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Autore: Albatro    05/01/2016    0 recensioni
Lo schiavo Arus non può parlare. Nelle terre delle sabbie agli schiavi viene impedita attraverso un rito (il ricamo del silenzio) la possibilità di parlare. È il servitore del re Luscar. Il re impegnato in una lotta parte per il fronte e lascia Arus ad occuparsi della figlia più grande Tahlia. Tahlia è promessa in sposa al vecchio re delle foreste Gnogher. Quando la data del matrimonio si avvicina Tahlia cerca di scappare ma viene fermata da Arus, che la riporta al castello. In seguito Tahlia verrà aiutata proprio da Arus a scappare e segretamente si innamorerà di lui durante questa fuga. Arus scopre di essere innamorato di lei da sempre ma non puó rivelare il suo amore sia per il ricamo sia per la sua posizione molto più bassa rispetto a quella della ragazza. Ma un segreto si cela dietro al ricamo di Arus, forse questo cambierà tutto chi può dire se in meglio o in peggio.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Portami il vino ragazzo." Il servo arrivò come un'ombra, prese la brocca, gli versò il vino e poi tornò a nascondersi nell'oscurità della stanza. Il re di sabbia beveva il vino avidamente, non era mai stato un gran bevitore ma per forze maggiori, il matrimonio combinato della figlia, una guerra in procinto di iniziare e l'estate torrida che sempre premeva quelle terre sotto il suo peso, bere quello strano liquido era diventato un raro piacere, gli levava i pensieri dalla mente, lo faceva rilassare e il caldo gli sembrava meno opprimente. Il più delle volte si era soffermato a osservare e analizzare i ricordi che quella bevanda gli dava: L'odore gli ricordava la sua giovinezza quando si divertiva per locali e quella fragranza alleggiava in tutta la locanda e si attaccava ai vestiti come solo l'odore del fumo fa, il colore gli ricordava la morte, il sangue, i capelli della sua amata moglie, rossi come il fuoco, o come il vino, rossi come quel sangue che usciva da lei dopo il parto del loro secondogenito, rosso come la vita che lasciava il suo corpo piano piano mentre il neonato usciva da lei, anche la consistenza, la sua densità gli ricordava il sangue, quel sangue che era stato costretto a bere da piccoli tagli sul collo del suo cavallo per rimanere in vita, per arrivare in quelle terre che ora dominava con pietà e giustizia. L'arrivo del falco lo fece sobbalzare e lo riportó alla realtà. Il rapace lo guardava fisso con i suoi occhietti gialli aspettando la gustosa ricompensa. Il piumaggio scolorito dal sole e dalla vecchiaia lo faceva sembrare un avvoltoio, "Vieni qui Sona", l'uccello spiccò il volo dal suo trespolo e arrivó sul suo braccio, affondando gli artigli nell'imbottitura della protezione, guardò con fare sospetto la carne che il suo padrone gli porgeva e in un attimo la prese col becco appuntito e la trangugiò. Il bigliettino attaccato alla zampa di quel falchetto avrebbe deciso il destino del suo regno, le mani gli tremavano mentre sfilava la piccola pergamena dal cordino, mise il cappuccio sulla testa dell'uccello e lo rimise sul trespolo. Si sedette sul suo trono, una poltrona vecchia, lurida e imbottita che sembrava tutt'altro fuorché un trono, piano piano srotolò il messaggio e il cuore gli si fermò per un attimo, lo rilesse più e più volte sperando che le parole cambiassero ma rimanevano sempre quelle, il re di ghiaccio aveva posto fine alla tregua e ora gli dichiarava guerra, se era la guerra che voleva e che chiedeva l'avrebbe avuta.
   
 
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