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Autore: emyliane    05/01/2016    0 recensioni
Non potevano domandarsi che una cosa soltanto... chi era lei? E lei non si domandava che una cosa... sarebbe riuscita a salvarle?
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Natsuki Kuga, Shizuru Fujino
Note: Traduzione | Avvertimenti: Violenza
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NDA: un enorme grazie a Elana, Guest e OneOutOfAMillion per le recensioni al capitolo precedente, e a tutti coloro che hanno seguito questa storia e si sono presi il tempo di lasciare un commento. Questa fanfic termina qui. Spero che la conclusione vi soddisfi.

NDT: prima di pubblicare questo capitolo ho preso seriamente in considerazione l'idea di alzare il rating di questa fic a rosso. Non l'ho fatto, ma ho aggiunto un avvertimento che voglio ripetere qui: questo capitolo contiene scene di violenza dai contenuti abbastanza forti. Siete avvisati.


Capitolo 24

Shizuru venne brutalmente gettata su una sedia traballante che per poco non si rovesciò.

"Che stai facendo, Suzushiro?"

Uno degli ispettori di turno quella sera non parve gradire il ritorno della sua ex-collega nei locali della polizia. Un secondo agente non si curò della loro conversazione. Era quest'ultimo che l'aveva rudemente costretta a sedersi e che, chino su di lei, l'osservava come se fosse uno spettacolo da baraccone. Anche se l'interesse che brillava nel suo sguardo dava più l'impressione che la considerasse una creatura rara e preziosa, più che un mostro terrificante.

Shizuru si piegò all'indietro per allontanarsi dall'alito carico di spezie dell'uomo, che evidentemente non conosceva il significato di spazio personale.

"Cosa faccio qui?!" Ribatté Itsumi con voce forte in sottofondo. "Sottospecie d'idiota! Guarda, non la riconosci nemmeno?! Eppure siete stati tu e il tuo compare laggiù che avete condotto l'inchiesta sulla sua 'presunta' morte. Peccato che a me sembri viva e vegeta, no?! Mi ha perfino rotto il naso!"

Il secondo poliziotto si allontanò finalmente da Shizuru con una risata.

"Già, ti ha proprio preso in pieno. Ma tu ti sei vendicata, no?" Disse indicando il viso di Shizuru dove da un lato c'era una grossa macchia blu tendente al viola scuro, quasi nero. "Non ti preoccupare, chiuderemo un occhio sui tuoi eccessi Suzushiro. Non c'è bisogno di aumentare le accuse a tuo carico, giusto?"

Itsumi incrociò le braccia sul petto.

"Parli sul serio?" Disse con tono quasi incredulo. "Io vi porto una presunta morta ancora in vita e tutto ciò di cui vi preoccupate è se io le abbia restituito colpo su colpo quando ci siamo battute?"

Shizuru si raddrizzò sulla sedia, cercando disperatamente una posizione migliore. Le manette erano una vera tortura, ancor più da quando il poliziotto l'aveva così duramente spintonata.

"Ci occuperemo noi di interrogare la tua morta vivente," rispose il primo ispettore. "Tu puoi tornare a casa, Suzushiro. Non hai più nulla da fare qui."

Itsumi osservò Shizuru, un barlume di incertezza nel suo sguardo prima di scuotere la testa e uscire, seguita dall'ispettore.


Vedendola allontanarsi Shizuru si lasciò sfuggire una smorfia, di colpo incerta sul suo futuro. I prossimi minuti le avrebbero fatto capire fino a che punto le sue deduzioni erano corrette.

Mentre il primo ispettore era uscito subito dopo Itsumi, quello dall'alito piccante si era seduto sul bordo della scrivania di fronte a lei, una sigaretta agli angoli della bocca.

"Allora, sei veramente tu, Fujino?"

La ragazza non si prese la briga di rispondere, pensando fosse una domanda retorica. L'uomo non si formalizzò.

"Io sono Gombei. E' un onore rivederti in vita. Non che non fossi una bellezza da vedere anche morta, eh!" Esclamò in tono lascivo. "Ma vedi, una morta non è molto... viva."

"Riflessione molto opportuna, Sherlock," ironizzò Shizuru.

Con un sospiro, Gombei alzò la gamba al livello dello schienale prima di applicare una forte spinta contro di esso. Per un attimo Shizuru si sentì in equilibrio precario, poi la sedia oscillò trascinandola nella sua caduta. La sua testa colpì duramente il terreno, ma non fu nulla a confronto con le sue mani bloccate dietro la schiena dalle manette. Con un sonoro scricchiolio uno dei suoi polsi non resse allo choc e si ruppe. Shizuru non riuscì a trattenere un rantolo di dolore.

Per quella che le sembrò essere la millesima volta quella sera, venne afferrata per la giacca e fatta rialzare. Per un attimo barcollò e solo la stretta di Gombei riuscì a tenerla in piedi, mentre l'uomo rimise a posto la sedia. Poi venne fatta nuovamente sedere con la forza.

"Sia come sia," riprese l'ispettore con aria beffarda. "Cercavo solo di essere simpatico, di fare conversazione."

Shizuru, le lacrime agli occhi, preferì questa volta tenere per sé i suoi pensieri.

"Cos'è successo?" Tuonò la voce del primo ispettore, che aveva appena riaccompagnato Itsumi alla porta.

"Niente," rispose Gombei imperturbabile. "Si stava divertendo come tutti i giovani d'oggi a inclinare la sedia su due piedi. E' semplicemente caduta all'indietro prima che potessi trattenerla. E a giudicare dalle grida, direi che si è anche rotta qualcosa. Una bella lezione, eh?"

"Molto divertente, idiota. Ho detto a Moshi che saremmo scesi. Aiutala a rimettersi in piedi."

Con un sorriso sarcastico, Gombei obbedì. Una morsa di ferro si chiuse attorno al suo braccio, e Shizuru fu trascinata attraverso la stanza fino alle scale che portavano alle celle. Il primo ispettore li precedeva.

Una volta sottoterra non si fermarono però per rinchiuderla, nonostante passassero davanti ad una dozzina di celle vuote. Raggiunsero una pesante porta di metallo, che il collega di Gombei aprì. Apparve un corridoio degno di un film dell'orrore. Cosparso di pezzi d'intonaco crollati, cavi, tubi e pannelli di legno abbandonati, il lungo passaggio s'inclinava verso la profondità della terra e la luminosità tremolante di un tubo catodico non contribuì certo a rassicurarla.

