L’insonnia
era diventata una compagna fedele, per lei.
Hermione si
lasciò cadere lungo il muro fino a sedersi sul freddo
pavimento, abbracciandosi le ginocchia e tuffandovi il viso, unica
persona nel deserto del corridoio del settimo piano. «Hermione,
guardami». , Le iridi di lui
sembravano fatte d’argento liquido. La magia che
caratterizzava la Stanza delle Necessità non era mai
cambiata, nemmeno dopo la ricostruzione post-bellica. Have you forgotten all I know La
svegliò il suono di un paio d’ali che sbattevano,
quella mattina. Note.
Paper Flower
I lie awake and try so hard not to think of you
but
who can decide what they dream?
And
dream I do...
Con il passare del tempo, - ore, giorni, mesi -, Hermione aveva
abbandonato l’idea di consumare più di qualche ora
a notte di sonno.
Il senso di colpa, la rabbiosa gelosia che le colorava di rosso il
campo visivo e le stringeva il cuore in una dolorosa morsa, ogni volta
che le capitava di incrociare per caso nei corridoi mantelli neri e
verdi e capelli biondi, non le permetteva di reagire come invece
avrebbe dovuto.
Una Grifondoro privata del suo proverbiale coraggio.
Anche solo respirare era diventato doloroso, e nemmeno il buio,
quotidiana presenza che dipingeva con colori scuri i suoi sonni - i
suoi incubi ad occhi aperti -, riusciva a donarle sollievo. Le sue
palpebre restavano aperte, sole in compagnia del rosso del suo letto.
Si sentiva protetta, tra le tende del suo baldacchino, avvolta ed
incastrata in una sorta di limbo dal quale non riusciva a trovare
alcuna via d’uscita.
E
sognava.
Sognava
fini capelli biondi che le accarezzavano il volto; mani calde e
possessive che la sfioravano con brama infinita, mai sazie di
percorrerle il corpo in una lunga ed agognata carezza; labbra sottili,
arrossate dagli stessi baci che lui non aveva
l’umiltà di chiederle ma che accettava comunque
con ingordigia; occhi d’argento che la guardavano e la
veneravano con un trasporto che riservava solo a lei, e che le
trasmettevano tutto il sentimento che provava nei suoi confronti.
Sognava lui tutte le notti, ininterrottamente, ormai da settimane.
Sognava quei gesti che aveva ricevuto infinite volte, ma che ora erano
destinati ad un’altra.
Sognava un amore che non esisteva più.
Un amore racchiuso in quel pezzo di carta che lei portava sempre con
sé, al sicuro nella tasca della camicia sopra il cuore, nel
quale non c’era scritto nulla ma conteneva comunque la prova
che tutto quello era accaduto davvero.
Due gocce d’acqua salata.
Due lacrime come uniche testimoni dell’amore che aveva
provato per lei.
Ed Hermione si aggrappava a quelle due stille come se da esse avesse
potuto trarre la forza per andare avanti giorno dopo giorno.
Incontrarlo per i corridoi, abbracciato a lei,
era diventata una tortura alla quale non avrebbe più voluto
sottoporsi ma che al tempo stesso era esattamente ciò che
desiderava di più: faceva male, osservarlo da lontano,
eppure la confortava.
Lui stava bene, insieme a lei.
Insieme ad una che non era Hermione.
Poteva incrociarli, per i corridoi della scuola tra una lezione e
l’altra, intenti a scambiarsi effusioni come se fossero stati
gli unici ad esistere, soli al centro di quel mondo dal quale lei era
stata tagliata fuori.
Era stato lui, ad allontanarla con le sue parole ed i suoi gesti.
Ne abbiamo già parlato. Lo sapevamo, che ci saremmo
arrivati un giorno.
Era vero, ne avevano discusso infinite volte tra un bacio e
l’altro, chiusi in un qualche stanzino e nelle parti poco
frequentate del Castello, eppure non abbastanza.
Potevano, due semplici parole, riuscire a distruggere una delle sue
poche certezze? E come aveva potuto, lui, pronunciarle guardandola
negli occhi? Non aveva visto il dolore che le aveva causato, o era
davvero così insensibile come aveva sempre detto di essere?
Per una volta, per una singola volta, non potresti…
Che cosa? Essere gentile? Disponibile, come il tuo amico Sfregiato? O
stolto come quel rosso mangia lumache?
Hermione sapeva di non poter pretendere chissà quale
comportamento da lui nei suoi confronti. Tempo prima, l’aveva
avvertita che ci sarebbe stata una fine, presto o tardi, ma lei non
credeva affatto che sarebbe arrivata con così
tanto anticipo.
E cosa avrebbe voluto, una di quelle fantastiche storie
d’amore che i Babbani amavano scrivere per potersi illudere?
Topolini trasformati in cavalli, una zucca come carrozza ed un Principe
Azzurro pronto a scarpinare per mezzo reame pur di trovare colei che
aveva perso la scarpetta di cristallo?
Era un materiale pericoloso, il cristallo: bellissimo da ammirare, ma
tagliente e doloroso quando si infrangeva. Come lui, e come lo erano
state le sue parole. Taglienti, affilate e sincere.
E dolorose, come non era mai stato nient’altro per lei.
Il dolore che l’aveva colpita, visibile negli occhi chiari ed
udibile nella voce di lui, era stata peggio di una stilettata. Sapeva
che quello accaduto in quella stanza d’albergo era stato un
addio, il
suo addio, eppure, a distanza di settimane, non riusciva
ancora a capacitarsene.
Non voleva accettarlo.
Scendere a patti con ciò cui lui l’aveva messa
davanti era doloroso, così come lo era costringersi a vivere
ogni giorno senza di lui: la sua assenza dalla vita di Hermione era un
fatto con il quale lei doveva fare i conti giorno dopo giorno, e sapeva
che avrebbe continuato a farlo per molto altro tempo ancora.
Mi
prenderai, semmai dovessi cadere?
