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Autore: Andy Black    02/01/2016    1 recensioni
Questa è una Hotsummer. E Gold è costretto per la prima volta a vivere come un fidanzato serio una relazione, senza colpi di testa né nulla; la ritrovata pace di Hoenn e la new entry a livello sentimentale lo porteranno a fare diverse valutazioni, che andranno contro IL SUO codice etico, che sappiamo essere tranquillamente non etico.
Non sto dicendo una sega, lo so, ma posso riassumere il tutto con: Marina ha ragione, Gold la ignora, Gold sbaglia, Marina ha ragione. Semplice no?
La storia fa parte della cronologia Courage, un giorno mi prenderò la briga di numerare tutte le uscite, perché le sto pubblicando a cazzo di cane. Ma questo non c'entra nulla, anche perché questa shot può essere letta tranquillamente anche senza conoscere nulla della mia serie. Buona lettura e buon 2016, farisei.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chiara, Crystal, Gold, Marina, Silver
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga, Videogioco
- Questa storia fa parte della serie 'Pokémon Courage'
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Alla fine le donne hanno sempre ragione.
Universo X
 
Se c’era una cosa che Marina aveva capito di se stessa era che la semplice azione di girare la chiave nella toppa le provocava il rilascio di una grande quantità d’endorfine, capace d’appianare qualsiasi divergenza che il suo spirito ed i suoi nervi avessero avuto durante la giornata.
Era riuscita ad ottenere un permesso, lavoro di scrivania per qualche mese, prima di tornare operativa; i fatti di Hoenn l’avevano stressata particolarmente, e quindi s’era appostata nella Stazione di Polizia di Violapoli.
E Violapoli era relativamente calma, ma lo stesso aveva ottenuto l’autorizzazione dalla Lega di Johto per la formazione d’un piccolo nucleo Ranger. Due ragazzi, molto giovani per altro, più di lei e dei suoi ventiquattro anni, ma comunque una grande vittoria per l’Associazione Ranger; già, inserirsi in un luogo dove la figura dell’Allenatore era sviluppata a macchia d’olio non sarebbe stato facile, ma tanto le bastava, era solo agli inizi.
Quel giorno, il sesto giorno di lavoro, aveva cominciato la formazione sul campo dei ragazzi.
Un maschio, Achille, dallo spiccato senso dell’umorismo e dalle grandi capacità fisiche. Aveva qualche tara nell’apprendimento delle nozioni, dove per altro la femmina, Lea, eccelleva. Nonostante questo, la ragazza peccava parecchio nel lato caratteriale, risultando essere una persona piuttosto fredda, in netto contrasto con il suo partner.
Ed era stressante, anche perché a lei non piaceva insegnare; quel posto sarebbe stato perfetto per Martino, sicuramente, con le sue grandi capacità e l’abilità nel farsi ascoltare.
Marina odiava gli adolescenti.
Gli adolescenti, tipo Gold. E Gold non era adolescente, aveva un anno in più a lei ma ne dimostrava dieci di meno: rozzo e prepotente, inaffidabile e rumoroso.
E lo amava per questo.
Anche quel giorno era finito e la serratura di casa scattò, dando alla luce il salotto che condivideva con Gold, Crystal e Silver.
L’ultimo non era in casa, ma gli altri due animavano quella grossa casa; Gold era steso sul divano a cosce spalancate, con un pantaloncino a mezza gamba nonostante dicembre fosse appena cominciato. Una gamba era poggiata sul poggiaschiena ed un’altra sul bracciolo, mettendo in dubbio l’esistenza di qualcosa nel punto di convergenza delle stesse. Faceva zapping selvaggio mentre giocava con la PSP, tenendo televisione e videogioco ad alto volume.
Fastidioso, come sempre.
