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Autore: cockYSLuts    01/01/2016    3 recensioni
TheseStreets!AU | Louis/Harry | 3.6k parole
Louis torna a Holmes Chapel dopo cinque anni e Harry non è più lì ad aspettarlo.
Mi bruciano gli occhi, Harry. Perché non mi hai detto che le lacrime facevano così male? Ne hai versate tante, davvero dopo un po’ ci si abitua al dolore? Ma amore, io non credo di potermi abituare alla tua assenza, adesso.
[Pet]
Genere: Angst, Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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These streets
x

 
 

These streets are yours, you can keep them
I don’t want them
They pull me back, and I surrender
To the memories I run from

 
Saramago diceva che le lacrime non macchieranno mai una mail, questo non rende le lettere meravigliose?
Oggi sono tornato a Holmes Chapel e mai quanto adesso vorrei ripartire. Non l’ho detto a nessuno; sono arrivato alla stazione come un ricercato, nascondendo il volto dietro una sciarpa scura in modo che nessuno potesse riconoscermi – che stupido, chi mai avrebbe potuto? Dopotutto sono passati cinque anni. Sai, mia madre ha venduto la casa dove vivevamo e ora ci abita una famiglia che sembra più felice di quanto lo sia mai stata la mia; anche casa tua è in vendita. Gemma alla fine non ha tenuto fede alla sua promessa di far crescere lì i suoi figli, con un cane, un’altalena e tutto il resto. Holmes Chapel è cambiata più di quanto credessi, tranne per il fatto che tutto qui continui a sapere troppo di te, di noi, di ciò che avevamo e che ho distrutto per il mio folle desiderio di conoscere il mondo lontano da ciò che mi legava a questo posto. E tu eri la catena più stretta, Harry, quella che non riusciva a lasciarmi andare nonostante i miei sforzi. Più tiravo, più ti sentivo vicino, più cercavo di fuggire, più lasciarti diventava doloroso. Per questo quando sono tornato, nell’esatto momento in cui i miei piedi hanno toccato il suolo di questa città, sarei voluto risalire sul treno e vedere il paesaggio che mi ha accompagnato negli anni che avrebbero dovuto essere i più belli della mia vita, sfumare dietro il finestrino e chiudermi quella porta definitivamente alle spalle. Eppure sono qua, seduto sotto uno degli alberi del parco abbandonato a scriverti, sperando di colmare gli anni di assenza dolorosa e forzata. Ho ricevuto tutti i tuoi messaggi, Haz, tutte le tue chiamate a cui non ho risposto terrorizzato dall’idea di sentirti piangere, perché sapevo che se avessi risposto sarei tornato indietro all’istante. Ho ricevuto tutto finché non hai smesso, niente più messaggi, niente chiamate, niente di niente. È stato ancora più doloroso, sai? L’idea che avessi smesso di amarmi, che ti fossi fatto una vita al di fuori di me, che avessi smesso di aspettarmi. E suona così egoistico ma non potevo sopportarlo, saperti tra le braccia di qualcun altro mi faceva ribollire il sangue tanto che più volte ho avuto la tentazione di salire su quel treno e tornare da te, per strapparti da quella stretta estranea e riaverti tutto per me. Ma non l’ho fatto, non sarebbe stato giusto. Sono tornato nella nostra strada questa mattina e tu eri ovunque. Nell’aria, tra fughe dei vecchi mattoni, nell’asfalto consumato dai nostri passi. Quante volte abbiamo percorso quella strada, amore mio? Le nostre mani intrecciate, i cuori a battere in sincrono e i nostri sorrisi fusi in baci dal sapore di eterno. Ricordo ognuna delle nostre passeggiate, ogni parola che mi hai sussurrato, nascosti in un vicolo scuro come gatti nella notte, ogni bacio che ci siamo scambiati contro quei muri dove, se chiudevo gli occhi, avrei rivisto le nostre figure avviluppate in abbracci densi d’amore. Avrei rivisto te e la tua risata accanto ai nostri graffiti, quelli sporchi, allusivi, quelli che invano cercavano di coprire con manifesti, ma che puntualmente tu strappavi via come cerotti sulle ferite di un bambino.  Per questo sono scappato. Quel posto sapeva di te, eri tu ed io non ti merito. Credevo di farlo ma sono stato uno stupido e ti amo troppo per abbandonarti tra le braccia di uno stolto. Ti ho sempre amato, Harry, credimi. Non ho mai smesso di farlo, sei sempre stato nel mio cuore, mentre ero via continuavo a pensarti, a rimarcare i ricordi delle nostre conversazioni, quelle silenziose fatte di sguardi e baci languidi, di sorrisi e mani congelate. Mi sono mancate le tue mani: così grandi, così delicate, eri in grado di sciogliere il mondo con le tue carezze. E tu continuavi a dirmi che il tuo mondo ero io e mi facevi così tanto male che era quasi piacevole sentire il cuore sbriciolarsi in tanti piccoli cristalli. Ti amo Harry.
 

