E io dall'altro lato. - il biondo spostò un dito in direzione del viottolo a sinistra, sospirando pesantemente.

Ken non seppe più cosa dire, così si incamminò nella direzione di casa. Dopo pochi passi si fermò, voltandosi indietro e incrociando lo sguardo scuro del ragazzo biondo.

- Grazie ancora. - gli disse, con un sorriso gentile sulle labbra.

- Di niente, Kaneki!

L'entusiasmo con il quale esclamò il suo nome alla fine della frase non passò inosservato a Ken, che finì con l'arrossire per l’ennesima volta in un brevissimo lasso di tempo, mentre si voltava per andare seriamente a casa, questa volta. Si sentiva stranamente leggero, come se tutto il peso della mattinata conclusa da poco se ne fosse già piacevolmente andato, lasciandolo libero di camminare più lentamente del solito e senza fretta, nonostante una lieve pioggerellina stesse ancora bagnando lui e le strade sulle quali si muoveva.

Poi, si chiese se una cosa simile era destinata ad accadere di nuovo. Era la prima volta che qualcuno si comportava così con lui e probabilmente avrebbe ammesso soltanto a sè stesso quanto la cosa lo rendesse felice. Stava ancora sorridendo al solo pensiero della gentilezza di quel ragazzo, prima di chiedersi cosa sarebbe successo da lì in poi. Si mise le mani in tasca, rabbrividendo per il freddo di uno sbuffo di vento particolarmente violento. Hide era uno studente nuovo che si era appena trasferito in città e non conosceva nessuno. Se si fosse lasciato influenzare dalla mentalità dei suoi compagni di scuola e non gli avesse più rivolto la parola? Era un'opzione da considerare, dopotutto non era certo un tipo chissà quanto simpatico e socievole. Era facile dimenticarsi di uno come lui.

Si fermò inconsciamente in mezzo alla strada, accorgendosi di non aver mosso più di una decina di passi incerti in tutto quel tempo – che dovevano essere solo pochi minuti, ma in quel momento sembravano dilatati all'infinito. Sentì dei passi affrettati dietro di sé, il rumore cadenzato di una leggera corsetta e successivamente venne raggiunto da un uragano in piena regola. Un uragano dai capelli biondi e gli occhi scuri, un uragano che aveva arrestato la sua marcia svelta tutta d'un colpo, restando senza un briciolo di fiato nei polmoni.

- E-Ecco... - esordì, mentre inspirava avidamente, le guance rosse e il naso pure, a causa del freddo. - Mi chiedevo se ti andava di scambiarci il numero di cellulare!

Lo disse tutto in una volta, velocemente, continuando a guardarsi le punte delle scarpe con finto interesse, cercando di tenere a bada il fiatone, mentre Kaneki lo fissava, altamente sbigottito da quell'inaspettata entrata in scena. Mai nessuno gli aveva fatto una domanda simile e ciò lo lasciò spiazzato, letteralmente.

- Ovviamente, solo se vuoi! - aggiunse il biondo, riprendendo il contatto visivo e sorridendogli. Il suo sorriso era contagioso e rassicurante.

- Va bene, non c'è nessun problema! - gli rispose il moro, elencandogli poi una sequenza di cifre che corrispondeva al suo numero e dandogli il tempo di segnarla in rubrica telefonica. Il cellulare di Nagachika era coperto da una sgargiante cover rosso fuoco, un colore che non poteva assolutamente passare inosservato, men che meno in una grigia giornata come quella. Ma Ken non si stupì poi tanto di quel colore acceso, aveva già notato da un po' che l'intera presenza di Hideyoshi era parecchio luminosa.

- Perfetto, ti scrivo io allora. - il biondo ruppe il filo dei pensieri di Ken, facendolo tornare alla realtà. - Ci vediamo domani a scuola!

Concluse agitando la mano in segno di saluto, sorridendo a trentadue denti e socchiudendo le palpebre. Era una bella visione. Davvero bella.

 

Non appena mise piede in casa, la prima cosa che sua madre gli disse fu di andare a farsi una doccia calda e asciugarsi, in modo da non rischiare ancora di più di ammalarsi. Kaneki vide come la donna avrebbe voluto rimproverarlo, anche per non aver portato con sé un ombrello quella mattina, eppure le sue parole risultavano sempre pronunciate con lo stesso tono. Un tono dolce, ma stanco. E Kaneki non se la sentiva proprio di disubbidirle. Andò in bagno e lasciò che l'acqua della doccia si scaldasse al punto giusto, mentre si spogliava davanti allo specchio sopra il lavandino e si convinceva sempre di più di assomigliare ad un piccolo vermiciattolo di terra. Così bianco, magrolino, senza nemmeno un muscolo in rilievo... e poi c'erano i suoi capelli, neri come il carbone, e gli occhi grigi come quella triste giornata, resa migliore solo grazie alla gentilezza di quel ragazzo. Hide.

