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Autore: Small Wolf    01/01/2016    1 recensioni
-Il bimbo si voltò verso di lei e dopo averla guardata con una dolce espressione infantile esclamò "Mamma!" e Sakura non si sentì mai più tanto gioiosa e colpevole al tempo stesso. Quel sostantivo era tutto per lei ma di regola, non avrebbe dovuto essere suo. Sasuke la guardò con un'espressione indecifrabile, lascinadola per la prima volta completamente sola nel dilemma della sua scelta-
-L'ambiente era pieno solo di vuote parole che alimentavano il silenzio nelle loro anime. Naruto tentava di tutto per non farle percepire l'immensa mancanza a cui erano stati costretti ma Hinata proprio non riusciva a mentirgli. Non era mai stata brava con le bugie e per questo lui l'amava. Ma ora quell'amore la stava facendo ammalare e lui non poteva vederla morire a causa sua-
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Naruto, Neji/TenTen, Sai/Ino, Sasuke/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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dChiunque avrebbe descritto come pressappoco “perfetta” la vita di Sakura Haruno. Lei, giovane donna sui ventotto, bella di una bellezza particolare quanto il colore rosa dei capelli e le sfumature smeralde dei grandi occhi, figlia di una famiglia media, aveva raggiunto con determinazione la carriera di medico in uno degli ospedali più prestigiosi di Tokyo. Educata nelle migliori scuole della capitale giapponese, visti i suoi ottimi risultati e la sua mente propensa alla logica e alla profondità letteraria, si era impegnata a fondo per riuscire a diventare un perfetto chirurgo e a pochi anni dalla sua entrata nell’ospedale, da semplice specializzanda era diventata capo del reparto maternità. Fine e dolce come poche era riuscita ad incantare l’ultimo rampollo di una delle famiglie più importanti del Giappone, gli Uchiha, nonché capo della polizia dell’intera capitale.
L’esistenza dell’Haruno si proiettava come ricca di successi, bellezza e ricchezza ed agli occhi dell’alta società di Tokyo ma anche dell’enorme quantità di gente comune che aveva conosciuto tramite il proprio lavoro e per fama, non poteva essere migliore di quella che la superficialità mostrava loro. In realtà, la scoperta di non poter avere figli era stata per Sakura, la donna forte e di successo, un colpo alla propria identità di donna. Il dolore per i segreti che si celavano dietro a quell’impossibilità erano emersi un pomeriggio di Giugno quando avevano incontrato lo sguardo fermo ma lievemente mesto della direttrice dell’ospedale in persona, Tsunade Senju.
Le due donne erano amiche da anni, da quando Sakura era arrivata in stato di shok e profonde ferite sul corpo all’interno del prontosoccorso presieduto da un’allora molto più giovane Tsunade. Dal primo momento in cui quella donna dai lunghissimi capelli biondo spento e le labbra rosse le aveva preso la mano, dicendole mentre la trasportavano nella sala visite che in quel momento aveva bisogno di tutto il suo aiuto e che avrebbe dovuto essere forte, lei aveva stretto i denti ed annuito, tirando su col naso per poi cacciare indietro le lacrime di terrore e rispondere alle domande della dottoressa che l’avrebbe controllata per un’ora intera.
Così quando la bionda si sollevò dall’enorme poltrona nera a rotelle da cui osservava il suo studio illuminato e ordinatissimo di oggetti di buon gusto quanto essenziali, e la stessa mano di 24 anni prima si appoggiò e poi si strinse sulla spalla minuta della ragazza, lei comprese di dover prepararsi alla notizia che nessuna donna amante dei bambini, della maternità, del suo essere femmina ed orgogliosa del proprio ruolo, avrebbe mai voluto sentirsi dire.
-Mi dispiace, Sakura.-mormorò la direttrice mentre conficcava le unghie laccate di rosso nel camice della sua sottoposta.
