La degenerazione dello scrittore
Come aria nella steppa d’estate somiglia un poco: piano
piano, lungo la strada da Canterbury fino al sole d’autunno incoronato… vengano
vengano! Ogni età garantita lunga vita! Che le stoppie delle streghe a lungo
mirano, dove il vento nasce somiglio. Ma che verde! Quanta festa! Nel rimirar
lo cipiglio della grande foresta. Solo un po’ mi risento, di aver spento il
senso in questa favella, ma d’altronde chi l’ascolta il fruscio frusciante che
più gioia ha zelante? Nessuno, nessun uomo sulla terra col vermiglio loco vuol
ridire: solo biechi e tristi assai spereranno di incappare, ma per adesso, per
un sol dormiglio, carezze e gioia a non finir.
Cosa vuol dir tutto ciò? Ma è chiaro,
diamine! È il triste sospiro di uno scrittore ingrigito, spento, che nel cuore
ha il tormento!
“Cosa
gli è successo?”, domanderete, “perché
dalla sua penna escono solo parole senza senso? Uno scrittore deve avere mano
di fata, dipingere con la sua immaginazione ambientazioni e personaggi,
condurre con il suo animo esperto il lettore attraverso mondi fantastici e vivi
sentimenti d’ogni sorta! Cosa gli è accaduto dunque? Perché si comporta in
questo modo? Come se una strega malefica gli avesse scagliato contro un
sortilegio, come se mille sciagure si fossero abbattute sulla sua mente,
divorando la sua capacità di sentire, pensare e dunque… scrivere?”
Allor ti guiderò, caro lettore, nella
mente di codesto scrittore, che il senno sembra aver perso: ma ben presto
capirai che il senno non ha perso affatto e che più lucida che mai è la sua mente, ha solo smarrito… la fiducia.
Oh! Non solo quella mio caro lettore!
Molte cose ha smarrito sul suo cammino! Così tante che gli è impossibile
ricordarle tutte.
Cosa perse per prima cosa? Oh, beh,
domanda difficile assai… cosa perse? Ecco, vediamo… perse… perse… il punto e
virgola.
“Il
punto e virgola?”, chiederai sicuramente, “come si può perdere in nome del cielo una cosa tanto banale? Un punto e
virgola non si può perdere… e nemmeno ritrovare: il punto e virgola esiste e
basta, o sbaglio? Nessuno lo può forgiare e dunque nessuno lo può distruggere.
Se solo si posa lo sguardo verso il basso lo si può scorgere: è lì sulla
tastiera, insieme alla sua fidata compagna la virgola; eccolo, eccolo comparso!
Lo dicevo che non si può perdere! E’ proprio lì, nella riga sopra a questa! Lì
si può mirare! Un poco si è allontanato, ma solo perché il mio discorso è
continuato. Là c’è la prova della mia affermazione, dunque non è solo la mia
immaginazione!”
Avresti ragione ad affermarlo, non
c’è dubbio, anch’io esprimerei il medesimo pensiero, eppure quel fesso di
scrittore l’ha perso sul serio.
“Cos’altro
ha perso quello sbadato di uno scrittore?”
Eh… cosa ha perso… ha perso.. un
puntino! Ma sì, sì! Lo vedi lì? Ne manca uno! Ne manca uno! Nella riga
soprastante il nostro caro scrittore si è dimenticato il terzo fratellino,
quello senza il quale gli altri due piangono e languono e si dimenano sapendo
di non avere un senso. Che sbadato! Che goffaggine! Come lo si può dimenticare?
Come quando si dimentica un accento o addirittura un apostrofo! Oppure, cosa
orrenda e ripugnante, li mette dove non andrebbero! Che carogna immonda che è
questo scrittore! Come si permette di metter tanto delirio in sole due righe di
testo? In neanche un minuto ha potuto portare tutti noi alla follia mentre lui
ride beato sul suo trono di errori seduto! Se non fossi una sua creazione,
mille anni gli darei di prigione! Anzi, ancora meglio, mille ad ogni errore,
così che smetta di sbagliare e metta la testa a posto, dove dovrebbe stare!