Spostò gli occhi dallo schermo e sorrise, piegando gli angoli della bocca carnosa e facendo risplendere le pepite che aveva al posto degli occhi.
Marina pensò che, nonostante fosse sempre spettinato e trasandato, quel ragazzo fosse meraviglioso. Gli sfilò davanti e gli diede un bacio sulle labbra, quindi passò oltre, guardando Crystal in cucina che sminuzzava delle verdure.
“Buonasera, Crys. Se aspetti vado a levarmi questi panni e mi do una rinfrescata, poi vengo ad aiutarti...”.
“No, tranquilla. Mi aiuterà Gold... vero?!” fece la moretta, irritandosi sull’ultimo punto della frase.
“Seh... Figurati...” sorrise Marina, sbottonando il primo bottone della camicia azzurra. Sì, perché doveva mantenere un contegno, lei era il Caporanger della regione di Johto, del resto. Salì le scale, sbottonando anche gli altri due e mostrando il reggiseno bianco, e poi entrò nella sua stanza.
Quella era la stanza di Silver, ma da quando i due avevano deciso di stare assieme il ragazzo aveva trasferito i suoi pochi averi nella stanza della ragazza ed avevano preso un letto più grande.
Accese la luce, fuori era già parecchio buio, e finì di sbottonare la camicia, quindi levò la giacca e la camicia stessa, per rimanere con in gonna e reggiseno.
Levò anche le scarpe, compiaciuta da quel sollievo quasi edonistico, e poggiò la pianta dei piedi per terra, col filtro delle calze, perdendo sette o otto centimetri.
E Gold entrò in stanza in quel momento, guardandola mezza nuda con una scarpa sì ed una no.
Marina non si scompose, sapeva fosse lui; Crystal e Silver bussavano sempre.
“Hey. Com’è andata oggi?” domandò quello, andandole alle spalle e stringendola; il suo corpo era caldissimo.
“Meh... Sarebbe andata meglio se non fossi scesa dal letto, stamattina. Tuttavia ormai la giornata e finita e mi godo queste ultime ore di riposo, prima di andare a dormire... E tu?” fece, mantenendosi alla sua spalla e sfilando l’altra scarpa.
“Ti sembrerà incredibile, ma oggi ho fatto pulizie nella mia stanza e nel garage”.
“Entrambi posti pieni della tua roba”.
“Non chiamarla roba... Sono cimeli, ricordi dei miei viaggi e...”.
“E nulla, Gold, sei semplicemente un accumulatore compulsivo” disse, abbassando la cerniera a lato della gonna e sfilandola. Quella scese lentamente, carezzando la linea dolce del suo sedere. Gold abbassò lo sguardo e sorrise.
Marina lo guardava allo specchio, sorridente. Sfilò anche le calze, quindi sorrise all’espressione del fidanzato, ogni giorno più sorpreso dal suo fondoschiena.
“Sai...” fece, senza alzare gli occhi. “Hai compensato la quasi totale mancanza di tette con un sedere da paura...”.
“Questo è il tuo modo di farmi complimenti?”.
“Credo di sì. Ed in un certo senso stare anche provando a levarti queste mutandine da dosso e buttarti sul letto”.
“Devo lavarmi e devo aiutare Crystal”.
“Beh, cinque minuti, dai”. Poi alzò gli occhi e sorrise. “Ok, sappiamo che non saranno cinque minuti, ma...”.
Marina sorrise. “Hai fatto anche meno di cinque minuti, sai...”.
Gold s’accigliò. “Hey, erano le prime volte. E poi mi piazzasti questo bauletto davanti, che avrei dovuto fare?”.
Marina si girò e gli diede un bacio, mentre la sua pelle veniva sferzata dal freddo. “Mi piaci” fece, e poi stanca s’avviò verso la cassettiera, dove prese mutande e reggiseno, quindi uscì fuori dalla porta ed entrò in bagno, sculettando stanca.
Gold un sopracciglio e sorrise ancora. “Perché non facciamo la doccia insieme?”.
“Perché poi non faremo la doccia” rispose quella, da dietro la porta.
“Figa di legno”.
“Ti ho sentito!” urlò quella.
Gold sbuffò e scese al piano di sotto, tornando a giocare a Call of Duty.
 
