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Autore: Kibou_    31/12/2015    1 recensioni
| larry stylinson!au | 8k parole | os divisa in due parti |
Quando il destino ti pone davanti una scelta, sei costretto a decidere:
sacrificare l'amore della tua vita, o sacrificare te stesso, lasciando l'altro nel dolore di una perdita?
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Avvertenze:
1) Non sono un medico e il linguaggio utilizzato potrebbe essere non del tutto corretto, quindi mi scuso in anticipo; ho fatto del mio meglio.
2) La storia è divisa in due parti: la storia di Louis e la storia di Harry; la seconda parte la posterò tra qualche giorno.

Buona lettura e se vi va, lasciate una vostra opinione, mi farebbe piacere :)




 
LET ME GIVE YOU MY LIFE
 


Mi sveglio. Prima ancora di aprire gli occhi, e ancor prima che il mio olfatto e il mio udito si risveglino, un brivido di freddo passa come una scossa per tutto il mio corpo e mi viene la pelle d’oca. Apro piano gli occhi, non trovando alcuna difficoltà nel farlo; il mio cervello registra subito la poca illuminazione del luogo in cui mi trovo. Quando ho gli occhi del tutto aperti, mi focalizzo sull’immagine che ho davanti: sopra di me, a parecchi metri di distanza, si estende un lungo soffitto di vetro da cui intravedo le nuvole scure e cariche di pioggia. Al tatto sento di essere disteso su una superficie dura e rugosa, sembra legno. A fatica cerco di sedermi, sentendo il petto farmi male. Appena fui con la schiena appoggiata allo schienale, mi guardai attorno: ero seduto su una panchina in legno molto umido, attorno a me non c’era anima viva e non sentivo alcun rumore, sentivo invece l’odore di polvere e forse anche di marcio; si percepiva distintamente che quel luogo non era visitato da molto tempo. La grande stanza, capisco in quel momento, è una grande stazione ferroviaria. Ai due estremi vedo a mala pena il tunnel nero da dove passano i treni, mentre ai lati vedo file di colonne che si dilungavano per tutto il perimetro della stazione; esse erano spoglie, senza alcun volantino o scritta a rivestirle. La stazione si divideva in due piani: in quello superiore, dove di solito si trovava qualche negozio, era completamente spoglio, ma coperto da un tetro muro grigiastro. Stranamente c’è un solo binario.
L’aria è impregna di umidità e faccio fatica a respirare; il petto continua a dolermi, come se ci fosse appoggiato sopra un enorme macigno; i muscoli sono rigidi e tremano ad ogni sforzo. Sono stanchissimo, e tutti questi sintomi mi portano quasi a pensare di aver corso per molto tempo e velocemente. Il mio cervello elabora subito mille domande: perché avrei corso? Correvo via da qualcuno o verso qualcuno? E chi potevano essere questi qualcuno?
Cerco di fare un grosso respiro per calmarmi, ma una fitta mi parte dallo stomaco e mi fa piegare in due dal dolore. Che diavolo sta succedendo?
Ero ancora chinato in avanti quando, aprendo gli occhi, vedo il palmo di una mano messo davanti al mio viso. Sollevo di fretta il busto, non senza aver prima strizzato gli occhi per un’altra fitta, e percorro con lo sguardo il corpo dello sconosciuto: prima la mano, il braccio, poi il petto – o forse dovrei dire più propriamente il seno – e infine il volto femminile e giovane. Non conosco questa ragazza, ma sorride e ha gli occhi talmente gentili e caldi che il mio corpo si rilassa e il cervello spegne l’allarme di pericolo.
 
“Chi sei?” chiedo, ma nessun suono esce dalla mia bocca.
 
Aggrotto le sopracciglia, confuso, e provo a parlare di nuovo, ma ancora una volta le mie sono parole mute. Mi faccio prendere da un attacco di panico e, ignorando completamente il dolore allo stomaco e ai muscoli, mi alzo di scatto dalla panchina e vado dietro ad essa, mettendo le mani sullo schienale. Cerco di fare respiri lunghi, per quanto questo mi fosse possibile, e pian piano mi calmai. Volevo urlare, prendere a pugni qualcosa o tirarmi i capelli dalla frustrazione, invece quello che feci fu semplicemente staccarmi dalla panchina e tirarmi il bordo del maglione che indossavo fino a vedere delle piccole strappature.
Alzo lo sguardo e, supplicante, lo rivolgo alla ragazza. Ella mi guarda con un leggero sorriso e uno sguardo compassionevole; penso che sia pazza. Come si può sorridere in un momento del genere? Come fa ad essere così calma? Poi fermo i pensieri e ragiono.
Chi è davvero il pazzo qui? Lei, che l’unica cosa che ha fatto è guardarmi, o io che ricordo appena il mio nome – Louis – e nient’altro? Io che pensando alla mia vita vedo tutto come un flashback sfocato, percepisco quelle cose come oggetti e persone che appartengono ai miei ricordi, ma sono troppo sfocate per riconoscerle davvero, per darle un nome o associarle ad un sentimento.
Mi arrendo, lasciando cadere mollemente le braccia lungo i fianchi e guardo la ragazza. Lei continua a sorridermi e indica con lo sguardo la sua mano ancora tesa verso di me. Sospiro e le vado incontro, intrecciando le nostre dita come farebbe un bambino con sua madre, e mi faccio condurre solo lei sa dove, dandole la mia completa fiducia.
Questo deve essere di sicuro un sogno. Anzi no, questo dev’essere per forza un incubo, un terribile e cupo incubo. Deve esserlo.
 
Camminiamo per quelli che sembrano minuti, o almeno credo – tutti gli orologi di questo strano posto sono fermi e indicano tutti lo stesso orario, le quattro e trentadue minuti, non so se di mattina o di pomeriggio.
Passiamo tra le varie colonne e panchine fino a quando giungiamo davanti ad un sottopassaggio, pronti a passare dall’altra parte del binario, a destra.
All’inizio ero timoroso di scendere laggiù, immaginavo fosse buio pesto, ma dovetti ricredermi quando vidi che le luci verdastre del neon andavano ancora. Quando arrivammo dall’altra parte, salimmo per una rampa di scale diretti al secondo piano. Appena in cima, la ragazza mi indicò con il braccio qualcosa in fondo, sulla sinistra. Socchiudo un po’ gli occhi per cercare di vedere meglio e focalizzare quel qualcosa, e capisco che quello che mi stava indicando era una grande porta bianca, come quelle d’emergenza, con infatti la scritta “uscita” sopra indicata.
Prima di incamminarci, però, mi guardai indietro, spinto da non so quale curiosità, e vidi una figura camminare lentamente e guardarsi intorno. Spalancai gli occhi quando lo riconobbi.
 



