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Autore: erzsi    30/12/2015    5 recensioni
Hermione aveva finito per abituarcisi, a tutta quella piacevole quotidianità, al punto da reputare impensabile la sua fine. Cosa le sarebbe rimasto di quell’amore che aveva osato sfidare tutto e tutti, andando persino contro a ciò cui aveva sempre creduto, e lui con lei?
Sarebbe stato quello, un semplice fiore di carta, a ricordarle cosa aveva perso, chi era stata e sarebbe divenuta?

Seguito di Freddo.
Genere: Romantico, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Contesto generale/vago
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Paper Flower
















I lie awake and try so hard not to think of you 

but who can decide what they dream? 
And dream I do... 




L’insonnia era diventata una compagna fedele, per lei.
Con il passare del tempo, - ore, giorni, mesi -, Hermione aveva abbandonato l’idea di consumare più di qualche ora a notte di sonno. 
Il senso di colpa, la rabbiosa gelosia che le colorava di rosso il campo visivo e le stringeva il cuore in una dolorosa morsa, ogni volta che le capitava di incrociare per caso nei corridoi mantelli neri e verdi e capelli biondi, non le permetteva di reagire come invece avrebbe dovuto.
Una Grifondoro privata del suo proverbiale coraggio.
Anche solo respirare era diventato doloroso, e nemmeno il buio, quotidiana presenza che dipingeva con colori scuri i suoi sonni - i suoi incubi ad occhi aperti -, riusciva a donarle sollievo. Le sue palpebre restavano aperte, sole in compagnia del rosso del suo letto. Si sentiva protetta, tra le tende del suo baldacchino, avvolta ed incastrata in una sorta di limbo dal quale non riusciva a trovare alcuna via d’uscita.

E sognava.
Sognava fini capelli biondi che le accarezzavano il volto; mani calde e possessive che la sfioravano con brama infinita, mai sazie di percorrerle il corpo in una lunga ed agognata carezza; labbra sottili, arrossate dagli stessi baci che lui non aveva l’umiltà di chiederle ma che accettava comunque con ingordigia; occhi d’argento che la guardavano e la veneravano con un trasporto che riservava solo a lei, e che le trasmettevano tutto il sentimento che provava nei suoi confronti.
Sognava lui tutte le notti, ininterrottamente, ormai da settimane.
Sognava quei gesti che aveva ricevuto infinite volte, ma che ora erano destinati ad un’altra.
Sognava un amore che non esisteva più.
Un amore racchiuso in quel pezzo di carta che lei portava sempre con sé, al sicuro nella tasca della camicia sopra il cuore, nel quale non c’era scritto nulla ma conteneva comunque la prova che tutto quello era accaduto davvero.
Due gocce d’acqua salata.
Due lacrime come uniche testimoni dell’amore che aveva provato per lei.
Ed Hermione si aggrappava a quelle due stille come se da esse avesse potuto trarre la forza per andare avanti giorno dopo giorno. Incontrarlo per i corridoi, abbracciato a lei, era diventata una tortura alla quale non avrebbe più voluto sottoporsi ma che al tempo stesso era esattamente ciò che desiderava di più: faceva male, osservarlo da lontano, eppure la confortava.
Lui stava bene, insieme a lei.
Insieme ad una che non era Hermione.
Poteva incrociarli, per i corridoi della scuola tra una lezione e l’altra, intenti a scambiarsi effusioni come se fossero stati gli unici ad esistere, soli al centro di quel mondo dal quale lei era stata tagliata fuori.
Era stato lui, ad allontanarla con le sue parole ed i suoi gesti.
Ne abbiamo già parlato. Lo sapevamo, che ci saremmo arrivati un giorno.
Era vero, ne avevano discusso infinite volte tra un bacio e l’altro, chiusi in un qualche stanzino e nelle parti poco frequentate del Castello, eppure non abbastanza. 
Potevano, due semplici parole, riuscire a distruggere una delle sue poche certezze? E come aveva potuto, lui, pronunciarle guardandola negli occhi? Non aveva visto il dolore che le aveva causato, o era davvero così insensibile come aveva sempre detto di essere?
Per una volta, per una singola volta, non potresti…
Che cosa? Essere gentile? Disponibile, come il tuo amico Sfregiato? O stolto come quel rosso mangia lumache?

Hermione sapeva di non poter pretendere chissà quale comportamento da lui nei suoi confronti. Tempo prima, l’aveva avvertita che ci sarebbe stata una fine, presto o tardi, ma lei non credeva affatto che sarebbe arrivata con così tanto anticipo.
E cosa avrebbe voluto, una di quelle fantastiche storie d’amore che i Babbani amavano scrivere per potersi illudere? Topolini trasformati in cavalli, una zucca come carrozza ed un Principe Azzurro pronto a scarpinare per mezzo reame pur di trovare colei che aveva perso la scarpetta di cristallo?
Era un materiale pericoloso, il cristallo: bellissimo da ammirare, ma tagliente e doloroso quando si infrangeva. Come lui, e come lo erano state le sue parole. Taglienti, affilate e sincere.
E dolorose, come non era mai stato nient’altro per lei.
Il dolore che l’aveva colpita, visibile negli occhi chiari ed udibile nella voce di lui, era stata peggio di una stilettata. Sapeva che quello accaduto in quella stanza d’albergo era stato un addio, il suo addio, eppure, a distanza di settimane, non riusciva ancora a capacitarsene.
Non voleva accettarlo.
Scendere a patti con ciò cui lui l’aveva messa davanti era doloroso, così come lo era costringersi a vivere ogni giorno senza di lui: la sua assenza dalla vita di Hermione era un fatto con il quale lei doveva fare i conti giorno dopo giorno, e sapeva che avrebbe continuato a farlo per molto altro tempo ancora.

Mi prenderai, semmai dovessi cadere?
Non ti lascerò toccare suolo.

