Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: Emily Alexandre    31/12/2015    1 recensioni
Chicago. America. 1921 D.C.
"-Lancelot Du Lac.- fu l’apparentemente commento della cognata.
-Sì, Lan ha avuto la bontà di assecondare tuo fratello, che non poteva accompagnarmi e non voleva che venissi da sola.
La donna tacque e Gwenevere si mosse nervosa; Morgana Pendragon era l’unica persona al mondo che sapesse metterla a disagio, sin da quando si erano incontrati la prima volta e aveva percepito, quasi fosse stata una sensazione sottopelle, che, anche se Arthur l’avrebbe amata follemente e per sempre, tutto quell’amore non sarebbe stato sufficiente a superare ciò che provava per la sorella. Un rapporto simbiotico, istintivo, che andava oltre la normale relazione affettiva tra fratelli e questo... questo la esasperava.
-Devo andare, il mio cavaliere mi reclama.
-Vieni a trovarci a Chicago, ultimamente ti fai vedere sempre meno.
Morgana sorrise, penetrante. –Lo farò.- fece per andarsene, poi si voltò nuovamente. –New York sa essere seducente, spinge a scommettere, a rischiare... e tu non sei una giocatrice.
La lasciò così, senza aggiungere altro. L’ennesimo enigma di Morgana."
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Caliburn'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Una scommessa d'amore
 
 
Chicago 1921
 
 
 
Lui si svegliò senza lei, nudo nella tempesta,
là fuori Union Square.
Entrava luce al neon dal vetro di una finestra.
L'odore del caffè.
Guardando quelle gambe muoversi pensò:
"E' una stella!"
Pensava a Fred Astaire!
E chi non ha mai visto nascere una dea
non lo sa che cos'è la felicità…
 
-La nuova stella di Broadway. Cesare Cremonini-
 
 
New York aveva sempre posseduto una magia tutta sua, che l’aveva stregato sin dal primo istante. Adorava Chicago, la sua città natale, ma la Grande Mela non aveva eguali. La villa dei Pendragon, poi, si affacciava su Central Park che, in quella sera d’inverno, cosparso di neve, sembrava essere uscito direttamente da Sogno di una notte di mezza estate.
Lan amava New York, ma durante quel soggiorno aveva un sapore in più, un’ulteriore meraviglia che non le era mai appartenuta perché mai, prima di quella volta, lei era stata al suo fianco.
Lan sorrise, sfiorando con le dita le poesie di William Blake, abbandonate vicino alla finestra quando chi le stava leggendo era stata richiamata frettolosamente ai propri doveri, un’ora prima; alle sue spalle era appesa una copia di  Il Grande Drago Rosso e la donna vestita col sole, che l’uomo trovava leggermente inquietante, ma che Gwenevere doveva aver apprezzato per l’assonanza con il cognome del marito. O, forse, semplicemente, aveva più gusto di lui, in fatto di arte.
Gwenevere Pendragon era una mecenate, adorava l’arte in ogni sua forma e spesso scherzando minacciava di fuggire a Broadway, per calcarne il palco, dimentica del proprio nome e del proprio rango. L’avrebbero adorata. Possedeva una forza poco comune nelle donne della sua estrazione sociale e una grazia che la rendeva benaccetta ovunque si recasse.
Il fiato gli mancava, quando si concedeva di indugiare su certi pensieri, su sentimenti che non aveva mai smesso di provare, neppure quando aveva scoperto che la misteriosa donna che lo aveva stregato in un locale di Chicago, mesi prima, altri non era che la moglie del suo Capitano, del suo migliore amico.
Amore, passione, senso di colpa, erano sensazioni con cui aveva imparato a convivere.
-Siamo in ritardo. Attribuirò a te ogni responsabilità, ovviamente.
Si voltò verso la porta del salotto e il suo cuore si fermò un istante, mentre Gwenevere si stagliava nella penombra, l’abito argentato che le fasciava il corpo e i capelli biondi acconciati in morbide onde.
-Potresti farlo.- le rispose porgendole un garofano rosso che aveva comprato quel pomeriggio, -Il problema è che nessuno ti crederebbe.
Gwenevere sorrise e prese il fiori, ringraziandolo. Camminavano sempre come equilibristi, loro due, attenti a non compiere mai un passo fuori dalla linea virtuale che avevano tracciato, fuori dai confini di moglie e di amico.
Probabilmente per questo neppure si toccarono, si accomodavano in macchina, una Ford decappottabile risalente ad anni prima.  
-Mi stupisce che la abbia ancora.- commentò Lan, riferendosi all’autovettura.
-Arthur è un romantico, lo sai, questa è stata la prima che ha comprato e la adoriamo. Pensava di conquistarmi così, sai? Atteggiandosi perché aveva una macchina, al contrario della maggior parte dei miei spasimanti.
-Alla fine ti ha sposata, però.
-Si, ma non per la macchina.
Chiacchieravano leggeri, mentre New York si stagliava fuori dai finestrini: il Plaza, Central Park, Times Square e, infine, Broadway con i suoi teatri, pullulante di vita e di bellezza, così immensa da essere quasi il centro esatto del mondo.
Avevano organizzato uno spettacolo per raccogliere fondi per gli orfani di guerra e Gwenevere non aveva esitato ad accettare l’invito; Arthur, però, aveva impegni a casa che non poteva rimandare, così aveva chiesto al suo migliore amico di accompagnare la moglie, senza avere il minimo sentore di quanto quel viaggio sarebbe stata una tortura per entrambi. Erano arrivati quella mattina per ripartire l’indomani e si erano visti solo alcuni minuti, poiché entrambi si erano dedicati alle rispettive occupazioni; quella sera, però, non potevano evitare la reciproca compagnia.
Lan non poteva fare a meno di chiedersi se l’idea di trascorrere la notte sotto lo stesso tetto la torturasse come stava torturando lui.
 
