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Autore: Ardespuffy    11/03/2009    4 recensioni
[...] Ha quella voglia stupida di abbracciarlo. Posargli le mani schiuse sui fianchi, dapprima mollemente. Sgattaiolare a dita tese sotto il cotone, per sentire le vertebre flettersi. Assaporarne infine il calore, prima di attrarlo a sé con quell’urgenza esasperante.
Sta perdendo il contatto col suo stesso corpo. L’unica cosa che gli sia mai rimasta fedele. [...]
Brian e Matthew. L'ultimo atto nella favola del backstage.
[Potenziale seguito di .Undertone.]
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Muse, Placebo | Coppie: Brian.M/Matthew.B
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Backstage.'
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Batte nervosamente sul profilo dei jeans scoloriti

Batte nervosamente sul profilo dei jeans scoloriti.

Double croche.

Il clap delle bacchette sul denim, netto e preciso.

Nh.”

Ottiene solo un cenno del capo.

Partecipe, emette un lungo fischio.

Flam.

Incalza, alternando il battere e levare dei polsi a intervalli sempre più brevi.

Lo spilungone non batte ciglio.

Tenta il tutto e per tutto. Interrompe la sequenza brutalmente e lancia le Vic Firth in aria.

Resta a guardare, soddisfatto, mentre ruotano coordinate per due metri in salita.

Poi la destra s’impiglia nel telaio portante dei riflettori.

La sinistra ne colpisce uno di punta, con precisione.

E le mille schegge di vetro infranto sono l’unica cosa a ricadergli tra le mani.

 

Dom getta un’occhiata casuale allo spilungone, fingendo d’ignorare l’apocalisse scatenata nei cinquanta secondi precedenti.

“Così… tu sei gay, eh?”

Stefan lo fissa dall’alto, puramente interdetto.

“A quanto pare.”

Un ulteriore scroscio di vetri colorati gli strappa una smorfia esaurita.

Dom ghigna nervosamente.

“Già. Bella storia!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

~ Black Plant.

 

 

 

~ Why would you say “sorry”?

Oh, why would you?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C’è un po’ di Brian nel vetro. Tagliato in specchi buoni da bere. Belli da farci l’amore.

Stringe le dita sudaticce attorno al filtro della Lucky Strike.

Dovrebbe tornare a fumare roba seria, si dice.

Matthew ondeggia con la morbidezza dei brilli, attaccato in entusiasmi puerili al collo della Bud. La mezzaluna della figura si staglia contro il fondo scuro del backstage, dando all’aria quel colore nervoso che ha la sua musica.

Può quasi sentirla, contro la carta della sigaretta.

Le mille repliche di vetro arricciano il naso perfetto in una smorfia che lo sconcerta. Non può farne a meno: stenta a riconoscersi con quell’impronta addosso.

C’è più di Bellamy sulla sua pelle che nel corpo lì davanti.

Prova a schermarsi col fumo, ignorando il fremere lieve delle gambe che non gli riesce di arrestare. Certo non costa quanto quell’attesa stentorea.

Alla fine dei suoi giochi da spettro, può ben esser grato perché è Matt ad esordire. 

“Allora… cosa c’è?”

Reprime l’istinto fugace di spegnergli la cicca sulle labbra.

Violentemente erotico.

“Sicuro di volermi ascoltare? Non preferisci forse finire le scorte del tour?”

Accenna eloquentemente alla bottiglia piena di sé.

Matthew segue il suo sguardo con stupore crescente, che sfuma in una più quieta meraviglia.

“Non credo ci sia questo pericolo. Dom ha preso tanta birra che ci basterà fino ai prossimi EMA!” 

Persino il sorriso che segue, così vitale da sembrare autentico, non riesce a strozzargli l’ira in gola.

La sta affrontando nel modo sbagliato, Brian ragiona. Dovrebbe seguire i consigli della sua psicoterapeuta e ri-las-sar-si, una buona volta.

Peccato solo sia facile parlare, per una vecchia zitella del New Hampshire con cui non sostiene che conversazioni telefoniche. Gran parte delle quali spesa a iperventilare, va detto.

Con un leggero slancio all’indietro si accomoda sull’accogliente polvere di un Marshall abbandonato. Prende una boccata di fumo più lunga, rovesciando intenzionalmente il capo per fissare il soffitto.

Non avrebbe dovuto tagliarsi i capelli, lo sa. Ora si ostinano a crescere con quella strana forma a budino – se neppure Alex ha avuto il coraggio di negare, allora è peggio di quanto pensasse.

“Brian…”

Registra distrattamente il piacere di quell’invocazione – perché è così, oh, così che deve andare.