Quando lei uscì, pulita e profumata, Crystal già aveva messo in tavola tutto. Silver era rincasato e stava tagliando il pane a fette sottili, come piacevano alla sua donna.
“Ciao, Sil” disse quella, in ciabatte e pantaloni larghi e comodi.
Quello alzò la testa ed elargì un sorriso di cortesia, chinando nuovamente il capo in gesto di saluto.
“T’ha salutato” fece Gold, ancora sul divano a giocare, di spalle alla cucina.
“M’ha risposto...” fece la ragazza. “Vieni a tavola, è pronto”.
“Due minuti! Devo abbattere questo... Cazzo, muori!” urlava il ragazzo.
Silver faceva cenno di no con la testa mentre Crystal rideva divertita. Marina gli si avvicinò alle spalle e gli strappò la PSP da mano, la spense e la gettò sul divano.
“A tavola” ripeté, stanca. Gold girò la testa e la vide, con i capelli legati in una coda, corta, alta sulla testa. Un paio di ciuffi erano rimasti fuori dalla presa dell’elastico e scendevano delicati sulle orecchie.
Marina lo guardava, lui ricambiava lo sguardo.
“Andiamo?” chiese lei.
Gold annuì e s’alzò.
Si sedettero a tavola, in un silenzio interrotto solo, di tanto in tanto, dal crepitio del fuoco nel camino.
Silver era rimasto sbalordito. “Mi spieghi come hai fatto?” chiese, facendo sorridere i presenti.
“Comando io...” fece divertita Marina.
Gold sorrise nuovamente, facendo cenno di no con la testa. “Ho soltanto fame, non te la tirare così tanto”.
E poi mangiarono, parlando del più e del meno e di come Silver, precedentemente, fosse rimasto nuovamente sbalordito dalla pulizia del garage, dove aveva posato la sua Kawasaki.
“Quando faccio le cose...” rispose Gold, addentando uno degli onigiri che aveva nel piatto.
“Quando? La domanda è: quando fai le cose?” ribatté Crystal.
“Lasciatemi in pace! Oggi ho sentito Chiara”.
Marina inarcò un sopracciglio, voltandosi verso di lui con le bacchette strette attorno ad un filetto di salmone, immobili. “Chi hai sentito?”.
“Chiara, di Fiordoropoli. Era da parecchio tempo che non le parlavo”.
“Uhm. E che ha detto?” chiese Crystal, interessata.
“Ma nulla, ha bisogno d’un aiuto per la schiusa d’alcune uova e domani dovrei andare da lei”.
“Da lei. In Palestra da lei” ripeté Marina, sbattendo gli occhi, con ancora il salmone stretto tra le bacchette.
“No, a casa! Non avevo mai visto casa sua!” sorrise.
Il salmone sgusciò via dalla presa delle bacchette e cadde nel piatto, finendo nella salsa di soia, che schizzò sulla maglietta di Marina.
“Quindi... andrai a casa sua?”.
“Sì, Marina, non mi hai sentito? Ho detto che andrò a casa sua, dove vive e...”.
La ragazza abbassò il capo, col volto sconcertato, prese un fazzoletto e pulì le macchie di salsa, invano.
Crystal la guardò, quindi fece a Gold segno di finirla, con la mano.
Il ragazzo aveva interrotto una frase a metà e Marina s’era voltata a guardarlo. “Andrai dove vive e cosa farai, precisamente?”.
“Mi occuperò dei...” Gold guardò confuso Marina, poi Crystal accanto a lei, che faceva cenno di no. Silver guardava totalmente immobile la scena.
“Dei?!” si stava spazientendo lei.
“Come sono gli onigiri, Silver?!” esplose Crystal, guardandolo repentinamente. Il ragazzo, che dal canto suo ancora doveva toccarli, fece spallucce ma Crystal, che non si accontentava d’un movimento di braccia gli diede un calcio.
“Allora?! Sono o non sono deliziosi?!”.
“Crystal, non urlare... Ahia...” fece il fulvo.
E telepaticamente Gold ricevette il messaggio di stare in silenzio per il resto della cena.
 
Camere separate ma Gold e Marina solevano dormire assieme, nella stanza della ragazza, decisamente più ordinata. Il letto di Gold, infatti, era diventato il basamento per vestiti sporchi ed alcune delle sue cianfrusaglie.
Caotico al massimo, molte volte Silver l’aveva sorpreso a dormire steso su quel mucchio di panni, noncurante di tutto.
Dopo aver visto un film, Gold e Marina salirono sopra. Gold si fece una doccia rapida mentre la ragazza sistemava i vestiti che avrebbe dovuto mettere il giorno dopo sulla sedia.
Entrò lui in stanza che lei s’era appena messa sotto le coperte, con il suo pigiama di pile, quello che Gold adorava definire antistupro, e la lampada accesa ad illuminarle la lettura di God Hates Us All.
Silenzioso lui si mise sotto le coperte, lei non gli aveva neppure rivolto uno sguardo.
“Senti...” fece lui, toccandole il braccio. Quella lo ritrasse e gli diede un’occhiataccia.
“Sto leggendo” tuonò.
Silenzio.
“Ho detto qualcosa che ti ha dato fastidio, per caso?!” s’alterò lui, mettendosi seduto e puntellando le braccia sul materasso. Marina combatté contro il desiderio d’indugiare sugli addominali del ragazzo, perché lui dormiva solo in boxer, e lo fissò negli occhi.
In quegli occhi dorati, dove adorava tuffarsi quando fuori era tutto buio.
“No, Gold”.
“Non è vero! Tu sei...”.
“Sto leggendo” tuonò ancora.
Gold annuì ancora e si zittì, si stese e s’addormentò.
 