Non ti lascerò toccare suolo.
Aveva
mentito, però.
Lei era caduta, e continuava a farlo.
So maybe
you can remember yourself.
Can't keep believing,
we're only deceiving ourselves.
And I'm sick of the
lie…
Era - stato - il
loro corridoio quello, scelto per via dell’estremo silenzio
che si poteva trovare. Nessuno studente si spingeva fin
lassù, e mai quando vi erano loro due. Ne aveva viste di
tutti i colori, quel corridoio: baci appena accennati, tra un sorriso e
l’altro; baci scambiati con foga ed ingordigia, temendo di
essere sorpresi in flagrante; litigi e scaramucce più o meno
serie, scambiate con la bacchetta tra le dita ed un incantesimo sulle
labbra.
Era esattamente quello, che era accaduto.
Hermione aveva finito per abituarcisi, a tutta quella piacevole
quotidianità, al punto da reputare impensabile la sua fine.
Cosa le sarebbe rimasto di quell’amore che aveva osato
sfidare tutto e tutti, andando persino contro a ciò cui
aveva sempre creduto, e lui con lei?
Nient’altro che un pezzo di pergamena, e due lacrime
magicamente umide che testimoniavano ciò che lui aveva
provato per lei ed Hermione nei suoi confronti. Sarebbe stato quello,
un semplice fiore di carta, a ricordarle cosa aveva perso, chi era
stata e sarebbe divenuta?
Il ricordo di capelli biondi ed occhi grigi e mantelli neri e verdi
cominciava a scomparire, nonostante gi sforzi che Hermione faceva per
mantenere vive quelle immagini nella sua memoria: sarebbe stato solo
questione di poco tempo, ed avrebbe cominciato seriamente a dubitare
che quegli stessi ricordi fossero esistiti davvero.
Erano reali, o invece erano frutto della sua immaginazione?
E quella sensazione che ogni tanto la coglieva, quasi di sorpresa, e
che le faceva credere di essere sfiorata ed accarezzata ancora una
volta dalle mani di lui, era sogno o realtà?
Stava sognando, adesso? La mano che sentiva sulla sua nuca non poteva
essere vera.
«Hermione».
Lei si irrigidì, stretta nell’abbraccio con
sé stessa, sentendo pronunciare il proprio nome, ma non
alzò la testa. Sapeva che la voce che l’aveva
chiamata non era reale, non poteva esserlo, e credere - fare
finta -
di averla davvero sentita non l’avrebbe portata a nulla di
buono.
Quante persone, sicure di non essere state toccate dalla Guerra, erano
finite ad essere rinchiuse in un qualche reparto del San Mungo? Tante,
forse troppe, ed Hermione credeva che ci sarebbe finita lei stessa,
lì, se quelle immaginarie sensazioni non fossero finite al
più presto.
Sopravvissuta alla Seconda Guerra Magica per essere poi distrutta da
ciò che la sua stessa mente le faceva credere
verità: il tocco di lui, la sensazione delle sue mani su di
sé, ed il suo inconfondibile profumo che la stava avvolgendo
come una coperta, diminuendole la lucidità come solo la
presenza di lui riusciva a fare.
Era sempre stato così per lei: fin quasi
dall’inizio della loro relazione, Hermione gli aveva lasciato
il coltello dalla parte del manico, quell’arma a doppio
taglio che era l’avere potere su di lei. Non era riuscita a
spiegarselo, il motivo per il quale l’aveva fatto, ma non era
mai riuscita a pentirsi di quella scelta.
Nemmeno in quel momento, con la sua presenza accanto a lei, abbracciata
a sé stessa con la speranza che le braccia che
l’avvolgevano sarebbero potute divenire quelle di lui.
Nonostante il suo desiderio, frutto di notti insonni e sogni ad occhi
aperti, sapeva di non potersi più permettere alcun diritto
su di lui. Li aveva persi tutti quanti in una volta sola, quando lui
aveva pronunciato le ultime due parole che lei avrebbe voluto sentire.
Mi
sposo.
Quanto
avrebbe desiderato che fosse una bugia.
Aveva desiderato così tanto credere che lui stesse mentendo,
eppure alla fine si era dovuta ricredere. L’annuncio del
fidanzamento era persino uscito sulla Gazzetta del Profeta, un
ordinario mercoledì di una altrettanto
ordinaria settimana, e quelle parole le erano rimaste impresse nella
mente come se fossero state marchiate a fuoco.
Draco
Lucius Malfoy e Asteria Greengrass sono lieti di annunciare il loro
fidanzamento.
Un
altro segno che non se ne sarebbe mai andato, proprio come quello che
aveva lungo il braccio destro. Ed Hermione era stanca di dover portare
su di sé segni e cicatrici che non sarebbero più
scomparsi, moniti quotidiani che le avrebbero invece ricordato tutto
ciò che aveva perduto e che non avrebbe più avuto
indietro; era semplicemente stanca di essere circondata da
nient’altro che infide bugie, come quella che lui le aveva
raccontato spacciandola per verità assoluta.
Una verità che si era dispersa tra gli infinti corridoi di
Hogwarts, tra le risate dei pochi studenti che erano tornati dopo la
fine della Guerra, e che si era andata ad infrangere con la
realtà che lei poteva vedere tutti i giorni: capelli biondi
mischiati a quelli di lei, un altro tipo di castano che non somigliava
affatto al suo.
Un immagine stampata sulla carta della sua memoria.
you can't
just leave me
Lei scosse ancora la testa, cercando di scacciare così il
suono di quella voce fasulla che sentiva fin dentro al cuore. Non era
reale, non poteva esserlo. Lui l’aveva lasciata settimane
prima per Asteria, dunque come poteva la sua voce essere vera, e
così vicina a lei? E perché sentirla di nuovo,
dopo giorni e giorni di silenzio, era come se fosse un balsamo per le
sue ferite? L’attesa del suono della sua voce, valeva tutto
il dolore al quale lui l’aveva costretta a sottoporsi? Lui
valeva le lacrime ed ogni singhiozzo regalato al silenzio della sua
stanza al dormitorio?
