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Autore: Midnight tears    11/03/2009    2 recensioni
Le risuonavano ancora in mente le parole pronunciate dall’uomo al telefono. Rimbalzavano nella sua mente, riempondola di dubbi e domande, tenendola sveglia e impedendole di dormire.
- Vogliamo Bill Kaulitz. Vivo -
Di per sé, non era tanto il fatto che avessero scelto un sicario per rapirlo, né che avessero sborsato una cifra esorbitante per avere lei per quel compito, ma proprio non riusciva a capire cosa potessero volere da un cantante diciottene i massimi capi della malavita russa, cosa potesse avere di così importante per loro, visto che era, testuali parole,"una questione di vita o di morte”
Genere: Drammatico, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Premetto un cosa: l’idea per questa storia mi è venuta di getto dopo aver ricevuto una notizia terribile che mi ha sconvolta profondamente, ragion per cui non ho la benchè minima idea di dove andrà a parere questa roba. Solo di una cosa sono sicura, ossia NON ci sarà una storia d’amore tra la protagonista femminile e uno dei Tokio Hotel. Questo è un capitolo di presentazione, ragion per cui è incentrato quasi esclusivamente sulla protagonista.
I Tokio Hotel non mi appartengono, tutto questo è frutto della mia immaginazione, e non scrivo a scopo di lucro.

Cap. 1
The haunter


I'm frightened by what I see
But somehow I know that there's much more to come
Immobilized by my fear
And soon to be blinded by tears


Nella stanza era tutto buio.
Non si poteva scorgere nulla, l’assenza di finestre impediva anche alla tremula luce della luna di entrare a rischiarare quell’oscurità, resa ancora più pesante dal nero che tingeva le pareti e i muri.
L’unico rumore che si sentiva era il respiro affannato di un uomo. Era terrorizzato, aveva paura. Fuori dalla porta si trovavano i migliori agenti della CIA, la villa era piena di sofisticatissimi sistemi di sicurezza, capaci di uccidere anche una mosca che volasse più in là di quanto non avrebbe dovuto, gli uomini che sorvegliavano lui e l’abitazione avevano un unico comando: uccidere chiunque si avvicinasse senza permesso.
Sapeva di essere un uomo scomodo per la malavita giapponese, ma era sempre andato avanti comunque, incurante dei pericoli che correva, convinto che niente e nessuno avrebbe mai potuto toccarlo. Ma poi aveva esagerato, aveva pestato i piedi una volta di troppo, e ora ne pagava le conseguenza.
Con lui c’era un altro uomo nelle sue stesse condizioni. Ma questo non sembrava avere paura, sembrava più che altro essersi rassegnato al suo destino.
- Tanto è tutto inutile - gli aveva detto - ci ucciderà entrambi. Ti conviene passare le tue ultime ore come meglio credi -
- Ma io una volta gli sono sfuggito! - aveva ribattuto lui - ci ha già provato una volta, ma non mi ha ucciso, gli sono scappato! -
L’altro aveva scosso la testa:- Idiota. Pensi davvero che abbia semplicemente sbagliato un colpo? Ha solo giocato con te. Lo ha fatto per tutto questo tempo. Ma oggi verrà, e stavolta niente ti potrà salvare dal tuo destino. E neanche me purtroppo - lo aveva fissato con sguardo penetrante e poi aveva continuato:- Lo ha fatto anche con me. Mi ero creato un sacco di nemici con tutti i miei affari, avevano provato più di una volta ad uccidermi ma non ci erano mai riusciti. Poi si venne a sapere di questo assassino. Un sicario abilissimo, più di chiunque altro al mondo. Lo si riteneva imbattibile. E lo ingaggiarono.
Mi trovavo in una base militare con circa 100 uomini. Sai quanto impiegò a ucciderli tutti? - una pausa. Poi si era girato verso di lui - venti minuti al massimo. Arrivò fin da me. Non lo vidi, ma sentivo il suo fiato sul collo. Pensai che fosse arrivata la mia ora. Ma non mi uccise. Se ne andò, semplicemente, lasciandomi solo in mezzo a quel mare di morti. Non capii subito perché lo avesse fatto e mi diedi alla pazza gioia. Ma poi compresi. Non mi aveva lasciato in vita. Aveva solo rimandato quel che doveva fare. Voleva farmi capire che cosa si prova a non sapere dove andare, dove nascondersi, dove scappare, perché c’è qualcuno che ti dà la caccia. Io conosco il suo segreto. Non mi lascerà mai andare. È capace di tutto, lo so.
Nessuno di noi due vedrà l’alba di domani -  