Aveva mentito, però.
Lei era caduta, e continuava a farlo.

 

 
Should I let you fall? Lose it all?  
So maybe you can remember yourself.
Can't keep believing, we're only deceiving ourselves. 
And I'm sick of the lie…




Hermione si lasciò cadere lungo il muro fino a sedersi sul freddo pavimento, abbracciandosi le ginocchia e tuffandovi il viso, unica persona nel deserto del corridoio del settimo piano.
Era - stato - il loro corridoio quello, scelto per via dell’estremo silenzio che si poteva trovare. Nessuno studente si spingeva fin lassù, e mai quando vi erano loro due. Ne aveva viste di tutti i colori, quel corridoio: baci appena accennati, tra un sorriso e l’altro; baci scambiati con foga ed ingordigia, temendo di essere sorpresi in flagrante; litigi e scaramucce più o meno serie, scambiate con la bacchetta tra le dita ed un incantesimo sulle labbra.
Era esattamente quello, che era accaduto.
Hermione aveva finito per abituarcisi, a tutta quella piacevole quotidianità, al punto da reputare impensabile la sua fine. Cosa le sarebbe rimasto di quell’amore che aveva osato sfidare tutto e tutti, andando persino contro a ciò cui aveva sempre creduto, e lui con lei?
Nient’altro che un pezzo di pergamena, e due lacrime magicamente umide che testimoniavano ciò che lui aveva provato per lei ed Hermione nei suoi confronti. Sarebbe stato quello, un semplice fiore di carta, a ricordarle cosa aveva perso, chi era stata e sarebbe divenuta? 
Il ricordo di capelli biondi ed occhi grigi e mantelli neri e verdi cominciava a scomparire, nonostante gi sforzi che Hermione faceva per mantenere vive quelle immagini nella sua memoria: sarebbe stato solo questione di poco tempo, ed avrebbe cominciato seriamente a dubitare che quegli stessi ricordi fossero esistiti davvero.
Erano reali, o invece erano frutto della sua immaginazione?
E quella sensazione che ogni tanto la coglieva, quasi di sorpresa, e che le faceva credere di essere sfiorata ed accarezzata ancora una volta dalle mani di lui, era sogno o realtà?
Stava sognando, adesso? La mano che sentiva sulla sua nuca non poteva essere vera.
«Hermione».
Lei si irrigidì, stretta nell’abbraccio con sé stessa, sentendo pronunciare il proprio nome, ma non alzò la testa. Sapeva che la voce che l’aveva chiamata non era reale, non poteva esserlo, e credere - fare finta - di averla davvero sentita non l’avrebbe portata a nulla di buono. 
Quante persone, sicure di non essere state toccate dalla Guerra, erano finite ad essere rinchiuse in un qualche reparto del San Mungo? Tante, forse troppe, ed Hermione credeva che ci sarebbe finita lei stessa, lì, se quelle immaginarie sensazioni non fossero finite al più presto.
Sopravvissuta alla Seconda Guerra Magica per essere poi distrutta da ciò che la sua stessa mente le faceva credere verità: il tocco di lui, la sensazione delle sue mani su di sé, ed il suo inconfondibile profumo che la stava avvolgendo come una coperta, diminuendole la lucidità come solo la presenza di lui riusciva a fare. Una lieve traccia di limone e menta che aveva la straordinaria capacità, anche dopo settimane, di entrarle sottopelle, insinuandosi e facendosi strada fino al cuore di lei per scaldarlo e farlo battere più velocemente.
Era sempre stato così per lei: fin quasi dall’inizio della loro relazione, Hermione gli aveva lasciato il coltello dalla parte del manico, quell’arma a doppio taglio che era l’avere potere su di lei. Non era riuscita a spiegarselo, il motivo per il quale l’aveva fatto, ma non era mai riuscita a pentirsi di quella scelta.
Nemmeno in quel momento, con la sua presenza accanto a lei, abbracciata a sé stessa con la speranza che le braccia che l’avvolgevano sarebbero potute divenire quelle di lui. Nonostante il suo desiderio, frutto di notti insonni e sogni ad occhi aperti, sapeva di non potersi più permettere alcun diritto su di lui. Li aveva persi tutti quanti in una volta sola, quando lui aveva pronunciato le ultime due parole che lei avrebbe voluto sentire.

Mi sposo.
Quanto avrebbe desiderato che fosse una bugia.
Aveva desiderato così tanto credere che lui stesse mentendo, eppure alla fine si era dovuta ricredere. L’annuncio del fidanzamento era persino uscito sulla Gazzetta del Profeta, un ordinario mercoledì di una altrettanto ordinaria settimana, e quelle parole le erano rimaste impresse nella mente come se fossero state marchiate a fuoco. 

Draco Lucius Malfoy e Asteria Greengrass sono lieti di annunciare il loro fidanzamento.
Un altro segno che non se ne sarebbe mai andato, proprio come quello che aveva lungo il braccio destro. Ed Hermione era stanca di dover portare su di sé segni e cicatrici che non sarebbero più scomparsi, moniti quotidiani che le avrebbero invece ricordato tutto ciò che aveva perduto e che non avrebbe più avuto indietro; era semplicemente stanca di essere circondata da nient’altro che infide bugie, come quella che lui le aveva raccontato spacciandola per verità assoluta.
Una verità che si era dispersa tra gli infinti corridoi di Hogwarts, tra le risate dei pochi studenti che erano tornati dopo la fine della Guerra, e che si era andata ad infrangere con la realtà che lei poteva vedere tutti i giorni: capelli biondi mischiati a quelli di lei, un altro tipo di castano che non somigliava affatto al suo.
Un immagine stampata sulla carta della sua memoria.