La giovane serrò le labbra più di quanto avesse fatto nell’esatto istante in cui i loro occhi si erano incrociati e chiuse le palpebre, come se volesse impedire alle lacrime calde e piene di uscire, come se non volesse arrendersi col pianto al fatto di non poter essere madre. Lei che adorava vedere i bambini venire alla luce, emettere quel piccolo urlo che ogni volta era un inno alla vita, osservare con dolcezza il pianto delle madri stanche e sudate che guardavano con amore infinito la piccola creatura maneggiata con delicatezza dalle mani di medici e infermiere in procinto di congratularsi. Lei che camminava per i corridoi e spiava bonariamente il più puro dei contatti, quello che si instaura fra una donna e il suo bimbo durante l’allattamento e che rimane fissato in qualche parte dello spirito, portando l’istinto a fidarsi ciecamente di quell’essere in particolare, il nodo della vita che genera altra vita. Lei, lei non avrebbe mai potuto vivere quella sensazione che si prova quando si stringe al petto una minuscola creatura e si comprende quanto questa possa fare la differenza non solo nella propria vita ma anche nel mondo. Lei non avrebbe mai visto lo sguardo sensuale e un po’ freddo del suo Sasuke negli occhi di una creatura solo loro, il frutto di quell’amore particolare che aveva legato anime tanto diverse l’una all’altra.
I singhiozzi le scossero le spalle mentre si vedeva distruggere l’unico regalo che avrebbe voluto ricevere dal cielo.
Tsunade rivolse il suo sguardo alla fonte di luce proveniente dall’ampia finestra accanto alla scrivania e socchiuse a sua volta lo sguardo sul cielo azzurro: la piccola fanciulla che aveva visto crescere durante le visite di controllo e con la quale aveva instaurato un legame simile a quello fra una sorella maggiore e la più piccola, quella ragazzina che aveva sostenuto nella sua scelta di diventare dottore per aiutare gli altri e che ora aveva raggiunto il suo scopo, adesso, quella piccola colonna che nascondeva un lume delicato come una spiga di grano, avrebbe dovuto essere forte per l’ennesima volta e per la stessa, venire a contatto con l’immenso danno che le era stato provocato.
Non le disse nulla, non le sussurrò niente all’orecchio anche se avrebbe tanto voluto poter dirle qualcosa come quando da piccola veniva per la solita visita mensile e le confessava i suoi patemi adolescenziali o i più seri ricordi terribili che la tormentavano. Semplicemente la chiuse fra le braccia forti e carnose come tutto il suo corpo attraente per una cinquantenne e la tenne stretta al seno prosperoso, lasciando che le lacrime finalmente avessero luogo.
 
Nonostante fossero ormai cinque anni che stesse ufficialmente con Sasuke, Sakura non si era ancora abituata ai ricchissimi ambienti che gli Uchiha erano soliti frequentare: sale conferenze, ristoranti lussuosi, ville enormi in cui si organizzavano rimpatriate di ex nobili e giovani imprenditori. Dunque, anche se cercava di nasconderl al meglio dietro a modi educati e sorrisi cortesi, si sentiva ancora a disagio quando Sasuke la lasciava sola per raggiungere dei colleghi e discutere con loro riguardo qualche affare di cui lei sarebbe stata poi informata.
In quel momento si trovava proprio nella medesima situazione, sola accanto al lunghissimo tavolo da bouffet che era stato allestito nell’immenso salone di casa Choji per celebrare la nuova apertura del ristorante cinque stelle “Butterfly” di cui il padrone di casa era artefice.
-Sakura, che piacere- l’irritante voce di Karin, la viziatissima figlia di un imprenditore locale entrato da poco nell’elitè ma che già si dava l’aria di un borghese vissuto richiamò la sua attenzione.
-Ciao Karin-mormorò sollevando gli occhi al cielo prima di girarsi ed esprimere un sorrisetto forzato.
-Ti trovo bene-le disse la ragazza mentre con una mano si spostava i capelli rossissimi dal viso e scopriva i lineamenti appuntiti ma fini in piena armonia col corpo sottile ma attraente.
-Si, grazie, sto bene-mentì-anche tu vedo.
Karin sfoggiava un abito lungo e rosso in pandan con i guanti che le arrivavano al gomito. Le paiettes ricoprivano l’intera lunghezza fino al breve strascico che probabilmente doveva compensare la profonda scollatura che le divideva i seni prosperosi e raggiungeva l’ombelico.
-E Sasuke invece come sta?-la sua voce si inacidì ancora di più nel pronunciare il nome del suo ex.
-Oh, sempre meravigliosamente. Di recente stiamo passando più tempo assieme e la cosa sembra giovare ad entrambi-si divertì a notare il rossore che tempestò le guance pallide di Karin e il suo sforzo per mantenere l’autocontrollo. Poi l’atteggiamento di Karin mutò d’improvviso e un lampo di malignità e astuzia attraversò il suo sguardo.