Oh, we have paved these streets
With moments of defeat

 
Sono stato in Francia, senza di te. Ti avevo promesso che avremmo visitato Parigi insieme e, un po’ come Gemma, non ho tenuto fede alla parola data. Mi avevi chiesto di portarti a vedere il Louvre per fotografarlo; io l’ho visto ma mi ha deluso. Nonostante tutte quelle opere d’arte, nessuna riusciva solo a sfiorare la tua bellezza. Tu eri l’opera più preziosa della mia collezione privata, ma non sono stato un buon mecenate poiché non avevo capito il tuo vero valore finché non l’ho perso; ho mancato di darti la protezione che meritavi, avrei dovuto nasconderti in una teca di cristallo, ma ti ho abbandonato come fossi pezza da scarpe.    Ho visto uomini baciarsi sotto la Tour Eiffel, come la chiamano i francesi – ti sarebbero piaciuti, sai? –, e ho rivissuto il giorno in cui mia madre ha cacciato papà di casa. Eri con me anche quella volta. Mi sei sempre stato vicino, in ogni momento, ogni volta che ne avevo bisogno. E sapevi sempre quando abbracciarmi, quando dirmi che nonostante ciò che accadeva tra le quattro mura di casa, andasse tutto bene, ma nulla andava bene e lo sapevi meglio di me, eppure fingevo di crederti perché eri con me e sembrava che non volessi lasciarmi più. Era notte fonda ed io ti avevo chiamato, con grande probabilità, interrompendo qualche sogno felice. Tu non avevi incubi, me lo dicevi spesso. Ma lo diventai io nel momento in cui ti lasciai solo. Come hai potuto perdonarmi? Leggerlo in uno di quegli ultimi messaggi mi ha distrutto. Mi sono sentito ancora più orribile, sapendoti solo e sofferente, ma senza ombra di rammarico nel cuore. Sei sempre stato una persona splendida, Harry, credimi. Quella notte, infatti, venisti a prendermi lo stesso. Ero seduto sotto il portico di casa, le guance consumate dalle lacrime e le labbra gonfie come i tuoi occhi ancora bisognosi di sonno. Mi abbracciasti, lì dove mio padre mi aveva pestato, ubriaco e incazzato al punto di picchiare suo figlio. Mi dispiace se l’inchiostro si scioglierà e queste parole saranno confuse ma non posso farci nulla. Non riesco a fermare le lacrime. Non ci riesco perché tu non sei qui a baciarmele via come quella notte, non sei qui a prendermi per mano e portarmi nel nostro posto. Lì in quella strada che è stata sfondo di ogni nostro pianto, di ogni nostra sofferenza. E’ la nostra strada, l’abbiamo lastricata di lacrime e ci appartiene dal primo all’ultimo mattoncino. Mi baciasti quella notte, amore, ad illuminarci un misero lampione guasto, quello con le nostre iniziali raschiate sul fondo. Deboli e tremolanti come quella luce, come me tra le tue braccia. Mi baciasti per ore, finché l’alba non tinse i nostri volti di rosso, mero riflesso di quel muro di mattoni contro il quale eravamo poggiati. Non ci alzammo fino a quando il sole non raggiunse il suo punto più alto, le nostre ombre scomparse sotto i piedi, metafora delle sofferenze che avevamo patito e che insieme avevamo superato, pieni di lividi e graffi, schiene rotte e cuori più leggeri. Sono andato in Francia e ho visto uomini baciarsi, nessun padre arrabbiato, nessuno schiaffo, nessun dolore, nessuna strada, nessuna alba, nessun te. E ha fatto male anche quel giorno, molto più male di tutti gli altri. Cos’ero senza di te? Cosa sono senza di te? Niente, e non l’avevo capito. Dannazione!  certo che lo avevo capito ma tu mi conosci, mi conoscevi meglio di chiunque e non potevo ammettere di essermi sbagliato. Credevo di potercela fare, ma la verità è che io dipendo da te, ho sempre dipeso da te e continuo a dipendere da te. Mentre ero qui vivevo di te, mentre ero via vivevo del ricordo di te, e ora che sono tornato muoio del rimorso di averti lasciato. Davvero credevo di poter essere migliore, quando la parte più bella, buona e sana di me eri tu? Harry, dovevi lasciarmi andare molto tempo prima, perché sei rimasto? Perché ti sei opposto fino a farti male pur di non perdermi? Cos’ero io per te? Mi bruciano gli occhi, Harry. Perché non mi hai detto che le lacrime facevano così male? Ne hai versate tante, davvero dopo un po’ ci si abitua al dolore? Ma amore, io non credo di potermi abituare alla tua assenza, adesso.
 

