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Autore: darkwoman    03/01/2016    1 recensioni
Due grandi amici, Mario e Nicola, insieme ancora una volta nel bel mezzo dell'Iraq. Sono in guerra, li hanno mandati lì per servire il loro paese con costi forse troppo alti: riusciranno a vedere il prossimo tramonto?
Genere: Azione, Suspence, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Intorno a me è completamente buio, cerco di far abituare gli occhi per scorgere qualcosa, ma nulla; il silenzio poi è qualcosa di irreale, sento i miei respiri e il battito veloce del mio cuore, non so dove sono e la cosa mi spaventa. Ma soprattutto, come sono arrivato qui? Tento di allungare le braccia per tastare ciò che mi circonda, ma le mie mani incontrano solo il vuoto, anche facendo qualche passo. Allora urlo per chiedere aiuto, ma le parole mi si strozzano in gola ed escono solo rantoli incomprensibili. E' un incubo, non so che fare, sto per impazzire, porto le mani dietro la nuca e mi accuccio quasi in posizione fetale: si dice che l'uomo, nei momenti di estrema paura, si metta d'istinto in posizioni che gli diano sicurezza e lo riportino mentalmente in un altro luogo e adesso capisco perchè.

Quando apro gli occhi vedo solo una tenda verde che si agita sopra di me, sono steso su una brandina e ho già caldo; non so che ore siano, ma vista la luce che filtra dal di fuori direi che è ora di alzarsi. Sono da solo, strano che nessuno mi abbia svegliato prima. Mi metto seduto e cerco di riprendermi, mi batte ancora forte il cuore e mi sembra ancora tutto ovattato.

"Buongiorno dormiglione, vuoi per caso che ti porti la colazione a letto? Dobbiamo fare il giro oggi, ricordi? Alzati o Eddie si incazza".

Guardo la figura alta e magra di fronte a me, mi fissa sorridendo anche se leggo nei suoi occhi un misto fra stanchezza, paura e allo stesso tempo freddezza che questo posto ti obbliga ad avere.

"Non è colpa mia se nessuno mi ha svegliato, di solito lo fai tu" gli rispondo sgranchendomi e cominciando a vestirmi.

"Non sono mica la tua badante, sei adulto abbastanza per svegliarti da solo..." dice sbuffando mentre esce dalla tenda. Conosco quel ragazzo da 26 anni, ne abbiamo passate tante assieme e siamo cambiati entrambi nel corso del tempo, ma il nostro legame è diventato indissolubile, non so come farei senza di lui a volte.

Sono pronto, esco e una ventata calda mi scuote: quanto mi mancano la neve e il freddo che ti penetra nelle ossa, qui c'è solo sabbia e sole. La notte posso dire di avere freddo, ma non è abbastanza per me. Il campo brulica già di persone e mezzi che vanno e vengono, penso di essere davvero l'ultimo stamattina; mi dirigo verso la mensa per mettere qualcosa sotto i denti, quando mi sento chiamare da dietro con tono fermo e mi blocco di colpo, spero con tutto me stesso che non sia chi penso.

"Palladino, lo sa che ore sono?"

"No, signore" rispondo sapendo già che in qualsiasi caso arriverà una ramanzina.

"L'ho notato. Ci sono orari precisi e lo sa, non siamo al campo scuola, ma nel bel mezzo dell'Iraq. Se non è capace di seguire gli ordini, penso che si troverà più a suo agio nel pulire i bagni".

L'idea di passare i prossimi mesi con uno spazzolone in mano non mi alletta per nulla nonostante mi terrebbe fuori dai guai.

"Sì signore, so che ci sono orari precisi e so di non averli rispettati. Non accadrà più, promesso"

"Lo spero" dice avviandosi "non vorrei perdere un elemento del suo calibro"

Questi complimenti inseriti a caso dopo una ramanzina mi destabilizzano, non so mai come reagire. Lo stomaco brontola, non sono ancora riuscito a far colazione. Mi riavvio verso la mensa, ma un'altra voce mi chiama e stavolta è più familiare e colloquiale e so che posso rispondegli senza pesare troppo le parole.

"Nicò, lasciami far colazione..."

"Troppo tardi, andiamo, è ora di fare il giro" dice provando a trascinarmi, ma non ha ancora capito che, nonostante abbia fatto palestra, non è ancora abbastanza forte per spostarmi. Allora ci rinuncia e si mette a fissarmi con le mani sui fianchi, adoro quando fa la mamma disperata.

"E va bene, arrivo" gli dico alla fine e lo seguo. Saliamo sull'auto, mi siedo dietro e mi sistemo: giubbotto antiproiettile, caschetto e fucile, i mie compagni di viaggio utimamente. Partiamo e un polverone si alza, gli occhiali da sole si impolverano tutti per la millesima volta e come sempre mi tocca pulirli.

E' una missione semplice: facciamo il giro di un paio di quartieri, controlliamo le strade e poi torniamo. A volte capitano imprevisti come richieste d'aiuto o qualche scontro da sedare, ma ormai per noi è quasi routine. Guardo i volti scorrere davanti ai miei occhi, passiamo in mezzo ad un mercato e l'odore proveniente dalle bancarelle mi circonda e non aiuta la fame che mi sta già di per sè uccidendo. Tutti ci guardano, alcuni con diffidenza e altri con curiosità: non sanno bene perchè siamo qui e in fondo nemmeno noi. I colori dei vestiti mi fanno tornare in mente vecchi ricordi d'infanzia e comincio a viaggiare con la mente.