-Se state così bene insieme sono felice per voi-biascicò portandosi alle labbra carnose un pasticcino alla crema- sicuramente avrete in progetto una famiglia, no? Un bel bambino.
Sakura provò una sorta di dolore al petto come se un coltello le squarciasse gli organi dall’interno e si sentì punta nel vivo. Trattenne a stento le lacrime prima di salutarla frettolosamente e saettare via in mezzo alla folla di gente che chiaccherava raccolta in gruppetti.
Attraversò a tempo record il grande salone, picchiando il pavimento lucido e marmoreo con gli alti tacchi a spillo rosa e bianchi come il suo elegante vestito a bratelline e il fermaglio candido fra i capelli raccolti. Non badò ai saluti dei gentiluomini in giacca e cravatta che, con i calici in mano, osservavano la sua semplice bellezza, né alle donne nelle gonne a tubino, adornate di gioielli enormi che dividevano la luce dei grandi lampadari a gocce e proiettavano in tutta la sala numerosi spicchi di luminosità.
Si portò la mano davanti alla bocca e osservò spaesata la gente attorno a lei, incontrando a tratti schiene, chiome ricce e sguardi veloci e mentre nella sua mente si ripeteva di trovare i bagni all’esterno eccheggiavano risate, chiacchericci e il suono armonioso della piccola orchestra ingaggiata per la festa.
Il turbinio di stimoli le fece perdere per qualche minuto la padronanza di sé ed in quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa per vedere la snella figura di Sasuke comparire fra la gente in ghingheri per raggiungerla e puntare i suoi taglienti occhi neri nei propri, facendole provare quel senso di sicurezza che solo lui riusciva a darle. Probabilmente lui era l’unico uomo sul pianeta, tolto suo padre, a farla sentire realmente al sicuro e lei l’unica donna in grado di accettare e comprendere i suoi modi apparentemente freddi e distaccati e a trovare conforto in quell’essere misterioso e affascinante che era.
Ad un tratto una risata infantile dietro di lei ne richiamò l’attenzione e la sua persona sconvolta venne calmata da una bambina di circa due anni che si dirigeva determinata verso la folla, inseguita e richiamata da una signora elegante che poteva avere all’incirca la sua età.
-Misha, Misha, tesoro!
Sakura non ci pensò troppo ad afferrare la piccola che l’aveva appena superata e prenderla in braccio, sorridendole.
La bambina la guardò stupita con un paio di lucenti occhi azzurri simili a quelli della donna che la inseguiva e poi rispose spontaneamente al sorriso di Sakura.
-Ciao-mormorò alla piccola.
-Oh, piccola peste-esclamò la donna, una volta raggiunte Sakura e la bimba-mi farà impazzire.
La rosa si lasciò sfuggire una risata mentre le restituiva la bambina che per tutto il tempo non aveva mollato la zampetta del suo amico di peluche.
-E’ bellissima-affermò Sakura.
-La ringrazio e grazie anche per averla recuperata! Sa, non sta ferma un secondo-ansimò la signora che vista la somiglianza dei lineamenti doveva essere la madre. Si portò la piccola da un braccio all’altro e porse la mano all’Haruno.
-Piaere, sono Ino Yamanaka!
-Oh, la signora Ymanaka! Suo marito ha l’azienda di rifornimento per la polizia, vero?E lei quella bellissima catena di fiorerie.
La ragazza annuì prima di domandarle se lei era la signora Haruno, moglie di Sasuke Uchiha con cui suo marito era in affari da anni.
Parlarono brevemente quando il discorso non ricascò sulla bambina che ora sgambettava, impaziente di scendere dalle braccia della madre e raggiungere il sontuoso banchetto.
-D’accordo, d’accordo, adesso andiamo-le disse sbuffando-credo che non diventerà mai una signorina educata!
Sakura sorrise teneramente a quella scena e dopo aver frugato nella sua poshette, estraè una caramellina alla fragola.
-Se fai la brava, prometto che questa è tutta tua-disse alla piccola che si calmò immediatamente e prese la caramella per poi ringraziare nella sua personalissima lingua.
-Lei è magica, signora Haruno! Sono sicura che sarà un’ottima madre.
A quelle parole un’ombra tornò a catturare l’espressione della rosa che, carezzata la piccola sulla testa, chiese ad Ino dove fossero i bagni e salutò cortesemente prima di dileguarsi.