“… se non hai nulla di intelligibile da dire io torno di là. Devo controllare le chitarre.”

Dritto a schiantarsi contro la prepotente realtà della sconfitta.

Niente da fare. Matthew Bellamy ha ingoiato le ultime stille della sua dignità insieme alla doppio malto.

Cerca di rivestirsi d’autorità, assimilando nicotina con la furia dell’orgoglio che scema, maledettamente duro a morire.

“Frena. Non ho ancora iniziato.”

Almeno sapesse perché diamine si trovano lì, farebbe un favore ad entrambi.

Lo sente avvicinarsi, il ticchettio sicuro dei tacchi squadrati sulle travi – come un dannato cowboy. Al diavolo il giorno in cui gli è venuta su Knights Of Cydonia.

Ne avverte la presenza a meno di un palmo, con quel caratteristico odore d’alcool e canto che si porta dietro, e ancora nessun contatto. Quasi a giocare con le differenze di posizioni, mai tanto evidenti quanto nella favola del backstage.

Reclina la testa in avanti e lo scopre a ghignare.

Proprio non capisce con che coraggio la gente gli dia dell’isterico. Sta con quella sottocategoria di frontman, dio santo. Ha tutte le stramaledette ragioni del mondo per essere isterico.

La camicia di Matt è improponibile, al solito. Con quel dannato bavero luccicante che chiede solo d’essere afferrato e scosso, fino a spogliarsi di ciascuna schifosa paillette.

Si trattiene. Più probabilmente, perché sa che al minimo tocco scoppierebbe di nuovo l’insana brama che lo trasforma in ogni molecola.

Nemmeno un sintomo onorevole. Solo sudori vari e vagamente imbarazzanti, di quelli che si portano dietro il timore dei cattivi odori e l’incubo della pelle lucida sotto il trucco.

E c’è di peggio.

Ha quella voglia stupida di abbracciarlo. Posargli le mani schiuse sui fianchi, dapprima mollemente; poi pressare per imprimersi più a fondo sulla stoffa della camicia, e scorrere lungo il bacino ossuto arrivando alla schiena. Sgattaiolare a dita tese sotto il cotone, per sentire le vertebre flettersi dolcemente. Assaporarne infine il calore, prima di attrarlo a sé con quell’urgenza esasperante.

Sta perdendo il contatto col suo stesso corpo. L’unica cosa che gli sia mai rimasta fedele.

“Lascia che indovini…”

Matthew lo canzona senza fiele, fissandolo a capo inclinato.

L’attimo dopo Brian sente la testa girare. Scivola nelle braccia sottili del folletto, allargando maldestramente le gambe per tenersi in equilibrio.

Contro il petto di Bellamy c’è una profusione di odori che lo aggredisce senza possibilità di discernimento. Barcolla vergognosamente per non premersi sulla sua camicia – i lustrini potrebbero infettarlo; finisce col pestargli un piede scioccamente corazzato.

Leva il capo con una mezza intenzione di scusarsi, ma l’altro è più svelto.

Lo cerca con una dolcezza molle e improvvisa, intima in un modo che è diverso dai bordi delle lenzuola. È uno sfiorarsi pudico di nasi, un contatto tremulo di fronti; è una bocca che sfrega sulla sua, lentamente e con attenzione. Un’umidità che non esita e non s’impone, che canta senza rumore.

Brian accoglie le labbra di Matthew e vorrebbe morire per come riesce a sentirle.

Non sa dire chi dei due ingrani la marcia per primo. Troppo occupato a soffocare un unico, prolungato grido di frustrazione, per resistere alla sfida iniqua di quella lingua tanto perfetta.

Può muoversi davvero maledettamente bene, il ragazzino. Quando non è sul palco.

Matt si tira indietro e tutto crolla.

Il bip incessante nelle orecchie sembra perforargli il cervello. Quasi come avere un elettrocardiogramma inerte che rimanda sempre lo stesso suono pulsante.

“… ti mancherò da impazzire, mh?”

Se il primo istinto è quello di deriderlo, è al secondo che cede inevitabilmente.

Non è come lo aveva immaginato. Troppo brutale il modo in cui strattona quell’oscenità di paillettes, tanto per cominciare. E i fianchi neppure entrano in causa, soppiantati nel ruolo di lento collante da una foga infantile che punta dritta alla schiena spigolosa. La morsa preme sulle costole tanto da far male, ci scommette, così come la totale assenza di sensualità.

Ma anche questo, Brian, è un abbraccio.

L’“ouf” sommesso che Matt si lascia sfuggire, spia di un principio di soffocamento da inusitato slancio di tenerezza, diventa facile da ignorare troppo presto. All’incirca, quando sono le mani dell’elfo a posarsi sui suoi fianchi.