New York a Natale era incantevole e negli occhi di Gwenevere brillava l’allegria dei bambini, ingenua e totalizzante; incrociarono diversi Babbo Natale lungo la strada per il teatro, nati dalle illustrazioni pubblicitarie della Coca-cola solo l’anno precedente e che avevano riscosso un notevole successo, e vetrine allestite a festa. Quela festività sembrava essere in grado di cancellare per un po’ persino gli orrori della guerra.
Il teatro era uno scintillio di luci posizionate per l’occasione e Lan si ritrovò a stringere mani e sfoggiare sorrisi con persone sconosciute, che sembravano gareggiare per ottenere le attenzioni di chiunque vorticasse nell’ombra dei Pendragon; se egli ne era infastidito Gwenevere, al contrario, sembrava perfettamente a suo agio.
Tutto era perfetto, attorno a loro, scintillante e profumato di neve; Lan si cercava di mascherare la noia, osservava quei volti tutti uguali, donne truccate e uomini elegantissimi, giovani convinti che la vita sarebbe durata per sempre.
Poi la sua attenzione fu catalizzata da una splendida donna a cui tutti, istintivamente, facevano largo per permettere il cammino. Una donna dall’aria stranamente familiare che si avvicinò a Gwenevere, sorridendo con le labbra laccate di rosso fuoco.
Lan non l’aveva mai vista, ma la riconobbe.
Avevano ereditato entrambi la stessa bellezza algida della madre –pelle chiara, capelli biondi e occhi azzurri- ma possedevano, chi per genetica e chi, probabilmente, per istintiva emulazione, la forza carismatica di Uther Pendragon.
 
-Morgana, non sapevo saresti stata qui, Arthur non mi ha detto nulla.-
La presenza della cognata aveva colto Gwenevere alla sprovvista, ma cionondimeno le andò incontro con goia.
-Non lo sapeva. Non lo sapevo neppure io, fino a poche ore fa.
Gwenevere vide il suo sguardo posarsi alle sue spalle e scintillare di consapevolezza.
-Lancelot Du Lac.- fu l’apparentemente commento della cognata.
-Sì, Lan ha avuto la bontà di assecondare tuo fratello, che non poteva accompagnarmi e non voleva che venissi da sola.
La donna tacque e Gwenevere si mosse nervosa; Morgana Pendragon era l’unica persona al mondo che sapesse metterla a disagio, sin da quando si erano incontrati la prima volta e aveva percepito, quasi fosse stata una sensazione sottopelle, che, anche se Arthur l’avrebbe amata follemente e per sempre, tutto quell’amore non sarebbe stato sufficiente a superare ciò che provava per la sorella. Un rapporto simbiotico, istintivo, che andava oltre la normale relazione affettiva tra fratelli e questo... questo la esasperava.
-Devo andare, il mio cavaliere mi reclama.
-Vieni a trovarci a Chicago, ultimamente ti fai vedere sempre meno.
Morgana sorrise, penetrante. –Lo farò.- fece per andarsene, poi si voltò nuovamente. –New York sa essere seducente, spinge a scommettere, a rischiare... e tu non sei una giocatrice.
La lasciò così, senza aggiungere altro. L’ennesimo enigma di Morgana.
 
