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Autore: Ghevurah    30/12/2015    8 recensioni
Non sono ancora pronto a perdonarti per averlo salvato, dice e Findekáno rimane lě, a guardarlo. Occhi negli occhi di quel grigiore che ha il cielo assediato dalle nubi, che hanno le ceneri del mondo arso da un eterno orrore.
Dopo il salvataggio di Maedhros, Fingon affronta Turgon.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Fingon, Turgon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Mí sercë, mí fëa - Nel sangue, nell'anima'
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Questa storia č stata scritta senza scopo di lucro; personaggi, luoghi ed eventi appartengono a J. R. R. Tolkien e a chi ne abbia acquisito o ne eserciti i diritti, nessuna violazione di copyright č pertanto intesa.
 
 
Nomi Quenya con loro corrispondenza in lingua Sindarin:
Findekáno - Fingon
Turukáno - Turgon
Moringotto - Morgoth
Arakáno - Argon
Russandol - Maedhros
Findaráto - Finrod
Ambarto - Amrod
Írissë - Aredhel
Itarillë - Idril


 










 
Qeluva Nossë
 




 
 
Un fratello puň essere il custode della tua identitŕ,
l’unica persona con le chiavi di un'illimitata e segreta conoscenza di te.


Marian Sandmaier, Original Kin
 













Io non credo di comprendere, dice. Lo sguardo a evocare lande assiderate, addormentate da una notte eterna, perché Turukano č rimasto lŕ, tra i ghiacci carnefici e sepolcro. Torna a vivere di rado, solo quando piccoli piedi incedono nella sua tenda: estranianti nella loro nuditŕ, guizzano oltre l’orlo delle vesti e subito vengono accompagnati da una voce leggera, infantile, che sa restituirgli un alito di vita.
Ma ora č il vento a insinuarsi nella tenda, i tappeti sono calpestati dalle suole aspre di un paio di stivali. E Turukáno si chiede se sotto quelle suole possano ancora trovarsi detriti della vetta che hanno scalato.
Un brivido si riverbera dalle spalle alle mani, pallide come la neve divenuta sudario.
Stringe il calice di vino, il rosso denso č il ricettacolo di un’inquietudine che galleggia nell’anima.
Sono il primo a non comprendere, risponde Findekáno, mentre l’ombra di un sorriso increspa le sue labbra.
Quasi senza pensare solleva una mano per accennare un tocco che rimase sospeso: nasce e muore nello spazio fra loro, perché Turukáno ha irrigidito le spalle, serrato la mandibola, e permette che sia solo il ricordo di un’antica tenerezza a sfiorarlo.
Questo non č vero, mormora poi. Se non comprendessi non avresti neppure sperato, non avresti invocato il loro aiuto.
Il braccio di Findekáno ricade lungo il fianco, lo sguardo grigio vaga nei recessi della tenda.
Quella preghiera č stata un atto istintivo. Disperato. Cos'avrei dovuto fare?
Č allora che Turukáno serra il pugno sinistro e lo picchia sulla superficie del tavolo. Bam. Il vino beccheggia furiosamente nel calice: l’oceano profanato dal sangue di un Fratricidio, aizzato dalle lacrime di Uinen.
La domanda di Findekáno alimenta una rabbia sorta dal dolore, la memoria di nuove, lunghissime, notti passate a tormentarsi per la sorte di un altro fratello. Un altro regalo all’ombra di Moringotto.
Non saresti dovuto andare, sibila Turukáno a denti stretti, senza riconoscersi veramente.
Gli sembra di udire lo stridore dei ghiacci in lontananza, quel rumore orrendo che precede la loro frattura. Un anatema nel silenzio livido e vuoto.
Findekáno lo guarda chinare il capo, i capelli che scivolano a celare il volto. Lo ricorda inginocchiato nella neve gelata, la sua disperazione affidata a una terra spietata, a un cielo indifferente.
Vorrebbe raccontargli cosa c’č stato per lui oltre quei ghiacci, oltre quella prima battaglia in cui l’astro dei Valar li ha scortati sino alle porte di Angamando1, sotto le vette del Thangorodrim. E cosa c’č stato su di esso, quando il ricordo del mondo affogava nelle tenebre. Cosa c’č stato dopo.
Ma non puň farlo: l’oscuritŕ ha colmato gli orizzonti di suo fratello, fagocitandone il presente. Č rimasta solo una piccola luce a oscillare nel buio, come il cero di una madre che attende sveglia il ritorno del proprio figlio. Eppure Turukáno non solleva lo sguardo, non la scorge, e cosě mai potrŕ tornare da lei, neppure attraverso il ricordo.
Nessun aiuto, lo sente mormorare. Nessun aiuto č giunto per Arakáno. Nessun aiuto per noi tutti nello Helcaraxë. Nessuno per lei che...
La voce s’incrina, le spalle tremano sotto gli strati di abiti, mentre Turukáno s’impaluda in quella bardatura d’angoscia.
Era innocente, esala poi, senza fiato, come dopo una lunghissima agonia. E innocente era anche nostro fratello.
Findekáno distoglie lo sguardo per rivolgerlo alle pieghe della tenda. Si aggrappa alla speranza che ha coltivato e conquistato nell’oscuritŕ del Thangorodrim. Al ricordo del corpo martoriato di Russandol che tornava a scaldarsi nel suo abbraccio, sotto il suo tocco. Ma Turukáno č lě, pronto a restituirgli un afasico presente.