Quando si svegliò, il giorno dopo, il letto era vuoto. La parte dove dormiva Marina era ben tirata, e quando s’alzò si ripeté in mente che avrebbe dovuto emularla: se non altro avrebbe potuto provare ad appianare le divergenze.
Andò in bagno, si lavò e scese giù. Crystal era lì, faceva colazione.
“...’giorno...” fece quello, prendendo una tazza e dei cereali. Si sedette a tavola con il morale sotto le ginocchia e poi alzò lo sguardo verso la ragazza, che lo fissava incuriosita.
“Che hai?” domandò secca quella.
“Marina” rispose senza farsi pregare assai quello. “È arrabbiata con me ed io non riesco a capire perché. Per la prima volta nella mia vita credo di aver pensato e, proprio quando stavo per fare quello che faccio di solito, ovvero sbatterla con le spalle sul materasso e cercare di scacciare via i brutti pensieri col sesso ho... ho come sentito la sua vagina ghiacciare il letto”.
Crystal inarcò un sopracciglio. “Ti esprimi come un tredicenne con la proprietà di linguaggio di uno stambecco”.
“Meeeh”.
“Insomma, avresti voluto fare sesso con lei per mettere le cose a posto ma l’hai sentita fredda”.
“Sì. Proprio quello che ho detto io, Crystal”.
“Non proprio. Ma la soluzione è più che semplice, testa di legno: lei è gelosa”.
Fu in quel momento che nella testa del ragazzo s’aprì per la prima volta un capitolo nuovo della sua esistenza: stava capendo che, se ad ogni azione corrispondeva una reazione, allora anche Marina avrebbe risentito dei suoi gesti. Certo, non avrebbe fatto nulla di male con Chiara, era la prima volta che stava bene con una donna e non voleva di certo rovinare tutto, però non comprendeva come potesse essere dubbiosa dei suoi comportamenti.
“Quindi...”.
“La situazione di Chiara l’ha infastidita. Pensare che tu andassi a casa di quella, da soli, le ha fatto partire delle paranoie incredibili...”.
“Uhm... Capisco. Tipo te, quando Silver incontra Blue”.
Crystal diventò paonazza e spalancò gli occhi. “M-ma che dici, cretino?!”.
“Andiamo... Diventi una folle senza pace. A proposito, oggi come mai non sei a lavoro?”.
“Vado tra poco...”.
“Hai aspettato me, dì la verità” sorrise il ragazzo, grattandosi la testa e bevendo il latte.
“Seh, proprio così...” fece quella, alzandosi e sculettando verso il lavello. Sciacquò la tazza e la ripose nel pensile davanti a lei. “Quando hai finito lava la tazza e metti tutto a posto. Ora vado. Cerca di aggiustare la situazione con Marina”.
 
Non lo fece.
 
Cioè, non lavò la tazza.
Anzi, per tutta risposta la lasciò sul tavolo e se ne andò di sopra, a vestirsi.
Poi uscì, avviandosi verso Fiordoropoli, facendo una piccola deviazione per Violapoli.
 