#inizio flashback
 
“Dai riaccendi la radio, mi piaceva quella canzone” piagnucolò la figura accanto a me.
Sorrisi e distolsi per un attimo lo sguardo dalla strada, per rivolgerlo verso il mio ragazzo e “mi spiace Harold, ma io quella canzone la odio, aspetta due minuti e poi la riaccendiamo” dissi.
“Ti prego, è bellissima” continua lui “ormai è anche quasi finita, puoi resistere” e poi con la coda dell’occhio lo vidi fare una faccia da cucciolo, con tanto di labbro inferiore all’infuori e il verso di un cane. Ridacchiai e alzai il volume della radio, sentendo l’ultimo ritornello di “Hideway” di Kiesza rimbombare per la macchina.
Harry emise un gridolino contento, e lo sentii muovere il busto e le mani al ritmo della canzone, compiendo gesti e smorfie imbarazzanti che mi fecero ridacchiare e riempire il cuore di gioia. Ero così distratto che non vidi il semaforo rosso e appena me ne accorsi frenai bruscamente, facendo prendere un colpo al ragazzo di fianco che, non avendo la cintura, andò quasi contro il cruscotto della macchina e ritornò indietro con un tonfo addosso al sedile.
“Ma sei impazzito?” mi urlò contro con gli occhi strabuzzati, la mano portata al cuore e il respiro affannoso.
“Era rosso, non potevo passare” mi difesi.
“Potevo farmi male” rispose, ora più calmo “passa col rosso no?” continuò ovvio.
“Sei serio? E tu sei sorpreso che all’esame ti abbiano bocciato?”
“Ovvio che sono sorpreso, me la merito la patente, ho solo beccato l’istruttore sbagliato, era un-”
“Era” lo interruppi io imitando la sua voce “un vecchiaccio pelato con l’alito pesante, probabilmente quella mattina deve aver mangiato qualcosa di marcio per essere stato così nevrotico, sospetto avesse il ciclo e sì, so che è un maschio ma non si sa mai.”
“Beh ho ragione” rispose con ovvietà.
“Bene, signor HoRagioneIo, invece di parlare si metta la cintura una volta tanto.”
Lui mi fece la linguaccia e mise le braccia incrociate, rifiutandosi di metterla.
Sbuffai, cercando di mostrarmi infastidito, ma non riuscii a trattenere un sorriso.
Lui ridacchiò, vedendomi in difficoltà, e mi diede un bacio sulla guancia “Ti amo”
“Anche io, tanto tanto” risposi e, appena scattato il verde, partii.
L’ultima cosa che sentii fu l’urlo di Harry e la macchina schiantarsi. L’ultima cosa che vidi fu il sedile di Harry vuoto.
 
#fine flashback
 



Adesso capivo tutto, quel ragazzo, quello dall’altra parte della stazione, era Harry. Ma cosa ci faceva là? Che posto è questo?
Devo raggiungerlo, abbracciarlo, averlo accanto a me. Urlo il suo nome, ma mi accorgo solo dopo che, ancora una volta, nessun suono esce dalla mia bocca.
Feci un passo verso la sua direzione, quando mi sentii trattenere. Mi girai e vidi la ragazza tenermi e guardarmi severa e supplicante.
Non ci pensai due volte e strattonai il braccio fino al liberarmi dalla sua presa, poi corsi la strada fatta fin’ora a ritroso. Scesi la lunga rampa di scale e mi diressi verso il sottopassaggio, pronto per un’altra scalinata. Nel mentre, però, inciampai nei miei stessi piedi e scivolai, rotolando per i gradini, fino a terra. Mi ritrovai disteso sul pavimento freddo, il viso rivolto ad uno di quei lampadari a neon, vedendolo confuso e sdoppiato. La luce mi accecava e chiusi un attimo gli occhi, poi persi conoscienza.
 
 



















Bip.
Bip.
Bip.
 
La prima cosa che sento è un dolore atroce al torace, faccio fatica a respirare e sento qualcosa in gola che non mi permette di ingoiare. Provo a rimanere tranquillo, cerco di non pensare che qualunque cosa sia nella mia gola non mi stia strozzando e focalizzo la mia attenzione su altro. Sento un rumore continuo in sottosfondo, regolare, un rumore acustico secco ma forte. Probabilmente è il macchinario che prende nota del mio battito cardiaco. Sento poi altri rumori strani, ma non riesco a riconoscerne nessuno. Provo ad aprire gli occhi, ma non ci riesco, sono come paralizzato. Oltre al dolore al torace, sento dolore anche lungo gli arti e alla testa, ma mi sembrano più tenui.
All’improvviso sento dei rumori che riconosco essere passi e persone che parlano.
 
“Salve signora Tomlinson, signora Styles” disse una voce dal tono cordiale.
Aspetta. Quei cognomi, li riconosco.
 
Mamma, mamma sono qui! Aiutami, ho paura, non riesco a muovermi, mamma!
 
“Salve” rispose mia madre; l’altra voce, la madre di Harry, ripeté il saluto ma con voce più bassa.
 
Dove sono? Mamma ti prego, dove sono? Aiutatemi!
 
“Ci sono miglioramenti?” domandò mia madre.
“Nessuno, purtroppo” rispose l’uomo, mortificato.
“Perché allora ci ha chiamato così d’urgenza, dottore?” chiese Anne preoccupata.
“Abbiamo trovato un donatore, i polmoni e il fegato coincidono con entrambi i pazienti.”
 
Polmoni? Fegato? Sono in un ospedale? Perché?
 