E invece lui, dice con voce graffiante, quasi che i pensieri di Findekáno abbiano evocato il soggetto della sua rabbia. Lui che ha pronunciato quel folle giuramento, lui che ci ha abbandonati, che ci ha condannati!
E il rancore gonfia il suo respiro cosě come il vento faceva con le onde, lungo le cordigliere dello Helcaraxë.
Lui che č un Fratricida! Mentre Arakáno e lei… E tu.
Findekáno si volta, negli occhi la limpida e terribile consapevolezza della propria colpa.
Io sono un Fratricida, dice. Proprio come lui.
Turukáno lo guarda a lungo e il suo intero corpo sembra tremare quando sussurra: Sě, lo sei.
Poi abbassa il capo, portando una mano sopra le palpebre socchiuse.
Perché hanno mandato il loro aiuto solamente a voi?
Le spalle s’incurvano, i capelli, nerissimi, scivolano lungo il petto, disegnando arabeschi sull’abito blu. E improvvisamente Findekáno lo ricorda bambino, nascosto all’ombra delle logge. Un libro fra le mani, mentre la luce di Laurelin giocava con le fronde degli olvar2.
Ricorda di quando lo sottraeva a quella solitudine con una risata, con un’ insistenza che dipingeva un’espressione seccata sul suo viso.
Findo č ancora ad Alqualondë, mormorava imbronciato suo fratello.
E lui scuoteva il capo: Findaráto non č certo l’unico bambino di tutta Tirion, hanno3.
Allora Turukáno lo studiava di sottecchi.
Lo so, concedeva con la saccenza di un adulto e la voce sottile del bambino che era. Ne ho uno troppo cresciuto davanti.
Ma quei fratelli, ora, sono solo memoria. Una memoria sfumata dalla desolazione dei ghiacci, dal sangue, da una maledizione che non concede tregue.
E in quella tenda che sembra contrarsi attorno a loro, Findekáno si avvicina a Turukáno lentamente. Allunga una mano per sfiorargli i capelli con dita leggere. Avverte il corpo di suo fratello irrigidirsi, lo vede sollevare il capo e ritrarsi con movimenti meccanici, lo sguardo ostaggio di un sentimento oscuro.
Non sono ancora pronto a perdonarti per averlo salvato, dice e Findekáno rimane lě, a guardarlo: occhi negli occhi di quel grigiore che ha il cielo assediato dalle nubi, che hanno le ceneri del mondo arso da un eterno orrore.
Poi Findekáno sbatte le palpebre e il suo sguardo si fa distante, attraversa la tenda per veleggiare oltre lo specchio del Mithrim e giungere lŕ, dove un altro accampamento languisce nelle tenebre.
Ha perso un fratello anche lui, dice. Noi abbiamo perso un cugino.
E uno zio o qualcosa che un tempo poteva ricordarlo – ma questa rimane una frase non detta, ad aleggiare fra loro come lo spettro di un passato mai sopito.
Chi? Domanda Turukáno, il viso permeato da una fredda immobilitŕ, gli occhi incupiti dalla consapevolezza della morte.
Ambarto.
Silenzio. E ancora: Com’č accaduto?
Il fuoco, risponde Findekáno. L’incendio delle navi.
L'ha udito mormorare da Russandol nel delirio del dolore, nel sonno breve e disturbato, negli isterici momenti di veglia. Lo ha letto fra le ombre tese sui volti dei loro cugini. E ha intuito che non sono state le sole fiamme di Losgar a uccidere Ambarto: altre, con la propria caustica follia, lo hanno condannato.
Turukáno tira le labbra in una piega amara: Anche lui aveva pronunciato quel giuramento. Anche lui aveva ucciso. Č la maledizione di Námo4.
La nostra stessa maledizione, gli fa eco Findekáno. E la sente, nera e ineluttabile, in alito spettrale a lambire il presente, mentre dita di tenebra si tendono sul loro futuro.
Poi č ancora la voce di suo fratello a riscuoterlo.
Perché sei andato? Gli chiede, il rancore disciolto in una cupa mestizia.
Findekáno si stringe nelle spalle. Di tutte quella č forse la domanda piů semplice a cui rispondere.
Perché non potevo non farlo.
Sente lo sguardo di Turukáno su di sé, allora socchiude le palpebre e prova a ricordare. Il lamento del vento di alta quota, la mappatura di lacerazioni e cicatrici in cui ha letto la storia della prigionia di Russandol. La glossa di sangue che lui vi ha aggiunto. La voce spezzata a echeggiare le sue stesse richieste di perdono. Le confidenze sospese, sussurrate nel dolore.
Distende le spalle e sospira: Mi ha confessato di non aver preso parte all’incendio delle navi. Di aver provato a...
Turukáno solleva una mano per zittirlo.
Non lo voglio sentire, dice e un’infinita stanchezza traspare dalla sua voce. Non ora.
Poi porta quella stessa mano sul viso, si massaggia le tempie lentamente, un gesto che a Findekáno ricorda loro padre. Loro padre dopo i dissidi in Tirion, dopo il Fratricidio.
Rimangono in silenzio, ognuno con i propri pensieri. Fuori il vento flagella una terra oscura, in cui la salvezza č un tiro fortuito a un gioco di dadi.
 