Marina muoveva velocemente le dita sulla tastiera ed automaticamente le parole che pensava si trasformavano in stringhe di lettere, nero su bianco.
Relazioni tecniche, calcolo dei rischi ambientali che le varie zone di Johto potevano correre: se si escludevano le varie zone costiere, con possibili attacchi da Pokémon marini, e quelle limitrofe ad alte pareti rocciose, come Ebanopoli e Mogania, o altre ancora. Ogni città aveva una variabile di rischio che lei doveva sistemare in una scala tra 1, pericolo basso, a 10, alto rischio d’emergenza.
Borgofoglianova e Fiorpescopoli erano relativamente tranquille, ma la vicinanza al mare li rendeva un 3 su 10, mentre Violapoli era un 2 su 10, per via della relativa vicinanza al tunnel che attraversava il massiccio che si snodava a sud di Johto, da cui provenivano gran parte dei Pokémon selvatici.
La più sicura di tutte le città era, con ogni probabilità Fiordoropoli, con il suo 2 su 10 dovuto semplicemente alla forte urbanizzazione limitrofa a sentieri poco battuti, tane di Pokémon selvatici più o meno pericolosi.
Ebanopoli e Mogania raggiungevano un 5 su 10 per il pericolo ipotetico di frane, mentre Olivinopoli e Fiorlisopoli sfidavano il mare e si meritavano un 8 su 10.
Bisognava sviluppare squadriglie ed inviarle in giusto numero nei luoghi adibiti.
E poi, tra un coefficiente di rischio ed una percentuale ballerina, il volto di Gold bagnato dagli sguardi di Chiara, dai suoi sorrisi, aveva sfondato ogni pensiero, quasi ce l’avesse davanti agli occhi.
E l’avrebbe preso a schiaffi, lo giurava.
Sbuffò, la ragazza, riprendendo a redigere la sua relazione tecnica, solo per poco, prima di abbandonarsi allo sconforto.
Erano appena le dieci del mattino e faceva un freddo artico. S’alzò, accese il condizionatore e s’avvicinò alla finestra accanto. Vedeva il cielo che si riempiva di nuvole grosse e minacciose e sospirò, stretta nel suo stesso abbraccio.
Pensò che avrebbe nevicato a breve. E poi i suoi pensieri impattarono di nuovo su Chiara, su Gold.
 
 
Che diamine?! Non è mica detto che succederà qualcosa, no?! Gold poi è innamorato di me, no?
O no? Cioè, lui è attratto da me.
Ciò non significa mica che mi ami, però. Me perché diamine mi faccio tutte queste paranoie?! Lui andrà lì, a casa... a casa sua, le darà qualche dritta, con il breeding e... e che diamine.
Perché ho paura?
Non sono mai stata così... così! Non ho mai sentito una tale attrazione per qualcuno, tanto da farmi problemi per le azioni degli altri.
Sono gelosa.
Gelosa che lui possa fare qualcosa con Chiara. Gelosa che a lui possa piacere Chiara, che possa mettermi da parte per lei.
Forse ieri sera avrei dovuto fare l’amore con lui... ora sarebbe più... sarebbe meno... voglioso, ecco.
Tsk. Gold meno voglioso? Se non s’addormentasse per la stanchezza riuscirebbe a fare certe cose per tutta la sua vita, ininterrottamente.
E mi fa ridere questo suo essere... Gold. Ecco. Per quanto lo possa nascondere mi piace da impazzire, anche se sono più fredda e stanca. E ieri sera se n’è accorto che gli ho guardato gli addominali. E me la sono presa con lui, poverino, senza nemmeno spiegargli il perché.
Cioè, avrebbe dovuto immaginare che una cosa del genere m’avrebbe portata a tanto, no?! Che diamine fai?! Ti fidanzi con me, viviamo assieme, dormiamo assieme, e poi te ne vai a casa di Chiara?
Per lavoro, risponde lui. Che poi che lavoro è far schiudere uova?! Non ci vuole tutta quest’intelligenza, le metti lì e fanno da sole. Quel testone!
Almeno in Palestra avrebbero avuto qualcuno sempre presente, mentre a casa di Chiara chi diamine c’è?! Nessuno, perché casa di Chiara sicuramente sarà uno scannatoio, dove porta le sue prede sessuali da cui risucchiare tutte le energie che distribuisce in giro con le sue urla e quelle mosse. Che poi è grassa.
Il fatto che abbia le tette così grosse non significa mica che sia magra, no. Anzi, spesso è il contrario. Oddio, forse è proprio per le tette! Io non ce le ho, quella ha due palloni! Sta andando da lei perché non ho le tette! Altrimenti sarebbe potuta andare da Jasmine, oppure da... okay, Sandra non si sarebbe mai messa in condizione di andare a letto con Gold, però la vedo già, Chiara, tutta pronta nella sua lingerie extralarge per fasciare quelle due mammelle gigantesche.
Ha un Miltank perché è una vacca, ecco tutto. E le vacche vengono montate dai tori, da che mondo è mondo, perché è una lurida troia!
Aprirà la porta di casa seminuda, in vestaglia, magari rosa dato che non indossa altro colore, e dirà “uh, Gold, oggi fa proprio freddo! Potresti riscaldarmi un po’?” come un’oca giuliva.
Sì, capisco tutto adesso. E Gold, che in fondo pensa con la testa di sotto, non riuscirà a levare la foschia che si creerà, cadrà tra le sue tette e quella vacca me lo porterà via! Ed io che come una cretina mi sono trasferita qui a Johto per stare con lui! Dannata Hoenn che me l’hai fatto rincontrare, potevano chiamare Solana e Lunick al posto mio e di Martino, no? E invece hanno deciso per Oblivia, perché Raimondo è sempre stato un bonaccione! Non ho per niente voglia di tornarmene lì ma non potrei più stare da Silver e Crystal se c’è Gold... E non potrei rimanere manco se se ne andasse a vivere da quella zoccola, perché tutto mi ricorderebbe di lui. Dovrei andare via, magari avvicinarmi a Violapoli. Potrei stare da Yellow, per i primi tempi, e poi, quando la Stazione Ranger ingranerà acquistare un appartamento qui in città. E dovrei vendicarmi di lui, magari ci dovrei provare con Valerio, che è stato con Chiara per tanto tempo... Già.
In fondo non è malaccio, Valerio, è un bell’uomo: è alto e magro e sembra molto serio.
Ma sinceramente non mi farà mai fare le risate che mi garantisce Gold. Ciò perché, dannazione, io lo amo! E non posso mentire a me stessa perché è troppo da stupidi. Dirmi una cosa quando da sola so di star dicendo una bugia è da stupidi. E morirei senza di lui.
E qualcuno bussa alla porta.
 