Sì, valeva ogni cosa.
Valeva tutto quanto.
Lui era tutto ciò di cui lei avrebbe voluto circondarsi:
desiderava scaldarsi nel suo abbraccio, ed accendersi con i suoi baci e
le sue carezze.
Ed allora perché l’aveva abbandonata, trattandola
come se non fosse altro che un passatempo passeggero, in attesa di lei?
Hermione si domandò se lei stessa valesse così
poco. E l’amore che lui spergiurava di provare per lei,
esisteva ancora o era stato coperto dalla caduta di quelle due lacrime,
su quel pezzetto di pergamena che sarebbe potuto diventare la loro
vita, un ritaglio di carta dove avrebbero potuto scrivere davvero il
loro futuro, insieme?
Pensarci faceva male, ed Hermione aveva sofferto anche troppo. Rivoleva
indietro le ore, i giorni, le settimane ed i mesi passati con lui.
Rivoleva indietro sé stessa, colei della quale lui si era
appropriato - e continuava ad appropriarsene ancora, lanciandole
sguardi pieni di rammarico e scuse e dolore, ogni volta che gli
capitava di incrociarla per i corridoi o alle lezioni comuni. Avrebbe
mai smesso di essere, nonostante tutto ciò che era accaduto,
ancora sua? Quell’amore totalizzante ed indispensabile
avrebbe mai cessato di stringerle il cuore, o avrebbe proseguito nel
suo intento?
Non lo sapeva, ma Hermione era comunque stanca. Voleva solo essere
lasciata in pace, non voleva più essere torturata dalla
visione di lui, né dalla sua voce che la chiamava con
pentimento e forza. Voleva semplicemente andare avanti con la vita che
lei stessa si era scelta, dopo le condizioni dettate da lui. Era vita,
quella dove anche solo prendere un respiro faceva male?
No, non lo era. Ci si era abituata, però. Aveva dovuto
farlo, ma non di certo per sua volontà.
Ed ora, in quel momento, averlo nuovamente accanto, certa che la stesse
guardando come faceva tempo prima... era sollevante, in qualche modo.
Per Hermione, era come se potesse nuovamente respirare dopo minuti di
apnea: i sensi si affinavano, ed i polmoni accettavano con gratitudine
quell’aria profumata di menta e limone. Quanto ci avrebbe
messo, questa volta, a far sì che quello stesso profumo
sparisse dai suoi abiti? Forse, però, non era quella la
domanda corretta. Quanto tempo avrebbe impiegato, prima che lui
abbandonasse il suo cuore?
«Va’ via», bisbigliò,
racchiusa in un mondo buio e contornato dalle sue braccia. Temeva di
guardarlo in viso, conscia del rischio che avrebbe corso nel leggere
negli occhi chiari di lui ciò che non era più
suo. In quel momento, si rese conto che il famigerato e decantato
coraggio Grifondoro non le apparteneva più. Anche di quello,
si era appropriato lui? «Ti prego».
«No», pronunciò subito, tornando a
sfiorarle i capelli. Era un tocco delicato, così insolito
per lui, eppure Hermione lo accettò quasi con riconoscenza.
«Ho l’occasione per parlarti, e mi
ascolterai».
«Non voglio», alzò il viso, obbligandosi
a tenere, tuttavia, gli occhi ben chiusi. Il rischio di rovinare la
parvenza di tranquillità ed accettazione che si era
costruita con così tanta fatica era dietro
l’angolo, e sapeva che quel muro sarebbe crollato non appena
avesse incrociato i suoi occhi grigi. Sentì le dita di lui
spostarsi sul suo viso, lungo la guancia fino al collo, carezzandola
con estrema lentezza, e si ritrovò a deglutire nervosamente.
«Dovrai», sentenziò, soffiando fuori le
parole sulla pelle di lei facendola rabbrividire. La Grifondoro
rilasciò un sospiro, simile ad un gemito, non appena le dita
di lui entrarono in contatto con le sue labbra: le sfiorava appena,
eppure quel lieve contatto fu più che sufficiente per farle
anelare un altro tipo.
Capelli
biondi stretti tra le sue dita, denti bianchi che le graffiavano
dolcemente la pelle, labbra rosse e gonfie di baci che le percorrevano
il corpo in una lenta e dolorosa carezza, accompagnate dal guizzo umido
della sua lingua su di lei.
Aprì
gli occhi.
Il viso affilato di lui si trasformò in una maschera di
genuino stupore, quando la sua stessa mano scese lungo il collo di
Hermione, sostando sopra la parte di lei che continuava ad appartenere
a lui. E poi arrivò l’amorevole compiacimento,
dentro quegli occhi.
«Batte così forte...»,
sussurrò, un sospiro che risuonò nel tranquillo
silenzio del corridoio. «Per me?».
«Sarà sempre per te», si
ritrovò ad affermare Hermione, prima che riuscisse ad
impedirselo. Non avrebbe voluto ricordargli quell’immenso
potere che aveva su di lei, eppure, non appena lo aveva guardato negli
occhi, tutte le barriere difensive che aveva faticosamente eretto erano
crollate tutte insieme, al ritmo del suono del suo cuore, portando con
loro altri ricordi.
Palpebre serrate dietro il velo scuro posato
sui suoi occhi, mani unite al livello dei polsi ed impossibilitate a
muoversi, gambe piegate all’altezza delle ginocchia che la
costringevano ad esporsi al tocco avido e familiare delle dita di lui.
Un fiore di carta che le percorreva la pelle nuda, provocandole brividi
di trepidante eccitazione, sul quale lui aveva scritto una promessa che
non sarebbe mai riuscito a pronunciare a voce.
Ti sposerò.