“Ma?” chiese di nuovo.
“Ma” sospirò il medico “ne abbiamo trovato solo uno e purtroppo, col tempo che abbiamo, questi organi potranno andare solo ad una persona, mentre l’altra non credo sopravvivrà abbastanza a lungo per aspettare un secondo donatore.”
“Non potete mantenerli entrambi come state facendo adesso?” chiese mia mamma.
“Questi macchinari sono purtroppo solo momentanei, non potranno mantenere i vostri figli per sempre, ed entrambi stando dando segni di cedimento. Nonostante abbiano un macchinario che respiri per loro, i polmoni sono troppo danneggiati e questo porta ad un affaticamento eccessivo del cuore. Se attendiamo ancora, sarà necessario un trapianto di cuore, e cercare un secondo donatore richiederebbe troppo tempo.”
“Ma quindi cosa ci sta chiedendo? Di scegliere a chi dei due dare gli organi? Non possiamo farlo” gli rispose alzando la voce.
“Ovviamente non potete decidere voi, nessun genitore potrebbe mai prendere questa decisione, per questo ci siamo noi medici, valuteremo nelle prossime ore chi è il miglior candidato per gli organi. Ora tutto quello che posso dirvi è come stanno esattamente le cose, senza usare mezzi termini.”
Ci fu un momento di silenzio, poi l’uomo parlò.
“Harry è quello messo peggio, gli organi stanno cedendo pian piano uno ad uno, e il donatore è l’unica speranza che ha di vivere, ma, nonostante Louis non sia messo molto meglio, quest’ultimo è l’unico che secondo il parere medico deve ricevere gli organi.”
“Perché se li merita mio figlio gli organi? Non è Harry quello messo peggio? Non capisco” disse mia mamma con voce tremante “che il cielo non mi maledica e neanche Anne, sono felice di questa notizia, ma tecnicamente le persone più gravi non dovrebbero essere le prime a ricevere le cure?”
“Solitamente si” rispose lui “ma ci sono casi, come questo, che il paziente più grave, dopo il trapianto, è quello che più facilmente rifiuterebbe gli organi. Oltretutto Harry è stato anche operato al cervello meno di ventiquattro ore fa a causa di una emorragia, e una seconda operazione, importante come un trapianto, svolta a così poca distanza dall’altra, è pericoloso. Quindi, nei peggiori dei casi, Harry morirebbe, nei migliori invece dovrebbe rimanere in ospedale qualche mese per la riabilitazione, che non sarà per niente semplice.”
“O mio Dio” disse Anne, con la voce strozzata; un secondo dopo la sentii singhiozzare.
“Non abbiamo scelta quindi? Non ci sono altri modi?” chiese mia mamma.
“Certo, gli organi potrebbero andare ad Harry e sperare che non li rifiuti, Louis per ora è abbastanza stazionario e questo ci potrebbe far guadagnare abbastanza tempo da trovare una seconda soluzione mentre aspettiamo un altro donatore. Come ho già detto, però, è molto rischioso. Potrebbero morire entrambi se seguiamo questa soluzione.”
“Louis potrebbe rifiutare gli organi?”
“Beh, come tutti i trapianti, per quanto un organo sia compatibile col paziente, quest’ultimo può rifiutarlo, ma tra i due ragazzi quello che ci risulta meno a rischio è proprio suo figlio.”
“Anne..”
“Non so se posso farcela, io..” rispose lei con tono disperato.
“Vi lascio sole, intanto vado di nuovo a consultarmi con gli altri medici. Vi faremo sapere” poi sentii una porta chiudersi.
 
Ci fu il silenzio per qualche minuto, durante il quale metabolizzai le informazioni ricevute. Io ed Harry abbiamo avuto un incidente. Siamo entrambi gravi. Ci sono organi solo per una persona. Probabilmente Harry morirà.
“E’ triste, guardarli così, senza poter far niente. Vorrei così tanto poter dare gli organi a mio figlio, dando la mia vita se necessario” disse Anne, interrompendo quel fastidioso silenzio.
“Lo so, ma noi non possiamo fare nulla, è così frustrante.”
“Chissà se uno dei due fosse qui invece che sul quel letto, sono compatibili tra di loro in fondo no? O non ci sarebbe solo un donatore a cui chiedere.”
“Probabilmente Louis avrebbe parlato tutto il tempo ad Harry, ricattandolo se solo avesse osato lasciarlo, e poi sarebbe andato dal primo medico che avrebbe trovato e gli avrebbe chiesto in ginocchio di aprirlo e toglierli tutti gli organi possibili per salvare il suo ragazzo” ridacchiò mia madre, il tono triste.
“Harry sarebbe stato tranquillo come al solito, avrebbe accarezzato i capelli di Louis, il viso, le mani, poi avrebbe pregato di trovare un donatore al più presto, maledicendosi il secondo dopo per aver pregato che una persona morisse” ridacchiò anche lei, sopprimendo un singhiozzo.
“Anne…”
“Lo so, sappiamo entrambe come probabilmente andranno le cose, tranquilla” le disse l’altra donna con tono arrendevole “probabilmente i primi tempi non ti vorrò vedere, e per un po’ ti odierò, nonostante non sia colpa tua, sappi però che nel profondo ti vorrò sempre bene come una sorella, e tornerò da te.”
 
No, vi prego no, non arrendetevi così, non potete.
Non posso.
Non voglio.
Non devo.
Non mi arrenderò. Troverò un modo per salvarlo. Farò di tutto.
 

Dopo poco sentii di nuovo una porta aprirsi, per poi chiudersi l’attimo dopo, non ci fu nessun’altro rumore se non quello dei macchinari.
Riprovai ad aprire gli occhi, e finalmente ci riuscii. Nonostante la forte luce, mi costrinsi ad aprirli del tutto.
Intorno a me tutto era bianco, intravidi dei fiori sopra un tavolo e dei quadri alle pareti. Girai la testa alla mia sinistra, da cui proveniva la forte luce, che capii fosse il sole; poi c’era un comodino con altri fiori e dei macchinari. A fatica girai la testa dall’altra parte, alla mia destra, per poi maledirmi e voler piangere da quello che vedevo: Harry, il mio Harry, circondato da ogni tipo di macchinario esistente, da quello che lo faceva respirare, ad altri che gli trasmettevano dei liquidi dentro il corpo. Era pieno di fasciature, a mala pena si intravedeva il viso, coperto di macchie violacee e rosse, l’occhio sinistro gonfio e nero. Portai lo sguardo al soffitto, cercando di trattenere le lacrime e calmarmi. Iniziai a sentire il respiro farsi più faticoso e il torace dolermi per il continuo alzarsi e abbassarsi, mentre la macchina che segnava il battito continuava a suonare sempre più velocemente, troppo velocemente.
 
Lui non morirà. Lui vivrà. Non importa come, troverò il modo, e lui vivrà.
 
A fatica, girai di nuovo il volto verso di lui e lo guardai.
 
Ti prometto che ti salverò Harry, costi quel che costi.
 
Sentii la porta spalancarsi e delle voci che urlavano. Non vidi più niente.
 