“Avanti”.
 
Oh. È lui.
 
 
“Hey...” disse Gold, entrando e chiudendo la porta. Avanzò, la sua donna era seduta sul bordo del davanzale della finestra, davanti al getto caldo del condizionatore. Lei lo guardò, nel suo jeans stretto. La felpa nera e dorata cadeva larga sul suo corpo.
“Ciao” gli rispose. “Che succede?”.
“Ieri sera non m’è piaciuto come ci siamo salutati...”.
“Neppure a me”.
“Ho fatto il letto, stamattina”.
Marina sorrise e vide il ragazzo emularla, con quei denti splendenti e gli occhi che riflettevano la luce fredda dei neon. Li guardò, pensando che avrebbe dovuto mettere plafoniere con lampade a luce calda.
“Incredibile. Basta non dartela per farti diventare una persona educata”.
“Hey, sono educatissimo! Alzo anche la tavoletta!”.
“Infatti dopo dovresti abbassarla...”.
“Oh. Beh... cazzo...” sospirò, portando le mani ai fianchi. “Ora posso sapere che ti ho fatto, ieri sera?”.
Marina si bloccò: che avrebbe dovuto fare? Dire tutto oppure rimanere in silenzio, aspettandosi che lui capisse quello che lei avrebbe voluto che lui capisse senza parlare apertamente?
Sbuffò, ma solo nella sua fantasia, rimanendo con la faccia di chi era stato ferito mortalmente, chiuse le palpebre per un paio di secondi, di quelli eterni, e lui era ancora lì.
“Cose... cose di donne, Gold”.
Il ragazzo inarcò un sopracciglio. “No, non è vero. Ogni volta che hai le tue cose di donne infili il maglione grigio e ti metti davanti al camino...”.
 
Mi conosce.
 
Marina sorrise. Allargò poi le braccia e Gold fece altrettanto, stringendola.
“Sembri una segretaria sexy con questi vestiti...”.
“Non cominciamo” fece, allargando il sorriso. “Ci sono i ragazzi, fuori...”.
“Non vuoi giocare al capo severo? Io faccio la segretaria, se vuoi. Dammi il reggiseno che tanto ce le abbiamo grosse uguali...”.
E Marina rise ancora. “Cretino. Adesso lasciami lavorare che ho tanto da fare”.
“Già, anche io devo andare. Sono venuto solo a prendermi il bacio che mi devi”.
Marina inarcò un sopracciglio. “Ti devo un bacio?” chiese curiosa.
Gold le prese la nuca tra le mani e premette le labbra contro le sue, per tre secondi esatti. Poi si staccò e si girò. “Non mi devi più niente, adesso” disse ed uscì.
Marina sorrideva come un’ebete. Le piaceva la sensazione di vuoto che continuava a provare nella pancia ogni volta che lo vedeva avvicinarsi a lei.
Odiava quella che viveva quando se ne andava, come quel giorno; s’era girata verso il vetro della finestra ed aveva visto Togebo allontanarsi verso le nuvole scure.
Era bastato un incontro d’un paio di minuti e chili di paranoie erano svanite, sfumate come alcool sul fuoco.
 
 
Toc – toc.
 