Long lost words, whisper
slowly, to me
Still
can't find what keeps me here
La guardava con un’intensità insistente, capace di
spogliarla di ogni pensiero e di abbatterle ogni difesa dietro la quale
continuava a trincerarsi in attesa della stoccata finale.
Perché lui era un Serpeverde, ed i serpenti davano sempre il
colpo di grazia non appena la vittima designata si fosse rivelata in
loro potere. Hermione lo era da tempo, completamente sua, e lo sapevano
entrambi.
«Te l’avrei chiesto, sai?», Draco ruppe
il silenzio, ascoltando il suono sordo del cuore di lei sotto la sua
mano. «Se solo tu mi avessi dato un po’
più di tempo...».
«Per prenderci ancora in giro?», Hermione si decise
ad alzare gli occhi su di lui, scoprendosi desiderosa di un suo
abbraccio, di un suo bacio e di una sua carezza, ma cacciò
lontano quei pensieri: lui non le apparteneva più.
«Hai sempre saputo che sono un codardo. La paura era la cosa
che più mi terrorizzava, finora. Quella, e il voler rendere
orgogliosi i miei genitori. L’hanno scelta loro, sai? Ho
tentato di dire no, di scegliere da me il mio futuro, ma... non ho
potuto, nonostante abbia detto loro che non sarei mai riuscito ad
amarla come meritava. Ed alla fine cos’è successo?
Ti ho persa lo stesso. E non so come uscirne».
«Non voglio sentire», affermò
seccamente, deglutendo il senso di colpa che rischiava di sopraffarla.
Si alzò da terra, ma la supplica che leggeva negli occhi di
lui le impedirono di muoversi ulteriormente.
«Perché ti ostini a ferirmi?».
«È l’ultima delle mie
intenzioni».
«Eppure lo fai ogni giorno», mormorò,
chiudendo gli occhi non appena il suo polso venne circondato dalle dita
di lui. «A lezione, nei corridoi, in Sala Grande... lo fai
continuamente. E fa male».
«Vorrei poter fare qualc-».
«Risparmiami la tua compassione», lo interruppe,
godendosi suo malgrado il movimento circolare del suo pollice sulla sua
pelle. «Ammesso che tu ne abbia, non è a me che
dovresti rivolgerla ma a lei».
«Vorrei aver trovato il modo, Hermione»,
tornò a soffiare lui, un mormorio appena accennato contro la
sua guancia ma nel quale era percepibile un sentimento che lei aveva
temuto di non poter vedere né sentire più.
«Per tenerti con me».
Lei spalancò gli occhi, a quella confessione inopportuna.
Tutto, di lui, era inopportuno: la sua presenza lì, il fatto
che l’accarezzava e sfiorava come se non fosse passato
nemmeno un giorno, come se la realtà davanti la quale lui
l’aveva messa non fosse stata diversa. Era cambiato tutto,
però, ed il solo fatto che lei si crogiolasse nella
beatitudine di quelle carezze appena accennate, non faceva altro che
prolungarle la sua stessa sofferenza.
Hermione
Jean Granger, brillante studentessa di Hogwarts, perita per mano di
Draco Malfoy, Serpeverde egoista e vigliacco.
O era lei la codarda, che non era riuscita a combattere per
ciò in cui credeva? Lui aveva la colpa di aver messo la
parola fine, era vero, ma lei? Non aveva avuto nemmeno il coraggio di
fare un tentativo, per tenersi stretto ciò che
più desiderava in quel momento: l’amore verso di
lui.
«Non sono un animale da compagnia»,
replicò con un suono straordinariamente simile ad un sibilo,
tipico di lui, «con il quale giocare a tuo piacimento, per
poi scaricarlo come se fosse una scarpa vecchia e, di conseguenza,
pretendo un po’ di rispetto. Me lo devi».
«Avrei voluto darti molto di più, e lo sai
bene».
«Oh, dovrei? Senti», respirò
profondamente, calmando il principio di collera che sentiva dietro
l’angolo e che le colorava di rosso le guance, «non
so dove tu voglia andare a parare, né mi interessa, a questo
punto. Te l’ho detto, va’ via e lasciami in pace.
Torna da lei, e lasciami vivere».
«Non capisci che non posso farlo? Sei sempre stata
intelligente, più di me, e nonostante questo non riesci ad
arrivarci!», esclamò lui, lasciando che il viso
gli si colorasse di rabbia repressa. «Non posso fare a meno
di te. Non ci riesco. Ho provato, a metterti da parte cercando di farmi
piacere lei, ma i miei pensieri me lo impedivano. Ogni notte era un
incubo!».
«E per me no, invece? Cosa credi, che sia riuscita a voltare
pagina dalla sera alla mattina come se nulla fosse accaduto? Hai idea
di quanto mi sia costato, accettare che...», si interruppe
abbassando gli occhi a terra, consapevole che finire la frase avrebbe
significato la sua resa nei confronti di lui.
E non era comunque una cosa inevitabile, che prima o poi sarebbe
avvenuta comunque? Quel dolore sordo, quotidianamente presente, le
avvolgeva il cuore fino a rendergli difficile la sua funzione.
Perché non apparteneva più a lei, ecco il motivo.
E forse non lo era mai stato.
«... che provi ancora qualcosa per me»,
finì lui, ed Hermione si morse il labbro inferiore pur di
non rispondergli sì, ma quel gesto non gli
sfuggì. Le si avvicinò, facendola arretrare di
conseguenza, e lei si rese conto solo in quel momento di avere ancora
il polso intrappolato nella mano di lui. Non se ne curò: era
bello poterlo sentire ancora.
È
difficile.
Nessuno
ha mai detto che fosse facile.
Lo so. Ma questo non cambia le cose.
Potrebbero,
invece. Se solo tu volessi.
Era
questa, la domanda che avrebbe dovuto porsi. Lei lo voleva?
«Non sei mai stata capace di mentire».