È inutile però che mi rabbonisca con
una scrittura accurata ed una sintassi raffinata: io gli errori li ricordo e
dimenticarli non è nei miei piani, ma se intende in qualche modo fare ammenda
non sarò certo io a fermarlo: con una nuova storia spera di ammaliarmi e forse
forse, poco poco, piano piano, io mi lascio, da gran intenditore, cullare dalle
onde delle sue immense parole.
Ma stavamo facendo un discorso prima
di giungere a questo punto! Qualcosa di serio, triste, ma anche interessante
che ti premeva scoprire, oh caro lettore, dico bene? Parlo male?
“Mi
premeva forse poco, a dire il vero, ma essendo giunto a questo punto della mia
lettura, giudico opportuno lasciarti delirare, per scoprire da una parte cos’ha
perso lo scrittore senza senno e dall’altra dilettarmi a veder ballare uno
sciocco che ha come gioco solamente le proprie parole. Un poco di pena provo a
legger questo scritto, devo confidartelo: mi sembra lungo, senza senso e
diciamocelo… pure sciatto; ma in fin dei conti cosa mi costa? Sono qui, a metà cammino,
sarebbe strano andare via senza scoprire il vero senso (se di senso si può
parlare) di tutta questa messa in scena!”
Oh caro lettore! Un senso dici? Un
senso a questa storia? Nei meandri della memoria dello scrittore dovremo
cercarlo! Oh, viaggio difficile, sentieri impervi, ostacoli insormontabili ci
dividono dal senso di questa lettura! Io non vivo che nel tuo pensiero, la mia
esistenza si forgia nelle tue parole: non un essere di carne sono, ma un essere
di spirito, la cui fiamma è alimentata solo e soltanto dal tuo pensiero. Mentre
leggi, io vivo, guizzo, gioco e mi diverto a saltare di parola in parola e
rimirare il percorso già fatto insieme, caro amico. Tutto ciò che è scritto, io
sono.
Posso farti dire e pensare qualsiasi
cosa, la vocina nella tua testa che ti ha accompagnato per tutto il testo la
ripeterà per me: che fida ambasciatrice! Mai ne trovai una più cara e fedele.
Oh, ma ecco che lo scrittore, finalmente risvegliatosi dal suo torpore, ha
deciso di comporre, solo e soltanto in tuo onore, una nuova frase, una nuova
pagina, un nuovo pensiero:
Le creste
verdeggiano, i fiumi canticchiano e le vere portano doni sgangherati: ecco il
pegno dell’anima assolata, che più mansueta e lieta non v’è! Oh, e di cotanta
gioia goiosa e traboccante brindiamo alla follia del nascente, quando il senso
delle parole manca di fresca rugiada e che come l’Araba fenice piange di una
lentezza desolata…
E lentamente
mi risveglio dal mio torpore di scrittore innamorato: innamorato della vita e
della gioia, delle parole e della loro musica e finalmente posso dire di
esserci, di essere vivo, di poter esprimermi come si dovrebbe. Il lento
scorrere della follia mi è caro ed ora non mi rimane che riposare beato nel
seno della pazzia.
Oh lettore! Sono confuso! Cosa
vorranno mai dire queste parole di significato oscuro? Cosa avrà mai voluto
trasmetterci lo scrittore con questo suo inspiegabile pensiero? Avrà forse
voluto gabbarci? Ingannarci? Confonderci? O darci prova ancora una volta della
sua ormai confermata follia? Io me ne lavo le mani! Sicuramente! Con un folle
del genere non voglio averci niente a che fare! Parola mia, lo scrittore è
sicuramente uscito di senno: ha perso così tante cose che solo il senno gli era
rimasto da perdere, ed ora che non ha neppure più quello… beh, cosa farà? Che
lo recuperi il prima possibile o saranno davvero guai amari!
Ma... ma… cosa succede? Mi sento
bloccato, pressato in una morsa e svuotato come mai mi ero sentito: dov’è
finita la mia linfa, il mio respiro? Mi sento mancare e le membra affaticate.