“Un momento!” si sentì urlare oltre la porta blindata nera.
Gold guardava il grande giardino della ragazza, pieno d’alberi d’agrumi, cercando di proteggersi dalla pioggia con le braccia incrociate sulla testa.
Passi leggeri rimbombavano forti e s’avvicinarono alla porta, quando l’uscio si spalancò: la ragazza sorrise al ragazzo, ma solo inizialmente, prima di prenderlo per le braccia e tirarlo dentro.
“Piove! Che fai lì impalato!”.
“Piano!” esclamò quello.
“Il solito zuccone...” rispose la ragazza, con quella sua classica tonalità di capelli rosata. Gold la guardò, e gli sembrò parecchio strano il fatto che girasse per casa con tacchi alti e sottili come quelli che indossava. I capelli, sempre corti, erano sciolti. Li ricordava ancora più corti, col tempo s’erano allungati e fluivano alle scapole.
Era chiusa in un accappatoio di seta, blu con cordone dorato.
“Perdonami se t’ho fatto aspettare, mi stavo preparando, devo uscire”.
“Ah, sì, si vede”.
“Come sto?” chiese poi, fermandosi, come attendendo l’esito della domanda.
Gold la squadrò, levando dalla lingua la sua reale opinione, come con un placcaggio massivo.
“Stai bene. Ancora devi finire di prepararti”.
“Già. Finirò non appena t’avrò portato dal mio ovetto” sorrise lei.
“Che Pokémon l’ha deposto?”.
“Miltank, naturalmente”.
Gold sospirò. “Parliamo di quel Miltank che tanto m’ha fatto bestemmiare?”.
Chiara sorrise. “Di chi, sennò? Posso offrirti qualcosa?”.
“Avevo sete ma ho preso acqua a sufficienza” disse, mentre ogni suo passo chiazzava di fango il pavimento in marmo.
La donna lo precedeva, ancheggiando sui tacchi alti ed aprendo una stanza poco illuminata; lì, il rumore della pioggia si sentiva più forte.
“Questa è la camera di Moomoo” disse la ragazza, vedendo il bovino, con aria sfatta, riposare sotto una lampada calda.
“Ciao, incubo dei miei scontri in Palestra...” fece il ragazzo, carezzando il Pokémon, ancora debole per via del parto appena avvenuto. “Poverina... è stanca” osservò il ragazzo. “È l’uovo dov’è?” chiese infine.
Chiara indicò con lo sguardo verso destra, con le braccia incrociate sotto i seni, in equilibrio sugli alti tacchi e le cosce strette. Gold lo vedeva dallo spacco nella vestaglia. Pensò a Marina e tornò a guardare in basso verso Miltank, almeno prima di sollevarsi e raggiungerlo.
E Chiara lo aveva notato, sorridendo. Si avvicinò a lui e lo sorpassò, calandosi dall’alto dei suoi tacchi per raccogliere l’uovo, lasciando quel vedo non vedo attraverso lo spacco della gonna.
Lo pose poi delicatamente tra le braccia del ragazzo e lo tirò per il braccio, rientrando in casa.
“Non avresti dovuto tenerlo di là... è freddo”.
“Che avrei potuto saperne...” sospirò quella, continuando a tirarlo per il braccio e gesticolando vistosamente, con i bracciali che tintinnavano festanti. “Sei tu quello delle uova”.
“Non tirarmi troppo, che da quello delle uova divento quello della frittata”.
Chiara rise sguaiatamente. Entrarono in cucina, dove l’ambiente era molto più caldo.
“Ecco, qui starà meglio” fece la ragazza, facendo sedere Gold su di uno sgabello e piazzandosi di fronte, scollatura in bella vista.
Gold decise di rimanere concentrato sull’uovo. Lo alzò in alto, controluce, cercando di vedere se fosse traslucido, ma il guscio era ormai ben calcificato.
“Vieni qui” le disse, cercando anche di levarsela davanti, perché stava cominciando a diventare imbarazzante. Quella eseguì, i suoi tacchi batterono sul parquet e la portarono accanto a lui.
Lei sorrise, maligna, e toccò con un seno il braccio del ragazzo, che diventò paonazzo.
Cercò lo stesso di trattenersi, nonostante i suoi impulsi più animali e noti gli avrebbero imposto di poggiare delicatamente l’uovo sul piano e gettarsi su Chiara, per ingravidarla.
Ma pensava a Marina, alla fedeltà che lo legava a lei e non poteva. Non voleva.
“Chiara, fatti più in là, per favore, mi fai cadere l’uovo”.