But even if we won’t admit it to ourselves
We'll walk upon these streets
And think of little else

So I won’t show my face here anymore
I won’t show my face here anymore

 
Sta per piovere e non so dove andare.
Ti ricordi quando dormimmo sotto la pioggia? Stesi l’uno contro l’altro, le gocce fredde a mescolarsi con le nostre lacrime, i petti bagnati a stringersi sotto il diluvio. Quel giorno c’era stato il funerale di mio padre e nonostante credessi non mi importasse nulla di quell’uomo, piansi. Perché me lo lasciasti fare? Ci aveva fatto soffrire per tutti quegli anni eppure la sua morte aveva lasciato un vuoto all’altezza del cuore di entrambi. Era forse ciò che si prova ad essere liberi? Ma perché faceva così male?    Il giorno dopo mi mandasti un messaggio dicendomi di avere la febbre ed io risi perché te lo avevo detto che dormire all’aperto, per di più sotto un acquazzone, non avrebbe giovato a nessuno. Se solo avessi saputo. Dio, Harry potrai mai perdonarmi? Non avevo capito nulla. Ti invitai a casa mia e tu arrivasti, impacchettato come un regalo di Natale in un piumone e un berretto di lana che avevi rubato dal mio armadio una delle tante volte che ti avevo ospitato. Ci stringemmo sotto quella stessa coperta, avevi i piedi gelidi come al solito, il naso rosso e gli occhi lucidi. Decidemmo di guardare un film ma finimmo con l’ignorarlo, troppo presi dalle nostre bocche donarsi piacere a vicenda. Baciarti era sempre un’esperienza totalizzante: le tue labbra screpolate e turgide erano tutte da mordere e i gemiti che rilasciavi quando le nostre lingue si incontravano erano musica per le orecchie di un giovane innamorato. Ci addormentammo insieme, incastrati come pezzi di due puzzle diversi che si adattano piegandosi alle sporgenze dell’altro, incuranti del dolore. Il tuo petto si muoveva a ritmo di una nenia sconosciuta, dolce e malinconica allo stesso tempo. Adoravo dormire su di te perché la notte sembrava che mi cullassi, rannicchiato sul tuo petto ad ascoltare il cuore battere con la consapevolezza che fosse per me. Quella notte però la ninnananna si trasformò in un lamento struggente e affannato. Mi svegliai e tu eri completamente sudato, le vene sul tuo collo gonfie e gli occhi stretti umidi di lacrime. Credetti fosse solo un brutto sogno ma tu non ti svegliavi. Chiamammo l’ambulanza e la notte la passai in una sala d’attesa vuota, asettica e troppo bianca. Quel dannato bianco. Rimasi lì finché non uscisti accompagnato da tua madre e tua sorella, il tuo sorriso sempre presente che si allargò ancora di più non appena mi vedesti. Mi corresti in contro stringendomi al tuo petto e rimanemmo abbracciati per minuti interi perché lo spavento che mi facesti prendere quella notte fu troppo grosso per poterti lasciare andare come se nulla fosse. In quel momento avrei voluto ridurti in pochi centimetri per nasconderti nel mio cappello e portarti ovunque, tenerti lontano da tutti gli altri e prendermi cura di te sempre e per sempre. Piovve anche quel giorno e decidemmo di osservare la pioggia nella nostra strada, nascosti sotto una tettoia, le ginocchia contro il petto e il tuo volto seppellito nella Polaroid. Scattasti una foto al cielo e me la regalasti per ricordarmi di quel giorno. Devi sapere, amore mio, che è ancora nel mio portafogli dove la nascondesti tu per non farla bagnare. Ogni tanto la riguardo e penso a quel cielo grigio piangere al posto mio le lacrime che avrei dovuto versare. Ma io ancora non sapevo e questo, forse, non potrò perdonartelo. Non posso più rimanere qui, ci sono troppi ricordi che fanno male, che continuano a infliggere dolore sul dolore, a rimarcare ferite slabbrate e graffiare volti già deturpati dalle lacrime. Sta piovendo, adesso. C’è una pozzanghera proprio qui accanto a me e non capisco se sia piena di pioggia o di pianto. Sai che c’è chi aspetta la pioggia per non piangere da solo? *

 

