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Autore: AbbyHolmes    04/01/2016    1 recensioni
In gioco c’era la sua unica possibilità di essere felice e non poteva permettersi di lasciarsela sfuggire.
[...]
Ormai, quella tempesta esteriore stava diventando gradualmente parte di lei, facendo pericolosamente oscillare la barca delle sue decisioni.
[...]
“Ziva, a te la scelta.”
Genere: Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Un po' tutti, Ziva David
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il peso della valigia.



 
Una giovane donna, seduta su un divano sgualcito, in mano un vecchio album di foto più o meno rovinate.
Poteva la vita essere raccontata tramite delle fotografie?
Evidentemente sì, dal momento che cercava dai quei pezzi di carta una soluzione alle sue domande e ai suoi dubbi.
Aprì l’album che teneva in mano e iniziò a sfogliarlo, riavvolgendo contemporaneamente la pellicola dei suoi ricordi.
 
 
Fin da piccola aveva dovuto intraprendere una strada difficile, aveva dovuto confrontarsi con la guerra, il dolore e tutte le cose peggiori che potevano capitare a una bambina: era allora che aveva iniziato a riempire con i suoi desideri freschi come gemme quella valigia, quel bagaglio pesantissimo pieno di sogni e speranze che di lì a poco avrebbe iniziato a trascinarsi dietro.
 
[Hai fatto tutta quella strada per arrivare fin qui
e ti è toccato partire bambina,
con una piccola valigia di cartone
che hai cominciato a riempire.]
 
Era quasi strano vedere una bimba dai ricci capelli castani e la stella di David al collo arrancare nella tempesta della vita con una valigia più grande di lei, una valigia che custodiva ciò che non aveva mai voluto svelare a nessuno, i suoi sentimenti, le sue aspirazioni. Lei stessa le aveva messe per iscritto, per non dimenticarle, per avere una testimonianza, quella delle parole nere che risaltavano sul candore del foglio, come in una specie di giuramento con se stessa:
 
“I will:
 be a ballerina
ride a horse
live in a castle
 visit Iceland and America
 have a boy and a girl.”


 
 
Questo era quello che avrebbe voluto diventare, quello che avrebbe voluto fare.
 
Questa bambina era forte, poteva sfuggire al mondo di suo padre.
 
 
Guerra, morti, persone che chiedevano disperatamente aiuto.
Il volto di sua mamma Rivka, di sua sorella, dei suoi migliori amici.
La sofferenza di quegli anni durissimi.
Le esplosioni, gli attentati.
I dubbi, le incertezze.
La voglia di scappare, nonostante fosse legata a quel posto.
Tutto questo poteva essere letto -persino da lei stessa - nei suoi occhi da bambina, scuri come il dolore che aveva dovuto sopportare, profondi come l’oceano che avrebbe attraversato, impressi sulla pellicola che la ritraeva felice con la sua famiglia nella loro nuova casa, dopo il rientro del padre e del fratello da una missione.
In quegli stessi occhi innocenti era racchiuso l’odio che aveva provato  verso suo padre quando l’aveva costretta ad arruolarsi nel Mossad, a diventare un’assassina, a reprimere le sue emozioni. Lui, che non l’aveva mai trattata come una figlia, ma sempre e solo come uno dei suoi uomini. Per lui non era la sua bambina, era solo un numero, un insignificante numero che poteva essere sacrificato per le missioni più rischiose.
 
Questa bambina era forte, poteva sfuggire al mondo di suo padre.”
“Non è mai troppo tardi.”
“Non più.”
 

 
[E la valigia ha cominciato a pesare
 e dovevi ancora partire.
E gli occhi han preso il colore del cielo
a furia di guardarlo
e con quegli occhi ciò che vedevi
nessuno può saperlo.]
 
Sì, all’inizio, Ziva David non era un guerriero totalmente privo di emozioni, ma una bambina che, non riuscendo a difendersi dagli attacchi del mondo esterno, aveva iniziato a chiudersi in se stessa, a farsi una corazza forte e infrangibile che le desse la sicurezza di portare avanti quel pesante fardello, quella valigia che nessuno poteva vedere né aprire.
 
[E sole, pioggia, neve, tempesta
sulla valigia e nella tua testa
e gambe per andare...]
 
