Storie originali > Introspettivo
Segui la storia  |       
Autore: Ajik    04/01/2016    0 recensioni
-Ci pensi mai al fatto che potrebbe non finire bene?- chiesi allora, timorosamente, quasi a bassa voce. Mi rendevo conto che non era un bel pensiero da esprimere. Che era una frase di chi aveva perso la speranza, come me. E che non avevo diritto di costringerlo a pensare ad un evento così brutto, eppure inevitabile.
Perché lo sapevo che non ce l'avesti fatta.
Non lo dicevo a nessuno, a volte nemmeno a me stesso. Tuttavia la medicina era il mio futuro lavoro ed ero troppo immerso negli studi per non rendermi conto che da un tumore del genere non c'era via di scampo. Tutti quanti eravamo in attesa di un miracolo che sapevo benissimo non si sarebbe mai verificato.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Introduzione

Note
Prima di iniziare a leggere ritengo che sia importante spendere qualche parola sulla struttura di questo
racconto, su i suoi personaggi e su ciò che esso significa.
È facile che sorga l'idea che questo sia un racconto 
autobiografico o simile: non è così.
I fatti narrati sono ispirati profondamente ad una esperienza vera, ma presentano differenze rispetto alla vicenda reale, alcune pezzi, avvenimenti o dialoghi sono inventati di sana pianta.


I personaggi
I personaggi non hanno un nome. Il Narratore ed il Protagonista sono gli elementi centrali della vicenda.
Altri personaggi ricorrenti sono “la migliore amica” del Protagonista, la “più cara amica” del Narratore ed altri.
Ho mantenuto la caratterizzazione dei personaggi il più bassa possibile in maniera volontaria: essi non sono gli attori principali della vicenda, ma solo spettatori della stessa. I protagonisti, così come i fatti narrati, non sono persone specifiche, ma nebulose proprio perché voglio sia il lettore a dar loro un volto o un nome, in base a quelle che possono essere state le sue esperienze passate.
È ovvio che il Narratore presenti molti tratti in comune con la mia persona: purtroppo i pensieri di colui che narra una storia sono sempre definiti da un minimo carattere e da altri elementi che comprenderete leggendo. Essendo il mio punto di vista a me perfettamente noto, il Narratore è confondibile con me.
Tuttavia vorrei che più che ricercarvi nella storia nei personaggi vi immedesimaste negli stessi, comprendendo che se ieri siete stati spettatori, in un futuro potreste essere Narratori o purtroppo, Protagonisti.


La struttura
La narrazione copre un arco temporale di sedici mesi, da Agosto 2014 a Novembre 2015, ma non sono narrati in ordine cronologico.
La storia si compone di due spezzoni, uno che va da Agosto 2014 ad Agosto 2015 (un anno di tempo) e l'altro che va – a ritroso – da Novembre 2015 ad Agosto 2015.
I capitoli si alternano in questi due spezzoni ed il
racconto si apre e si chiude con un racconto di Agosto 2015 che divido in due ospita al suo interno l'intera storia.
Ora, la domanda che potrebbe sorgere spontanea è: perché una struttura del genere? Perché complicare la vita così al lettore? Non sarebbe più logico e semplice raccontare tutto in ordine cronologico senza costringere il lettore ad inutili sforzi di memoria per raccogliere la continuità della storia?
La risposta è che in primo luogo non ritengo questo
racconto un'opera per il pubblico. Chi lo legge potrebbe amarlo oppure cestinarlo senza ritegno, non è nel mio interesse: è il mio modo di raccontare le sensazioni che un'esperienza troppo dolorosa mi ha lasciato addosso.
Inoltre c'è anche una ragione narrativa che però non è voluta. Il racconto inizia raccontando l'inizio e la fine di una battaglia impossibile da vincere e man mano che si va verso la fine del
racconto si va verso il punto in cui la battaglia pareva più leggera. Questo racconto non racconta un lieto fine, poiché non c'è: il lieto fine è proprio al centro della storia, ossia dove la narrazione termina e per questo motivo, proprio per lasciare qualcosa di dolce mentre si va avanti in un racconto così duro ho deciso di tenere questa struttura così irregolare che, sicuramente avrete notato, ricorda il film Memento.


























 
Ad Antonio.