"Sei molto calma, Fujino," sussurrò Gombei. "Non sei curiosa di sapere dove ti portiamo?"

"Lo so già," gli rispose malgrado tutto.

L'uomo le lanciò un'occhiata incuriosita.

"Hai sentito, Junzo?"

"Io dico che sta bluffando," disse in tutta risposta il primo ispettore.

Shizuru fece spalluccce, felice di avere passato tanto tempo a perfezionare la propria maschera.

"Sapete, non c'è da fidarsi di Nao Yuuki. E' una che ha il vizio di parlare troppo. Soprattutto quando pensa di avere il controllo della situazione," mentì con perfetta disinvoltura. "Se non fosse stato per Suzushiro, avrei continuato a farmi passare per morta agli occhi del Terzo Distretto."

L'uso del nome della loro organizzazione parve convincerli.

"Cosa t'ha detto quella piccola peste?!" Gombei s'innervosì, chiaramente pronto a farla parlare.

Junzo gli ordinò di tacere.

"Non spetta a noi interrogarla. Chiudi la bocca, Gombei."

Con voce posata e sicura, Junzo si fece obbedire.

Dopo avere chiuso alle loro spalle la pesante porta che dava sulle celle, i tre percorsero una buona parte del corridoio con prudenza per evitare di inciampare. Alla fine, Junzo tirò fuori una vecchia chiave che infilò nella serratura di una porta così arrugginita che Shizuru dubitò si potesse effettivamente aprire. Quest'ultima tuttavia girò sui cardini in silenzio e senza la minima resistenza. Il minuscolo stanzino pareva un ripostiglio per le scope. Si sentì nauseata dal misto di odore di chiuso e umidità. Alcune pareti erano ricoperte di muffa.

"E' ripugnante," disse.

"Lo scopo è quello, principessa," le sussurrò all'orecchio Gombei.

Shizuru arricciò il naso al suo alito, e si chiese quale dei due odori fosse peggio - quello dell'uomo o quello della stanza.

Lo stanzino era ingombro. Con un mugugno irritato Junzo spostò un cumulo di tubi, rivelando dietro di essi un pannello di legno con vecchio codice digitale sbiadito, un'anticaglia dei tempi passati. L'uomo inserì una lunga serie di cifre. Shizuru non sentì né vide succedere nulla di particolare. Junzo rimise quindi a posto l'accozzaglia davanti al pannello di controllo, poi richiuse la porta a chiave. Senza una parola ripresero a camminare, sprofondando ancora di più sottoterra.

Le pareti, constatò Shizuru, erano vecchie e rovinate ma erano comunque abbastanza spesse da soffocare le urla di chiunque ci fosse rinchiuso. La pesante porta che avevano oltrepassato per entrare doveva isolare il minimo rumore di quel corridoio dall'esterno.

Alla fine, una porta all'apparenza assolutamente identica alla prima e alle dozzine d'altre del lungo corridoio venne aperta. Anche in quel caso girò sui cardini senza la minima resistenza o rumore. Questa volta apparvero una serie di gradini che scendevano in profondità nella terra prima di aprirsi su una stanza quattro metri per quattro. Junzo si avvicinò ad un tubo saldato ad uno dei muri e afferrandolo fece scorrere lentamente la porta che il codice digitato prima aveva sbloccato.

Dietro quell'enorme pannello apparve un secondo corridoio, totalmente diverso dal primo. Vuoto e silenzioso, delle piccole luci illuminavano appena un un passaggio di una pulizia e un'austerità notevoli.

"Portala direttamente dal capo, intesi?" Ordinò Juzo.

Gombei spinse Shizuru verso il corridoio.

Il passaggio s'illuminò immediatamente, abbagliante nel suo biancore - luci, pavimento, pareti e soffitto. Dietro di loro, senza Junzo che la mantenesse aperta, la porta si richiuse, bianca e liscia dal loro lato e fornita di un meccanismo a impronte digitali.

"Allora... sapevi di tutto questo?" Riprese l'uomo, qualsiasi traccia di ironia scomparsa.

Shizuru si rifiutò di rispondere.

"Vista la tua mancanza di sorpresa, lo prendo come un sì."

La stanza nella quale la fece entrare, tre porte più in là, non aveva anch'essa niente a che vedere con le celle del commissariato. Tutto era pulito e nuovo.

Una scrivania bianca e imponente occupava metà dello spazio. L'uomo dietro di essa era il commissario. Shizuru si ricordò di averlo visto ai notiziari parlare della sua morte, e della tragedia che rapresentava.

Commissario Hijikata, la ragazza ricordò il suo nome. L'archetipo del buon vecchio commissario baffuto. O almeno l'archetipo che Shizuru si era sempre immaginata per un commissario. In ogni caso, l'uomo fu sconcertato al suo arrivo.

"E'... E' Fujino Shizuru?"

La ragazza non gradiva sentire parlare di sé come se non ci fosse. Il polso rotto, ancora attaccato alla sua schiena, le ricordò però che a volte era meglio tacere.

"Proprio lei, signore!" Esclamò Gombei.

Hijikata fece il giro della sua scrivania e avvicinò la mano al viso di Shizuru. La giovane voltò la testa al suo gesto e il commissario, infastidito dalla sua reazione, l'afferrò con forza. Le grosse dita dell'uomo affondarono nelle sue guance, causandole gemiti di dolore.

"Ecco, sta' buona," le ordinò il commissario inclinando il suo viso verso il proprio per osservarla in dettaglio. "Due occhi brillanti dello stesso rosso del sangue del Primo Distretto che ha versato. E' davvero lei. Cosa significa?"

"Forse il medico legale ha mentito," ipotizzò Gombei, che continuava a tenerla ferocemente per le braccia, quasi a volerle lasciare il segno delle sue dita. "Ha voluto nascondere la sua morte, trovando una persona che le somigliasse e falsificando il rapporto. Dopo tutto, non aveva lo stesso taglio di capelli e il cadavere aveva un tatuaggio. Non proprio il genere di Fujino, secondo le testimonianze."

"Sei uno stupido, Gombei. Il medico legale è dalla nostra parte, da più tempo di quanto immagini. La sua lealtà non può essere messa in dubbio."

"Allora cosa?"

"Le nanomacchine?" Rifletté Hijikata.

Il commissario, che non aveva distolto lo sguardo da Shizuru, notò la sua mancanza di reazione.