«Al contrario di te? Sei sempre stato imbattibile»,
replicò Hermione, mostrando un’improvvisa calma
che non seppe nemmeno lei da dove fosse uscita. Forse il periodo
trascorso con lui aveva affinato le sue capacità recitative,
rendendola un’attrice migliore di quanto lei stessa avesse
sperato mai di divenire.
«Con gli altri, sì», le concesse,
osservando con un genuino sorriso l’inizio della sua resa.
Non si era scostata quando lui l’aveva toccata, e non ne
aveva alcuna intenzione. Il suo tocco bruciava sulla pelle, eppure
Hermione si sarebbe lasciata volentieri scottare: le era mancata, la
sensazione - indescrivibile persino per lei, che non aveva mai lesinato
sulle parole - della sua pelle, calda nonostante il gelido temperamento
che mostrava di avere verso gli altri ma quasi mai con lei, gentile e
premuroso e innamorato, ma solo quando erano soli. Esattamente come in
quel momento, ma ad Hermione andava più che bene
così. Aveva atteso a lungo di risentire ancora una volta
quelle famose farfalle nello stomaco, che sembravano essere ritornate
d’improvviso non appena lui le aveva intrappolato gli occhi.
«Con te, mai. Non ho mentito nemmeno una volta, e di certo
non su cosa ho sempre provato per te».
Hermione lo osservava parlare, dirigendo erroneamente lo sguardo sulle
sue labbra, desiderosa di sentirle nuovamente sulle sue, e non si
accorse di niente.
Non si accorse
che lui si era avvicinato ancora, circondandole i fianchi con le
braccia; non si accorse che le aveva spostato i polsi dietro la
schiena, unendoli con un veloce e lieve Incarceramus Non-Verbale;
non si accorse che aveva ripreso a parlare guardandola negli occhi,
pronunciando parole che a tutti gli effetti rappresentavano
ciò che lei avrebbe più voluto sentire in quel
momento, e che sancivano quegli stessi sentimenti - bugie o
verità? - che lui aveva sempre affermato di provare per lei;
non vedeva nient’altro che non fossero le sue labbra e il
desiderio impellente di saggiarle nuovamente, contro ogni
più logico buonsenso.
Non vedeva altri che lui.
«Non
ti libererai di me così facilmente».
Le
sue parole, soffiate contro le sue labbra, la destarono dal guardare
quelle di lui e dai sogni ad occhi aperti - memorie di un tempo ormai
passato - che richiamavano alla mente.
«Lasciami andare», lo pregò con un
sussurro, costringendosi a chiudere gli occhi per non vedere le
promesse in quelli di lui che le anticipavano frammenti di paradiso
perduto, la cui ricerca avrebbe significato attraversare tutto
l’inferno che lui rappresentava, offrendole il mondo
su un piatto d’argento.
E l’avrebbe fatto davvero, se solo lei gliel’avesse
permesso.
Le avrebbe offerto tutto sé stesso, incurante di
ciò a cui sarebbe potuto andare incontro.
Pensi
davvero che valga l’ira dei tuoi genitori?
Varrai sempre la pena.
Era
così anche ora? In quel preciso istante, le sue stesse
parole avevano ancora una valenza o erano state cancellate da
ciò che i suoi genitori avevano deciso e programmato per
lui? Hermione si rese conto che anche quella domanda era errata. Non
avrebbe dovuto chiedersi se fossero le sue parole, ad essere vere, ma
l’amore che diceva di provare per lei. Dopo tutto quello che
era accaduto, come poteva dirsi certa che ciò che leggeva
negli occhi grigi di lui corrispondesse a verità?
Il beneficio del dubbio, a volte, sapeva essere una gran fregatura.
Non appena riaprì le palpebre, Hermione non vide altro che
determinazione negli occhi di lui. Voleva che l’ascoltasse,
che ammettesse che tutto ciò che era accaduto tra loro non
fosse stata solo una cosa da niente.
«Chiamami, e ti lascerò andare».
Voleva che lei pronunciasse il suo nome, ammettendo così che
niente era passato. I suoi sentimenti per lui, sempre più
forti a discapito del tempo trascorso, erano sempre lì: in
ogni sguardo, in ogni parola pensata e pronunciata, in ogni singola
occhiata a quel fiore di carta. Nonostante cercasse di tenerli
nascosti, comportandosi come se davvero nulla fosse successo - testa
china camminando per i corridoi, mano perennemente alzata alle domande
di professori ed occhi impegnati a concentrarsi sulle parole dei suoi
libri - sapeva che, evitando di chiamarlo per nome, avrebbe significato
ammettere la sua sconfitta. Così come l’avrebbe
comunque portata a quello anche il pronunciarlo: non vedeva vie
d’uscita. Lui non gliene aveva offerte, facendola scontrare
con quello a cui, ormai, aveva smesso di dare un nome.
E non portava a quello, l’amore?
Beneficio del dubbio, sì, ma anche resa nei confronti
dell’altro quando si riconosceva di avere torto.
«Non farmelo fare», lo implorò con un
bisbiglio appena udibile, abbassando il capo verso terra, ma lui non le
permise di nascondersi. Le alzò nuovamente il mento con due
dita, accarezzandole poi piano la guancia, ed Hermione
rabbrividì.
«Dillo, allora. Apri gli occhi, guardami e dillo, che non
vuoi. Lo accetterò», affermò, usando lo
stesso tono suadente che Hermione aveva sentito infinite volte. Sapeva
che stava mentendo, lo faceva sempre, come se non ne potesse fare a
meno. Un mondo creato da bugie, ecco cosa si era offerto di regalarle.
Un intreccio di menzogne, unite le une alle altre come la migliore
delle tele. Ma lei ci sarebbe caduta, dentro quella stessa tela, o
sarebbe riuscita ad evitarla?
Lo guardò ancora negli occhi, e non riuscì a
pentirsi della decisione che prese come reazione all’invito
negli occhi di lui. Hermione sapeva che ciò che
leggeva in quelle iridi corrispondeva ai suoi stessi pensieri.