 



Il vino, ora, č immobile nel calice che Turukáno tiene in mano. Findekáno sta quasi per congedarsi, quando un rumore di passi lo previene.
Alcune voci giungono dall’esterno, scortate dal soffio del vento, poi i drappi della tenda si schiudono per lasciar trapelare la luce stantia di un pomeriggio piovoso. E sulla soglia compaiono Írissë e Itarillë, seguite da Findaráto.
I piedi scalzi di Itarillë sono appoggiati sugli stivali di loro sorella che tiene la bambina dinnanzi a sé, mani nelle sue mani, e procede assieme a lei in maniera un po’ goffa e instabile.
Č Itarillë a salutarli con voce simile ad un concerto di cristalli. Írissë non solleva lo sguardo, ma accompagna la nipote verso i tappeti.
Almeno qui non prenderai freddo, mormora.
Findaráto, dietro di loro, fa semplicemente un cenno del capo. Le labbra tese in un mezzo sorriso che sfuma in un’espressione comprensiva.
Turukáno scosta la sedia per guardare sua figlia, i piedi scalzi ora posati sul tappeto, gli occhi chiari rivolti a lui.
Atto5, lo chiama, guarda cosa mi ha dato la zia.
E schiude le piccole mani per mostrargli il bocciolo di un fiore.
Č raro trovarne uno in un clima cosě rigido; dice Findaráto, avanzando nella tenda.
Turukáno acconsente e carezza il capo della bambina, mentre un debole sorriso scivola sulle sue labbra.
Findekáno osserva la mano di loro cugino posarsi sulla sua spalla. Non vi č alcuna tensione a quel contatto, nessun irrigidimento. Findaráto puň toccarlo con mani fraterne, scevre di qualunque colpa.
Devi dargli tempo.
La voce di Írissë, ridotta a un sussurro, risuona al suo fianco.
Sě, le risponde Findekáno, lo so.
Poi guarda Turukáno prendere fra le braccia Itarillë e ricorda di quando faceva altrettanto con lui.
 
 
 









 

Note:
1 - Nome in lingua Quenya di Angband, composto da anga “ferro”  e mando “prigione”/“custodia”/“costrizione”. Angamanda ne č un’alternativa nelle Etymologies.
2 (Q) - Lett. “cose che crescono con radici nella terra”, la parola adottata da Yavanna per indicare le sue creazioni.
3 (Q) - Forma colloquiale del termine háno, “fratello”.
4 (Q) - Lett. “giudice”/“ordinatore”, nome del Vala del destino e guardiano delle Aule della Morte, sovente indicato con Mandos, nome del suo reame.
5 (Q) - Alternativa informale del termine atar, “padre”. Traducibile con “papŕ”.
 
Qeluva nossë č la traduzione in lingua Quenya di original kin, ovverosia il titolo del libro di Marian Sandmaier da cui č tratta la citazione a inizio racconto.
 
 
Dire che sono soddisfatta di questa storia sarebbe mentire a me stessa… non sono brava con i dialoghi e questo mi pare davvero rigido, legnoso. Ma forma a parte, sentivo di dovere qualcosa anche a questa coppia di fratelli, senza contare che ogni scusa č buona per posticipare le storie a cui lavoro da yeni (tanto che sono riuscita addirittura a scrivere di Turgon e Finrod assieme, in una stessa storia).
Grazie per aver letto (e buon anno nuovo).




 
   
 
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