 

 Now that I know what I'm without
you can't just leave me

 

«Hermione, guardami».
Lei scosse ancora la testa, cercando di scacciare così il suono di quella voce fasulla che sentiva fin dentro al cuore. Non era reale, non poteva esserlo. Lui l’aveva lasciata settimane prima per Asteria, dunque come poteva la sua voce essere vera, e così vicina a lei? E perché sentirla di nuovo, dopo giorni e giorni di silenzio, era come se fosse un balsamo per le sue ferite? L’attesa del suono della sua voce, valeva tutto il dolore al quale lui l’aveva costretta a sottoporsi? Lui valeva le lacrime ed ogni singhiozzo regalato al silenzio della sua stanza al dormitorio?
Sì, valeva ogni cosa. 
Valeva tutto quanto. 
Lui era tutto ciò di cui lei avrebbe voluto circondarsi: desiderava scaldarsi nel suo abbraccio, ed accendersi con i suoi baci e le sue carezze.
Ed allora perché l’aveva abbandonata, trattandola come se non fosse altro che un passatempo passeggero, in attesa di lei? Hermione si domandò se lei stessa valesse così poco. E l’amore che lui spergiurava di provare per lei, esisteva ancora o era stato coperto dalla caduta di quelle due lacrime, su quel pezzetto di pergamena che sarebbe potuto diventare la loro vita, un ritaglio di carta dove avrebbero potuto scrivere davvero il loro futuro, insieme?
Pensarci faceva male, ed Hermione aveva sofferto anche troppo. Rivoleva indietro le ore, i giorni, le settimane ed i mesi passati con lui. Rivoleva indietro sé stessa, colei della quale lui si era appropriato - e continuava ad appropriarsene ancora, lanciandole sguardi pieni di rammarico e scuse e dolore, ogni volta che gli capitava di incrociarla per i corridoi o alle lezioni comuni. Avrebbe mai smesso di essere, nonostante tutto ciò che era accaduto, ancora sua? Quell’amore totalizzante ed indispensabile avrebbe mai cessato di stringerle il cuore, o avrebbe proseguito nel suo intento? 
Non lo sapeva, ma Hermione era comunque stanca. Voleva solo essere lasciata in pace, non voleva più essere torturata dalla visione di lui, né dalla sua voce che la chiamava con pentimento e forza. Voleva semplicemente andare avanti con la vita che lei stessa si era scelta, dopo le condizioni dettate da lui. Era vita, quella dove anche solo prendere un respiro faceva male?
No, non lo era. Ci si era abituata, però. Aveva dovuto farlo, ma non di certo per sua volontà.
Ed ora, in quel momento, averlo nuovamente accanto, certa che la stesse guardando come faceva tempo prima... era sollevante, in qualche modo. Per Hermione, era come se potesse nuovamente respirare dopo minuti di apnea: i sensi si affinavano, ed i polmoni accettavano con gratitudine quell’aria profumata di menta e limone. Quanto ci avrebbe messo, questa volta, a far sì che quello stesso profumo sparisse dai suoi abiti? Forse, però, non era quella la domanda corretta. Quanto tempo avrebbe impiegato, prima che lui abbandonasse il suo cuore?
«Va’ via», bisbigliò, racchiusa in un mondo buio e contornato dalle sue braccia. Temeva di guardarlo in viso, conscia del rischio che avrebbe corso nel leggere negli occhi chiari di lui ciò che non era più suo. In quel momento, si rese conto che il famigerato e decantato coraggio Grifondoro non le apparteneva più. Anche di quello, si era appropriato lui? «Ti prego».
«No», pronunciò subito, tornando a sfiorarle i capelli. Era un tocco delicato, così insolito per lui, eppure Hermione lo accettò quasi con riconoscenza. «Ho l’occasione per parlarti, e mi ascolterai».
«Non voglio», alzò il viso, obbligandosi a tenere, tuttavia, gli occhi ben chiusi. Il rischio di rovinare la parvenza di tranquillità ed accettazione che si era costruita con così tanta fatica era dietro l’angolo, e sapeva che quel muro sarebbe crollato non appena avesse incrociato i suoi occhi grigi. Sentì le dita di lui spostarsi sul suo viso, lungo la guancia fino al collo, carezzandola con estrema lentezza, e si ritrovò a deglutire nervosamente. 
«Dovrai», sentenziò, soffiando fuori le parole sulla pelle di lei facendola rabbrividire. La Grifondoro rilasciò un sospiro, simile ad un gemito, non appena le dita di lui entrarono in contatto con le sue labbra: le sfiorava appena, eppure quel lieve contatto fu più che sufficiente per farle anelare un altro tipo. 

Capelli biondi stretti tra le sue dita, denti bianchi che le graffiavano dolcemente la pelle, labbra rosse e gonfie di baci che le percorrevano il corpo in una lenta e dolorosa carezza, accompagnate dal guizzo umido della sua lingua su di lei.
Aprì gli occhi.
Il viso affilato di lui si trasformò in una maschera di genuino stupore, quando la sua stessa mano scese lungo il collo di Hermione, sostando sopra la parte di lei che continuava ad appartenere a lui. E poi arrivò l’amorevole compiacimento, dentro quegli occhi.
«Batte così forte...», sussurrò, un sospiro che risuonò nel tranquillo silenzio del corridoio. «Per me?».
«Sarà sempre per te», si ritrovò ad affermare Hermione, prima che riuscisse ad impedirselo. Non avrebbe voluto ricordargli quell’immenso potere che aveva su di lei, eppure, non appena lo aveva guardato negli occhi, tutte le barriere difensive che aveva faticosamente eretto erano crollate tutte insieme, al ritmo del suono del suo cuore, portando con loro altri ricordi.

Palpebre serrate dietro il velo scuro posato sui suoi occhi, mani unite al livello dei polsi ed impossibilitate a muoversi, gambe piegate all’altezza delle ginocchia che la costringevano ad esporsi al tocco avido e familiare delle dita di lui. Un fiore di carta che le percorreva la pelle nuda, provocandole brividi di trepidante eccitazione, sul quale lui aveva scritto una promessa che non sarebbe mai riuscito a pronunciare a voce.
Ti sposerò.