Mi
manchi.
Fammi dimenticare.
Lascia che mi ricordi ancora di te.
Resta con me.
E si convinse, pronunciando l’unica
parola che avrebbe determinato la sconfitta e la vittoria insieme. Non
ci sarebbero stati né vincitori né vinti: lo
sarebbero stati entrambi.
«Draco».
Under your spell again.
I can't say no to you.
And I've completely lost myself, and I don't mind.
I
can't say no to you.
Ad Hermione era sempre piaciuta quella stanza, l’unica capace
di modificarsi per soddisfare i desideri ed i bisogni di chi percorreva
il corridoio antestante, ogni volta creando nuovi luoghi in base alle
esigenze degli studenti e degli insegnanti. Con il passare del tempo,
lui gliel’aveva mostrata con tutti gli arredamenti possibili:
a volte un semplice tappeto posizionato strategicamente davanti ad un
camino acceso, per scaldarsi nelle lunghe notti passate in compagnia
reciproca, altre volte vi aveva trovato un ben più comodo
letto, altre ancora un semplice ma lussuoso divano.
Come quella volta.
Hermione lo vide al centro della stanza, posizionato sopra un tappeto
bianco dall’aria soffice e comoda, e deglutì non
potendone fare a meno, mentre si domandava cosa esattamente si
aspettava da lei. Quello che era certo, per lei, era che voleva essere
liberata al più presto, ma doveva aspettare che fosse lui a
decidersi: la sua bacchetta, contro ogni buonsenso, l’aveva
lasciata nel dormitorio. Era disarmata, e lui ne aveva potuto
approfittare. Certo, avrebbe potuto tornare da sola fino alla torre dei
Grifondoro, ma era certa che l’avrebbe seguita. Promise a
sé stessa che non sarebbe caduta nuovamente in una
situazione simile.
«Ho detto il tuo nome», ruppe il silenzio,
osservandolo dirigersi a passo sicuro verso il divano. «Ora
liberami».
«Fallo da sola, se ci tieni tanto»,
replicò solo, sedendosi ed occupando gran parte della
superficie. «Sei una strega intelligente, saprai di certo
come fare. Anche senza bacchetta».
«Non ho voglia di giocare, Draco»,
soffiò con un sospiro stanco, già esausta da
tutta quella situazione nella quale si era andata a cacciare. Avrebbe
potuto andarsene non appena si era accorta della sua presenza accanto a
lei, ma non l’aveva fatto e poteva incolpare solo
sé stessa - e ciò che lui aveva risvegliato, non
appena l’aveva guardata negli occhi - di quella debolezza.
Non trovava altri termini per poterla definire.
«Tu forse no, ma io sì. Vieni qui e siediti
accanto a me», la invitò, ma le sue parole
risuonarono come un ordine e lei tentennò, ferma davanti la
porta. «Non costringermi a ricorrere all’Imperio.
Sai che lo farei».
Hermione alzò di scatto la testa, sfidandolo con lo sguardo
e la voce. «Non oseresti».
«Mettimi alla prova», alzò noncurante le
spalle, replicando pacatamente, ma lei giurò di aver visto i
suoi occhi grigi ardere. «Il massimo che mi potrà
succedere sarà finire in punizione. Niente che non possa
sopportare».
«Chi sei tu?», gli domandò lei,
avvicinandosi fino ad arrivargli a poche spanne. «Come puoi
anche solo pensare di usare una Maledizione Senza Perdono, su
di me?».
«Dovrebbe esserti chiaro, ormai, Hermione. Gli scrupoli non
sono per me, non lo sono mai stati. Ho già perso tanto,
finora... per una volta voglio vincere, ed userò qualsiasi
mezzo a mia disposizione pur di riuscirci».
«Anche trasformarmi in una bambola sotto il tuo controllo?
È così che intendi...», Hermione si
interruppe, mordendosi nervosamente il labbro inferiore, mentre un
sorriso divertito appariva sulla bocca di lui.
«Avanti, finisci la frase. No? Bene, la finisco io al posto
tuo. Sì, ricorrerei anche a quello pur di riaverti con me
anche solo per un’ora. Puoi biasimarmi? Mi manchi. Mi manca
ciò che siamo stati. Mi manca ciò che potremo
essere».
«Ti sposerai. Non puoi volere che-».
«È esattamente ciò che voglio. Non la
amo, Hermione. Non riuscirò mai a farlo. Sai, se mi avessero
proposto di sposare te, non ci avrei pensato due volte. Ma Asteria...
il massimo che posso fare con lei è volerle bene, non
più di questo. Non potrei farcela, non finché
incontrerò te nei corridoi e in Sala Grande».
Hermione cercò di non dare peso al battito furioso del suo
cuore, e chiuse gli occhi provando a calmarsi. Ma come non avrebbe
potuto non emozionarsi, davanti ad una delle dichiarazioni
più dolci e romantiche che avesse mai avuto modo di
ascoltare da lui? Lo sforzo che fece fu immane... e non ci
riuscì. Lo amava troppo per riuscire a non reagire a quelle
parole.
«Non l’ho mai voluta, Hermione», riprese
a parlare, riempiendo il silenzio mentre la faceva sedere su di
sé. «Ho messo fine a tutto, è vero, ma
credimi quando ti dico che non ho mai preso decisione peggiore di
quella. Non sai lo sforzo che mi è costato dirti
basta».
«Questo non ti ha fermato, però»,
replicò lei, lasciando che Draco le respirasse sulle guance.
«Ciò che è fatto non si può
disfare».
«Sai, non avrei mai pensato di dirlo, ma... sarei pronto a
lasciarla anche domani, se solo tu mi dicessi di farlo. Se solo me lo
chiedessi».
«Lo faresti davvero?», gli domandò con
un sospiro, e si torse scomodamente su di lui dato
l’impedimento delle mani unite dietro la schiena. Avrebbe
dovuto infastidirla, eppure ciò che Hermione sentiva in quel
momento era tutt’altro.