All’inizio non lo aveva preso sul serio. Ma dopo qualche ora, verso la mezzanotte, le luci si erano spente di colpo in tutta la casa, lasciandoli al buio. Un uomo si era affacciato dentro la stanza e aveva assicurato ai due uomini che sarebbero subito andati a controllare che cos’era successo e che non c’era motivo di avere paura.
Ora aveva davvero paura. Che cosa gli sarebbe successo?
Il suo coinquilino, intanto, fumava la pipa, in apparenza tranquillo.
Ad un tratto si sentirono degli spari, urla, e degli uomini che correvano.
- È qui -
Fu tutto quello che disse l’uomo con lui.
La porta si spalancò e la luce della luna illuminò la stanza. Una ventina di agenti entrarono dentro, disponendosi in cerchio intorno a loro per proteggerli, mentre gli spari ancora riecheggiavano per la villa.
- Dov’è? - urlò un uomo alla radio.
- Non riusciamo a individuarlo signore, è troppo veloce! Ha già fatto fuori più della metà dei nostri, non sappiamo cosa fare, io…-
Urla più forti, uno sparo più vicino e la radio smise di funzionare.
Sull’enorme abitazione calò un silenzio surreale. E paralizzante.
Nessuno osava muoversi, neanche gli agenti della CIA, si limitavano a far scattare gli occhi da un punto all’altro, terrorizzati. La porta era aperta, un alito di vento la attraversava, andando a solleticare la pelle madida di sudore dei presenti. Tutti aspettavano.
Ad un tratto lo sentirono. Un rumore di passi, lento ritmico, tranquillo, di chi sa già in anticipo cosa succederà e non ha dubbi sull’esito finale. Era sempre più vicino, e gli uomini si stringevano sempre di più intorno a loro, finché il rumore non fu vicinissimo. Poi di nuovo il silenzio.
Un’ombra attraversò in una frazione di secondo la porta, creando strane sagome nella luce della luna che entrava dall’esterno, senza però produrre alcun suono.
Gli uomini cominciarono a sparare convulsamente verso la porta, trivellandola di colpi e urlando, mentre lui si gettava per terra, strillando e pregando. L’altro uomo invece si era allontanato e si era messo seduto sulla poltrona di fronte al camino spento, sempre fumando la pipa, incurante delle scariche di mitra che esplodevano alle sue spalle. Chiuse gli occhi: sapeva già cosa sarebbe successo…
Un fruscio, altre urla, che man a mano si spensero, facendo tacere anche le armi che impugnavano.
- NO! NON MI UCCIDERE, TI PREGO! -
Ma era tutto inutile, le urla di quel dannato che lo aveva accolto in casa sua non sarebbero servite a niente. Il rumore di una lama che fende l’aria riempì la stanza, poi il tonfo di un corpo morto che cade a terra e infine più niente.

Fallen angels at my feet
Whispered voices at my ear
Death before my eyes
Lying next to me I fear
She beckons me
Shall I give in?


- È così sei venuta -
Non aveva bisogno di girarsi per vederla. Riusciva ad immaginarsela.
- Non te lo aspettavi? -
Per la prima volta la sentì parlare. Strano, non sembrava la voce di una ragazzina di sedici anni, ma quella di un guerriero con alle spalle un passato turbolento e sanguinoso. Quel suono era pesante, impregnato del sangue dei morti che aveva ucciso.
- Sì, me lo aspettavo. Ma forse speravo ancora che mi avresti graziato -
Si girò e lei era lì, esattamente come se l’era immaginata. Con i lunghi capelli neri chiusi in una coda, il fisico atletico fasciato in una tuta scura, i coltelli in mano e la pistola al fianco, la postura dritta, le spalle rilassate, gli occhi di ghiaccio fissi su di lui. Dritta come un fuso, teneva le mani all’ingiù mentre impugnava due coltelli. Uno era impregnato di sangue. Intorno a lei tutto riluceva del sangue fuoriuscito dai corpi degli uomini che aveva ucciso. L’uomo che aveva così disperatamente sperato di sfuggirle ora giaceva a terra con la gola squarciata.
- È così che finirà tutto? Mi ucciderai e te ne andrai senza rimorsi, senza aggiungere altro? -
Lei lo fissò:- Non ti preoccupare. La morte non è poi così brutta -
L’uomo sogghignò:- Tu come fai a saperlo? -
Il tempo di un respiro. Il tempo che serve al vento in tempesta per far muovere una ciocca di capelli, il tempo di un istante in cui è racchiuso tutto il significato dell’esistenza di un uomo condannato a morte. Il tempo che la ragazza impiegò per spostarsi da un capo all’altro della stanza senza emettere alcun suono. All’improvviso l’uomo se la ritrovò davanti. Il suo volto riempì il suo campo visivo, e la sorpresa fu tale che non riuscì nemmeno a muoversi per impedirle di infilargli uno dei due pugnali nello stomaco.
- La morte è una liberazione - sussurrò lei - vivere è la vera maledizione -
Mentre il sangue sgorgava fuori dalla ferita insieme alla sua essenza vitale, l’uomo non poté fare a meno di notare la bellezza della ragazza e di rimanere incantato di fronte all’azzurro trasparente dei suoi occhi. Fu l’ultima cosa che vide. Poi tutto divenne nero e l’oscurità lo avvolse.