Si chiese quando avrebbe smesso di pensare a lui, tutto quel continuo rimuginare sulla stessa persona stava diventando fraintendibile. Probabilmente, solo le ragazzine della sua scuola si comportavano così e quando avevano una di quelle cotte di cui spettegolavano con le amiche. Arrossì al solo pensiero di essersi paragonato ad un qualcosa di così stupido, gettandosi immediatamente sotto l'acqua bollente della doccia e sospirando beatamente, sia per la sensazione di pace che gli infondeva il denso vapore nel bagno, sia per la leggerezza che continuava a percepire su di sé.

Quando terminò di farsi la doccia, sua madre era stesa sul divano, addormentata. Si chiese quanto lavorare potesse essere estenuante, prima di dirigersi in cucina e portarsi il pranzo in studio, in modo da non disturbare il suo riposo.

Passò circa un'oretta nella quale il moro era rimasto fermo, immobile di fronte al suo romanzo preferito e ad un libro di storia giapponese, chiedendosi cosa fosse meglio fare in quel pomeriggio. Faccio i compiti o mi metto a leggere? Questo è il dilemma, si diceva ironicamente, mentre finalmente si decideva ad aprire il volume noioso di storia. Dopo nemmeno dieci minuti, già sentiva la testa pesante e si lasciò crollare sul libro, chiudendo gli occhi. Un pisolino non gli avrebbe certo fatto male. E ce l'avrebbe anche fatta ad addormentarsi, se solo il suo cellulare non avesse scelto proprio quel momento per vibrare ripetutamente sul tavolo, smuovendo tutto. Kaneki sbuffò, allungando pigramente un braccio alla ricerca del suo aggeggio preistorico, portandoselo davanti al viso e tirando su con il naso. Numero sconosciuto.

[17:03, 26/10]
Buon pomeriggio, Kaneki!
Qui è Hide che ti scrive e ti comunica ufficialmente che si è preso un bel raffreddore >.<

[17:04, 26/10]
Tu come stai?

Restò imbambolato davanti allo schermo per innumerevoli minuti, prima di degnarsi di rispondere. Non riusciva a scollarsi dal viso quella tipica espressione da ebete che hanno le persone quando finiscono per perdersi nella loro perfetta idea di felicità.

 

 

 

 

 

 

Bonjour! 
Okay- innanzitutto, ringrazio infinitamente chi ha avuto il coraggio di leggersi tutta questa immensa roba che ho scritto. Saranno più di seimila parole, probabilmente avrei dovuto dividere il tutto in due capitoli e trasformare la fict in una twoshots ma non trovavo un buon punto per spezzare il testo e così l’ho lascito intero. Spero che non risulti estremamente noioso c.c 
Devo assolutamente ringraziare anche hirondelle_ che mi ha permesso di scrivere la storia per il suo contest in questo fandom. Grazie mille! Spero di aver fatto un buon lavoro: il prompt
pioggia era facile da inserire, automobile un po’ meno, ma in ogni caso ho cercato di fare del mio meglio °^°
Teoricamente, questo sarebbe dovuto essere l’inizio di una long che ho in mente da un po’ e sulla quale stavo lavorando da mesi, ma non riuscendo più a continuarla ho optato per renderla una storia a sé. Magari riuscirò a scrivere un sequel, qualcosa che approfondisca il rapporto che si è appena creato fra gli Hide e Kaneki di questa piccola AU dove i ghoul non esistono, ma devo innanzitutto trovare il tempo per farlo e riuscire a mettere insieme le idee- intanto, per quel che riguarda le seimila parole là sopra, non credo debba dare molte spiegazioni. Ho ricreato un po’ la storia di un Kaneki sedicenne che si reca a scuola, come ogni giorno, ed ho rielaborato il primo incontro con Hide, studente appena trasferitosi in città. Spero davvero di aver fatto un buon lavoro, mi sono impegnata moltissimo per scrivere questa immensa oneshot e ci tengo tantissimo, sia perché è la mia prima HideKane (e dio solo sa quanto vorrei vedere quei due di nuovo insieme e felici, damn-) e le HideKane sul fandom italiano scarseggiano, sia perché ci ho praticamente messo anima e corpo in questo testo. Insomma, spero con tutto il cuore che non sia una schifezza, ecco v.v 
Detto questo, la smetto di annoiarvi ulteriormente con le mie paranoie- se vi venisse voglia di farmi sapere il vostro parere, ditemi pure :3 

See ya!

  
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