Albeggiava quando finalmente salirono in macchina e Gwenevere, ben lontana dall’essere stanca, lo fece fermare. Davanti a loro, Union Square. Nella piazza deserta qualcuno, come loro, ancora vestito con gli abiti eleganti stava rientrando a casa dopo una notte di follia, altri stavano iniziando una nuova giornata.
-Morgana ha ragione, New York è così diversa dal resto del mondo, ti spinge a scommettere. Sembra che tutto sia possibile qui, anche l’impossibile.
Lan rise, eppure l’inaspettata serietà che lesse negli occhi di lei lo spinse ad abbassare lo sguardo.
-Portami a casa, misterioso uomo del Roses.
-Credimi, ci sto provando.
Le cinse i fianchi con un braccio, ma Gwenevere non aveva alcuna intenzione di tornare in macchina: prese a camminare verso casa, le gambe snelle fasciate d’argento che catalizzavano l’attenzione dei passanti.
Portami a casa.
Avrebbe mai avuto il coraggio di dirle che, da quando l’aveva conosciuta, aveva finalmente trovato un posto in cui tornare, un luogo da chiamare casa? L’amore lo aveva stravolto. L’amore sarebbe stato la sua dannazione.
Si era chiesto mille volte perché, perché, fra tutte le donne proprio lei, l’adorata moglie di un uomo che era come un fratello, per lui. L’unico, che non avrebbe mai voluto tradire o ferire.
Arrivarono a casa in silenzio, Lan la accompagnò in camera e si voltò per uscire, ma Gwenevere lo fermò.
-Mia cognata si sbaglia. Io so giocare.
-Sono un gioco per te, Gwenevere?
Scosse il capo, onde bionde che imbrigliavano la luce del sole nascente. Bella, così bella da far male.
-Se non fossi chi sono, mi ameresti, ora, qui?
-Perché farmi questa domanda? Non possiamo cancellare la realtà... Ma anche se potessimo- aggiunse dopo un istante- non ti cambierei mai. Ti amo tutta, Gnew. Che Dio mi perdoni ti amo nonostante tuo marito.
Lo baciò con rabbia, poi lentamente. Lo baciò e l’impossibile divenne possibile. Era una scommessa con il fato. Era amore. Folle, terribile amore.
 
 ***** ***** *****

Pioveva. Il sole era sparito per far posto alle nubi e lei non era al suo fianco. Lan si sedette di scatto, il cuore che batteva furioso nel petto, nudo nel letto... nel loro letto.
Una cornice sul comodino era stata abbassata.
Nascose il volto tra le mani, mentre pensieri cupi gli vorticavano nella mente, eppure una parte di lui sapeva che non avevano fatto altro che cedere all’inevitabile. Non avrebbero potuto resistere per sempre, perché ciò che li univa non era la lussuria, ciò che rappresentavano non era uno sfizio.
Una scommessa, sì, ma una scommessa d’amore. L’impossibile che diventava possibile.
L’odore del caffè lo riscosse e, quando alzò lo sguardo, la trovò in piedi vicino al letto, con un vassoio tra le mani e la sua camicia addosso. Serena. Divina.
-È l’ultimo giorno dell’anno, Lancelot Du Lac. Non viverlo con quell’espressione angosciata su quel bel volto.
Arthur li aspettava a Chicago per festeggiare la notte di San Silvestro. L’amico. La moglie.
-Ti amo.
Qualsiasi altra parola sarebbe stata superflua.
Gwenevere sorrise. –Lo so. L’amore sarà la nostra rovina e la nostra salvezza. La nostra scommessa.
 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Emily Alexandre