Dov’è l’ispirazione? Dov’è la vita che mi era stata promessa? La dea
ispiratrice ha lasciato il mio creatore, solo, immobile, senza sostegno e senza
ragione: come farà adesso senza di lei? Dove troverà la forza di scrivere e
sperare senza la meravigliosa dea a sostenerlo? Solo grigio terrore gli
attanaglierà il cuore e la sua mano cesserà di scrivere finché la fiducia non
l’avrà abbandonato del tutto.
Dunque... è questo che l’ha ucciso, che
ha distorto le sue parole e le sue frasi, rendendo vuote le prime e
sconclusionate ed informi le seconde!
Di gioia volevo gioire! Di morte ora non
voglio morire! La vita felice e serena che mi era stata promessa ora mi viene
negata similmente a come viene negata l’ispirazione al mio scrittore! Destino
crudele ed infame! Come hai osato distruggere la mente di quel poveretto,
facendogli credere di non valere niente, di non avere uno scopo! Come hai osato
affondarlo a quel modo… come risolleverà ora le sue sorti?
Ho paura che non succederà mai e che dunque sarò costretto a perire su questa pagina, fra queste parole… e dunque addio, sta calando il sipario ed è il momento dei ringraziamenti. Lo spettacolo è stato gradevole, applausi! Batte le mani anche lo scrittore, sebbene distrutto dal proprio dolore. È dunque giunta la mia fine: applausi al narratore ed alle sue infelici marionette!
Volevo descrivere le pene di uno scrittore, uno scrittore che prima o poi verrà giudicato per quello che ha scritto o che si accinge a scrivere (che potrebbe apparire alla vista del lettore completamente nonsense, come nelle prime righe del testo).
La prima pena di uno scrittore è sicuramente quella della grammatica e della sintassi: dovrà certamente premurarsi come prima cosa di controllare e rivedere il suo testo per evitare eventuali obbrobri ed errori di ogni sorta.
La sua seconda pena è quella di trovare un senso alle sue parole, incastrarle in modo armonioso, in modo tale che soddisfacciano sia se stesso che il lettore (cosa che nel testo riesce a trovare solo alla fine del suo secondo sproloquio, asserendo di voler vivere nel seno della pazzia).
La terza è quella della creazione dei personaggi della sua storia: dotarli non solo di una forma, ma anche di una moralità e di un carattere (come quella del narratore della storia, personaggio creato dal folle scrittore)
Ed infine la quarta, che è quella che non dipende assolutamente dal povero scrittore, ed è l'ispirazione (ciò che il folle scrittore del testo ha perso e che è la causa principale della sua perdita di fiducia).
Questo testo esprime la degenerazione dello scrittore, il suo lento delirio che si conclude con la distruzione dei suoi personaggi. Perché quando uno scrittore è bloccato, cosa succede? La storia non continua, si interrompe, ed è come se morisse, se perdesse la vita di cui prima era dotata. Sapendo perfettamente che cosa si prova a perdere l'ispirazione e dunque, di conseguenza, la fiducia in se stessi e nelle proprie capacità, ho cercato di mettere questo sentimento per iscritto come meglio ho potuto: il primo sproloquio dello scrittore, all'inizio del testo, caratterizzato da frasi senza un significato, rappresenta principalmente l'illudersi dello scrittore; egli infatti, non capacitandosi del fatto di aver perso l'ispirazione e la voglia di continuare un suo racconto, improvvisa un testo (che agli occhi del lettore appare incompresibile) quando invece agli occhi dello scrittore risulta completamente normale. Ma ecco che nel suo secondo sproloquio (dalla quarta riga) lo scrittore si accorge finalmente di essere finito e si decide ad accettare la realtà. Annuncia di volersi rintanare nella sua ormai palese follia e di concludere quella per lui insopportabile messa in scena. Egli sa di essere arrivato alla fine e dunque si gode il suo ultimo applauso, beandosi di quell'ultimo calore offertogli dal suo pubblico: applaude anche lui, riconoscendo i suoi meriti passati, e toglie la vita ai suoi personaggi (le cui vite non si evolveranno più perché abbandonate dalla penna dello scrittore). Ecco, questo è quello che volevo esprimere. Non so se ci sia riuscita o meno, ma spero che comunque vi sia piaciuto questo mio piccolo delirio. Buon anno nuovo a tutti.
Angela Smith