 
Harry.
Devo salvarti.
Dove sei?
Harry.

 


















“Harry!” urlai, non emettendo suono.
Mi svegliai di soprassalto e cercai di capire dov’ero ora. L’aria umida; una leggera luce veniva dall’alto, fastidiosa; delle scale; tastai il pavimento e sentii del cemento freddo sotto le dita. Ero di nuovo in quella strana stazione, nel sottopassaggio.
 
Cosa ci facevo lì?
 
All’improvviso ricordai la figura che avevo visto in lontananza quando ero di sopra. Harry.
Quando appoggiai le mani al suolo, per alzarmi, percepii un dolore alla gamba destra, in alto, dove si trovava la tasca. Tastai quel punto, sentendo qualcosa di solido, piccolo, e dalla forma quadrata. A quanto pare, quello che avevo in tasca nella realtà, si riproduceva anche qui. Effettivamente, anche se in ospedale ho il camice, non venuto in questo luogo non appena svenni in macchina. Tastai l’altra tasca e trovai qualche moneta, mentre nella tasca posteriore trovai il portafoglio. Incoraggiato dal motivo per cui eravamo in macchina quel giorno, pieno di forze, mi alzai in piedi, ma sentii subito una forte fitta al torace. Mi misi una mano sul cuore, stringendo il maglione nel pugno. Dopo qualche attimo iniziai a correre velocemente, ignorando il dolore. Forse quello che mi succedeva nella realtà si ripercuoteva qui. Sentii un'altra scossa ma non mi fermai. Che mi stessero dando le scosse con defibrillatore? Sentivo un peso regolare sull’addome, poi una scossa che mi faceva piegare in avanti mentre correvo; ogni tanto vedevo sfocato. Dopo poco, uscendo dal sottopassaggio, finirono anche le scosse e respirai meglio, avevano finito. Non sapevo ancora esattamente dove fossi, probabilmente in uno strano posto dove stanno le persone sospese tra la vita e la morte, non lo so, so solo che devo trovare Harry e insieme penseremo a cosa fare. Anche se non potremmo parlare a voce, in un modo o nell’altro riusciremo a capirci, l’abbiamo sempre fatto, basta uno sguardo ed è come se ci leggessimo nel pensiero.
Se però, alla fine, quella ragazza che penso mi volesse riportare tra i vivi, accettasse solo una persona, allora mi sacrificherò io.
Amo la mia famiglia, i miei amici, la mia vita, ma amo troppo Harry e non sarebbe vita quella che vivrei senza di lui. Non sarebbe vita un luogo dove ogni giorno invece di gustarla, avrei sempre quel peso sul cuore che mi ricorderebbe in ogni momento la decisione di salvare me e non tentare nemmeno di salvare lui. Sarebbe solo una vita con lo scopo di arrivare a fine giornata. Sopravvivere.
Quindi, tra una vita grigia fatta solo di sentimenti finti, e morire sapendo di aver vissuto sul serio, scelgo la seconda. Io scelgo Harry.
 
Fuori dal sottopassaggio, iniziai a guardarmi in giro, gli occhi che guizzavano alla ricerca di una figura dai capelli ricci. In fondo, dritto davanti a me, lo vedo e ricomincio a correre. Il petto mi fa male ad ogni passo, l’aria inizia ad essere ancora più irrespirabile di prima e ho di nuovo la vista un po’ offuscata, ma non mi fermo e arrivo da lui, circondandolo con le mie braccia in un abbraccio improvvisato, facendolo quasi cadere per la mia foga. Mi stacco leggermente da lui, giusto per girarlo, e portare le mie mani dalla sua schiena alle sue guance. I miei occhi si specchiano nei suoi, di un verde più scuro di quello che ricordavo, leggermente grigi, ma sempre con quel velo di luce che mi fa capire che sta bene.
Sorrido, contento di averlo ritrovato, mentre lui dopo l’attimo di sorpresa con cui l’avevo colto, spaesandolo, mi sorride di riflesso e vedo le sue labbra muoversi.
Indico il mio orecchio con l’indice, scuotendo la testa nel mentre, cercando di fargli capire che non lo sentivo. Si rattrista, e io gli accarezzo piano la guancia, questi sono gli ultimi momenti con lui. All’improvviso si riscuote, allargando le braccia e, allontanandosi da me, fa un giravolta su se stesso. Scossi la testa per fargli intendere che non capivo, allora lui ripetete l’azione una seconda volta, scuotendo di più le braccia. Continuavo a non capire.
 
“Dove siamo? Che posto è questo?”
 
La sua voce. Avevo appena sentito la sua voce, ma non aveva mosso le labbra. Aspetta, vuoi dire che.. Mi concentrai.
 
“Harry.”
 
Lui mi guardò in modo strano, sorpreso. Io gli sorrisi, a quanto pare si può parlare telepaticamente, o una cosa del genere. Per fortuna.
 
“Tu hai parlato-cioè hai pensato-comunicato, tu-” mi avvicinai e gli misi le mani sulle spalle, sorridendogli “calmati, respira” dissi.
Fece un grosso respiro e “Lou, dove siamo?”
 
Mi rabbuiai. Non sapevo se dirgli la verità o inventarmi qualche scusa. Da una parte sapevo che era giusto che sapesse la verità, ma cosa avrebbe fatto appena avesse saputo? Era anche vero che non riuscivo a pensare ad una scusa da inventarmi.
 
“Cosa ti ricordi?” chiesi, strofinando le mani su e giù per le sue spalle.
“Mi ricordo solo che eravamo in macchina, e stavamo cantando.”
“Abbiamo avuto un incidente Harry” gli dissi schietto, interrompendolo.
“Cosa? No, asp-aspetta, siamo m-morti quindi? O-Oddio no-o” iniziò ad agitarsi portando le mani al volto, delle lacrime iniziavano a rigargli il volto mentre il respiro accelerava.
Gli presi i polsi allontanandoli dal viso e lo abbracciai forte.
“Harry, amore, calmati, va tutto bene, non siamo morti.”
“C-Come?” chiese guardandomi incerto.
“Non siamo morti, non ancora almeno.”
“Spiegati” disse, e si asciugò le lacrime con le mani.
“Siamo in ospedale, in gravi condizioni, e stanno cercando degli organi, ma siamo ancora vivi.”
“Siamo in una specie di coma quindi?”
“Si, credo di si.”
“E come fai a sapere tutte queste cose?”
“Mi sono svegliato, per qualche minuto, ho ascoltato le nostri madri e i medici parlare”
gli confessai “ti ho visto Harry, sei ridotto malissimo amore mio” sussurrai poi.
“Lou..” mi guardò triste, poi mi avvolse in un abbraccio. Misi il volto nell’incavo del collo, chiusi gli occhi e respirai lentamente.
 