                                                                                                                                                                          
Long lost words, whisper slowly, to me
Still can't find what keeps me here

,

 

Le iridi di lui sembravano fatte d’argento liquido.
La guardava con un’intensità insistente, capace di spogliarla di ogni pensiero e di abbatterle ogni difesa dietro la quale continuava a trincerarsi in attesa della stoccata finale. Perché lui era un Serpeverde, ed i serpenti davano sempre il colpo di grazia non appena la vittima designata si fosse rivelata in loro potere. Hermione lo era da tempo, completamente sua, e lo sapevano entrambi.
«Te l’avrei chiesto, sai?», Draco ruppe il silenzio, ascoltando il suono sordo del cuore di lei sotto la sua mano. «Se solo tu mi avessi dato un po’ più di tempo...».
«Per prenderci ancora in giro?», Hermione si decise ad alzare gli occhi su di lui, scoprendosi desiderosa di un suo abbraccio, di un suo bacio e di una sua carezza, ma cacciò lontano quei pensieri: lui non le apparteneva più.
«Hai sempre saputo che sono un codardo. La paura era la cosa che più mi terrorizzava, finora. Quella, e il voler rendere orgogliosi i miei genitori. L’hanno scelta loro, sai? Ho tentato di dire no, di scegliere da me il mio futuro, ma... non ho potuto, nonostante abbia detto loro che non sarei mai riuscito ad amarla come meritava. Ed alla fine cos’è successo? Ti ho persa lo stesso. E non so come uscirne».
«Non voglio sentire», affermò seccamente, deglutendo il senso di colpa che rischiava di sopraffarla. Si alzò da terra, ma la supplica che leggeva negli occhi di lui le impedirono di muoversi ulteriormente. «Perché ti ostini a ferirmi?».
«È l’ultima delle mie intenzioni».
«Eppure lo fai ogni giorno», mormorò, chiudendo gli occhi non appena il suo polso venne circondato dalle dita di lui. «A lezione, nei corridoi, in Sala Grande... lo fai continuamente. E fa male».
«Vorrei poter fare qualc-».
«Risparmiami la tua compassione», lo interruppe, godendosi suo malgrado il movimento circolare del suo pollice sulla sua pelle. «Ammesso che tu ne abbia, non è a me che dovresti rivolgerla ma a lei».
«Vorrei aver trovato il modo, Hermione», tornò a soffiare lui, un mormorio appena accennato contro la sua guancia ma nel quale era percepibile un sentimento che lei aveva temuto di non poter vedere né sentire più. «Per tenerti con me».
Lei spalancò gli occhi, a quella confessione inopportuna. Tutto, di lui, era inopportuno: la sua presenza lì, il fatto che l’accarezzava e sfiorava come se non fosse passato nemmeno un giorno, come se la realtà davanti la quale lui l’aveva messa non fosse stata diversa. Era cambiato tutto, però, ed il solo fatto che lei si crogiolasse nella beatitudine di quelle carezze appena accennate, non faceva altro che prolungarle la sua stessa sofferenza. 

Hermione Jean Granger, brillante studentessa di Hogwarts, perita per mano di Draco Malfoy, Serpeverde egoista e vigliacco.
O era lei la codarda, che non era riuscita a combattere per ciò in cui credeva? Lui aveva la colpa di aver messo la parola fine, era vero, ma lei? Non aveva avuto nemmeno il coraggio di fare un tentativo, per tenersi stretto ciò che più desiderava in quel momento: l’amore verso di lui.
«Non sono un animale da compagnia», replicò con un suono straordinariamente simile ad un sibilo, tipico di lui, «con il quale giocare a tuo piacimento, per poi scaricarlo come se fosse una scarpa vecchia e, di conseguenza, pretendo un po’ di rispetto. Me lo devi».
«Avrei voluto darti molto di più, e lo sai bene».
«Oh, dovrei? Senti», respirò profondamente, calmando il principio di collera che sentiva dietro l’angolo e che le colorava di rosso le guance, «non so dove tu voglia andare a parare, né mi interessa, a questo punto. Te l’ho detto, va’ via e lasciami in pace. Torna da lei, e lasciami vivere».
«Non capisci che non posso farlo? Sei sempre stata intelligente, più di me, e nonostante questo non riesci ad arrivarci!», esclamò lui, lasciando che il viso gli si colorasse di rabbia repressa. «Non posso fare a meno di te. Non ci riesco. Ho provato, a metterti da parte cercando di farmi piacere lei, ma i miei pensieri me lo impedivano. Ogni notte era un incubo!».
«E per me no, invece? Cosa credi, che sia riuscita a voltare pagina dalla sera alla mattina come se nulla fosse accaduto? Hai idea di quanto mi sia costato, accettare che...», si interruppe abbassando gli occhi a terra, consapevole che finire la frase avrebbe significato la sua resa nei confronti di lui. 
E non era comunque una cosa inevitabile, che prima o poi sarebbe avvenuta comunque? Quel dolore sordo, quotidianamente presente, le avvolgeva il cuore fino a rendergli difficile la sua funzione. Perché non apparteneva più a lei, ecco il motivo. E forse non lo era mai stato.
«... che provi ancora qualcosa per me», finì lui, ed Hermione si morse il labbro inferiore pur di non rispondergli sì, ma quel gesto non gli sfuggì. Le si avvicinò, facendola arretrare di conseguenza, e lei si rese conto solo in quel momento di avere ancora il polso intrappolato nella mano di lui. Non se ne curò: era bello poterlo sentire ancora.

È difficile.
Nessuno ha mai detto che fosse facile.
Lo so. Ma questo non cambia le cose.

Potrebbero, invece. Se solo tu volessi.