 
Sasuke non aveva mai sopportato gli incontri generali, specialmente quelli dedicati alle inaugurazioni. Fin da bambino i suoi defunti genitori avevano portato lui e suo fratello maggiore Itachi a noiosissimi aperitivi del genere che si concludevano puntualmente con cene affollate dal numero spropositato di portate che lui, piccolo com’era, non riusciva mai a concludere, guadagnandosi lo sguardo severo di suo padre.
Anche se per sua madre la presenza dei bambini alle riunioni non era indispensabile, suo padre insisteva che fosse invece fondamentale che i piccoli del futuro impero Uchiha conoscessero fin da subito l’ambiente in cui un giorno avrebbero dovuto districarsi da soli. Dunque Sasuke nutriva una sorta di secolare antipatia per le rigide convenzioni di quei luoghi, le strette di mano occasionali con persone che da soci avrebbero potuto diventare concorrenti a seconda dell’andamento del mercato, la musica classica soffusa e disturbata dalle chiacchere futili delle signore, persino il gusto zuccherino dello champagne gli dava ai nervi, seppur fosse l’unica cosa con la quale si riempiva prontamente la bocca di fronte a sciocchi discorsi in cui, in caso contrario, sarebbe intervenuto con una delle sue temutissime battute taglienti e leggermente ironiche. Egli sapeva di non essere ben visto dai suoi colleghi in affari e che le loro riverenze erano il semplice frutto del timore che lui gli incuteva non solo sul piano lavorativo ma anche personale. Anche se così giovane, Sasuke sapeva far calare il silenzio attorno a sé con un breve sguardo e l’aura di mistero e fascino che avvolgevano il suo portamento, la finezza dei suoi lineamenti pallidi in netto contrasto con gli occhi e i capelli color carbone, non facevano altro che mettere soggezione. Suo fratello maggiore, invece, era molto più apprezzato che fosse per la gentilezza che lo caratterizzava, i sorrisi gentili e i modi educatissimi o per il fatto che nascondeva molto meglio del suo fratellino la disapprovazione per quella società pompata di soldi e rigidamente incastrata nella sua gabbia d’oro, questo neanche a Sasuke era ancora chiaro.
Lo champagne frizzò per l’ennesima volta fra le labbra fini e sensuali di Sasuke appena il signor Akimiji, un uomo panzuto che a stento entrava nel suo smoking, si presentò al gruppo di uomini che stavano parlando con lui e con fare fin troppo amichevole per i gusti dell’Uchiha gli diede una pacca sulla spalla.
-Che piacere vederla, signor Uchiha. Come sta suo fratello? Avrei avuto il piacere di rivolgerli i miei ossequi.
-Sono certo che mio fratello le avesse descritto i motivi della sua assenza.-rispose secco Sasuke intanto che sulla piccola combriccola calava una certa tensione.
Akimiji rimase interdetto per qualche istante prima di riscuotersi con un colpo di tosse e tornare alla sua tipica espressione amichevole.
-Ah, certo, certo. Gli porti i miei ossequi e anche a suo zio…
-Sarà fatto-annuì il moro prima di bere un altro sorso d’alcol e incrociare di sfuggita la chioma rosa di Sakura farsi strada decisamente troppo velocemente fra la gente. Alzò con sospetto il fine sopracciglio destro e senza guardare appoggiò il calice vuoto sul vassoio sgombro un cameriere di passaggio.
-Ora, signori, se volete scusarmi.
-Ma certo, faccia con calma-farfugliò il signore della festa prima di spostarsi per far passare il giovane, diretto all’ampio terrazzo verso il quale aveva visto incamminarsi Sakura.
Appena superò le vetrate una tiepida aria estiva scompigliò un po’ i capelli rigidi di gel e davanti a sé si spalancò la vista in lontananza del monte Fuji, bianco come le poche nuvolette arrossate dal sole in ritirata all’orizzonte il quale proiettava lunghe ombre scure delle poche persone intente a mangiucchiare e sorseggiare drink accanto alla ringhiera di pietra. Individuò subito Sakura e la raggiunse in ancor meno tempo. Erano giorni che la sua risata non animava più costantemente le ampie camere del loro lussuosissimo appartamento all’ultimo piano di uno dei grattacieli centrali di Tokyo e lui, sebbene cercasse di nasconderlo per orgoglio, stava iniziando realmente a preoccuparsi.