"Non sembri sorpresa."

"Non più di quanto non fosse mentre la portavamo qui. Sembra che Yuuki abbia parlato."

Il commissario si lisciò i baffi, indietreggiando.

"Falla sedere. Credo sia opportuna una chiaccherata."

Gombei la trascinò nuovamente verso una poltrona destinata agli interlocutori di Hijikata. Prima che la costringesse a sedersi con la sua solita brutalità, Shizuru si divincolò improvvisamente e prima che l'uomo potesse reagire prese tranquillamente posto nella poltrona designata, evitando di aggravare la ferita del proprio polso già malconcio.

"E così, Yuuki-san ci ha ingannati. Sembrava veramente pronta a testare le sue nuove capacità, e ad aiutarci a catturare l'Ametista."

Silenzio, durante il quale i due uomini l'osservarono.

"Ovviamente, tu sai tutto dell'Ametista, non è così?"

Davanti al suo silenzio Hijikata continuò.

"A dire la verità, il suo aiuto non è stato superfluo. Temevamo che Itsumi, dopo avere cercato di incolparti, ti facesse sorvegliare. Non potevamo mandare dei membri del Terzo Distretto al tuo inseguimento, perché in quel caso li avrebbe riconosciuti. E al loro posto Yuuki-san, così entusiasta all'idea di farti del male, ti ha parlato?"

"Come si dice, nulla è impossible, no? Sapeva che sarebbe morta in seguito ai vostri piccoli esperimenti? Questo potrebbe spiegare il suo cambiamento di opinione."

"Avevamo migliorato le nostre nanomacchine," replicò Hijikata indicando il dossier Progetto Otome, appoggiato in un angolo della sua scrivania. "Però sì, malgrado tutto sarebbe morta, e no non ne era al corrente. La domanda interessante però è come fai a saperlo tu."

"Io? Ma l'ispettrice Suzushiro in persona mi ha dato quel dossier durante il mio stato di fermo!" Esclamò la ragazza con falsa innocenza.

A Gombei non piacque il suo sarcasmo, e solo il richiamo all'ordine di Hijikata impedì a Shizuru di ricevere un nuovo colpo.

"Dubito che le tue conoscenze vengano da qui. Ma ci ritorneremo più tardi. Per il momento mi piacerebbe sapere come hai fatto ad ingannare il nostro medico legale."

Shizuru non riuscì a pensare ad una scusa plausibile, e si rifiutò di dire loro la verità. Il colpo che la prese in pieno stomaco in seguito al suo silenzio non fu quindi una sorpresa. Gombei si massaggiò il pugno con gioia.

"Abbiamo verificato e sorvegliato il corpo fino alla sua cremazione," disse.

"Sono certo," riprese Hijikata, "dell'innocenza del medico legale. Mi domando se..."

"Signore?"

Shizuru stessa osservò con una certa curiosità il ragionamento che il commissario stava per fare.

"Nel suo cadavere... c'erano delle nanomacchine."

"Sì, signore. Stiamo ancora cercando di capire come sia potuto succedere."

"Che potere ti hanno fornito? Una specie di immortalità?"

Shizuru tenne la bocca chiusa.

"Non può essere che così. Uno dei nostri ricercatori ci ha tradito! Ti ha usato come cavia, e da qui le tue conoscenze. Hai condotto la tua piccola vendetta contro di noi per salvare i tuoi amici, e sei morta. Le nanomacchine ti hanno dato la capacità di risorgere."

Beh, l'uomo aveva una fervida immaginazione. Ma che fosse stata una versione futura di se stessa che aveva viaggiato indietro nel tempo non era forse altrettanto straordinario e inverosimile?

"Chi?"

"Chi cosa?" Rispose alla fine.

"Chi è l'uomo che ha preferito condurre i suoi esperimenti per il proprio tornaconto? Senza il consenso dell'organizzazione?"

Beh, poteva sempre prestarsi al loro gioco.

"Come faccio a saperlo? Pensate che mi abbia rivelato la sua identità?"

"Ametista è il soprannome che ti eri data. E' anche il nome di uno dei nostri sotto progetti. Dovevi per forza sapere che chiamandoti così avresti attirato la nostra attenzione."

Poi si rivolse a Gombei.

"Trovami il ricercatore che dirige quel progetto. E interrogalo."

Gombei esitò, poi annuì prima di uscire a completare la sua missione. Quanto tempo ci avrebbe messo a capire l'inganno?

"La cosa che mi disturba però di questo dossier," riprese Hijikata con un dito appoggiato sul documento, "sono i dettagli degli esperimenti. Le cavie, in particolare. Sembra evidente che chiunque li abbia condotti aveva a disposizione individui del tuo calibro."

"Delle HiME," completò Shizuru. "Non è solo per vendicare i vostri confratelli che ci usate per i vostri esperimenti, non è così?"

"In effetti," l'uomo s'irrigidì. "Diciamo che l'unica ragione per cui non ti ho uccisa con le mie mani è per servirci di te come cavia. E quando ne si hanno a disposizione solo dodici, non è il caso di sprecarne una. Anche se la tua morte in particolare è uno dei nostri desideri più grandi. Certe volte avrei preferito non avere questo dossier, per poterti utilizzare in uno dei nostri primi esperimenti. Vederti soffrire, vederti..."

"Davvero il vostro interesse mi commuove!" Esclamò la ragazza in tono ironico. "Ma voi siete i soli ad avere iniziato questa guerra. Come potete guardarvi allo specchio dopo ciò che avete fatto a delle giovani innocenti?"

"Innocenti?"

Hijikata scoppiò a ridere sonoramente, le mani sul ventre.

"Non c'è nulla di innocente in voi! E soprattutto in te, Fujino!" Esclamò. "E anche se lo foste state, non avrebbe cambiato nulla. Noi serviamo una causa più grande!"

Shizuru rise a sua volta. Non aveva più molto da perdere a provocare gli agenti del Terzo Distretto.

"Il vostro arricchimento personale, giusto? E' questo che giustifica gli omicidi e la tortura?"

"Credi che dodici ragazze, quasi tutte orfane, siano più importanti del bene comune?!" Esclamò l'uomo con convinzione.

Hijikata si alzò e fece il giro della scrivania per mettersi nuovamente di fronte a lei.

"Il bene comune?" Domandò lei.