«Sì», annuì lui, offrendole
la verità attraverso i suoi occhi. Un mondo di bugie che
iniziavano a cadere. «Il fidanzamento è stato solo
per accontentare i miei genitori ed i suoi, né io
né lei lo abbiamo voluto. Ecco perché te lo sto
dicendo. Sarei pronto a sciogliere quel contratto in qualsiasi momento.
Devi solo dirmi di farlo», bisbigliò contro la sua
bocca, sfiorandola appena come sapeva piacerle: un contatto appena
accennato, per farle desiderare un altro ben più profondo.
Hermione si lasciò vezzeggiare da lui, dalla sua bocca, dai
suoi occhi e dalle mani che le percorrevano un fianco in una lunga e
lenta carezza. Le era mancato tutto quello, ed ora che poteva tornare a
provarlo di nuovo le sembrava quasi inverosimile.
«Ho bisogno che tu mi dica di farlo. Non resisterei
altrimenti. Non è con lei, che vorrei passare i miei giorni.
Asteria non significa nulla, è solo
un’amica», la guardò ancora negli occhi,
e continuò a pregarla così. «Lascia che
la finisca con lei, e permettimi di riaverti con me».
«Io non-».
«Stenditi», le ordinò quasi, aiutandola
a sdraiarsi sulla schiena. Un lieve gemito di fastidio le
uscì dalle labbra quando si rese conto di non poter muovere
le braccia, finite tra la sua stessa schiena e la superficie fresca del
divano. Le si mise a cavalcioni, osservando dall’alto della
sua posizione il sentimento che poteva leggere negli occhi di lei.
Aveva accettato di fare qualunque cosa lui avesse in mente, seguendolo
dentro quella stanza: ormai non aveva più senso nasconderlo.
Draco avrebbe capito comunque che non poteva essere il passato per lei,
ed anzi, avrebbe desiderato essere il suo futuro.
Si rigirava pigramente la bacchetta tra le dita, scrutandola da dietro
le palpebre socchiuse, ed Hermione si rese conto di sapere cosa sarebbe
accaduto di lì a poco: i suoi vestiti sarebbero stati fatti Evanescere
insieme a quelli di lui, ed un velo scuro le avrebbe nuovamente coperto
gli occhi impedendole di vedere altro se non la sua sagoma indistinta.
Non era la prima volta, e sapeva esattamente cosa aspettarsi da lui.
Era quasi prevedibile, nella sua spontanea iniziativa, e lei non
riuscì a trattenere un verso di sorpresa non appena le fece
alzare appena la testa, velandole gli occhi con un tessuto mai usato:
la sua cravatta.
«Dovresti rilassarti», mormorò al suo
orecchio, piegandosi su di lei. «Non irrigidirti. Rischi di
farti male, altrimenti».
«Voglio vederti».
«No», replicò secco lui, scendendo con
le mani lungo la sua pelle scoperta. L’accarezzava piano,
sfiorandola appena con i polpastrelli e negandole ciò che
era sicuro avrebbe letto negli occhi di lei. «Devo usare un Silencio?»,
domandò, ed Hermione scosse la testa trattenendo a stento la
replica già pronta ad uscire dalle sue labbra.
«Bene», commentò ancora, percorrendole
il profilo del mento con le labbra, fermandosi poi al centro della sua
gola per graffiarla appena con i denti, «perché mi
dispiacerebbe non sentirti gemere».
Le sue labbra si tesero in una linea sottile non appena lo
percepì scendere su di lei, scivolando verso il fondo del
divano, e sentì le mani di lui sulle sue cosce, intente a
percorrergliele lentamente e con i palmi ben aperti, amplificandole la
sensazione di calore che iniziava già a percepire.
«Mi era mancato tutto questo», lo sentì
mormorare, ma fu un suono troppo flebile perché Hermione
riuscisse a capirne pienamente le parole. «La tua pelle, il
modo in cui riesci a lasciarti andare, come trattieni il respiro quando
entro dentro di te, come ti inarchi e chiami il mio nome quando
vieni... i tuoi occhi lucidi sono una delle cose più belle
che mi sia capitato mai di vedere, lo sapevi? No, certo che no. Non te
l’ho mai detto. Sta’ ferma», la
fulminò con gli occhi, ma lei non poté
accorgersene. Lo sentì spingerla maggiormente contro il
tessuto del divano, però, e la fitta di dolore che le
percorse le braccia intrappolate sotto la sua schiena la fece gemere.
«Liberami», tornò a ripetere, pregando
mentalmente affinché lo facesse davvero: odiava essere
inerme in quel modo, e non poterlo toccare. Lo aveva sempre odiato.
«Per favore».
«Magari dopo», ghignò lui, zittendo
prontamente il verso di protesta che le uscì dalle labbra
sfiorandogliele con le proprie. Hermione lo sentiva indugiare, giocando
con lei e con la pazienza che sembrava cominciare ad abbandonarla,
complice anche il divertimento che lui sembrava mostrare verso di lei,
continuando a negarle ciò che sapeva avrebbe voluto: sentire
ancora il sapore della sua bocca, e la sensazione della lingua di lui
contro la sua. L’accontentò dopo qualche istante,
chiedendo l’accesso oltre le sue labbra con la punta della
lingua, penetrandole poi attraverso un bacio umido.
E che Merlino la perdonasse, era mancato anche a lei.
«Ora voglio solo farti capire»,
proseguì, fingendosi criptico, ma Hermione aveva capito fin
dall’inizio dove sarebbe andato a parare con quel giochetto -
stranamente piacevole, nonostante la dolorosa immobilità
alla quale l’aveva costretta suo malgrado - che aveva
iniziato su di lei, «quanto mi sei mancata, e quanto mi sei
indispensabile. Vorrei che capissi che non posso amare altre che te,
Hermione».
No, Draco non giocava su
di lei.