A differenza delle altre volte, in cui dopo qualche ora di silenzio veniva fuori attraverso una breve sfuriata il motivo del broncio, Sakura aveva mantenuto un atteggiamento troppo composto per essere naturale e il suo ragazzo l’aveva osservata attentamente per giorni.
-Sakura-esclamò, facendola sussultare.
Gli rivolse un’occhiata furtiva ma lui si accorse subito dell’estrema lucidità dei suoi occhi.
Con discrezione appoggiò i gomiti sulla pietra e annusò l’aria pura della campagna. Era il suo modo per farle capire quanto fosse pronto ad ascoltarla e lei sorrise al gentile venticello che li investì. La rosa capiva velocemente ciò che il suo uomo voleva dirle anche solo da un gesto. Aveva imparato ad osservare le sue azioni più che ascoltarne le rare parole e lui, di conseguenza, si sentiva libero di agire quasi con naturalezza in sua presenza, abbandonando la tipica rigidità del proprio atteggiamento. Sapeva che Sakura, nonostante l’immensa diversità che separava i loro caratteri, era riuscita a cogliere in lui qualcosa che il resto del mondo ignorava o da cui spesso veniva spaventato. Con quel strano colore di capelli e la parlantina irrefrenabile che all’inizio della loro conoscenza lo aveva addirittura infastidito, era poi riuscita a conquistarsi la sua fiducia ed ora, dopo cinque anni di convivenza, il rapporto fra alti e bassi non era cambiato molto se non per approfondirsi.
Quindi, attese tranquillamente qualche minuto che lei si aprisse a modo suo, con un pianto o con una piccola scenata isterica. Ma Sakura non fece nessuna delle due cose.
Con sorpresa semplicemente gli cinse la vita sottile da dietro ed appoggiò il capo sulla sua spalla ampia.
-Sasuke…-sussurrò solleticandogli con il fiato, la guancia sinistra.
Lui non potè impedirsi di scorrere con le mani grandi sugli avambracci lisci della sua fidanzata, come per accarezzarla anche se non era tipo da effusioni romantiche in pubblico.
-Dimmi cosa c’è-le ordinò con un tono secco che non ammetteva repliche.
Lei si allontanò dalla sua schiena magra e si interpose fra lo spettacolo delle colline e il suo viso interrogativo per guardarlo meglio negli occhi.
-Sasuke… penso che la nostra storia debba…
-Cosa?-la interruppe con stizza per la preoccupazione della risposta.
-Debba finire.
 
Il riso non era decisamente dei migliori, anzi, Naruto non riusciva a spiegarsi come avesse fatto a renderlo così pessimo. Eppure Hinata gli aveva spiegato un sacco di volte come prepararlo e mentre la guardava affaccendarsi con velocità e precisione attorno ai fornelli aveva pensato più volte di come con lei al suo fianco era sempre tutto semplice, quasi rilassante. Probabilmente era dovuto al fatto che Hinata lo guardava come nessuno, tolto il maestro Iruka dell’istituto per minori abbandonati in cui era cresciuto, faceva mai. Con quei grandi occhi azzurro ghiaccio riusciva sempre a calmarlo e convincerlo che qualunque cosa sarebbe andata per il verso giusto. Lei lo faceva sentire a casa e rendeva quel microscopico appartamento alla periferia di Tokyo un po’ meno degradante.
-Mi dispiace, Hinata-borbottò con una faccia schifata mentre si arrendeva e buttava esausto le bacchette nel cestino dell’immondizia sotto al tavolo-Non ne combino una giusta!-aggiunse imbarazzato mentre si prendeva i capelli biondi come il grano fra le dita.
La ragazza accanto a lui lo guardò con tenerezza e arrossì appena gli occhi azzurro zaffiro di lui le lanciarono delle mute scuse. Sapevano entrambi che non ci sarebbe stato un secondo e che ogni pasto doveva essere razionato a dovere per non commettere sprechi quindi il semplice fatto di non poter mangiare quel riso creava a Naruto un senso di colpa più pesante del normale al quale si aggiungeva il rimorso che spesso si infliggeva ingiustamente per averla trascinata in quella situazione, seppur lei ne fosse stata consapevole.
-Va tutto bene, Naruto-kun…-balbettò mentre posava la sua piccola mano bianca come il proprio viso su quella ben più grande e dal colorito olivastro di lui-Può succedere di sbagliare, ricordi?