"Pensi davvero che tutte le grandi scoperte di questi ultimi anni siano dovute a degli scienziati che hanno rispettato la legge e i diritti dell'uomo?! E' grazie a persone come noi che oggi possiamo curare le malattie peggiori."

"Torturando delle..."

"Torturare? Pensi che sia quello lo scopo del nostro progetto? Pensi davvero, ingenua ragazza, che investiremmo tanti sforzi e tanto denaro solo per 'torturare' dodici sfortunate adolescenti?! Le nanomacchine potranno guarire e rendere gli uomini più forti. Aprire una nuova era dove le malattie e gli handicap non esisteranno più!"

Shizuru stava per rispondere che nulla - nemmeno il bene di molti - giustificava il sacrificio di innocenti. Ma vide la foto. Dentro una cornice allegra, era l'unica decorazione personale sulla scrivania. La ragazza si stupì di non averla notata prima. Sedendosi sulla scrivania per mettersi di fronte a lei, Hijikata l'aveva urtata e spostata, permettendole di vedere il contenuto.

Hijikata - ringiovanito di quindici anni - in piedi con sua moglie dietro una bambina sorridente di cinque anni in sedia a rotelle.

"Lo fa per lei, non è così?"

Hijikata ci mise solo un momento a capire a cosa si riferisse Shizuru. Nascose subito la fotografia, una volta che ebbe compreso. Arrossì di collera.

"Non penso che a sua figlia farebbe piacere sapere le azioni che compie in suo nome."

"Sta' zitta! Tu non sai nulla."

"Mi creda, le persone non apprezzano gli orrori che vengono commessi per loro, anche quando si pensa che siano per il loro bene."

Hijikata la colpì al viso. Sul lato finora risparmiato dalle botte. Se la grande e massiccia poltrona non batté ciglio, Shizuru cadde e piombò a terra, la sua spalla assorbì completamente lo choc.

"Ti ho detto di stare zitta. Se parli ancora, ti taglio quella dannata lingua."

"Vi sarà difficile allora interrogarmi, no?" Ribatté lei rimettendosi in piedi.

L'uomo sorrise beffardo.

"Hai ragione," disse, aprendo improvvisamente le manette per afferrare - grazie a Dio - il suo polso ancora doloramente ma globalmente intatto.

Tirandola con la forza le appoggiò la mano sinistra sulla superficie della scrivania, e prima che la ragazza capisse cosa voleva fare sentì un dolore lancinante strapparle un grido di pura agonia. Con l'aiuto di un tagliacarte Hijikata le aveva appena tagliato di netto la prima falange del mignolo.

L'uomo la lasciò andare e Shizuru crollò, tenendosi stretta il moncone sanguinante che stava macchiando il pavimento bianco con un contrasto impressionante.

La vista le si offuscò brevemente, e si sforzò di restare cosciente.

"Da adesso in poi, se ti dico di stare zitta obbedisci! O sarò costretto a continuare."

Il suo sguardo tuttavia brillava di una gioia selvaggia vedendo i singhiozzi della ragazza, come se non aspettasse altro che lei continuasse a ripetere il suo 'crimine'.

Shizuru infilò la mano destra, dolorante per via del polso fratturato, in tasca alla ricerca di un fazzoletto o di un tessuto qualunque con cui comprimere la ferita. Dei pensieri strani e totalmente incoerenti le attraversarono la mente, dalla sua giacca nuovamente macchiata di sangue - il suo sangue stavolta, non quello di Nao - a cosa avrebbe mangiato quella sera.

Frugò in una seconda tasca con gesti erratici e improvvisamente si immobilizzò. Le sue dita avevano appena toccato un oggetto che faticò a riconoscere.

Lungo e freddo, alla fine si ricordò di cosa fosse. Il coltello di Nao. Quello di cui si era impadronita per sostituirlo con l'arma di Natsuki e falsificare la scena del crimine. L'aveva infilato nella tasca della giacca e se n'era semplicemente dimenticata nei giorni seguenti.

Nonostante perfino stringere la mano a pugno fosse difficile, Shizuru non esitò a serrare la presa sul serramanico.

Si prese un momento per comprimere la ferita contro la sua giacca insanguinata e vedere dove si trovasse Hijikata mentre si rimetteva in piedi, restando immobile.

"Che padre doveva essere!" Esclamò, cercando di mantenere un tono di voce il più possibile stabile. "Mi dica, sua figlia deve averle disobbedito in modo irreparabile il giorno in cui ha perso l'uso delle sue gambe!"

La provocazione gratuita colse nel segno. Furibondo, Hijikata si gettò su di lei. In precedenza, Shizuru aveva incassato i colpi senza tentare di sottrarsi perché sapeva di essere non solo disarmata, ma anche ammanettata. Non era più così.

Era una ex-HiME. La sua velocità era quindi superiore a quella di un poliziotto vicino alla pensione, e che avrebbe avuto bisogno di mettersi a dieta.

Schivò il pugno e, chiudendo la mano sull'arma e soffocando le scariche di dolore che le risalirono lungo tutto il braccio, attaccò a sua volta.

La lama del coltello - lunga e affilata - penetrò facilmente la carne. L'aveva colpito alla schiena, in mezzo alle costole. Una doveva essere stata toccata, perché aveva sentito l'arma deviare per poi affondare nello spazio intercostale.

Hijikata indietreggiò barcollando, e quando tentò di parlare - o di insultarla più probabilmente - vomitò un fiotto di sangue. Aveva perforato un polmone.

"Itsumi..." Balbettò l'uomo.

"Si è evidentemente dimenticata di perquisirmi," completò la ragazza.

L'uomo cadde a terra a sua volta, e si trascinò bene o male verso la sua scrivania.

Shizuru, con passo malfermo, lo seguì tranquillamente prima di schiacchiarli brutalmente una mano. L'uomo emise un gemito patetico e gorgogliante, iniziando visibilmente ad annegare nel suo stesso sangue.

"Dove sono le HiME che avete rapito?"

Per tutta risposta, l'uomo tese la mano libera e tremante verso di lei, facendole il dito medio. Si rifiutava di dirglielo.

Shizuru scosse tristemente la testa e affondò la lama nella sua gola.

Non aspettò di vederlo morire dissanguato. Fece il giro della scrivania e forzò i cassetti, alla ricerca di qualsiasi oggetto che potesse esserle utile. Trovò un insieme di documenti, forniture di arredo e finalmente... una pistola. La soppesò, verificò le munizioni e la sicura come le aveva insegnato Viola, prima di infilarsela in cintura.