In altri momenti, suppone, ritroverebbe quella punta di invidia furiosa che lo assale ad ogni sold out dei Muse, ad ogni autografo firmato, ad ogni plauso della critica e ad ogni fottuto EMA. Che lo colpisce con una scarica di colpevole inadeguatezza tutte le volte in cui l’elfo gli mostra quel candore.

Ma un abbraccio, Brian Molko, è qualcosa di diverso.

Si abbandona al sospiro più muto che può, mentre il suo perfetto copione – amorevolmente preparato nella privacy discreta delle sue fantasie adolescenziali – viene recitato da un altro attore.

Non che abbia da obiettare. Bellamy scorre sulla pelle seguendo i versi della sua immaginazione, magicamente in sincrono con l’agire idealizzato per le mani.

Neanche improvvisa. Quando i polpastrelli scivolano oltre la giacca che indossa, Brian sa esattamente quale sensazione daranno a contatto con la carne nuda. Peccato non riuscire a dominare il brivido che portano, però.

Il liquore del tempo trema fra i loro corpi, diffondendo nell’aria l’odore inconfondibile dell’alcool zuccherato – di un male dolcissimo, di un male da nausea. Matt non si allontana, ma la stessa urgenza mielata traspare dal modo in cui gli parla all’orecchio.

“Sta’ tranquillo. So che non volevi lasciarmi partire senza aver definito le cose. Va tutto bene.”

S’irrigidisce nella stretta senza flettere un muscolo.

Poi respira. Attentamente e a fondo, senza sprechi.

Com’è che non riesce a sentirsi preso in giro?

Perché è questo che sta succedendo, no? Bellamy non può seriamente pensare di sistemare tutto strusciandoglisi contro.

Che il “tutto” sia la totale assenza di determinazione in quella cosa che è piombata fra loro, è solo parte del problema.

Il punto è l’assimilazione.

È tipico di Brian risolvere qualsiasi dilemma con il corpo. Sfregando, succhiando o scopando, non ha mai fatto differenza. Fottendo al prossimo il cervello, quando altro non avrebbe aiutato.

Che il folletto possa prendere quell’atteggiamento, è una prospettiva che lo distrugge.

Reagisce ancorandoglisi ulteriormente al costato, mandando a puttane in un secondo tutti i suoi scrupoli. La delicatezza con cui Matthew ha preso a sfiorargli i capelli-budino è qualcosa cui non può proprio rinunciare, non adesso.

“Ti chiamerò ogni sera, quando starai per andare a dormire. Anche se, pensandoci bene, avremo qualche problema a calcolare il fuso orario visto che il tour si muove da una costa all’altra.

Suon genuinamente perplesso per un istante, prima di ritrovare il brio perduto.

“Vorrà dire che telefonerò a cadenze di un’ora ogni giorno, e quando smetterai di rispondermi saprò che stai dormendo! Nel tuo letto e da solo, ti auguro.”

L’ultima parte è ingiunta tanto sottovoce che stenta a coglierla. Poi riesce. E avverte un rossore irritato salire a velargli le guance.

Le dita d’artista sono sul suo viso, adesso. Lo accarezzano senza forza, prima di flettersi sul profilo della mascella per indurlo ad alzare gli occhi.

“Brian.”

Non vorrebbe. Escono da sole, quelle piccole sillabe.

“Mi dispiace.”

È quieta l’indagine che lampeggia nello sguardo dell’elfo, riflessa nel tocco pigro dei polpastrelli sul collo.

“Per cosa?”

Così è stato più semplice, Brian osserva. Ci si può rammaricare anche senza colpa, solo per il dolore di un altro. 

Le scuse presuppongono il torto.

Non gli si può chiedere anche questo.

Matthew non indugia nell’attesa di una risposta che sa restia ad arrivare. Continua a tessere debolmente le trame del suo viso, precipitando sulla labbra ancora lucide di baci.

“Brian.”

Interpellato, schiude dolcemente la bocca, carezzando maldestramente quell’unico dito giunto a saggiarla.

Non è sicuro di cosa l’altro stia per dire, quando ne riscopre la voce malferma.

“Brian. Renditene conto. Io sono totalmente soggiogato da te.”

Baciarlo adesso, dopotutto, è più difficile.

Labbra contro labbra e lo stesso fiato di zucchero.

È lui a ritrarsi, stavolta. Respinge l’elfo per accogliere il coraggio assurdo di quella liberazione.

Prima che parli ancora, in fretta.

Prima di una nuova invocazione.