Era questa, la domanda che avrebbe dovuto porsi. Lei lo voleva?
«Non sei mai stata capace di mentire».
«Al contrario di te? Sei sempre stato imbattibile», replicò Hermione, mostrando un’improvvisa calma che non seppe nemmeno lei da dove fosse uscita. Forse il periodo trascorso con lui aveva affinato le sue capacità recitative, rendendola un’attrice migliore di quanto lei stessa avesse sperato mai di divenire. 
«Con gli altri, sì», le concesse, osservando con un genuino sorriso l’inizio della sua resa. Non si era scostata quando lui l’aveva toccata, e non ne aveva alcuna intenzione. Il suo tocco bruciava sulla pelle, eppure Hermione si sarebbe lasciata volentieri scottare: le era mancata, la sensazione - indescrivibile persino per lei, che non aveva mai lesinato sulle parole - della sua pelle, calda nonostante il gelido temperamento che mostrava di avere verso gli altri ma quasi mai con lei, gentile e premuroso e innamorato, ma solo quando erano soli. Esattamente come in quel momento, ma ad Hermione andava più che bene così. Aveva atteso a lungo di risentire ancora una volta quelle famose farfalle nello stomaco, che sembravano essere ritornate d’improvviso non appena lui le aveva intrappolato gli occhi.
«Con te, mai. Non ho mentito nemmeno una volta, e di certo non su cosa ho sempre provato per te».
Hermione lo osservava parlare, dirigendo erroneamente lo sguardo sulle sue labbra, desiderosa di sentirle nuovamente sulle sue, e non si accorse di niente.

Non si accorse che lui si era avvicinato ancora, circondandole i fianchi con le braccia; non si accorse che le aveva spostato i polsi dietro la schiena, unendoli con un veloce e lieve Incarceramus Non-Verbale; non si accorse che aveva ripreso a parlare guardandola negli occhi, pronunciando parole che a tutti gli effetti rappresentavano ciò che lei avrebbe più voluto sentire in quel momento, e che sancivano quegli stessi sentimenti - bugie o verità? - che lui aveva sempre affermato di provare per lei; non vedeva nient’altro che non fossero le sue labbra e il desiderio impellente di saggiarle nuovamente, contro ogni più logico buonsenso.
Non vedeva altri che lui.

«Non ti libererai di me così facilmente».
Le sue parole, soffiate contro le sue labbra, la destarono dal guardare quelle di lui e dai sogni ad occhi aperti - memorie di un tempo ormai passato - che richiamavano alla mente.
«Lasciami andare», lo pregò con un sussurro, costringendosi a chiudere gli occhi per non vedere le promesse in quelli di lui che le anticipavano frammenti di paradiso perduto, la cui ricerca avrebbe significato attraversare tutto l’inferno che lui rappresentava, offrendole il mondo su un piatto d’argento.
E l’avrebbe fatto davvero, se solo lei gliel’avesse permesso.
Le avrebbe offerto tutto sé stesso, incurante di ciò a cui sarebbe potuto andare incontro.

Pensi davvero che valga l’ira dei tuoi genitori?
Varrai sempre la pena.

Era così anche ora? In quel preciso istante, le sue stesse parole avevano ancora una valenza o erano state cancellate da ciò che i suoi genitori avevano deciso e programmato per lui? Hermione si rese conto che anche quella domanda era errata. Non avrebbe dovuto chiedersi se fossero le sue parole, ad essere vere, ma l’amore che diceva di provare per lei. Dopo tutto quello che era accaduto, come poteva dirsi certa che ciò che leggeva negli occhi grigi di lui corrispondesse a verità? 
Il beneficio del dubbio, a volte, sapeva essere una gran fregatura.
Non appena riaprì le palpebre, Hermione non vide altro che determinazione negli occhi di lui. Voleva che l’ascoltasse, che ammettesse che tutto ciò che era accaduto tra loro non fosse stata solo una cosa da niente. 
«Chiamami, e ti lascerò andare».
Voleva che lei pronunciasse il suo nome, ammettendo così che niente era passato. I suoi sentimenti per lui, sempre più forti a discapito del tempo trascorso, erano sempre lì: in ogni sguardo, in ogni parola pensata e pronunciata, in ogni singola occhiata a quel fiore di carta. Nonostante cercasse di tenerli nascosti, comportandosi come se davvero nulla fosse successo - testa china camminando per i corridoi, mano perennemente alzata alle domande di professori ed occhi impegnati a concentrarsi sulle parole dei suoi libri - sapeva che, evitando di chiamarlo per nome, avrebbe significato ammettere la sua sconfitta. Così come l’avrebbe comunque portata a quello anche il pronunciarlo: non vedeva vie d’uscita. Lui non gliene aveva offerte, facendola scontrare con quello a cui, ormai, aveva smesso di dare un nome.
E non portava a quello, l’amore? 
Beneficio del dubbio, sì, ma anche resa nei confronti dell’altro quando si riconosceva di avere torto. 
«Non farmelo fare», lo implorò con un bisbiglio appena udibile, abbassando il capo verso terra, ma lui non le permise di nascondersi. Le alzò nuovamente il mento con due dita, accarezzandole poi piano la guancia, ed Hermione rabbrividì.
«Dillo, allora. Apri gli occhi, guardami e dillo, che non vuoi. Lo accetterò», affermò, usando lo stesso tono suadente che Hermione aveva sentito infinite volte. Sapeva che stava mentendo, lo faceva sempre, come se non ne potesse fare a meno. Un mondo creato da bugie, ecco cosa si era offerto di regalarle. Un intreccio di menzogne, unite le une alle altre come la migliore delle tele. Ma lei ci sarebbe caduta, dentro quella stessa tela, o sarebbe riuscita ad evitarla?
Lo guardò ancora negli occhi, e non riuscì a pentirsi della decisione che prese come reazione all’invito negli occhi di lui. Hermione sapeva che ciò che leggeva in quelle iridi corrispondeva ai suoi stessi pensieri. 