These streets are yours, you can keep them
In my mind it’s like you haunt them
And passing through I think I see you
In the shapes of other women

 
Sono terribile, Harry. Terribile. Mi ero ripromesso che non ci sarei tornato più alla nostra strada e invece adesso sono proprio qui, contro i mattoni rossi del vecchio teatro, accanto ad uno dei nostri primi graffiti. Era un faro con una nave, lo avevo fatto per te che mi avevi tanto assillato con quei disegni a tema nautico trovati su internet. Mi costringesti persino a fare un tatuaggio complementare alla tua ancora ed io lo feci perché ti amavo e se potessi ne farei altri mille pur di riaverti indietro, qui da me. Qui con me. Qualcuno ha cercato di cancellarlo, vedo i segni, ma la vernice è stata più forte dell’acido ed è ancora integra, splendente come appena fatto. Ha smesso di piovere da un po’ e in giro non c’è quasi nessuno – non che qui ci passi molta gente con il sole – e a parte qualche cane randagio, la strada è deserta. Credo che mi addormenterò qui, ho una coperta nello zaino e stanotte la stenderò a terra per riscaldarmi. Farò finta che ci sia anche tu con me, a stringermi al tuo petto e a baciarmi i capelli. Ti ricordi quando insistesti per scambiarci gli shampoo? Dicesti che ogni volta che avresti lavato i capelli avresti sentito il mio profumo e sarebbe stato come se fossi lì con te, e lo stesso avrei fatto io finché i nostri profumi non si sarebbero mescolati a tal punto da diventare uno solo. Ed è successo, sai? Profumo ancora di te e, nonostante ora sia una gioia perché mi manchi come l’aria, quando andai via fu atroce. Averti addosso tutto il tempo, vivere con la tua presenza costante sulla mia pelle, come baci indelebili e abbracci eterni fu la sfida più dura da superare. Avevo anche smesso di usare il tuo shampoo per un po’ di tempo, ma ormai mi eri entrato nella carne (nel modo più letterale possibile) e niente riusciva a coprire il tuo odore. Inutili furono le docce, i bagnoschiuma, i graffi che nei momenti di crisi mi laceravano la pelle illudendomi che avrei potuto scacciarti via così, mi sarei liberato del tuo profumo, della tua presenza, di te e del tuo ricordo; sono stato uno stupido. Un terribile stupido. Perché liberarmi di ciò che continuava a darmi ossigeno? Sai perché sono tornato? Perché stavo soffocando senza di te. Avevo cominciato a dimenticare e ad ogni ricordo sbiadito, i miei polmoni diventavano più pesanti, la gola più secca e la lingua più asciutta. Mi sono reso conto di una cosa in quel momento: un conto era perderti, un altro era dimenticarti. Di cosa avrei vissuto se non ci fosse stato il tuo ricordo a infestarmi i sogni? A farmi svegliare nel bel mezzo della notte e rimpiangere la mia partenza? Ora che sono qui, ad Holmes Chapel, nella nostra strada mi sento quasi a casa. Sento le risate di cinque anni fa rimbombare nel silenzio e i tuoi baci serafici sulle mie labbra lasciati dal vento. Forse è il sonno, ma per un attimo ho creduto che tu fossi davvero qui. Era solo un gatto, buonanotte Harry.
 