 

Sul bordo di un abisso infinito – Agosto 2015 (I)



 

Il cielo era di color azzurro verso est, tendente al blu scuro che precede la notte. Alle nostre spalle, invece, ardeva luminoso di arancio e giallo, mentre il sole con la calma tipica dei giganti si abbandonava sotto l'orizzonte.
Eravamo seduti su un muretto di pietre che separava la strada dalla voragine. I nostri piedi erano proiettati verso l'abisso che pareva infinito e le nostre menti vagavano solitarie indugiando in pensieri che solo quel silenzio interrotto solo dai versi degli insetti poteva far emergere dai più profondi recessi delle nostre vite piene e crudelmente rapide.
Strinsi con più forza le dita al bordo del muretto a secco che alto non più di settanta centimetri non sembrava niente di che dal lato della strada ma che, visto dal lato opposto, svettava come un'ordinata fila di pietre a coronamento di un possente muro roccioso crivellato di grotte e ricoperto di aspra vegetazione, alto diverse decine di metri.
Davanti a noi, il mondo al di la del muro, si riduceva ad un piccolo paesello di arbusti sul fondo della dolina che si apriva tra le colline come un cratere di un meteorite. Tutto il resto non esisteva. La strada alle nostre spalle e l'auto parcheggiata sul selciato, le panchine ed i tavoli dimenticati come monumenti all'uomo lasciati riposare in eterno sull'erba che cresceva ispida. Il tutto non era che il nulla, in quel momento.
Eravamo in silenzio da almeno dieci minuti. Non che fosse una cosa rara. Ci piaceva rimanere in silenzio, ad entrambi, come se a volte le parole fossero un inutile inquinante. Guardai giù dall'abisso col cuore in gola e la solita sensazione di un'imminente caduta mi colse alla bocca dello stomaco, costringendomi ad arretrare appena.
Ridesti, divertito dalla scena.
-Lo trovi divertente, eh?- mugugnai, fintamente offeso.
-Trovo divertente che uno così grande e grosso abbia paura di cadere.- Rispondesti, col quel tuo fare solitamente profondo. Pensai che solo tu potevi trovare divertente quel particolare.
-Come se la stazza centrasse qualcosa!- protestai allora.
Ridemmo entrambi brevemente, poi calò ancora il silenzio.
-Ehi.- dissi allora, mentre i miei occhi indugiavano per un breve istante sulla tua figura, così diversa da come la ricordavo. Eri magro, le sopracciglia erano sparite e solo un cappellino azzurro mascherava l'assenza di capelli che pur rimaneva assai facilmente intuibile. Le mani sembravano insolitamente grandi al termine di braccia così magre e le labbra scure lasciavano intuire a chi aveva occhio per vedere come ogni respiro dovesse essere più duro di quello che era giusto. Eppure sorridevi.
-Sì?- rispondesti allora.
-Posso parlare liberamente?- domandai, incerto.
-Perché, non lo fai?- chiedesti allora, forse appena stupito. Sorrisi, quasi mestamente, allungando una mano tremante per le vertigini sulla sua spalla.
-Lo sai che non so mai cosa ti potrebbe ferire.- risposi a mo' di scusa.
-Mettimi alla prova allora.- il tuo tono era gentile. Era sempre così gentile, quasi da sembrare disumano a volte.
-Ci pensi mai al fatto che potrebbe non finire bene?- chiesi allora, timorosamente, quasi a bassa voce. Mi rendevo conto che non era un bel pensiero da esprimere. Che era una frase di chi aveva perso la speranza, come me. E che non avevo diritto di costringerlo a pensare ad un evento così brutto, eppure inevitabile.
Perché lo sapevo che non ce l'avesti fatta.
Non lo dicevo a nessuno, a volte nemmeno a me stesso. Tuttavia la medicina era il mio futuro lavoro ed ero troppo immerso negli studi per non rendermi conto che da un tumore del genere non c'era via di scampo. Tutti quanti eravamo in attesa di un miracolo che sapevo benissimo non si sarebbe mai verificato.
-No.- la tua risposta mi lasciò sconcertato. Non tanto per quel “no” abbastanza atteso, tanto per il tono leggero che usasti per dirmelo. -Non finirà mai male, ne sono certo.-
Sorrisi allora e tornai a guardare il cielo dinanzi a noi. Stava divenendo sempre più scuro man mano che il sole completava il suo arco. Il tramonto stava per terminare e presto sarebbe giunta un'altra caldissima sera estiva. Sentii le lacrime premere dietro i miei occhi e reclamare la loro via d'uscita, ma glie la negai con decisione. Se tu non piangevi io non avevo diritto di farlo. Non avrei mai permesso che mi consolassi.
-Non ci credi, vero?- dicesti dopo un po'. Mi cogliesti alla sprovvista e riuscii solo a mugugnare, interrogativo.