“Ti amo.”

Le odia nel momento stesso in cui vengono fuori, dure come sono, e sfiatate.

Però Matthew non sembra badarvi.

Dopo, è solo lingua e un singhiozzo che si perde – da qualche parte fra gli abiti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Bella storia!”

Stefan distoglie lo sguardo, apertamente nauseato.

“… Certo che ce ne stanno mettendo di tempo, ne? Voglio dire, saranno… venti minuti che si sono appartati lì dentro?”

Dom accenna ad un risolino forzato.

Cosa mai avranno da combinare, è un mistero!”

Il bassista si volta lentamente, l’espressione di chiaro scherno.

“Già. Un vero mistero.”

Lo deride con calma, forse aspettandosi qualche reazione.

Che attesti segni di attività cerebrale, magari.

 Hey, aspetta un attimo.”

Se non è chiedere troppo.

“Tu credi che…?”

Che diventerai zio? No, non esattamente. A meno che uno dei due opti per il cambio di sesso, il che esclude Brian, lo garantisco. Ma forse il tuo cantante potrebbe trarne dei vantaggi. Sai, per il falsetto.”

Stef non è sicuro che l’altro abbia davvero capito.

Si limita a sbiancare, vistosamente.

“Oh. Oh, nnngh.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

~.~.~

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Proviamo a procedere per gradi ^o^

Se siete arrivati fin qui, con ogni probabilità avete letto tutta la storia – e già per questo vi ringrazio. In caso foste lievemente confusi su qualcosa, permettetemi di fare luce.

Partiamo dall’inizio.

 

Il titolo. “Black Plant è una canzone dei Last Shadow Puppets, i cui lyrics (in apertura: Why would you say sorry? Oh, why would you?”) hanno ispirato le scuse di Brian.

Scuse per cosa, come si chiede anche Matt? Direi che qui si procede per libera interpretazione, ma chi di voi avesse letto .Undertone. potrebbe facilmente collegarle a quella situazione. Quella in cui, per rinfrescarvi la memoria, Brian ha svelato la sua relazione con Matt in diretta tv, e in maniera non troppo ortodossa.

 

Contesto. I Muse stanno per partire con il nuovo tour – il che mi auguro sia di buon auspicio, visto che la release dell’album è prevista entro quest’anno *w* – e Brian non è proprio pazzo di gioia. Soprattutto, non vuole che Matt stia via tanto a lungo senza prima aver appreso dei suoi sentimenti. Che vengono buttati fuori alla fine, in fretta, quasi con rabbia; Bells però è lungi dal prenderla male ù_ù.

 

I siparietti iniziali e finali tra Dom e Stef xD. Mi sono divertita immensamente a immaginare le possibili reazioni di Muse e Placebo al coming out dei rispettivi frontman. Evidentemente, Stefan non è turbato dalla cosa quanto lo è Dom, per ovvi motivi. Si presume che i loro dialoghi avvengano sempre nel backstage, mentre aspettano che Brian e Matt riemergano dall’angolino in cui si sono appartati. I più puntigliosi potrebbero chiedersi che ci fa il bassista al commiato dei Muse: semplicemente, ha accompagnato il suo povero piccolo frontman dal cuore spezzato. Non è adorabile? :3 (LOL. xD)

Mi scuso con Chris e Steve per averli lasciati fuori. Solo che purtroppo Hewitt non fa più parte della band T__T, e dovendo ambientare la storia nell’anno corrente sono stata costretta a tener conto del particolare. Inoltre Dom e Stef vengono dipinti come i più vicini ai rispettivi cantanti,quindi mi intrigava un confronto tra loro.

A questo proposito: le diciture in corsivo nel dialogo d’apertura. Double croche e Flam sono colpi di batteria, mentre le Vic Firth bacchette.



Le scarpe indossate da Matt. Stivali col tacco a banana. Brian fa riferimento a Knights Of Cydonia, un video che sicuramente voi tutte conoscete: penso di non dovermi dilungare oltre.

 

Gli accenni tutt’altro che casuali agli EMA (Europe Music Awards). Ricorderete che i Muse hanno vinto il premio per il Best Alternative all’uscita di “Absolution”. Premio consegnato nientepopodimenoche da Brian Molko in persona xD poveretto. Mi diverte pensare che conferire quel titolo ai Muse lo abbia fatto rosicare parecchio!

 

Suppongo sia tutto. Se siete arrivati fin qui meritate una scatola di cioccolatini virtuali a forma di cuore. <3

 

Grazie di cuore alle mie lettrici e recensore abituali ^o^. Vi aspetto al prossimo post di .:Second Sight:. .

Bacione!

  
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