Mi manchi.
Fammi dimenticare.
Lascia che mi ricordi ancora di te.
Resta con me.

E si convinse, pronunciando l’unica parola che avrebbe determinato la sconfitta e la vittoria insieme. Non ci sarebbero stati né vincitori né vinti: lo sarebbero stati entrambi.
«Draco».

                                                                                                                                                                      
Under your spell again.
I can't say no to you.
And I've completely lost myself, and I don't mind.

I can't say no to you.

 

 

La magia che caratterizzava la Stanza delle Necessità non era mai cambiata, nemmeno dopo la ricostruzione post-bellica.
Ad Hermione era sempre piaciuta quella stanza, l’unica capace di modificarsi per soddisfare i desideri ed i bisogni di chi percorreva il corridoio antestante, ogni volta creando nuovi luoghi in base alle esigenze degli studenti e degli insegnanti. Con il passare del tempo, lui gliel’aveva mostrata con tutti gli arredamenti possibili: a volte un semplice tappeto posizionato strategicamente davanti ad un camino acceso, per scaldarsi nelle lunghe notti passate in compagnia reciproca, altre volte vi aveva trovato un ben più comodo letto, altre ancora un semplice ma lussuoso divano.
Come quella volta.
Hermione lo vide al centro della stanza, posizionato sopra un tappeto bianco dall’aria soffice e comoda, e deglutì non potendone fare a meno, mentre si domandava cosa esattamente si aspettava da lei. Quello che era certo, per lei, era che voleva essere liberata al più presto, ma doveva aspettare che fosse lui a decidersi: la sua bacchetta, contro ogni buonsenso, l’aveva lasciata nel dormitorio. Era disarmata, e lui ne aveva potuto approfittare. Certo, avrebbe potuto tornare da sola fino alla torre dei Grifondoro, ma era certa che l’avrebbe seguita. Promise a sé stessa che non sarebbe caduta nuovamente in una situazione simile.
«Ho detto il tuo nome», ruppe il silenzio, osservandolo dirigersi a passo sicuro verso il divano. «Ora liberami».
«Fallo da sola, se ci tieni tanto», replicò solo, sedendosi ed occupando gran parte della superficie. «Sei una strega intelligente, saprai di certo come fare. Anche senza bacchetta».
«Non ho voglia di giocare, Draco», soffiò con un sospiro stanco, già esausta da tutta quella situazione nella quale si era andata a cacciare. Avrebbe potuto andarsene non appena si era accorta della sua presenza accanto a lei, ma non l’aveva fatto e poteva incolpare solo sé stessa - e ciò che lui aveva risvegliato, non appena l’aveva guardata negli occhi - di quella debolezza. Non trovava altri termini per poterla definire.
«Tu forse no, ma io sì. Vieni qui e siediti accanto a me», la invitò, ma le sue parole risuonarono come un ordine e lei tentennò, ferma davanti la porta. «Non costringermi a ricorrere all’Imperio. Sai che lo farei».
Hermione alzò di scatto la testa, sfidandolo con lo sguardo e la voce. «Non oseresti».
«Mettimi alla prova», alzò noncurante le spalle, replicando pacatamente, ma lei giurò di aver visto i suoi occhi grigi ardere. «Il massimo che mi potrà succedere sarà finire in punizione. Niente che non possa sopportare».
«Chi sei tu?», gli domandò lei, avvicinandosi fino ad arrivargli a poche spanne. «Come puoi anche solo pensare di usare una Maledizione Senza Perdono, su di me?».
«Dovrebbe esserti chiaro, ormai, Hermione. Gli scrupoli non sono per me, non lo sono mai stati. Ho già perso tanto, finora... per una volta voglio vincere, ed userò qualsiasi mezzo a mia disposizione pur di riuscirci».
«Anche trasformarmi in una bambola sotto il tuo controllo? È così che intendi...», Hermione si interruppe, mordendosi nervosamente il labbro inferiore, mentre un sorriso divertito appariva sulla bocca di lui.
«Avanti, finisci la frase. No? Bene, la finisco io al posto tuo. Sì, ricorrerei anche a quello pur di riaverti con me anche solo per un’ora. Puoi biasimarmi? Mi manchi. Mi manca ciò che siamo stati. Mi manca ciò che potremo essere».
«Ti sposerai. Non puoi volere che-».
«È esattamente ciò che voglio. Non la amo, Hermione. Non riuscirò mai a farlo. Sai, se mi avessero proposto di sposare te, non ci avrei pensato due volte. Ma Asteria... il massimo che posso fare con lei è volerle bene, non più di questo. Non potrei farcela, non finché incontrerò te nei corridoi e in Sala Grande».
Hermione cercò di non dare peso al battito furioso del suo cuore, e chiuse gli occhi provando a calmarsi. Ma come non avrebbe potuto non emozionarsi, davanti ad una delle dichiarazioni più dolci e romantiche che avesse mai avuto modo di ascoltare da lui? Lo sforzo che fece fu immane... e non ci riuscì. Lo amava troppo per riuscire a non reagire a quelle parole. 
«Non l’ho mai voluta, Hermione», riprese a parlare, riempiendo il silenzio mentre la faceva sedere su di sé. «Ho messo fine a tutto, è vero, ma credimi quando ti dico che non ho mai preso decisione peggiore di quella. Non sai lo sforzo che mi è costato dirti basta».
«Questo non ti ha fermato, però», replicò lei, lasciando che Draco le respirasse sulle guance. «Ciò che è fatto non si può disfare».
«Sai, non avrei mai pensato di dirlo, ma... sarei pronto a lasciarla anche domani, se solo tu mi dicessi di farlo. Se solo me lo chiedessi».
«Lo faresti davvero?», gli domandò con un sospiro, e si torse scomodamente su di lui dato l’impedimento delle mani unite dietro la schiena. Avrebbe dovuto infastidirla, eppure ciò che Hermione sentiva in quel momento era tutt’altro. 