Oh, we have stained these walls
With our mistakes and flaws

 
Questa mattina mi ha svegliato il rumore del vento. Era così presto che il sole non era nemmeno sorto, l’unica luce era quella dei lampioni ma era bastata a farmi distinguere le forme delle case in lontananza e la finestra che tintinnava mossa dalla brezza fresca del mattino. Non ho più ripreso sonno d’allora, troppo perso in uno dei miei ricordi che, come al solito, riguardava te.  Nonostante il cielo fosse ancora scuro, quei giganti di metallo erano riusciti ad illuminare il mio rifugio improvvisato - la coperta ancora sgualcita riposava sotto di me, come l’abbraccio caldo di una madre che protegge il proprio figlio dal gelo – e solo allora ho notato la piccola scritta con l’indelebile nero all’altezza del mio sguardo. Hai già capito non è vero? In un baleno i miei pensieri sono volati tutti in direzione di quella notte passata tra le tue braccia, sotto i tuoi baci e le tue carezze. Mi è bastato sfiorare i mattoni con i polpastrelli per ricordare la loro consistenza contro la pelle nuda della mia schiena, le fughe a disegnare motivi geometrici contro la mia carne bollente e piena dei tuoi marchi. Mi baciasti come affamato e ti lasciai fare perché nella mia incoscienza pensai che fosse proprio la fame ad averti consumato. Sentii le tue ossa sotto la pelle e pareva che stessi per spezzarti, ma tu eri forte e nonostante le spinte, riuscisti a tenermi sollevato comunque, contro quel muro, contro quei mattoni rossi spettatori di un amore intenso come il loro colore. E io mi aggrappavo a te quando, in cuor mio, avrei voluto allontanarti, la decisione già presa a pesarmi nel cuore. Te ne avevo parlato quello stesso pomeriggio davanti ad un nuovo graffito: era un aereoplanino di carta su uno sfondo azzurro, la traiettoria a scrivere due parole che ti fecero perdere qualche battito. Mi chiedesti perché ed io non risposi, così mi scattasti una foto. Sentii distintamente il click proveniente dalla polaroid e nemmeno allora mi girai, troppo spaventato dal tuo sguardo; sapevo che se ti avessi guardato ci avrei ripensato e avrei strappato il biglietto di sola andata nella tasca dei jeans. Allora “quando” fu il tuo successivo interrogativo. “Domani mattina.” e il volto ancora incastrato in quei mattoni sporchi di vernice azzurra. Mi abbracciasti forte, ma non abbastanza da trattenermi lì con te. Avevi perso le forze, i tuoi muscoli erano scomparsi lasciandomi solo ossa da stringere e ad ogni stretta il tuo corpo reagiva con un livido scuro. Eri diventato più debole improvvisamente. Non seppi cosa pensare, te lo confesso. Da alcune settimane avevi perso l’appetito e quando uscivamo, se uscivamo, volevi solo venire qui, in questa strada e guardare le stelle e fingere di possederle tutte. Pensavo fosse perché avevi sospettato della mia partenza fin dall’inizio, quando uno di quei giorni mi dicesti che ti piacevano le stelle perché erano eterne pensai che ti riferissi a me, a me che ero tuo e stavo fuggendo. Mio padre era morto da due mesi ormai ma in quei sessanta giorni niente mi fece credere che fossi finalmente libero, avevo bisogno di allontanarmi. Finimmo comunque per fare l’amore qualche metro più lontano, dove ho riposato io stanotte e restammo l’uno dentro l’altro fino all’alba, quando le stelle che tanto amavi scomparvero. Non ci preoccupammo di macchiare quel muro del nostro piacere, lo avevamo fatto così tante volte che ci sembrò quasi doveroso lasciare lì il segno della nostra ultima notte insieme. Forse avrei dovuto voltarmi quella volta, strappare i biglietti e rimanerti accanto. E invece ho fatto come le stelle: alle prime luci dell’alba, sono scomparso lasciandoti solo.