"Mario, ci sei? Stai concentrato, che hai oggi?" mi dice Nicola scuotendomi. Torno in me e lo guardo, il mio cervello ci mette un po' a decifrare la frase e alla fine rispondo con un semplice "Nulla, scusa, ho solo dormito un po' scomodamente, tutto qui". In realtà so che una parte di me è rimasta in quell'incubo, ma non voglio parlarne adesso.

L'auto si ferma di colpo, di fronte a noi c'è un bambino fermo immobile che piange. Proviamoa suonare il clacson, ma non si sposta. Non per essere cattivi, ma siamo abbastanza scoperti ora come ora e ogni cosa potrebbe rappresentare una minaccia, persino un fagottino come lui.

"Scendo e vedo se posso fare qualcosa, voi tenete gli occhi aperti" dice Nicola. Non vorrei lasciarlo andare da solo, ma un riflesso da una finestra attira la mia attenzione e mi focalizzo per capire cosa sia e soprattutto se sia pericoloso. Nicola è davanti al bambino e tenta di farsi spiegare, ma lui continua a piangere e tutto è inutile. La cosa comincia a farsi pesante ed è meglio andarsene, lo sappiamo tutti; poi il bambino si zittisce scappa via, Nicola rimane spiazzato e non si muove, ma io continuo a fissare quel riflesso e capisco che siamo nei guai fino al collo.

"Nicò, vattene! E' una trappola!" urlo correndo verso di lui, ma il tempo di girarsi a guardarmi e un colpo, due, tre lo raggiungono e gli provocano una smorfia di dolore che mi spezza il cuore. Gli altri si mettono al riparo e sparano da dove sono arrivati i colpi, ma serve a poco visto che esplode una bomba proprio vicino all'auto che li stordisce entrambi e li mette fuori gioco: io per fortuna mi sono allontanato e ricevo solo la spinta dell'onda d'urto che mi catapulta in avanti, ma sono scosso comunque. Sento spari che fischiano sopra la mia testa, provengono da tutte le parti e ho paura a muovermi. Alzo lo sguardo da terra e vedo di fronte a me il corpo sanguinante di Nicola che con la mano cerca di tamponarsi la ferita alla spalla, ma dalla sua espressione non sta funzionando molto; così me ne frego dei proiettili vaganti e vado verso di lui, lo prendo di peso e lo trascino dietro un angolo sicuro. Ha le mani coperte di sangue e in poco pure io, ha una ferita profonda alla spalla e una alla gamba, un colpo per fortuna ha preso il giubbotto e si è fermato.

"Resisti compà, non mollare, ci sono qui io. Guardami, non chiudere gli occhi" tento di dirgli mentre gli tampono la gamba. Ha il volto contratto dal dolore, mi guarda e vedo nei suoi occhi scuri paura, tanta paura, più di quanta ne abbia mai avuta in situazioni simili. Non sento più gli spari e le detonazioni che mi circondano, tutto sembra ovattato e mi sento improvvisamente come nel mio sogno: incapace di chiedere aiuto e di ragionare lucidamente, vorrei potermi isolare ancora, ma non posso farlo, devo essere forte stavolta e superare tutto questo. Prendo la radio e lancio un SOS alla base, cerco di far capire che siamo messi parecchio male e non so come stiano gli altri, l'ultima volta erano stesi a terra inermi a causa dell'esplosione e potrebbero aver bisogno anche loro d'aiuto.

"Ricevuto, stiamo inviando rinforzi. Pronti ad essere sul posto tra dieci minuti"

Non so come stanno le cose, ma sono certo che dieci minuti siano troppi.

"Ma-Mario, devo dirti...una cosa" sussurra Nicola seduto contro il muro con la testa appoggiata indietro, quasi in segno di resa al suo destino.

"Non ce la farò, lo sappiamo entrambi..."

"Non dire così, tu ce la puoi fare, stanno per venire ad aiutarci" dico con la voce più convincente che posso, ma in fondo una parte di me non ci crede.

"No, non arriveranno in tempo, è inutile...è inutile raccontarsi bugie. Mi devi promettere una cosa..."

"Cosa?" chiedo con la voce rotta da un groppo in gola.

"Mia moglie....stalle vicino, ti prego. Sei....sei il mio testimone, mi fido di te" dice sempre più affaticato. Non resisto e una lacrima mi segna la guancia, continuo a tamponare le ferite, ma è tutto inutile.

"Guardami" mi dice con un filo di voce

Alzo gli occhi e incrociamo gli sguardi, vedo quel volto da anni e anni ormai, ma non l'avevo mai visto così e credo che mai me lo dimenticherò. Tenta di sorridere e mi stringe la mano con le ultime forze che ha, una lacrima segna anche la sua guancia impolverata e arriva fino alla fossetta che gli si fa quando contrae la bocca.

"Promettimelo..."

"Promesso" rispondo quasi piangendo.

Annuisce e sorride ancora, con un filo di voce dice "Grazie" e si lascia andare, sento la sua vita andarsene mentre ancora gli stringo la mano. Rimango immobile e comincio a piangere,lo prendo tra le braccia e lo stringo a me quasi sperando che si risvegli, che apra gli occhi e mi lanci una delle sue occhiate. Non so per quanto rimaniamo così, il tempo pare essersi fermato come il suo cuore.

Dopo quella missione mi congedano e rimandano a casa, ma a me non interessa più ormai: ho perso un amico, il mio amico.

  
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