“E anche questa è fatta” pensò la ragazza mentre sentiva il corpo dell’uomo lasciarsi andare. Estrasse il pugnale dal cadavere e si girò, passando agilmente in mezzo a quel mare di cadaveri senza neanche guardarsi indietro. Era abituata a spettacoli del genere, li aveva avuti davanti dal momento in cui era nata, oramai il sangue non le faceva più alcun effetto, così come i volti stravolti congelati per sempre con la stessa espressione disperata per l’eternità.
Attraversò silenziosamente tutta la casa, poi uscì dalla porta principale, prese la sua moto e partì alla volta della sua villa. Mentre guidava ben oltre i limiti di velocità e vedeva la strada scorrerle davanti agli occhi, si chiese perché si sentisse così stanca. Non era la prima volta che faceva un lavoro del genere, e quella non sarebbe di certo stata l’ultima, tra l’altro non era nemmeno uno dei compiti più difficili che aveva svolto.
E allora perché non vedeva l’ora di farsi un bel bagno caldo e di stendersi sul divano davanti ad un film?
“Forse non sei poi così diversa dagli altri poveri, onesti lavoratori!” ironizzò.
Però era strano che si sentisse così. Rimorso non era, di questo era sicura, e allora? Di recente non provava più quell’ebbrezza che le dava uccidere, anzi, lo faceva come un automa, come un robot programmato.
“Perché, non è forse quello che sei?”
Quei pensieri le fecero montare la rabbia, e spinse ancora di più l’acceleratore, arrivando a superare i centocinquanta chilometri orari. In un impeto di temerarietà, tolse una mano dal manubrio e la portò alla nuca, sciogliendo i lunghi capelli neri, che presero a turbinarle intorno al volto senza casco, spinti dal vento e dall’alta velocità. Gli occhiali scuri le permettevano di vedere, ma non ne avrebbe avuto veramente bisogno. Aveva percezioni di gran lunga superiori a quelle delle persone normali, poteva capire i pensieri di una persona semplicemente sentendola respirare, era capace di percepire ogni minimo spostamento d’aria, e quindi di anticipare le mosse di chi aveva davanti, inclusa quindi la traiettoria di un proiettile o di un pugnale. Era stata addestrata dai migliori combattenti del mondo, e aveva avuto un maestro d’eccezione che le aveva insegnato gran parte delle mosse micidiali che conosceva. Il tutto unito ad un carattere temerario e ad un istinto quasi animalesco la rendevano praticamente imbattibile.
Perché era diventata così? Perché suo padre l’aveva voluto. L’aveva fatta addestrare fin da quando era piccola, così ora era diventata una perfetta macchina per uccidere. Ma non aveva mai voluto sottostare alle sue regole e si rifiutava di essere solo una pedina nelle sue mani, così si era messa a lavorare in proprio. Era la migliore assassina del mondo, e con l’omicidio appena commesso, quello del presidente del Sudafrica, aveva definitivamente messo a tacere le voci di chi sosteneva il contrario.
Uccidere le era sempre piaciuto, era il suo lavoro e lo faceva bene, ma ultimamente lo eseguiva soprattutto come un dovere, non più come divertimento. Che le stava succedendo? Estrasse la pistola dalla custodia e la fissò: com’era stato facile quel lavoro.