“Come facciamo a risvegliarci?” chiese dopo un po’, staccandosi dall’abbraccio.
“Credo che prima debbano trapiantarci i nuovi organi, poi ci risveglieremo.”
“Quindi dobbiamo solo aspettare giusto?”
 
Lo guardai pensieroso. Non potevamo aspettare, non c’era tempo. Chissà quanti minuti o ore erano passate da quando sono tornato in questo posto. Girai lo sguardo da un’altra parte e mi accorsi solo allora che accanto a noi c’era la ragazza di prima.
 
“Quanto tempo abbiamo ancora?” le chiesi.
Harry guardò prima me, dubbioso e non capendo, poi guardò la ragazza attendendo la risposta.
“Fino all’arrivo del treno, poi Harry dovrà salire e andarsene.”
“Salire sul treno? E perché devo salirci io?” poi mi guardò “verrai anche tu con me vero?”
“No, devi salirci solo tu” disse riferendosi a lui.
“Ma perché? Non capisco, Lou aiutami” mi chiese implorante, stringendo tra le sue mani il mio maglione.
“Tranquillo amore, non salirai su nessun treno, ci salirò io” gli risposi, accarezzandogli la testa e prendendo tra le mani qualche ciocca dei suoi capelli.
La ragazza spalancò gli occhi e la bocca, scioccata.
“Non puoi, tu-”
“Ci salirò io, punto e basta. Tu dopo porterai Harry all’uscita, sano e salvo” dissi, sottolineando il fatto che lo volevo sano e salvo. Lui ce l’avrebbe fatta.
Lei sospirò “non ce la farà, sarà inutile, morirà comunque.”
 
La guardai allarmato, Harry poteva sentirci porca puttana, non posso permetterlo.
“Tranquillo, stiamo parlando solo tra di noi, l’ultima cosa che ha sentito il ragazzo è che ci salivi tu sul treno.”
“Di cosa state parl-”
 
All’improvviso il pensiero di Harry si fermò, e così il suo corpo. Era immobile, non vedevo neanche il suo torace muoversi per respirare. La stazione, se possibile, si fece ancora più scura e cupa.
“Ho fermato il tempo” disse la ragazza “non posso farlo per molto, giusto il tempo di qualche minuto.”
“Perché l’hai fatto?”
“Harry stava notando che stavamo parlando tra di noi, e quello che ti sto per dire potrebbe non avere una risposta di pochi secondi, o una risposta tranquilla; credo che impazziresti e, da quel che ho capito, non vuoi far preoccupare il tuo ragazzo.”
“Cosa vuoi dirmi?”
“Harry sarà destinato a morire. Hai sentito i medici no? Il fatto che tu ti stia sacrificando ora, tarderà solo il momento della sua morte.”
“Avrà gli organi, avrà una possibilità che non avrebbe potuto avere se io fossi rimasto in vita. Tu puoi dirmi con assoluta certezza che morirà, nonostante il trapianto? O continui a dire che morirà solo perché il destino dice questo?”
“Beh io..” tentennò “è il destino che lo dice. Harry morirà.”
“Peccato che io stia cambiando le carte in tavola. Secondo il destino, dovrebbe essere Harry quello a salire su quel treno, ma indovina un po’ chi ci sta per andare?” risposi, e una lacrima mi scese lungo la guancia.
“Sono io che morirò” aggiunsi, puntandomi il dito contro “ed Harry avrà la possibilità che il destino non voleva dargli.”
Inspirai ed espirai tremante poi, dopo un momento di pausa, continuai.
“Non so dove andrò dopo; non so se esiste un paradiso, un inferno, o semplicemente mi reincarnerò in qualcos’altro o cadrò nell’oblio. Stanne certa, però, che ovunque io sia, farò tutto il possibile e l’impossibile per fare in modo che Harry viva. Lui lo merita, perché io gliene sto dando la possibilità, e il caro destino sarà costretto a riscriversi se non vuole avere problemi con me.”
 
Mi sedetti, portando le gambe al busto e appoggiando la testa sulle ginocchia.
“Lui è il mio tesoro più grande” sussurrai con la voce rotta da un pianto che stava per iniziare “lui è il miglior premio che potessi ricevere per il sacrificio che sto compiendo. E’ come quando partecipi ad una gara e perdi, ma ricevi comunque un premio di consolazione: che sia un semplice pezzo di carta con su scritto ‘premio per la partecipazione’ o una cena con i tuoi familiari, che ti fanno i complimenti; che ti dicono che per loro sei stato il migliore, e allora ricevi il tuo piatto preferito come premio. Harry per me sono queste cose, è il miglior premio che potessi ricevere. Sapere che lui vivrà, è la miglior consolazione. Non sto facendo l’eroe della situazione, non voglio far credere che questo sacrificio non mi pesi; mi pesa eccome. Ma poi penso ad Anne, a sua madre, e penso che lei si sacrificherebbe cento volte pur di salvare suo figlio. Quindi, mi chiedo, perché l’amore che prova lei deve essere così diverso dal mio? Io lo amo tanto quanto lei, se non di più, e non riesco a non pensare che il risultato del mio sacrificio sia più importante della paura che ho di morire.”
“E’ toccante quello che mi stai dicendo, ma le cose non cambieranno” disse con voce dura.
“Te l’ho già detto” dissi alzandomi e tirando su col naso, mi passai le mani sul viso per togliermi ogni traccia di lacrime. Fra poco il tempo ricomincerà a trascorrere.
“Harry non morirà. Farò di tutto per impedirlo. Al costo di tornare sulla Terra sotto forma di una qualche specie di spirito e fare in modo che qualcuno muoia per dargli i suoi organi. E’ spregevole lo so, è schifoso quello che sto dicendo, ma intanto che mi importa di me? Che importa se sarò dannato, se poi lui vivrà?”
“E non pensi ai familiari e agli amici di quella persona che tu a quanto pare vuoi uccidere?”
“L’ho già detto che è schifoso quello che ho detto no? Ma non riesco a pensare a nient’altro ora come ora.”
 