Il suo dito continuava a sanguinare, e Shizuru cercò quindi di strappare una striscia di tessuto dalla camicia di Hijikata, ma o le ferite l'avevano resa troppo debole o i film non erano veritieri su quel genere di cose: in ogni caso la ragazza non riuscì a strappare l'indumento. Con un misto di disgusto e timore per la propria sicurezza riprese in mano il coltello, togliendolo dalla gola di Hijikata con un rumore aspirante prima di usarlo per tagliare una striscia di tessuto che annodò bene o male con i denti.

Il suo viso era dolorante, così come pure lo stomaco, la spalla, il polso e la mano. Si chiese come facesse a stare ancora in piedi.

Notò che la sua mano tremava, che tutto il suo corpo tremava. Aveva appena ucciso un uomo. Un altro, le sussurrò la sua mente. Un altro... Ma le circostanze erano diverse, la follia del Carnival si era tenuta in disparte. Aveva dato il colpo fatale nel pieno controllo delle sue facoltà. Era una sensazione ben peggiore di quando era dominata dalla follia. Più chiara, più reale... più dura. Cos'aveva detto Hijikata: che il colore dei suoi occhi era il riflesso del sangue che versava. Forse aveva avuto ragione, ma in quel caso i suoi occhi non sarebbero mai stati abbastanza scarlatti.

Shizuru chiuse il coltello a serramanico e lo reinfilò nella tasca della giacca. Poi si decise a cercare le HiME da sola, e soprattutto a ritrovare Natsuki.


Silenzio.

Era la principale caratteristica di quel luogo. All'inizio Shizuru l'apprezzò. Il silenzio indicava che era sola. Quanto tempo avrebbero impiegato gli agenti del Terzo Distretto a trovare il loro capo? Probabilmente non molto. La ragazza non aveva tempo da perdere.

Quando raggiunse il corridoio, quest'ultimo diventò ben presto angosciante. Il rumore dei suoi passi si ripeteva in un eco terrificante che poteva allertare i suoi nemici del suo arrivo, anche se quegli stessi echi potevano avvisarla se qualcuno si stava avvicinando.

Il corridoio dava su una serie di porte numerate in modo crescente, ma al di là della cifra assolutamente uguali. E ce n'erano tante. Shizuru non ne aveva ancora aperta nessuna, per timore di imbattersi in Gombei o in qualunque altro agente. Sperava che le HiME prigioniere si facessero sentire, o fossero rinchiuse in stanze diverse da tutte le altre. Ma il corridoio non offriva altro che porte indistinguibili, e altri corridoi.

Dove cercare?

Il silenzio fu improvvisamente rotto. Le grida di un uomo. Un uomo che urlava la propria innocenza, e le parole Ametista e Fujino. Shizuru le seguì.

Individuò ben presto la porta. Le grida continuavano a farsi sentire, e una volta che la ragazza ebbe appoggiato l'orecchio alla porta sentì la voce di Gombei. Attese un istante, assicurandosi che ci fossero solo due uomini all'interno della stanza a giudicare dalle loro voci, poi entrò.

Sorpreso, Gombei cercò di afferrare la sua pistola. Istintivamente Shizuru, che aveva tolto la sicura prima di entrare nella stanza, sparò. Solo la vicinanza del suo bersaglio le permise di colpire l'uomo in pieno petto. Il rinculo dell'arma fu tuttavia atroce per il suo polso, e la ragazza la lasciò andare con un grido di dolore. Sparare ad un uomo le sembrò più facile da sopportare rispetto ad abbatterlo ad arma bianca ma l'atto in sé, la facilità con cui aveva sparato, la terrorizzava e disgustava.

Shizuru raccolse la pistola con la mano sinistra, preferendo non sollecitare ulteriormente il suo polso fratturato, e la tenne in mano mentre osservava l'uomo che poco prima urlava a gola spiegata la sua innocenza.

Uno studioso in camicia bianca, con i capelli brizzolati e gli occhiali, era legato ad una sedia e portava segni recenti di bruciature di sigaretta.

"Sei lo scienziato del progetto Otome - Ametista?" Comprese Shizuru.

L'uomo spostò lo sguardo dal cadavere ancora caldo di Gombei all'arma della ragazza e capì che la giovane non era la sua salvatrice, ma solo il suo nuovo seviziatore.

Annuì.

"Come ti chiami?"

"Yasu. Yochi Yasu," balbettò.

"Sai chi sono, Yasu?"

Nuovo cenno del capo affermativo.

"Ho ucciso Hijikata e Gombei. Ma sai che è ben poca cosa in confronto a ciò che ho fatto subire al Primo Distretto."

Riconoscere i suoi omicidi e vantarsene per terrorizzare lo scienziato le lasciò un gusto amaro in bocca.

"Tu conosci questo luogo come le tue tasche, giusto?"

"Sì, sì," balbettò l'uomo.

Shizuru osservò la stanza. Pipette, vetri, prodotti chimici, sembrava che Yasu fosse stato interrotto nel mezzo del suo lavoro. Poi lo sguardo della ragazza venne attirato dal piccolo espositore che conteneva diverse siringhe con sopra l'etichetta 'Ametista'.

Shizuru ne intascò una, vuotò le altre nel lavello prima di infilarci una raccolta di appunti e documenti cui diede fuoco con un bruciatore.

Non era così ingenua da pensare di avere distrutto tutti i documenti di quel sotto Progetto, dovevano esserci delle copie di backup, ma andarsene lasciando tutto intatto dietro di sé le era impensabile.

Solo allora Shizuru tornò da Yasu che, legato e con la schiena rivolta a lei, era rimasto per tutto il tempo in silenzio. Tirò fuori il coltello a serramanico, l'uomo gemette al suo approccio e la supplicò di lasciarlo in vita. Con un colpo netto, la ragazza tagliò la corda. Poi con la punta della pistola gli fece segno di dirigersi verso la porta.

"Portami dalle HiME che sono state rapite."

Non c'era bisogno di minacce, l'uomo sapeva perfettamente cosa rischiava in caso di rifiuto. Senza voltarsi a guardare le fiamme che divoravano le sue ricerche, uscì.

Mentre si massaggiava i polsi e con le lacrime agli occhi, l'uomo pensò all'ironico fatto che i poliziotti - la maggioranza degli agenti del Terzo Distretto - aveva soprannominato l'Ametista con il dolce nome di Mietitrice. Fujino era davvero una Mietitrice. Il problema era che era la loro.