«Sì», annuì lui, offrendole la verità attraverso i suoi occhi. Un mondo di bugie che iniziavano a cadere. «Il fidanzamento è stato solo per accontentare i miei genitori ed i suoi, né io né lei lo abbiamo voluto. Ecco perché te lo sto dicendo. Sarei pronto a sciogliere quel contratto in qualsiasi momento. Devi solo dirmi di farlo», bisbigliò contro la sua bocca, sfiorandola appena come sapeva piacerle: un contatto appena accennato, per farle desiderare un altro ben più profondo. Hermione si lasciò vezzeggiare da lui, dalla sua bocca, dai suoi occhi e dalle mani che le percorrevano un fianco in una lunga e lenta carezza. Le era mancato tutto quello, ed ora che poteva tornare a provarlo di nuovo le sembrava quasi inverosimile. 
«Ho bisogno che tu mi dica di farlo. Non resisterei altrimenti. Non è con lei, che vorrei passare i miei giorni. Asteria non significa nulla, è solo un’amica», la guardò ancora negli occhi, e continuò a pregarla così. «Lascia che la finisca con lei, e permettimi di riaverti con me».
«Io non-».
«Stenditi», le ordinò quasi, aiutandola a sdraiarsi sulla schiena. Un lieve gemito di fastidio le uscì dalle labbra quando si rese conto di non poter muovere le braccia, finite tra la sua stessa schiena e la superficie fresca del divano. Le si mise a cavalcioni, osservando dall’alto della sua posizione il sentimento che poteva leggere negli occhi di lei. Aveva accettato di fare qualunque cosa lui avesse in mente, seguendolo dentro quella stanza: ormai non aveva più senso nasconderlo. Draco avrebbe capito comunque che non poteva essere il passato per lei, ed anzi, avrebbe desiderato essere il suo futuro.
Si rigirava pigramente la bacchetta tra le dita, scrutandola da dietro le palpebre socchiuse, ed Hermione si rese conto di sapere cosa sarebbe accaduto di lì a poco: i suoi vestiti sarebbero stati fatti Evanescere insieme a quelli di lui, ed un velo scuro le avrebbe nuovamente coperto gli occhi impedendole di vedere altro se non la sua sagoma indistinta. 
Non era la prima volta, e sapeva esattamente cosa aspettarsi da lui. Era quasi prevedibile, nella sua spontanea iniziativa, e lei non riuscì a trattenere un verso di sorpresa non appena le fece alzare appena la testa, velandole gli occhi con un tessuto mai usato: la sua cravatta.
«Dovresti rilassarti», mormorò al suo orecchio, piegandosi su di lei. «Non irrigidirti. Rischi di farti male, altrimenti».
«Voglio vederti».
«No», replicò secco lui, scendendo con le mani lungo la sua pelle scoperta. L’accarezzava piano, sfiorandola appena con i polpastrelli e negandole ciò che era sicuro avrebbe letto negli occhi di lei. «Devo usare un Silencio?», domandò, ed Hermione scosse la testa trattenendo a stento la replica già pronta ad uscire dalle sue labbra. 
«Bene», commentò ancora, percorrendole il profilo del mento con le labbra, fermandosi poi al centro della sua gola per graffiarla appena con i denti, «perché mi dispiacerebbe non sentirti gemere».
Le sue labbra si tesero in una linea sottile non appena lo percepì scendere su di lei, scivolando verso il fondo del divano, e sentì le mani di lui sulle sue cosce, intente a percorrergliele lentamente e con i palmi ben aperti, amplificandole la sensazione di calore che iniziava già a percepire. 
«Mi era mancato tutto questo», lo sentì mormorare, ma fu un suono troppo flebile perché Hermione riuscisse a capirne pienamente le parole. «La tua pelle, il modo in cui riesci a lasciarti andare, come trattieni il respiro quando entro dentro di te, come ti inarchi e chiami il mio nome quando vieni... i tuoi occhi lucidi sono una delle cose più belle che mi sia capitato mai di vedere, lo sapevi? No, certo che no. Non te l’ho mai detto. Sta’ ferma», la fulminò con gli occhi, ma lei non poté accorgersene. Lo sentì spingerla maggiormente contro il tessuto del divano, però, e la fitta di dolore che le percorse le braccia intrappolate sotto la sua schiena la fece gemere. 
«Liberami», tornò a ripetere, pregando mentalmente affinché lo facesse davvero: odiava essere inerme in quel modo, e non poterlo toccare. Lo aveva sempre odiato. «Per favore».
«Magari dopo», ghignò lui, zittendo prontamente il verso di protesta che le uscì dalle labbra sfiorandogliele con le proprie. Hermione lo sentiva indugiare, giocando con lei e con la pazienza che sembrava cominciare ad abbandonarla, complice anche il divertimento che lui sembrava mostrare verso di lei, continuando a negarle ciò che sapeva avrebbe voluto: sentire ancora il sapore della sua bocca, e la sensazione della lingua di lui contro la sua. L’accontentò dopo qualche istante, chiedendo l’accesso oltre le sue labbra con la punta della lingua, penetrandole poi attraverso un bacio umido. 
E che Merlino la perdonasse, era mancato anche a lei.
«Ora voglio solo farti capire», proseguì, fingendosi criptico, ma Hermione aveva capito fin dall’inizio dove sarebbe andato a parare con quel giochetto - stranamente piacevole, nonostante la dolorosa immobilità alla quale l’aveva costretta suo malgrado - che aveva iniziato su di lei, «quanto mi sei mancata, e quanto mi sei indispensabile. Vorrei che capissi che non posso amare altre che te, Hermione».
No, Draco non giocava su di lei. Giocava con lei.
E lei lo lasciava fare, consapevole che non sarebbe mai riuscita davvero a dirgli no. Aveva tentato innumerevoli volte, capitolando sempre, alla fine, davanti a ciò che mai si era veramente assopito: l’amore che aveva provato per lui, e che continuava a provare tuttora nonostante tutto.
Nonostante le lacrime versate, nonostante le ore spese a fissare piangendo quel fiore di carta, nonostante il fidanzamento di lui e la solitudine dalla quale si era lasciata avvolgere, corazzandosi contro ogni eventuale dolore. Era stato spazzato via tutto in meno di un secondo, il tempo necessario per lei di vedere quegli occhi grigi e le promesse che le avevano anticipato. 