La ragazza, che tutto sommato aveva sempre provato una passione sfrenata per Gold, aveva subito colto la palla al balzo. Invitarlo a casa sua sembrava troppo, ma l’uovo era il giusto pretesto per fargli attraversare la soglia della sua abitazione. E pazienza se si sarebbe fatta trovare troppo attraente, coi tacchi ed il reggiseno a balconcino, conosceva la fama del ragazzo e quella era un’esca fin troppo allettante; insomma, agli squali non serviva molto oltre ad una carcassa sanguinolenta. Ma ancora nulla.
Non sapeva però cosa lo avesse cambiato così tanto: forse era Hoenn, e quell’avventura che aveva raccontato mille volte. Era diverso, l’aveva addirittura spostata.
“Guarda qui” le disse. “Controlla sempre che non ci siano crepe sul guscio e cerca di tenere l’uovo in un posto dove non faccia né troppo caldo né troppo freddo. Dovresti acquistare una di quelle... di quelle lampade...”.
“Già” fece lei, giocandosi il tutto per tutto. Lasciò cadere la vestaglia, rimanendo soltanto in costume. Prese poi il ragazzo e lo baciò con passione.
Gold spalancò gli occhi, e la voglia di tuffarsi in quel corpo era grossa.
Ma lui era un buono e queste cose non andavano bene. La staccò.
“Hey, hey, hey, hey, hey, donna, sei matta?! Via!” urlò, spintonandola. Quella fece tre fortunati passi indietro, senza cadere dagli altissimi trampoli che aveva ai piedi. “Che cazzo stai facendo?!”.
“Ma sei diventato gay, così, tutto all’improvviso?!”.
“Hai sbagliato soggetto...” sospirò il ragazzo.
Quella inarcò il sopracciglio destro. “Non ti piaccio, vero? Sapevo d’aver avuto una pessima idea!”.
Gold s’alzò in piedi e mise le mani avanti, come a creare un muro. Un muro che avrebbe distrutto in pochi secondi, un anno prima. “Senti... mi conosci e sai che non aspetterei un...” lo sguardo di Gold si perse nella morbidezza della sua scollatura. “... attimo prima di tuffarmi lì dentro” concluse, continuando a guardare quel punto e ad indicarlo col dito. “Tuttavia sono fidanzato”.
Chiara spalancò gli occhi, stupita, poi scosse la testa. “Momento, momento, momento... Sei fidanzato?!”.
“Sì! Sto con Marina, la Ranger!”.
La ragazza rimase colpita da quelle parole: non le sarebbe mai saltato in mente di fare una cosa del genere se avesse saputo della ragazza.
Raccolse la vestaglia e la infilò velocemente, imbarazzatissima. “Non avrei mai immaginato una cosa del genere, credimi... Mi ci è voluto un coraggio enorme per fare una cosa del genere e...”.
“No figurati, anzi, complimenti, ti mantieni in forma... è che proprio non si può” sorrise Gold, imbarazzato.
“Ora puoi andare...” fece quella, tenendo chiusa la vestaglia. “E... perdonami”.
“Ci... ci mancherebbe”.
 
Sulla via di casa Gold non fece altro che pensare a ciò che era successo a Fiordoropoli. Non sapeva se parlarne con Marina, se dire tutto. Insomma, lui l’aveva respinta, aveva protetto il loro amore e lei lo avrebbe trattato come un eroe.
O no?
Certo. E poi avrebbero fatto del gran sesso. E proprio mentre Gold pregustava il sapore della sua ragazza pensò ad un ipotetico finale alternativo.
Già, pensava a quel finale in cui lei sapeva che di lui e delle sue iniziative non ci si potesse fidare e che avrebbe fatto meglio a marcarlo più stretto. Avrebbe chiuso la zip al giocattolino lì sotto e l’avrebbe riaperta solo per fare la pipì.
Lui avrebbe sì risposto che l’aveva bloccata, ma lei avrebbe detto che non si sarebbe dovuto mettere per nulla in quelle situazioni, a prescindere da tutto. E si sarebbe arrabbiata ancora di più per via delle sue giustificazioni.
Marina era strana già dalla sera prima per via di quella situazione, come se già sapesse cosa sarebbe accaduto.
Fu quello il momento, il momento esatto, in cui Gold capì che le donne avessero ragione.
Le donne avevano sempre ragione.

 

 
   
 
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