-Non importa cosa credo io.- risposi allora, nuovamente in grado di proferire parole con un senso.
-Guarda che non sono sciocco. So bene che potrebbe finire male. So bene che potrei non vedere l'anno prossimo.- il tuo tono aveva quell'inclinazione profetica tipica dei grandi uomini, ma mai la voce s'incrinò mentre prospettava la fine della tua stessa esistenza.
-Allora proprio non capisco.- non che fosse una novità. Non comprendere i tuoi intricati ragionamenti al primo colpo era una costante della nostra vita.
-Nel momento stesso in cui penso che ho perso, è finita male. La finirò combattendo, in un senso o nell'altro... e così, qualsiasi cosa accada vedrete che direte “è finita bene”.- ridesti ancora -Almeno dal mio punto di vista.-
-Sarebbe difficile pensarlo per noi. Ma ti prometto che lo farò.-
-Grazie.- Ti grattasti il naso e sistemasti gli occhiali che erano scivolati verso il basso.
Alle nostre spalle il sole era ormai un ricordo del giorno trascorso ed una prospettiva per uno nuovo. Sospirai, rendendomi conto che iniziava a farsi tardi per lui.
-Torniamo a casa? Prima che ti revochino il permesso per le prossime uscite.- proposi.
Ridesti ed annuisti. Con sollievo ruotai il corpo senza però esimermi dal darmi un forte slancio verso la strada, sempre spaventato dall'altezza che si stagliava davanti a me. Mi avvicinai a te e ti porsi una mano per aiutarti.
La rifiutasti, orgogliosamente.
-Ce la faccio, tranquillo.- mi dicesti e dunque con lentezza, con quei gesti quasi calcolati e leggeri passasti le gambe al qua di quel muro e poi sul selciato, dunque ti alzasti. Le gambe erano malferme, ma ancora una volta rifiutasti di essere aiutato.
-Che male c'è ad appoggiarsi agli altri ogni tanto?- domandai allora, mentre tornavamo lentamente in auto.
-Non c'è nessun male a farsi aiutare quando non puoi andare avanti.- rispondesti allora, aprendo la portiera ed entrando. Eri affannato, potevo udire il tuo respiro pesante. Ancora oggi, se chiudo gli occhi, non riesco a non sentire quel respiro ed a non vedere quel petto che si alzava in maniera quasi innaturale, nello sforzo riflesso di catturare ogni singola molecola di ossigeno.
-Però, ora, posso andare avanti.- completasti così il tuo pensiero. Con l'incredibile forza nascosta dietro parole le parole gentili di un uomo che sembrava essere fisicamente incapace di arrabbiarsi.
-Con gli altri però puoi andare più lontano.- puntualizzai, mentre infilavo le chiavi nell'accensione e mettevo in moto. Non rispondesti immediatamente a quella mia affermazione. Ci stavi pensando, forse combattuto tra l'orgoglio di riuscire a fare ciò che avresti dovuto fare senza problemi da se e l'accettare che non era poi così male farti aiutare per vedere più lontano.
-Ma io sono già poggiato a voi.- dicesti, con leggerezza, quando ormai eravamo a metà strada.
-Non sento il peso però.- sentivo di non fare abbastanza. Era quello il senso nascosto dietro le mie parole.
-Allora va bene così.- rispondesti -Vuol dire che siamo amici davvero.-
-Credo di aver capito.- tamburellai le dita sul volante, distrattamente. -Però prima non hai accettato il mio aiuto. Testone.-
-Volevo farcela da solo. E ce l'ho fatta. Sai perché ci ho provato?- scossi il capo, non arrivando al punto che tu volevi toccare.
-Perché sapevo che se non ce l'avessi fatta, tu saresti stato lì a prendermi.-
Mi morsi il labbro con forza quasi fino a farlo sanguinare. Non riuscivo a comprendere come mai, tra tutte le persone di quel mondo, un male così terribile e violento avesse colto proprio lui. Ero conscio che non vi era giustizia nella biologia e che persino il più infame potesse vivere cent'anni di felicità, ma una persona dotata della sua profondità d'animo non avrebbe mai dovuto sperimentare quella sua qualità così bella nel peggiore dei modi.
Non c'era giustizia nella biologia. Ma era tutto così tremendamente sbagliato.
-Smettila di farmi commuovere, stronzo.- risi, deviando il discorso. Odiavo farmi vedere piangere, ancor di più commuovermi per qualcosa come una frase troppo dolce detta dal mio migliore amico.
Non disse nulla. Rimase semplicemente in silenzio, finché non arrivammo a casa. Ci salutammo come al solito, con una stretta di mano ed una vigorosa pacca sulla spalla.
-Allora, ci sarai stasera?- mi domandasti.
-Certo che ci sarò.-
Non mi sarei mai perso il tuo grande ritorno.
Mai.
Per niente al mondo.

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Ajik