“Perché lo fai?” chiese dopo un po’, “perché continui a combattere nonostante sai che tu comunque morirai?”
“Credo che bisogni vivere senza nessun rimpianto” risposi schietto e sincero.
“Per quanto tu possa combattere, è Harry che ha in mano il suo destino. Se nel momento in cui tu sei sul treno, e sta partendo, e lui decide che tu non puoi sacrificarti, i posti si scambieranno: sarà lui sul treno in partenza, e tu qui sul cemento, pietrificato, senza che tu possa fare un solo movimento.”
“Farò in modo che lui non scopra cosa sto per fare” le dissi sicuro di me.
“Capirà” disse, alzando la mano probabilmente per far ripartire il tempo “senza che qualcuno gli dica qualcosa, lui capirà.”
 
Uno schiocco e tutto si fece più chiaro, come prima, e il corpo di Harry ricominciò a muoversi con l’alzarsi e l’abbassarsi del suo stomaco a ritmo col respiro. Il ragazzo all’inizio fece una faccia confusa, poi scosse la testa e mi guardò.
“Di cosa state parlando?”
“Di cosa mi succederà appena salirò sul treno. Prima mi aveva solo accennato al fatto che mi sarei svegliato” risposi pronto, sorridendogli leggermente.
“E perché io non posso venire con te? Non posso svegliarmi?”
“Ti sveglierai, solo non subito. Questa ragazza-”
“Vanth” mi interruppe lei.
“Vanth, ti porterà dietro quella porta lì in alto” e indicai il piano superiore, dove all’incirca si trovava la porta “così che nel frattempo non ti succeda niente nel mondo reale. Mentre ero sveglio ho sentito che mi opereranno per primo, perché sono più grave, mentre tu sei ancora stabile. Poi, quando io avrò finito, Vanth farà in modo che ti svegli anche tu. Staremo bene, capito?”
“Ancora non capisco perché non posso venire con te”
“Perché starai bene finché dormirai. Non puoi essere operato subito, hai avuto un’emorragia al cervello e devi aspettare un lasso di tempo prima di subire una seconda operazione, altrimenti sarebbe troppo rischioso. Capisci?” risposi, ricordandomi per fortuna la spiegazione che aveva dato il medico alle nostre madri riguardo le sue condizioni.

“Okay, capito, scusa se mi comporto così” disse sorridendomi dispiaciuto.
“E’ normale, per questo ci sono io a calmarti” gli risposi, accarezzandogli la guancia.
“Grazie.”
“Ricordati che io ci sarò sempre per te, anche quando siamo lontani, anche se non mi vedi, io sono con te okay?” dissi, non riuscendo a fermare quel flusso di parole.
“Ookay? Tutto bene? Ci rivedremo nel giro di poco no?” chiese dubbioso.
“Certo, volevo solo fartelo sapere, ogni tanto che faccio il romantico potresti stare al gioco?” misi il broncio, fingendomi offeso. Lui ridacchiò.
“Oh, scusami tanto Mr Romanticone, non ti rovinerò mai più i tuoi momenti di tenerezza.”
“Ti conviene” e mi lasciai sfuggire un singhiozzo.
“Ehi, che succede? Lou?” mi prese il volto fra le mani e mi guardò dritto negli occhi.
“Scusami è che, ho rischiato di perderti, è tutta colpa mia” iniziai a piangere.
“Non è colpa tua-”
“E di chi è? Dovevo essere più severo, dovevo farti mettere la cintura io-”
“E avremo fatto l’incidente lo stesso. Siamo passati col verde ricordi? E’ colpa dell’autista del camion, non tua” cercò di tranquillizzarmi.
“Si ma..”
 
Ma non staresti morendo, staresti nelle mie stesse condizioni, avresti una possibilità, pensai.
 
“Niente ma, stai tranquillo” e mi sorrise incoraggiante.
 
Quanto mi mancherà quel sorriso. Quelle fossette. Quegli occhi. Tutto di lui mi mancherà. Spero che non si ricordi di queste conversazioni, altrimenti mi odierà a vita. Odierà me per non avergli detto la verità, per essermi sacrificato, e odierà sé stesso per avermelo lasciato fare. Spero solo che andrà avanti nella sua vita, prima o poi.
 
“A cosa stai pensando?” chiese.
“Che ti amo, tanto tanto.”
“Ti amo anche io.”
 
Stava per baciarmi quando all’improvviso sentimmo un forte rumore, mi girai e vidi che era appena arrivato il treno. Era il momento. Per un attimo volli essere egoista, per un attimo pensai a tutto quello che mi sarei perso; per un attimo pensai a come si sentirà Harry appena si sarebbe svegliato; per un attimo pensai alla mia famiglia e ai miei amici; per un attimo pensai che il destino mi stava dando la possibilità di vivere e io la stavo gettando nella spazzatura; per un attimo pensai che la mia morte sarebbe stata inutile, perché forse anche Harry sarebbe morto.
Tutto questo, però, lo pensai in un attimo, perché quello dopo pensai che ne valeva la pena. Ero ottimista, Harry sarebbe vissuto e tutto sarebbe andato per il meglio.
Appena il treno si fermò, una delle porte si aprì davanti a noi, rivelando un uomo con la schiena curva, vestito con pantaloni e giaccia grigio scuro, camicia bianca e cravatta del medesimo colore dell’abito; era imbronciato, pieno di rughe, con i capelli bianchi e gli occhi nero pece. Deglutii e strinsi forte la mano di Harry per darmi forza. Nonostante tutto, nonostante fossi convinto di quello che stavo facendo, non ero pronto.
 
Non sono pronto.
Non voglio morire.
Voglio vivere.
 
Harry mi strinse la mano a sua volta e mi fece voltare verso la sua direzione.
 
“Ci vediamo dopo okay?” disse sorridendomi.
 
Cosa ti sto facendo amore mio?
Qual è l’egoismo più grande? Lasciarti nel dolore di una perdita, o sacrificarti per salvare la mia vita?
 
“Certo” risposi sforzando un sorriso.
“Ehi” disse mettendo di nuovo le mani sulle mie guancie “andrà tutto bene, vedrai che non ti accorgerai neanche del tempo che passa.”
 