All’improvviso ebbe un’illuminazione: ecco qual era il problema! Era tutto troppo facile! Le tornarono in mente gli allenamenti con il suo maestro, Takeshi, i suoi insegnamenti, il confronto con gli altri allievi, e poi le lotte…
Non si accorse di essere arrivata a casa finché non vide le articolate decorazioni del cancello. Si fermò di botto, producendo un rumore stridente che riecheggiò per il parco vuoto, facendo impennare la moto e scivolando dolcemente giù dalla sella con un salto, atterrando elegantemente sulla ghiaia. Scostò una ciocca di capelli che le era scivolata sul viso, poi si avvicinò ai sistemi di identificazione posti accanto all’entrata.
Digitò i vari codici, poi appoggiò l’occhio sull’apparecchio per l’identificazione dell’iride, fece lo stesso con le mani e alla fine il cancello si spalancò sull’enorme giardino. Difficilmente qualcuno sarebbe venuto a cercarla lì, il luogo era disperso nel nulla accanto ad una scogliera, ma nonostante tutto teneva sempre inseriti i sistemi d’allarme. Il padre le aveva regalato quella villa quando aveva deciso di andarsene di casa, insieme con un conto di circa 8 milioni di euro e armamenti di vario genere. Erano ancora in contatto, certo, lui era pur sempre suo padre, ma doveva pagarla come tutti gli altri se voleva che svolgesse un lavoro per lui.
Risalì sulla moto e la sistemò nel garage, dopodichè entrò in casa. Il salone era enorme, bianco e vuoto, c’erano delle porte ai lati e delle scale molto eleganti che portavano al piano di sopra. Si diresse a passo deciso verso la sua camera, appena arrivò si buttò sul letto.
Lo sguardo le cadde sulle foto esposte sul comodino: in una si trovava appoggiata sulla schiena della sua amata tigre Zahili, sullo sfondo si vedeva la villa che la sua famiglia aveva in Africa. Non vedeva l’ora di tornarci. Le altre erano simili, scattate in luoghi importanti per lei, ma sempre in solitudine. Solamente tre la ritraevano con altre persone: in una era in costume da bagno con il mare dei Caraibi sullo sfondo, abbracciata al fratello Christian. Nella seconda si trovava su di un cavallo nero, accanto al padre che cavalcava un purosangue grigio. Nell’ultima aveva sette anni e si trovava in montagna con la madre, il padre e il fratello. La madre era morta e quella foto le provocò una fitta al cuore.
Ad un tratto squillò il telefono.
- Pronto? - rispose di malavoglia.
- Haunter? - Haunter era il suo nome in codice.
- Chi si aspettava di trovare digitando questo numero? - domandò lei.
- L’assassina migliore del mondo -
- L’ha trovata. Mi dica cosa vuole -
- Ho chiamato per sottoporle un caso -
Lei si girò a fissare le foto. La sua famiglia le mancava davvero tanto, e poi era stanca dei soliti lavoretti, voleva staccare un po’ la spina e andare a divertirsi.
- Mi dispiace, mi sono presa un periodo di vacanza. Non lavorerò per circa un mese -
- Mi perdoni se insito, ma mi creda, questo è un lavoro di estrema importanza, abbiamo bisogno dei suoi servigi -
- Non sono interessata -
- Possiamo pagarla molto più di quanto immagina -
- Non sono i soldi a interessarmi - ribatté lei, infastidita da quella voce petulante che le sottraeva preziose ore di sonno.
- Ascolti - la voce si fece confidente - quello che dobbiamo chiederle è un lavoro di importanza mondiale. Non si tratta di uccidere nessuno, è un lavoro di spionaggio, un giochetto da ragazzi per lei, inoltre tutte le più potenti agenzie del mondo e organizzazioni criminali sono fissate su questo obbiettivo. Presto riceverà altre chiamate, non le daranno pace. Ma mi creda, noi siamo disposti ad offrirle molto più di quanto le possano offrire gli altri -
Lei sospirò:- Avanti, mi stupisca -
L’uomo si schiarì la voce:- Per questo lavoro le offriamo cinquanta milioni di euro -
Il suo cuore perse un colpo. Cinquanta milioni di euro? Se erano disposti a spendere una cifra simile per averla al loro servizio non avrebbero mollato facilmente. Doveva essere una cosa davvero importante. E se era vero quello che le aveva appena detto, presto altri si sarebbero fatti vivi per chiederle la stessa cosa.
“E va bene, la vacanza dovrà aspettare”
- Mi dica di che si tratta -
L’uomo cominciò a spiegarle tutto quello che avrebbe dovuto fare.
-…riceverà ulteriori informazioni tramite e-mail - concluse infine.
Lei annuì:- D’accordo -
Detto questo riappese. Si mise a pancia in su a fissare il soffitto dal suo letto a baldacchino.
“Ma chissà perché gli interessa tanto…” si chiese ripensando all’assurda missione. Non era la prima volta che lavorava per un’agenzia di spionaggio, ma di certo era la prima che non implicava l’uccisione di qualcuno.
Scacciò quei pensieri con un gesto stizzito della mano e si girò sulla schiena, affondando la testa nel cuscino.
Rimase così per un po’ di tempo, riflettendo su tutti i pro e i contro che quella missione comportava. Il lato migliore era certamente la vertiginosa somma di denaro che avrebbe guadagnato, ma non sapeva ancora di preciso se aveva voglia di imbarcarsi in una missione che avrebbe richiesto minimo un mese di tempo.
Poi il computer mandò un segnale per indicare che le era arrivata un’e-mail. Si alzò e si diresse verso la scrivania dove stava appoggiata il suo computer portatile, regalo di compleanno del fratello.
“Almeno potremo sentirci ogni volta che vogliamo!” le aveva detto.
Aprì la finestrella che dava su internet e guardò il messaggio. Erano le informazioni relative al caso. Sospirando, prese un succo di frutta alla pera dal mini-frigo e si sistemò meglio sulla sedia, rassegnata a dover passare la notte in bianco.
C’era tutto: luogo, orario, partenza dell’aereo… c’erano anche delle foto.
Senza pensarci troppo, cliccò rapidamente sul file, e sullo schermo apparve una foto.
Quando l’immagine si allargò sullo schermo mostrando la foto di un ragazzo, sgranò gli occhi e trasalì, facendosi andare di traverso il succo che stava bevendo.
“Non ci credo…”
Una luce maligna le illuminò lo sguardo e sogghignò, mentre due profondi occhi color miele la fissavano dallo schermo, inconsapevoli di ciò che stava per accadere…