Tutto sé stesso, offerto davvero su un piatto d’argento.
«Vorrei che capissi che non è stata una mia scelta, questa, né quella di innamorarmi di te. Eppure è accaduto, ma ne sono contento. E so che per te è lo stesso, lo sento da come respiri», soffiò ancora, contro la pelle già sensibile del suo stomaco, salendo di poco con una mano fino al suo seno. Hermione trattenne un ansito di sorpresa, non appena sentì le dita di lui sfiorarle un capezzolo, rendendolo immediatamente turgido: anche quello, come il resto del suo corpo, non aveva affatto dimenticato il tocco di lui. Reagiva come se non fosse passato nemmeno un giorno dall’ultima volta, e non settimane intere.
«Non puoi nascondermelo, non ci sei mai riuscita. Certo», proseguì, aumentando l’intensità delle carezze su di lei, spostandosi verso il suo interno coscia ed allargandole maggiormente le gambe per arrivarci meglio. I suoi gesti erano meccanici, e non avevano la solita delicatezza che li aveva sempre contraddistinti. «Ci hai provato, ma non è servito… lo sai bene quanto me. E per quanto tu tentassi, so che ero sempre lì, nella tua mente. Te l’ho detto, non riuscirai a liberarti di me così facilmente. Non potresti. Evanesco!», disse con sicurezza, puntando la bacchetta contro il viso di lei, e la cravatta che aveva usato per bendarla sparì. 
Non sarebbe riuscito a non ammirare l’amore negli occhi di lei, non appena avesse acconsentito alla preghiera che ora vi leggeva. E sorrise, aderendole nuovamente ed incastrandosi in modo che reputò quasi perfetto, ondeggiando appena avanti ed indietro tra le gambe di lei, anticipandole lo stesso movimento che avrebbe fatto di lì a poco.
Hermione alzò la testa, e le palpebre le si chiusero come se fossero dotate di volontà propria, inclinando la testa all’indietro per sporgersi di più verso di lui. L’impedimento delle braccia cominciava a pesarle, ma solo per il fatto che non le avrebbe permesso di toccarlo, come lei invece avrebbe voluto fare. Amava sentire la consistenza dei capelli fini di lui tra le sue dita, e il movimento dei muscoli della sua schiena sotto le sue mani. Amava sentirsi adorata da lui, amava la sensazione di completezza che la pervadeva ogni volta che divenivano una persona sola - o lo erano sempre state, in fondo? - ed amava l’appagamento che giungeva sempre troppo presto.

Amava tutto di lui.

Have you forgotten all I know 
And all we had? 
You saw me mourning my love for you 
And touched my hand 
I knew you loved me then



 

La svegliò il suono di un paio d’ali che sbattevano, quella mattina.
Aprì gli occhi, infastidita da quello stesso suono, e si trovò davanti un pezzo di carta piegato a formare un piccolo uccello. Sorrise, scuotendo divertita la testa: era lo stesso tipo di pergamena usata per formare il fiore.
Lo afferrò tra le dita e quello smise immediatamente di agitare le ali, afflosciandosi quieto sul palmo della sua mano. Con la coda dell’occhio vide una copia della Gazzetta del Profeta posata sul comodino, piegata su una pagina che avrebbe letto non appena fosse stata un po’ più sveglia.
Ritornò con gli occhi sulla pergamena, indugiando indecisa se distenderla oppure lasciarla com’era, ma alla fine si decise: l’aprì, e ciò che vi lesse le fece spuntare un sorriso spontaneo e a dir poco entusiasta.
Si alzò velocemente dal letto, vestendosi in modo del tutto affrettato rispetto ai suoi soliti standard, e si precipitò fuori dalla Sala Comune, giù fino alla porta della Sala Grande.
Sapeva che non era ancora salito per la colazione, e sperava di intercettarlo prima che i mormorii degli studenti arrivassero fino a lui.
Il cuore iniziò a batterle furiosamente, non appena vide in lontananza l’avvicinarsi di una chioma bionda, e non volle attendere oltre: gli andò incontro, noncurante dei bisbigli che accompagnarono la sua camminata svelta verso di lui, e gli si fermò a poca distanza. 
Sorrideva, lui.
Sorrideva, ed aspettava una sua mossa.
Ed Hermione la fece, quella mossa: avanzò ancora di un passo, lasciando che Draco la stringesse a sé per i fianchi, e sentì una mano andare a cercare la sua mentre ripensava alle parole che le aveva fatto recapitare poco prima. 

Intrecciò le dita con quelle di lui, consapevole degli sguardi degli altri su di loro, ma non le importava.
Non le importava di niente.






















Note.
Alcune delle frasi in corsivo provengono da qui, dato che Paper Flower ne è il seguito.
Le scritte in blu, invece, appartengono a varie canzoni degli Evanescence, senza i quali questa oneshot non sarebbe nata limitandosi invece a restare solo un'idea. E al benestare della mia beta, che aveva pensato fosse una nuova long. Cara, quella arriverà... prima o poi. Abbi fede xD
Spero che questa shot vi sia piaciuta, e ne approfitto per rinnovare - a chiunque legga - i miei Auguri di Buon Anno.
Mi auguro che stiate passando delle belle feste.
Grazie per essere arrivati fino a qui,
erzsi.

   
 
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