E aveva provato  a cambiare vita, ad allontanarsi da quella spirale di morte che caratterizzava la sua quotidianità, ma ogni volta che provava a parlare con suo padre dell’eventualità di uscire dal Mossad o del suo stato d’animo, le gridava contro. E lei doveva stare zitta, mandare giù l’ennesimo boccone amaro, trattenersi dal piangere perché “era da deboli”.
Era come se stesse disperatamente gridando aiuto e tutte le persone attorno a lei fossero troppo sorde o troppo egoiste per accorgersene.
Così, non potendo diversamente, si era rassegnata ad accantonare tutte le possibilità e le occasioni di cambiamento, tutte le parole non dette a suo padre, tutti i suoi pensieri in quella valigia, che avrebbe dovuto scoppiare per la mole del suo contenuto.
 
[Hai fatto tutta quella strada per arrivare fin qui
e ad ogni sosta c'era sempre qualcuno
e quasi sempre tu hai provato a parlare,
ma non sentiva nessuno.
E ti sei data, ti sei presa qualche cosa chissà
ma le parole che ti sono avanzate
sono finite tutte nella valigia
e lì ci sono restate.]
 
E poi, tra un incarico e una missione, un viaggio e un ritorno, una certezza e una speranza, era cresciuta, diventando una donna, nonché supervisore di un’unità del Mossad.
Così era arrivata in America, così aveva scoperto che suo fratello, l’unica persona di cui ancora si fidava, non era chi diceva di essere.
Altro dolore che appesantiva quella valigia.
 
Ma nel momento in cui aveva sparato a suo fratello Ari, tutte le sue insicurezze erano emerse, uscendo allo scoperto miste alle lacrime che le cadevano copiose.
Oramai non sapeva più chi era e non aveva nient’altro per cui vivere e nessun altro di cui fidarsi se non se stessa.
E quel senso di solitudine, anche se lei non lo dimostrava, la stava distruggendo.
 
Quella valigia, quel bagaglio, quel fardello troppo grande da portare ancora, ma che non voleva far portare a nessun alto che non fosse se stessa per paura che cadesse nelle mani sbagliate: si era fidata troppe volte di persone che l’avevano delusa per poter rischiare ancora.
Nonostante fosse stanca di queste insicurezze, di questa precarietà, del suo passato che minacciava di portare alla luce scheletri e fantasmi nei momenti meno opportuni, aveva continuato a lottare caparbiamente contro tutte le tempeste, piuttosto tornando a nuoto dall’ennesimo naufragio della nave su cui era in missione.
 
[E le tue gambe andavano sempre,
solo sempre più adagio.
E le tue braccia reggevano a stento
il peso della valigia.
E sole, pioggia, neve, tempesta
sulla valigia e nella tua testa.]
 
Era forte.
Era fragile.
 
E riguardando non troppo indietro nella sua vita, aveva trovato un posto sereno, un lavoro che le piaceva, degli amici, una nuova famiglia: nel momento in cui aveva perso suo fratello, aveva guadagnato la fiducia di un uomo che sarebbe stato per lei come un padre.
Si era fermata, aveva accantonato la valigia in un angolo e aveva permesso loro di aprire il suo bagaglio e guardarvi all’interno.
 
Rivka, Tali, Ari, Eli.
Quattro nomi.
Quattro, come i vuoti che le avevano lasciato, le cicatrici che aveva ricamate sul cuore.
Quattro, i mesi in cui era stata via.
Tony, Jethro, Tim, Abby.
Quattro nomi, quattro ragioni per cui tornare.
 
 
[Hai fatto tutta quella strada per arrivare fin qui,
ma adesso forse ti puoi riposare.
Un bagno caldo e qualcosa di fresco
da bere e da mangiare.
Ti apro io la valigia mentre tu resti lì
e piano piano ti faccio vedere:
c'erano solo quattro farfalle
un po' più dure a morire.]
 
Poi, la morte di suo padre, quello stesso padre che anni prima aveva odiato con tutta se stessa e che ora non desiderava altro se non vendicarlo, l’aveva destabilizzata, colpita al cuore: essere la figlia del direttore del Mossad non implicava necessariamente la conoscenza di tutti i segreti di suo padre.
E allora perché le davano la caccia?
Perché doveva rischiare non solo la sua vita, ma anche quella dei suoi amici per cose che non sapeva?
Il senso di solitudine che le aveva fatto da compagno per buona parte della sua vita era tornato più forte che mai, misto alla consapevolezza di avere qualcuno su cui contare.
 
Prese la foto che aveva in mano e l’accantonò: il lucido della carta rifletteva il sorriso sul suo volto e su quello di suo padre, intenti a far volare un aquilone in un pomeriggio di molti anni prima.
Poteva forse una morte sconvolgere una persona tanto da farle rinnegare se stessa?