Giocava con lei.
E lei lo lasciava fare, consapevole che non sarebbe mai riuscita
davvero a dirgli no. Aveva tentato innumerevoli volte, capitolando
sempre, alla fine, davanti a ciò che mai si era veramente
assopito: l’amore che aveva provato per lui, e che continuava
a provare tuttora nonostante tutto.
Nonostante le lacrime versate, nonostante le ore spese a fissare
piangendo quel fiore di carta, nonostante il fidanzamento di lui e la
solitudine dalla quale si era lasciata avvolgere, corazzandosi contro
ogni eventuale dolore. Era stato spazzato via tutto in meno di un
secondo, il tempo necessario per lei di vedere quegli occhi grigi e le
promesse che le avevano anticipato.
Tutto
sé stesso, offerto davvero su un piatto d’argento.
«Vorrei
che capissi che non è stata una mia scelta, questa,
né quella di innamorarmi di te. Eppure è
accaduto, ma ne sono contento. E so che per te è lo stesso,
lo sento da come respiri», soffiò ancora, contro
la pelle già sensibile del suo stomaco, salendo di poco con
una mano fino al suo seno. Hermione trattenne un ansito di sorpresa,
non appena sentì le dita di lui sfiorarle un capezzolo,
rendendolo immediatamente turgido: anche quello, come il resto del suo
corpo, non aveva affatto dimenticato il tocco di lui. Reagiva come se
non fosse passato nemmeno un giorno dall’ultima volta, e non
settimane intere.
«Non puoi nascondermelo, non ci sei mai riuscita.
Certo», proseguì, aumentando
l’intensità delle carezze su di lei, spostandosi
verso il suo interno coscia ed allargandole maggiormente le gambe per
arrivarci meglio. I suoi gesti erano meccanici, e non avevano la solita
delicatezza che li aveva sempre contraddistinti. «Ci hai
provato, ma non è servito… lo sai bene quanto me.
E per quanto tu tentassi, so che ero sempre lì, nella tua
mente. Te l’ho detto, non riuscirai a liberarti di me
così facilmente. Non potresti. Evanesco!»,
disse con sicurezza, puntando la bacchetta contro il viso di lei, e la
cravatta che aveva usato per bendarla sparì.
Non sarebbe riuscito a non ammirare l’amore negli occhi di
lei, non appena avesse acconsentito alla preghiera che ora vi leggeva.
E sorrise, aderendole nuovamente ed incastrandosi in modo che
reputò quasi perfetto, ondeggiando appena avanti ed indietro
tra le gambe di lei, anticipandole lo stesso movimento che avrebbe
fatto di lì a poco.
Hermione alzò la testa, e le palpebre le si chiusero come se
fossero dotate di volontà propria, inclinando la testa
all’indietro per sporgersi di più verso di lui.
L’impedimento delle braccia cominciava a pesarle, ma solo per
il fatto che non le avrebbe permesso di toccarlo, come lei invece
avrebbe voluto fare. Amava sentire la consistenza dei capelli fini di
lui tra le sue dita, e il movimento dei muscoli della sua schiena sotto
le sue mani. Amava sentirsi adorata da lui, amava la sensazione di
completezza che la pervadeva ogni volta che divenivano una persona sola
- o lo erano sempre state, in fondo? - ed amava l’appagamento
che giungeva sempre troppo presto.
Amava tutto di lui.
And
all we had?
You
saw me mourning my love for you
And
touched my hand
I knew you loved me then
Aprì gli occhi, infastidita da quello stesso suono, e si
trovò davanti un pezzo di carta piegato a formare un piccolo
uccello. Sorrise, scuotendo divertita la testa: era lo stesso tipo di
pergamena usata per formare il fiore.
Lo afferrò tra le dita e quello smise immediatamente di
agitare le ali, afflosciandosi quieto sul palmo della sua mano. Con la
coda dell’occhio vide una copia della Gazzetta del Profeta
posata sul comodino, piegata su una pagina che avrebbe letto non appena
fosse stata un po’ più sveglia.
Ritornò con gli occhi sulla pergamena, indugiando indecisa
se distenderla oppure lasciarla com’era, ma alla fine si
decise: l’aprì, e ciò che vi lesse le
fece spuntare un sorriso spontaneo e a dir poco entusiasta.
Si alzò velocemente dal letto, vestendosi in modo del tutto
affrettato rispetto ai suoi soliti standard, e si precipitò
fuori dalla Sala Comune, giù fino alla porta della Sala
Grande.
Sapeva che non era ancora salito per la colazione, e sperava di
intercettarlo prima che i mormorii degli studenti arrivassero fino a
lui.
Il cuore iniziò a batterle furiosamente, non appena vide in
lontananza l’avvicinarsi di una chioma bionda, e non volle
attendere oltre: gli andò incontro, noncurante dei bisbigli
che accompagnarono la sua camminata svelta verso di lui, e gli si
fermò a poca distanza.
Sorrideva, lui.
Sorrideva, ed aspettava una sua mossa.
Ed Hermione la fece, quella mossa: avanzò ancora di un
passo, lasciando che Draco la stringesse a sé per i fianchi,
e sentì una mano andare a cercare la sua mentre ripensava
alle parole che le aveva fatto recapitare poco prima.
Non le importava di niente.
Alcune delle frasi in corsivo provengono da qui,
dato che Paper Flower ne è il seguito.
Le scritte in blu, invece, appartengono a varie canzoni degli
Evanescence, senza i quali questa oneshot non sarebbe nata limitandosi
invece a restare solo un'idea. E al benestare della mia beta, che aveva
pensato fosse una nuova long. Cara, quella arriverà... prima
o poi. Abbi fede xD
Spero che questa shot vi sia piaciuta, e ne approfitto per rinnovare -
a chiunque legga - i miei Auguri di Buon Anno.
Mi auguro che stiate passando delle belle feste.
Grazie per essere arrivati fino a qui,
erzsi.