Il ragazzo sospirò e poi sorrise dolcemente alla stessa frase che le aveva detto un giorno d’una decina d’anni prima all’interno della pista di pattinaggio al coperto in cui si allenavano le migliori promesse del pattinaggio. Allora quelle parole sincere ed esclamate con un sorriso erano servite a toglierle la malinconia dallo sguardo da quindicenne a causa della disapprovazione del padre una volta finiti di vedere i suoi esercizi di pattinaggio artistico.
La luce negli occhi di lei gli diede la forza di tornare ad indossare il suo solito sorriso sfacciato e largo e a scattare in piedi come sull’attenti. Sentiva di dover assolutamente resistere ed essere forte anche se la situazione era estremamente difficile.
-Che succede?-balbettò con una piccola risata.
-Mi sono appena ricordato di una cosa!
La lasciò al tavolo per raggiungere il giaccone color verde militare appeso all’attaccapanni accanto alla porta d’ingresso che dava l’accesso a un piccolo bagno ed una minuscola camera da letto in cui stava a mala pena una piazza e mezza e due comodini. Frugò all’interno di una tasca e ne estrasse una barretta di cioccolata al latte che si sventolò davanti al naso dritto.
-Questa è per te-annunciò sorridendo- l’ho comprata oggi alle macchinette in centro… la volevo mangiare per merenda ma alla fine ho pensato che sarebbe stato meglio regalartela.
Appena notò quanta meraviglia e dolcezza si dipinse sul volto della sua ragazza, espressione di quel particolare calore in grado di scaldarla da dentro ogni qualvolta si trattasse di Naruto stesso, il suo cuore prese a battere frenetico come la prima volta in cui l’aveva vista danzare con leggiadra eleganza sui pattini da ghiaccio. Nel corso del tempo aveva capito di essere era tutto il colore che le era mancato durante un’infanzia passata in un angolo all’ombra del cugino maggiore e della sorella minore sempre migliori di lei, a dire di suo padre, in qualunque cosa facessero. Per questo, sebbene le loro precarie condizioni economiche a volte gli piaceva farle dei regalini, piccoli pensieri da pochi spicci che però alimentavano come minuscole gocce il mare d’amore che li teneva uniti l’uno all’altra. E lui l’amava proprio per il fatto che lei fosse tanto diversa della gente degli ambienti a cui era stata abituata. A differenza di tutti quei “bellinbusti” come li chiamava sgarbatamente il suo datore di lavoro, Ikaru, Hinata non aveva mai atteggiamenti di superiorità, né di sgarbo. Pareva non conoscere la cattiveria anche se ne aveva subita tanta. Il suo animo era rimasto gentile e puro come quello di una brava bambina innocente e Naruto adorava prendersene cura e sentire che le discrete dolcezze di lei, lo sguardo un po’ timido ma ricco di dolcezza erano dedicate tutte a lui.
La vide alzarsi dallo sgabello spagliato e buttarglisi al collo, stringendogli le braccina snelle attorno al torace ben modellato dapprima rigido, poi completamente coinvolto nel suo abbraccio. Se la portò sempre più contro di sé e annusò il profumo dei liscissimi capelli corvini della ragazza per tentare di imprimere il profumo nella sua mente dato che era uno dei pochi ricordi positivi che avrebbe potuto tenere della sua vita disastrata.
-Andrà tutto bene, Hinata, te lo prometto, farò del mio meglio per sistemare tutto questo casino.- le mormorò contro la guancia mentre serrava le palpebre quasi volesse concentrarsi meglio sulla promessa e suggellarla.
Lo strinse ancora di più, e il biondo percepì con un sorriso la forza che riusciva a tirare fuori dalla sua figura formosa quando si trattava di lui lasciò che si asciugasse le palpebre contro la sua felpa grigia. In quei momenti sentivano che nessuno al mondo avrebbe potuto separarli, nessuno avrebbe potuto fargli del male e tutto attorno a loro scompariva, il tavolino in plastica, il divanetto sfasciato contro la parete di fronte, i mobili di povero compensato… c’erano semplicemente loro due. Le pareti si dissolvevano e loro entravano in quella dimensione in cui contavano solo i sentimenti e la fame, la stanchezza e il calore esasperante di Giugno non erano assolutamente nulla.

COMMENTO AUTRICE
Eccomi tornata con una nuova fic di Naruto :) era moltissimo tempo che non ne scrivevo una, spero di non essere troppo arrugginita :/ Grazie a tutti coloro che hanno speso un attimo per leggere questo primo capitolo e grazie mille a chi recensirà! 
  
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