Secondo Yasu erano a metà strada dal loro obiettivo quando l'allarme suonò improvvisamente nel laboratorio. Dovevano avere trovato una delle vittime. O se i corridoi erano sorvegliati da telecamere, uno degli Agenti doveva essersi accorto della sua presenza e del suo ostaggio.

Shizuru incollò l'arma in mezzo alle costole di Yasu, indicandogli così di affrettare il passo.

All'incrocio successivo però la ragazza, guidata da un inspiegabile istinto di sopravvivenza, si buttò indietro mentre i rumori di numerose armi d'assalto lanciarono il loro canto di guerra.

Il sordo impatto di diverse pallottole che colpirono Yasu fu appena percettibile rispetto alle dozzine che fecero a pezzi la parete dietro di lui.

Il silenzio che calò qualche istante dopo la caduta del ricercatore in un mare di sangue fu pesante e angoscioso.

"Fujino-san?" Chiamò una voce profonda. "Sappiamo che è là. Faccia scivolare le sue armi lungo il corridoio ed esca con le mani in alto. Non le verrà fatto alcun male."

Shizuru inspirò profondamente, chiedendosi se poteva arrivare alle celle delle HiME passando per un'altra strada.

Il rumore di passi affrettati che risuonò nei corridoi e che si stava avvicinando le fece capire che tornare indietro non era più un'opzione. Eppure l'idea di obbedire agli agenti del Terzo Distretto non le passò nemmeno per la mente. Perché qualunque cosa fosse successa, o l'uomo diceva la verità e lei avrebbe semplicemente aumentato la schiera delle cavie, oppure mentiva e la sua morte sarebbe stata rapida.

Shizuru sfiorò la siringa piena di nanomacchine che aveva trafugato nel laboratorio. La possibilità di ricominciare, come Viola aveva fatto.

In mezzo ai rumori di passi che non smettevano di avvicinarsi e alla voce dell'agente che le ordinava di arrendersi, una decisione doveva essere presa in fretta.


Ad una svolta del corridoio, i tre individui che si stavano avvicinando alla sparatoria riuscirono ad evitare di essere colpiti solo per la goffaggine del tiratore. Solo il loro addestramento impedì loro di rispondere al fuoco e abbattere una Shizuru Fujino ricoperta di sangue, appoggiata pesantemente ad una parete.

Il primo uomo fu su di lei in pochi passi, incurante della siringa che schiacciò sotto il tallone per afferrarla e attirare a sé la sua esile figura.

Se la situazione non fosse stata così drammatica e non avesse necessitato che rimanesse sempre all'erta e pronto a battersi, avrebbe probabilmente pianto di gioia nel rivedere quella ragazza in vita, nonostante la tristezza nel constatare tutte le sue ferite.

"Ander... son?" Balbettò la giovane con un sorriso. "Credevo che non vi avrei mai visto arrivare."

Alle spalle dell'uomo, armato di un fucile d'assalto, Itsumi Suzushiro e Nobu Kikugawa facevano una pallida figura. Benché determinato, Nobu sembrava incredibilmente insicuro con l'imponente arma - ben lontana dall'essere convenzionale - che imbracciava.

"Come stai Fujino?"

La ragazza rivolse a Itsumi un flebile sorriso.

"Potrebbe andare meglio. Pensavo che foste degli uomini del Terzo Distretto, mi dispiace di avervi sparato addosso."

"Per fortuna hai una pessima mira," constatò Nobu. "Sai dove si trova Yukino?"

Shizuru annuì.

"So dove si trovano le HiME rapite," balbettò, senza pensare che quel termine non significava nulla per loro. "Ma dobbiamo oltrepassare gli agenti che mi aspettano nel prossimo corridoio."

Il signor Anderson aveva lasciato che la sua arma ricadesse al suo fianco, agganciata ad una cinghia, per liberare le mani e indicare rapidamente cosa aveva da dire.

"No," rispose Shizuru. "Non uscirò di qui finché Natsuki non sarà al sicuro."

All'uomo non piacque la sua risposta.

"Se provi a trascinarmi fuori con la forza, non esiterò ad uccidermi. Se vuoi davvero che sopravviva, devi aiutarmi a liberare le mie amiche."

Il signor Anderson si accigliò. I due si fissarono per alcuni istanti poi, convinto del fatto che la ragazza non stava mentendo, annuì di malavoglia.


Perlomeno Suzushiro-san non gli aveva mentito, mandandogli sul suo cellulare una foto della sua protetta legata e ferita insieme ad un giornale del giorno. Il signor Anderson non aveva esitato a lasciare Miss Maria e a raggiungere il punto di ritrovo, non lontano dal commissariato. Non avere lasciato subito Fuuka dopo la cerimonia funebre era stata un'ottima scelta.

Il piano di Itsumi Suzushiro e Nobu Kikugawa era tuttavia la più grossa stupidaggine che avesse mai sentito. Usare Shizuru Fujino come esca per trovare l'entrata del laboratorio dove dovevano essere prigioniere altre ragazze - qualunque fosse l'opinione di Shizuru non cambiava nulla - metteva a rischio la vita della giovane più di qualsiasi altra cosa. E se non fosse stato per l'aiuto che i due potevano fornirgli nella sua missione di salvataggio, il signor Anderson non avrebbe esitato a sbarazzarsi di loro per avere osato mettere in pericolo la vita della sua protetta.

Il minuscolo gps che le avevano messo addosso aveva smesso di funzionare dopo avere raggiunto la zona delle celle, e se non fosse stato per alcune particolari capacità di Anderson probabilmente non sarebbero mai riusciti a ritrovare né Shizuru né nessun altro.

La tortura non era certo una cosa che amava fare, nonostante sapesse perfettamente come sfruttarla. L'uomo chiamato Junzo, cui Itsumi aveva consegnato Shizuru, ne aveva fatto le spese e non aveva tardato molto a dire alla donna e ad Anderson - la prima poneva le domande mentre il secondo giudicava quando era tempo di intervenire con qualche ferita - tutte le informazioni che volevano e ad aprire loro le porte del laboratorio.

Nonostante fosse ancora vivo, il signor Anderson gli aveva trovato un posto nel loro piano, incastrando il suo corpo tra la porta scorrevole che dava accesso al laboratorio e il muro. Schiacciato per metà, non rischiavano né che potesse fuggire né che la porta potesse richiudersi. E il signor Anderson amava sapere che la via di fuga fosse libera.