I won’t show my face here anymore 

Oggi riparto. Non vedo cosa debba fare ancora qui, ero tornato per non dimenticare e ora che i ricordi sono marchiati a fuoco nel mio cuore non vedo come possa farlo in futuro. Vivrai sempre con me da oggi, ti porterò ovunque. Ovunque. Prima di partire ho deciso di passare un’ultima volta nella nostra strada e ho visto il graffito con l’aeroplanino. “Far Away”. Alla fine ci sono andato davvero molto lontano e voglio tornarci, sta volta portandoti con me. Ho comprato il tuo shampoo e una polaroid, li ho nascosti nel fondo dello zaino, sarà come averti qui fisicamente; non mi serve altro davvero. Me ne andrò con un bagaglio più leggero, tutte le sofferenze le abbandonate per far posto ai ricordi che sono leggeri come i baci che mi regalavi. Ho deciso di non tornare più qui, non avrebbe senso dopotutto. Condividevamo la stessa idea dei cimiteri, rammenti? L’anima di un defunto non riposa sotto una tomba, essa vive nel cuore di chi ricorda e i cimiteri servono solo a rispolverarli, i ricordi. E che importa se tutte le volte che abbiamo chiamato il cimitero “la nostra strada” abbiamo sbagliato? Alla fine lo era, era il nostro posto era la nostra strada lastricata di ricordi, di errori, di difetti. I manifesti funebri che tentavano di coprire i nostri graffiti, i mattoni del muro infinito che racchiudeva quel luogo, i vicoli scuri dove si nascondeva il gatto del custode. Fa tutto parte della nostra storia, della nostra memoria. Adesso questa strada ti appartiene, magari la vivi ancora sotto forma di uno spiritello, infestandola per spaventare i cari di chi è sepolto qui con te. Sto andando proprio adesso verso la tua lapide, tesoro, prima non ne avrei avuto il coraggio; ci sono tantissimi fiori profumati ad adornarla e, credimi, quando ti dico che è la più bella di tutte. Sono felice che abbiano scelto una fotografia di quando stavi bene e la leucemia non ti aveva ancora consumato. Eri così bello, amore mio, mi manchi tanto. Lascerò questa lettera qui, non saprei dove spedirla altrimenti, dopodiché me ne andrò, non so dove, magari molto lontano.
Ti amo Harry e ti amerò per sempre.
Tuo, sempre e solo tuo
Louis.
   
 
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