 
Chiudendo l’album delle sue foto da bambina, con sua grande sorpresa, ne trovò una particolarmente familiare: era del suo primo compleanno in America, festeggiato insieme alla sua piccola, nuova, strana famiglia in quegli stessi uffici che avevano fatto da scenario a giorni felici e tristi, ma in cui si era sempre sentita parte di un piccolo mondo, una persona che contava davvero per qualcuno.
Trovare quella foto in quel momento era forse una coincidenza?
Il suo cuore voleva disperatamente che fosse davvero così, mentre il suo cervello continuava razionalmente e insistentemente a ripetere poche parole: “Ziva, regola 39, non esistono le coincidenze.”
Lasciò la seconda foto accanto alla prima.
 
E in quel momento non sapeva, non sapeva se tornare e affrontare quella nuova tempesta da sola o con l’aiuto dei suoi amici.
Ricordò l’occhiata paterna di Gibbs, la coalizione con McGee contro gli scherzi di Tony, le risate e i consigli di Abby, il volto di Tony mentre ballavano  sottocopertura per il caso che l’avrebbe portata a uccidere l’assassino di suo padre.
 
“One day you’ll dance with a man who deserves your love”.
A volte suo padre aveva dimostrato di essere anche saggio.

 
“I will:
 be a ballerina,
ride a horse,
live in a castle,
visit Iceland and America,
have a boy and a girl.
Stop all this for HIM.
 
Ma chi voleva prendere in giro dicendo che il “lui” sulla lista era riferito a Gibbs?
Se stessa?
Il suo orgoglio?
Non poteva mentire a se stessa: era stato Tony il primo ad aver mostrato interesse di farsi carico della sua valigia.
 
Posò lo sguardo sulle due foto davanti a lei, indecisa su cosa fare.
Restare avrebbe voluto dire che avrebbe affrontato la tempesta ancora una volta da sola, con le sue uniche forze: non li avrebbe messi in pericolo, non più di quanto già non li avesse esposti: in gioco c’era la sua unica possibilità di essere felice e non poteva permettersi di lasciarsela sfuggire.
Guardò la pioggia battente fuori dalla finestra: non pioveva frequentemente in quella stagione.
Ormai, quella tempesta esteriore stava diventando gradualmente parte di lei, facendo pericolosamente oscillare la barca delle sue decisioni.
[E sole, pioggia, neve, tempesta
sulla valigia e nella tua testa
e gambe per andare
e bocca per baciare.
Sole, pioggia, neve, tempesta
sui tuoi capelli, su quello che hai visto
e braccia per tenere e fianchi per ballare.]
 
 
Il suo sguardo oscillava disperatamente da una foto all’altra.
 
Restare, Tornare.
Tornare, Restare.
 
Un sospiro.
“Ziva, a te la scelta” si ripeteva.
 
Restare, Tornare.
Tornare, Restare.
 














 

_Abby's lab_
Guys, I'm back!
*evita oggetti e maledizioni lanciati dai lettori amareggiati per il finale*
La storia finisce proprio così, non ha un seguito e non l'avrà: che ognuno dia l'interpretazione che preferisce a questo finale aperto che esprime i dubbi di Ziva; per quanto mi riguarda, l'ultima parola della fic è decisiva per la decisione della nostra amata ninja, che decide -per ora- di restare in Israele per proteggere i suoi amici da eventuali minacce.
L'altra sera ho rivisto la 11x02 e mi sono ricordata di questa fic, scritta più di un anno fa dopo la visione dell'episodio sopraccitato.
Adoro la canzone che mi ha ispirato questa storia ("Il peso della valigia" di Ligabue) e la trovo molto adatta a un personaggio dalla vita travagliata e dalla psicologia complessa, quale è Ziva.
Come al solito ringrazio tutti quelli che leggono, hanno letto e leggeranno le mie storie.
Recensioni, commenti, insulti, uova, pomodori o qualsiasi cosa vogliate sono graditi.
Come al solito cito la mia carissima Jen98, che ha letto questa storia prima che la stravolgessi completamente, in preda a manie d'innovazione (?).
Ergo, fatemi una lista di tutti gli errori e le sviste che notate, perchè a furia di rileggere la storia, potrei non accorgermene più.
Anyway, spero che abbiate gradito la fic, che abbia reso Ziva IC e vi auguro buone feste (o quello che ne resta)!
Semper fi,
Abby^^

 

   
 
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