Tuttavia si era immaginato di ritrovare Shizuru e andarsene con lei senza tante formalità, avrebbe dovuto immaginare che la ragazza non si fosse semplicemente offerta di fare da esca per pura generosità e devozione verso le sue amiche. Sembrava avesse il suo proprio obiettivo e la propria missione. Il signor Anderson l'avrebbe quindi aiutata a portarla a termine.


Gesticolò nuovamente.

"Cosa sta dicendo?" Chiese Itsumi.

"Di tapparci le orecchie e chiudere gli occhi."

Obbedirono immediatamente all'ordine mentre il signor Anderson lanciava quella che si rivelò essere una bomba lacrimogena nel corridoio adiacente. Urla e grida di sorpresa risuonarono quasi altrettanto rapidamente del fascio di luce che Shizuru percepì attraverso le sue pupille chiuse. Prima che la ragazza pensasse anche solo a reagire, il signor Anderson era già balzato nel corridoio e aveva aperto il fuoco sugli agenti.

Finalmente fece loro segno di avvicinarsi. Shizuru, con l'aiuto di Nobu, venne rimessa in piedi e di fianco al signor Anderson indicò loro la strada sulla base delle indicazioni che le aveva dato Yasu. Dello scienziato non era rimasto molto di riconoscibile.


A parte qualche scaramuccia in prossimità del loro obiettivo, non incontrarono nessun altro. Per fortuna Yasu non aveva mentito quando raggiunsero finalmente un corridoio diverso da tutti gli altri, circondato da pareti di vetro. Shizuru sentì un brivido freddo percorrerle la schiena. Quelle che sembravano delle gabbie per animali erano immerse nell'oscurità e non riuscivano a distinguere altro che delle figure, ignare della loro presenza.

Itsumi avvicinò il viso ad uno dei vetri e confermò di vedere una persona al suo interno, ma di non riuscire a distinguere nient'altro.

"E' vetro antiproiettile, dobbiamo trovare un modo per entrare in queste celle," disse Nobu in tono febbrile.

Shizuru annuì, ma qualsiasi discussione sulla strada da seguire venne interrotta da un nuovo rumore di passi affrettati. E stavolta era improbabile che si trattasse di alleati. Gli agenti del Terzo Distretto stavano arrivando, probabilmente armati di tutto punto e pronti a battersi.

Il signor Anderson gesticolò e Shizuru tradusse.

"Dice che li tratterrà qui nel momento in cui saltano fuori."

"Ok," disse Itsumi. "Nobu, va' a ritrovare tua figlia insieme a Shizuru, io gli do una mano."

L'idea di separarsi non li entusiasmava, ma sembrava essere necessario. Shizuru e Nobu risalirono il corridoio dalle pareti di vetro e si ritrovarono in un incrocio a T.

"Io vado a destra," disse la ragazza.

"Ma tu..."

"Starò bene," lo rassicurò. "Perderemmo troppo tempo a setacciare i due corridoi insieme. Meglio se ci separiamo." Nobu, che sembrava avere esitato solo per scrupolo di coscienza, accettò e partì di corsa verso il passaggio di sinistra. Con un ritmo più lento, Shizuru trovò finalmente una porta che poteva forse condurre alle gabbie di vetro.

Alle sue spalle, nel corridoio da cui era appena uscita, degli spari - numerosi - risuonarono. Notando che la porta era chiusa a chiave, Shizuru sparò a bruciapelo sulla serratura, incurante del dolore insopportabile al polso adesso che era così vicina al suo obiettivo.

Con un calcio finì di rimuovere la porta dai cardini e apparve un nuovo passaggio, parallelo al corridoio circondato da vetri. Questa volta trovò una quindicina di porte ugualmente distanziate - lo stesso numero delle pareti di vetro che aveva visto. L'accesso ai prigionieri.

Non sentendosi più in grado di sparare con la destra cambiò mano, puntò nuovamente alla serratura della porta più vicina e sparò.

All'interno della stanza trovò solo il cadavere di un giovane morto - a giudicare dai tratti del viso - in mezzo alle peggiori agonie. La seconda porta rivelò una ragazza legata ad un tavolo di metallo, che aveva tirato così tanto sulle sue catene che l'osso di uno dei polsi era a nudo. Dalla sua bocca urlante, dal naso, dagli occhi e dalle orecchie colavano fiotti di sangue. Con il cuore in gola, consapevole che quella cavia non sarebbe sopravvissuta, Shizuru accorciò le sue sofferenze.

La stanza seguente si rivelò vuota.

Nella successiva scoprì un ragazzo, sul quale ancora non erano stati compiuti esperimenti.

"Sei tu, il demone dagli occhi rossi!" Esclamò al suo arrivo.

Sembrava avere tanta paura di lei quanta del luogo dove si trovava, e fuggì spintonandola senza voltarsi indietro. Se Viola o Itsumi fossero state presenti, avrebbero saputo che quel giovane un tempo aveva fatto parte degli yakuza di Boss Ishigami, e che si era risvegliato dal coma per raccontare la storia di una ragazza dagli occhi rossi che se l'era presa con lui e i suoi amici.


Poi finalmente... Natsuki. Legata nuda ad un tavolo di metallo, supina e non lontana da un carrello contenente materiale medico e probabilmente le nanomacchine, non sembrava avere ancora ricevuto l'iniezione. Shizuru sospirò di sollievo pensando che il suo intervento aveva interrotto il Terzo Distretto al momento giusto. Quanto tempo mancava?

La ragazza si precipitò verso Natsuki che, intontita, sembrava faticare a riconoscerla.

"Shi-zuru?"

"Hey, Natsuki," la salutò accarezzandole la guancia con dolcezza mentre con la mano libera tagliava le corde che la tenevano prigioniera.

"Non... capisco. Cosa..."

"Non è grave," la interruppe Shizuru. "Dobbiamo uscire di qui, ok?"

L'aiutò ad alzarsi e Natsuki le crollò addosso. Consapevole che non sarebbero andate molto lontano così Shizuru suo malgrado la schiaffeggiò, finché l'altra ragazza non si riprese un po'.

"Ma cosa fai!" Esclamò finalmente Natsuki.

"Non pensavo che avrebbe funzionato," disse Shizuru porgendole la propria giacca.