“Ci ricorderemo di quello che sta succedendo qui?” chiese ad Vanth.
“No, non ricorderete assolutamente niente.”
“Beh, allora devo approfittarne” disse, e io lo guardai interrogativo.
“La notte a volte mi dai dei calci” strabuzzai gli occhi “non fare quella faccia, è vero. Siamo abbracciati, ma poi ad un certo punto inizi ad agitarti e mi dai dei calci sulle gambe, e a volte col ginocchio mi hai colpito anche nelle parti intime. Non sai quante volte avrei voluto solo prenderti e buttarti non solo giù dal letto, ma anche giù dalla finestra; sai anche tu quanto detesto essere svegliato all’improvviso. Alla fine però mi ricordo che ti amo, allora semplicemente ti giro in modo che la tua schiena sia contro il mio petto, almeno i calci li dai alla coperta e non a me. Se non sono troppo stanco, dopo rimango per un po’ sveglio a guardarti dormire. Vedo il piccolo broncio svanire, sostituito da un viso rilassato, con le labbra leggermente piegate verso l’alto, e mi innamoro un po’ di più.
 
Adoro quando metti su i miei vestiti, perché mi dai l’aria di un peluche tutto da coccolare. Però tu, quando vai a fare la doccia e metti la roba a lavare, ti dimentichi sempre che la roba che indossavi era la mia, allora in lavatrice si restringe e io non posso più metterla. Allora poi tu ti lamenti e io devo comprare nuovi vestiti, così che tu possa indossarli con il mio odore ancora addosso. Allora litighiamo, perché non ci sarebbe il problema di prendere nuova roba se tu stessi più attento, ma tu fai quegli occhietti da cucciolo e finisce con noi che facciamo battute su quanto stiamo bene senza vestiti e facciamo l’amore.
 
Quando torni dagli allenamenti di calcio, pensi sempre che mi piaccia abbracciarti e sentire il tuo odore, perché quando c’eravamo conosciuti era la prima cosa che ti avevo detto. Tu mi piacevi, ero nervoso e impacciato, ed era stata la prima cosa che mi era passata per la mente di dire. Ma io lo odio quell’odore, un conto è il sudore post sesso, un altro è quello schifo che hai dopo aver corso a destra e sinistra. Trattengo sempre il respiro quando mi abbracci. Grazie a te ora so stare sott’acqua per un minuto intero senza respirare.
 
Ah, e ti ricordi di Elisabeth? La tua amica d’infanzia per cui mi dici di non essere geloso ogni volta che ci viene a trovare o che tu ci esci fuori? Beh, non sono geloso. Lo ero una volta, le prime volte che la incontravo, ma ora la considero un’amica e parliamo spesso, quindi i tuoi continui commentini sul non essere geloso mi fanno solo innervosire. Ci apparteniamo: io sono tuo e tu sei mio. Non ho dubbi su questo, non ho bisogno di essere geloso.”
“Hai finito?” gli chiesi un po’ infastidito per tutta quella confessione.
“In realtà no, ma le altre cose sono di poco conto” disse scrollando le spalle.
“Perché mi hai detto tutte queste cose? Lo sai che poi ci dimenticheremo di tutto questo vero?”
“Lo so, ma avevo bisogno di sfogarmi.”
“Continuo a non capire.” Lui prima sbuffò, poi mi rispose.
“Non voglio che cambi niente di quello che ho detto. Nonostante tutto amo i tuoi calci – un po’ meno quelli sull’inguine ma va beh – amo il fatto che mi rimpicciolisci le magliette, amo il tuo sudore post calcio e amo le tue sottospecie di rassicurazioni, so che vuoi farmi capire che sei solo mio. Non c’è niente di te che odio, perché queste piccole imperfezioni, rendono te quello che sei; rendono te la persona perfetta per me, la persona che ho imparato ad amare.”
 
Non riesco a trattenermi e scoppio a piangere. Mi odierà così tanto. Così tanto.
 
“Ehi, hai detto tu che devo stare al gioco quando hai i tuoi momenti di tenerezza, sono stato bravo no?”
“Sei stato meraviglioso” e lo bacio.
Lo sento sorridere e mettere le braccia intorno al mio collo, accarezzandomi i capelli, mentre io stringo la sua vita tra le mani. Passo la lingua sul suo labbro inferiore, chiedendo subito l’accesso alla sua bocca. Lui l’apre e svelto mi intrufolo, facendo incontrare le nostre lingue. Sento il suo sapore, che sa ancora di quelle caramelle che avevamo comprato prima dell’incidente, e porto le mani alla sua schiena, circondandolo completamente.
 
Lo bacio con così tanta forza che il resto scompare; così tanto che non respiro e il petto mi duole; così tanto che me ne frego altamente perché quello non è il dolore per la mancanza d’aria, quello è il dolore perché sto soffrendo. Sentire il suo corpo, sentire il suo odore, sentire la sua voce; vedere quegli occhi color smeraldo, così verdi e luminosi da far invidia a madre natura; vedere quelle sue fossette e quelle guancie che vorrei pizzicare ogni volta che sorride; vederlo cucinare con quel suo ridicolo grembiule rosa con la faccia di un maiale sul davanti; vederlo nuotare in mare d’estate, e guardarlo cadere dalla tavola da surf anche da fermo; vederlo mentre fa quelle coroncine di fiori la primavera, nel giardino di casa nostra; vederlo camminare affianco a me, le mani intrecciate, mentre passeggiamo sotto un viale di alberi d’autunno, con le foglie secche che scricchiolano sotto i nostri piedi; vederlo mentre d’inverno fa un pupazzo con i bambini del vicinato, giocando con loro in una battaglia di palle di neve, io che divento ogni volta il suo scudo.
 
“Louis? Ehi, Louis!”
Mi risveglio dai miei pensieri e lo guardo, non mi ero neanche accorto che avevamo smesso di baciarci.
“Cosa?”
“Questo tipo, per quanto possa sembrare incredibile, sta diventando sempre più imbronciato a ogni secondo che passa, forse è meglio se ti sbrighi ad andare.”
“Io, si.. Hai ragione. D-Devo andare” dissi, mentre l’agitazione pian piano prendeva il sopravvento.
“Prima però, penso che abbiamo ancora un minuto quindi spara, dimmi tutto quello che nella realtà non mi diresti mai. Sfogati, giuro che non mi arrabbierò.”
“Non ho niente da dire” risposi dopo averci pensato per un po’.
“Ma come? Andiamo, non sono perfetto, avrò anche io i miei difetti.”
“Si, hai anche tu i tuoi difetti, ma non voglio dirteli. Voglio che siano il mio piccolo segreto.”
“Ma non ha senso.”
“Ha senso, per me. E’ così strano dire che ti amo di più quando fai qualcosa che mi infastidisce? E’ in quei momenti che apprezzo di più chi sei, ed è in quei momenti che mi sento più vivo. Perché se tu fossi perfetto, ogni cosa sarebbe una noia, e non ti apprezzerei, perché faresti tutto quello che ti dico, e io voglio qualcuno che si opponga. Io voglio le litigate, perché in questo modo superiamo gli ostacoli, e che vita sarebbe se non ce ne fossero? Non voglio dirti i tuoi difetti, perché per me invece sono le cose più perfette che hai, il resto è un difetto. E poi, se mai ti ricorderai di questa conversazione, cambieresti questi tuoi cosiddetti difetti, e io non voglio; quindi non te li dico.”
“Oh Lou..” disse intenerito “ormai io i tuoi te li ho detti, ma non cambiarli okay?”
“Tranquillo, non avevo intenzione di farlo” rispondo, facendogli un buffetto sul naso.
 