Upon my end shall I begin
Forsaking all I've fallen for


Gli mancava l’aria.
Si trovava in una stanza piena di finestre, tutte spalancate, ma nonostante questo non c’era ossigeno sufficiente per riempirgli i polmoni, e l’aria condizionata non funzionava. E dire che era uno degli alberghi più lussuosi di Lisbona!
Si alzò dal letto, deciso a farsi una doccia per lavare via tutto il sudore provocatogli dal caldo e sperando di far smettere quel tremolio incontrollato che sembrava essersi impossessato dei suoi muscoli.
Si era svegliato di botto dopo aver fatto un incubo orrendo, che però non riusciva a ricordare. Ricordava solamente la sensazione opprimente che gli aveva preso il petto, facendolo cadere a terra non appena si era alzato in piedi, madido di sudore e scosso da brividi che gli percorrevano gelidi la schiena, nonostante il termometro segnasse ben 22°.
Conosceva quella sensazione, ci conviveva da quando era nato.
Pericolo.
Lo urlava a squarciagola nella sua mente, trapanandogli il cervello con dolorose fitte e costringendole di nuovo a cadere in ginocchio. Si morse le labbra, cercando di trattenere i gemiti di dolore che bruciavano come olio bollente sotto la lingua. Tese le orecchie, cercando di distrare la mente e di capire se Tom avesse sentito qualcosa.
Una parte di lui sperava che fosse così, aveva un disperato bisogna di sentirsi stringere dalle sue braccia forti e di annusare il suo profumo, ascoltando le sue parole consolatrici, beandosi della preoccupazione che gli avrebbe incendiato lo sguardo. Ma non voleva, non voleva assolutamente che Tom stesse in pena per lui.
Rimase rannicchiato per terra ancora un po’, poi si alzò in piedi barcollando e si diresse verso il bagno.
Senza neanche accendere la luce, girò la manopola dell’acqua e si buttò sotto la doccia, sperando che tutto il suo dolore e le sue preoccupazioni scivolassero via con le gocce che abbandonavano il suo corpo. Una scese sotto l’addome, soffermandovisi, accarezzandogli lentamente la cicatrice a forma di mezzaluna, scivolando per tutta la lunghezza della striscia di pelle ricucita, facendogli venire i brividi.
Al buio della stanza, confusa tra migliaia di altre gocce d’acqua, una lacrima salata scivolò dai suoi occhi, portando con sé il dolore di un passato che lo teneva suo schiavo.  

I rise to meet the end…



Dimenticavo di dire che la canzone citata è Whisper degli Evanescence. Fatemi sapere che ne pensate!
  
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