Automaticamente Natsuki se la infilò. Poi, più attenta all'ambiente circostante, vide in che stato era la ragazza che era venuta a liberarla.

"Merda Shizuru, che ti è successo?"

Natsuki non sapeva dove posare lo sguardo, tanto l'altra era ricoperta di sangue.

"Ne parliamo più tardi," rispose Shizuru prendendola per mano fino alla porta successiva.

Natsuki capì che quello non era né il momento né il luogo adatto per chiedere spiegazioni o gettarsi tra le braccia di Shizuru, che aveva chiaramente bisogno di cure.

Preoccupata del suo stato e malgrado il recente disgusto che provava nei confronti delle armi da fuoco, Natsuki s'impadronì dell'arma che Shizuru teneva con mano tremante e appiccicosa di sangue. Fu quindi lei a far saltare le serrature delle porte successive e ad aprirle a spallate quando i proiettili furono esauriti.

Le altre stanze contenevano principalmente cadaveri, persone che si contorcevano in preda a dolori più o meno intensi cui Shizuru accorciava le sofferenze nei casi più gravi con una coltellata al petto, mentre Natsuki girava la testa altrove in lacrime. In mezzo alle cavie sofferenti, ma che potevano ancora sperare di rimanere in vita qualche giorno, trovarono solo un altro sopravvissuto - anche lui uno Yakuza, a giudicare dai tatuaggi che gli coprivano il corpo.


Tre porte prima della fine del corridoio trovarono finalmente Mai Tokiha. Viva, ma rannicchiata in un angolo della stanza, la rossa ordinò loro di non muoversi mentre Natsuki non desiderava altro che correre da lei.

Shizuru capì da sola cosa c'era che non andava. Tre quarti della stanza erano anneriti e bruciati. Pirocinesi. Se Viola aveva sviluppato la capacità di tornare indietro nel tempo, Mai sembrava poter creare il fuoco senza poterlo controllare.

"Mai," disse Shizuru dolcemente. "Dobbiamo uscire di qui. Tra poco arriveranno."

A forza di persuasioni convinsero la ragazza ad alzarsi e, tremante, a seguirle in corridoio dove Shizuru, uscendo per prima, s'irrigidì fermando alle sue spalle Natsuki e Mai. Si mise di proposito davanti alle altre due ragazze che la seguivano, perché tra loro e l'uscita c'era un agente del Terzo Distretto e alle loro spalle le porte delle due ultime celle - un vicolo cieco.

"Gombei," lo salutò. "Pensavo di averti ucciso."

"Giubbotto antiproiettile," rispose l'uomo, la pistola puntata. "Che tu sia dannata, Fujino. Dopo quello che è successo al Primo Distretto, Hijikata avrebbe dovuto esaudire i suoi desideri e i nostri e infilarti semplicemente una pallottola in testa. Sarò io a vendicare i miei fratelli."

Con la coda dell'occhio, Shizuru vide Natsuki pronta a difenderla e le bloccò il passaggio all'ultimo momento. Natsuki bestemmiò contro di lei, perché non le permetteva di aiutarla.

Quanto a lei, Mai si mise improvvisamente ad urlare. Perfino Gombei spostò lo sguardo da Shizuru per osservarla. In preda al panico, la ragazza era indietreggiata verso il fondo del corridoio, e intorno a lei stava nascendo un oceano di fiamme.

"Controllati Mai, puoi farcela," gridò Natsuki, intuendo che la paura che Gombei aveva instillato nella sua amica le aveva fatto perdere il controllo della sua capacità.

Quasi a volersi burlare di quelle parole le fiamme si ingrandirono, divorando avidamente le due ultime celle. Il fuoco correva ad una velocità mostruosa, incontrollabile e ormai dotato di vita propria.

"Mai!" Natsuki urlò, volendo lanciarsi verso la sua amica.

Incurante di Gombei, Shizuru si voltò per trattenerla.

"E' troppo tardi," esclamò.

Perché le fiamme non divoravano più solo l'edificio ma anche la stessa Mai, in preda a urla di agonia terrificanti. Tra le braccia di Shizuru, Natsuki gridando e piangendo crollò.

Non potendo più ignorare la presenza di Gombei ancora per molto, Shizuru si voltò nuovamente verso di lui. Con la pistola scarica e troppo lontana per usare il coltello, la ragazza si trovava nuovamente disarmata. Ma la cosa che la preoccupava di più continuava ad essere Natsuki, inginocchiata alle sue spalle e che era quasi riuscita a salvare.

"Dobbiamo uscire di qui, il fuoco..."

"Me ne frego di cosa ne sarà di questo laboratorio. Che la tua amica se ne vada ma tu, tu che ho visto morta su un tavolo da obitorio e la cui bara è bruciata in mezzo alle fiamme, voglio vederti morire una volta per tutte!" Esclamò l'uomo a denti stretti. "Quindi fammi il piacere di raggiungere la piromane in mezzo alle fiamme. Voglio vedere se resisti veramente al fuoco."

Shizuru scosse dolcemente la testa.

"Allora mi basterà aspettare che il fuoco ti raggiunga."

La ragazza sentiva già le fiamme lambire il pavimento ai suoi piedi. Ben presto il desiderio di Gombei si sarebbe realizzato.


"Molla quella dannata pistola, Gombei!" Urlò improvvisamente una voce.

Itsumi era appena arrivata alle spalle del suo ex collega, inosservata in mezzo al caos che regnava.

Gombei s'irrigidì, poi sorrise. Le sue labbra si mossero in un unico messaggio destinato a Shizuru. Poi sparò. Itsumi rispose e l'uomo crollò senza un gemito, stavolta in modo definitivo.

"Dobbiamo andarcene," ordinò la donna, "presto!"

Natsuki finalmente si rialzò, emersa dal suo torpore dai rumori degli spari e dalla voce di Itsumi. Senza preoccuparsi di asciugarsi le lacrime, afferrò la mano di Shizuru che era rimasta stranamente immobile e iniziò a correre per sfuggire alle fiamme. Ma Shizuru fece solo due passi, poi le gambe le cedettero.

Difficile vedere in mezzo alla maglietta schizzata di sangue una macchia scura sempre più grande sullo stomaco, ma Gombei l'aveva colpita.

E come le aveva annunciato: l'aspettava all'inferno.


NDA: State tranquilli (o magari no), la vera conclusione sarà nell'epilogo. ^^

  
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