“Sai una cosa?” aggiunsi dopo poco, mentre ero fermo a fissarlo negli occhi “Non so se quello che ti sto per dire lo dimenticherai o meno, ma ti voglio svelare una cosa. Io ti amo, più di qualsiasi altra cosa al mondo, e nonostante la nostra giovane età, nonostante abbiamo poco più di vent’anni, io voglio sposarti Harry Styles. Voglio che tu diventi mio marito. Io voglio il per sempre, con te.”
 
Tirai fuori dalla tasca dei pantaloni un cofanetto. Ecco quello che mi aveva dato fastidio quando ero rinvenuto dallo svenimento, al sottopassaggio. L’anello.
 
Quel giorno avevo deciso di chiedergli di sposarmi, proprio nel parchetto in cui ci siamo parlati per la prima volta. Quel parchetto in cui, a sedici anni, mentre giocavo a calcio con Zayn, un mio amico, vennero verso di noi tre ragazzi. Uno era Liam, anche lui un mio amico, accompagnato da due persone che non avevo mai incontrato. Si presentarono: uno si chiamava Niall, era più piccolo di me di un anno, e mi aveva stretto vivacemente la mano, dicendo che saremo diventanti presto amici; l’altro ragazzo, più piccolo di due anni e timido, mi sorrise impacciato e, lasciandomi di stucco, mi disse di getto che gli piaceva il mio odore. Io a quell’affermazione strabuzzai gli occhi, mentre gli altri si misero a ridere. Lo ringraziai incerto, poi gli sorrisi e gli chiesi il nome.
 
“M-Mi chiamo H-Harry-y”
“Bene Harry, ti va di giocare a calcio con me?”
“Faccio schifo a calcio.”
“Andrà bene, ci sono io con te.”
 
Fu il giorno più bello e divertente della mia vita.
 
Mi risvegliai dai miei pensieri e lo guardai dritto negli occhi.
“Mi concederesti l’onore di diventare tuo marito?” chiedo, mimando queste parole con la bocca, come se l’avessi detto davvero.
“Oddio sì, mille volte sì” disse emozionato mentre delle calde lacrime gli bagnavano il volto. Gli infilai l’anello al dito e, giusto il tempo di un respiro, mi saltò in braccio, circondandomi i fianchi con le gambe e il collo con le braccia. Lo strinsi forte a me e respirai a pieni polmoni il suo odore.
 
“Non vorrei interrompervi, ma è davvero l’ora di andare.”
 
Lo strinsi forte a me un’ultima volta; gli baciai a stampo le labbra morbide, gli occhi, le guancie ed infine il naso, a cui diedi prima un piccolo morso. Lui ridacchiò e mi guardò dritto negli occhi mentre tornava in piedi.
 
“Ti amo, tanto tanto” gli dissi.
“Ti amo anche io, futuro marito” rispose, e rabbrividii a quelle parole.
 
Mi allontanai piano, lasciandogli la mano delicatamente. Indietreggiai e, senza distogliere lo sguardo dal suo, salii le scale. Distolsi gli occhi per un attimo, correndo subito alla finestra, saltai su un divanetto e la aprii, uscendo fuori fino al busto. Lui arrivò subito, e mi strinse la mano che gli stavo dando. Sentii pian piano il motore del treno accendersi, e fui colto da un piccolo attacco di panico.
 
“Ehi ehi, no, non fare così, vedrai che andrà tutto bene. Ci incontreremo fra poco”
“Sul-Sul mio comodino, nel primo cassetto, sotto tutti quei calzini, c’è una lettera. L’avevo lasciata a casa perché avevo imparato il discorso a memoria, e te l’avrei detto anche adesso ma non c’è tempo. Lì c’è scritta la mia pseudo proposta e so, so che in teoria dimenticherai tutto quello che ci stiamo dicendo, ma per favore, ricordatela. Ti amo, tanto tanto, e mi dispiace. Mi dispiace di farti soffrire, ma non potevo fare altrimenti.”
“Louis, cosa stai dicendo? Che succede?” chiese confuso.
 
Il treno iniziava pian piano a muoversi.
 
“Mi dispiace così tanto. Cerca di non odiarmi, cerca di capire. L’ho fatto per te, perché ti amo, quindi ti prego, ti prego, lascia che io dia la mia vita a te.”
“Non so cosa stai dicendo ma non te lo lascerei mai fare” disse deciso.
“Lascia che io mi sacrifichi, lascia che io ti dia la mia vita” continuai mentre le lacrime mi rigavano le guancie.
“Louis, non capisco”
 
Il treno pian piano accelerava, e la semplice camminata stava diventando una corsa.
 
“Lasciamelo fare, solo questo, non posso farcela se non me lo dici. Ti prego Harry, dimmelo” urlai disperato.
 
Singhiozzò un po’, il respiro che faceva capire quanto si stava stancando, ed ormai eravamo vicini al tunnel.
 
“O-Okay” urlò “ti lascio darmi la tua vita”
“Grazie” dissi sorridendo e sentendomi libero e leggero.
“Louis, Louiiiiiiiis”
 
Lasciò la mia mano. Lo guardai scomparire.
Semplicemente, l’unica cosa che sentii fu l’eco della sua voce. Poi il nulla.
 


 
Just think of me with smiles
Hold my memory in your heart
For if you don't forget me
We'll never be apart.

For all the loves I held so dear
I'll be there by your side
watching, standing over you
I'll always be your guide.

And if one day you feel a sense
a whisper in your ear
Don't be alarmed, it's only me
to let you know I'm near.
  
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