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Autore: Emily Mortensen    05/01/2016    3 recensioni
Lei aveva tutto: una carriera, un'ottima università da frequentare, fantastici amici su cui contare, un amore infallibile.
Niente avrebbe potuto distruggere il suo castello dorato.
O almeno così pensava, o almeno questi sarebbero stati i suoi piani se...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Londra, 9 settembre 2019

 

La stanza era in penombra nonostante fuori fossero le undici di mattina e il sole spendesse di tutta la propria luce autunnale, tuttavia qualcuno aveva tirato i grandi tendaggi delle finestre per impedire ai raggi solari di entrare e solo i pochi fili di luce, che filtravano dai posti in cui le tende non erano state sistemate correttamente, insieme al piccolo lampadario grigio e sporco permettevano agli studenti presenti di scorgere il mondo circostante.

In quel momento, forse a causa della scarsa luminosità oppure per la monotona spiegazione che il professore di storia e letteratura medievale stava dando, gli studenti erano tutti sprofondati un torpore che, lentamente, li stava portando a sonnecchiare e a distrarsi piuttosto che prestare attenzione alla lezione. Infatti, fatta eccezione per un gruppetto di due o tre individui che erano gli unici a rimanere indifferenti alle tentazioni esterne e seguivano la lezione con estrema attenzione, i massimi segni di vita che la classe mostrava in quell’ora erano degli sbadigli, nascosti con una mano o soppressi a bocca chiusa grazie a qualche buffa smorfia, oppure il movimento delle teste di qualcuno che guardava l’ora o si posizionava in una posizione più comoda per dormire.

Di quella calma monotonia quasi surreale faceva parte anche la ragazza seduta sull’ultima gradinata in fondo all’aula, il posto peggiore per gli studenti che volevano seguire ma il migliore per chi invece si limitava ad assistere alla lezione passivamente, che da circa un quarto d’ora era ferma nella stessa posizione, con lo sguardo perso. Ad un certo punto una vibrazione sulla coscia destra la fece ridestare, così, cercando di non dare nell’occhio (l’uso dei cellulari durante la lezione era severamente vietato nella scuola), sfilò dalla tasca il suo smartphone e lesse il messaggio che le era stato mandato: come aveva immaginato il mittente era Luca.

I'm stuck underground. I can’t get for literature class. I'm sorry. I'll see if I can get it for mimicry. I'll see you later.”

La ragazza lesse il messaggio e mormorò “oh Fuck off!” svegliando così il ragazzo che, davanti a lei, si era addormentato con la testa sul banco, questi la guardò in modo scocciato prima di riposizionarsi comodamente sul piano di studio e rimettersi a dormire.

D’altro canto lei rimase indifferente a quella occhiata e rimise il cellulare in tasca, controllando l’ora sullo swatch argentato che portava al polso: le 11.55! ormai l’ora stava per terminare, infatti alcuni studenti previdenti , oppure ansiosi di lasciare al più presto quall’aula, stavano raccogliendo le loro cose nelle borse aspettando fiduciosi che il professore finisse il suo interminabile sermone sulla condizione dei popolani comuni ai tempi del poeta drammaturgo Shakespeare. Tuttavia la fanciulla non si interessava a nessuna di queste cose perchè aveva altro per la testa, infatti con il pensiero continuava a ritornare a quel messaggio e al ragazzo che l’aveva scritto: “Possibile che mi risponda dopo quasi due ore che gli avevo inviato io un messaggio? Cavolo che ci faceva in metrò? Di solito veniva sempre in pullman con me per andare a scuola! Perché stamattina mi ha dato buca? Senza dire nulla poi! Possibile che non capisca quanto mi sono preoccupata? Cazzo, sono arrivata a chiamare addirittura il nostro ostello per sapere se per caso stava ancora dormendo! E invece che mi sono sentita dire!? Che non ci è tornato ieri sera! Ma allora dov’è che ha dormito? E perché non me l’ha detto?”

La ragazza continuò a rimuginare su questi pensieri anche dopo il suono della campana, che indicava il cambio d’ora, e il tragitto per andare verso il “little theatre” , il salone sotterraneo dell’ istituto, dove solitamente si tenevano le lezioni di pratica teatrale.

Stava scendendo le scale ancora immersa nei suoi pensieri quando si sentì chiamare da una voce alle sue spalle: “Miss Di Toma!”

La ragazza si riscosse violentemente dai suoi pensieri e cercò tra la folla di studenti che stavano scendendo con lei scale la voce che l’aveva chiamata.

Dopo un po’ ne individuò la fonte: stava cercando di farsi largo tra la marea di studenti che si spintonavano violentemente sulle scale; era nella sua tenuta classica: camicia di cotone a righe bianche e blu con sopra la giacca marrone a coste dello stesso colore dei pantaloni ed infine un paio di mocassini che sembravano aver già visto passare i loro tempi migliori. La ragazza sorrise tra sé: di certo a prima vista il professor John Hurt non faceva una gran figura e di sicuro l’ingombrante borsa di pelle nera che portava tracolla e l’enorme quantità di libri che invece portava in braccio, costringendolo a camminare curvo, non aiutavano le persone che lo fissavano a cambiare quest’opinione. Ma l’esperienza dei primi tempi in quella scuola le aveva fatto imparare che non bisogna mai guardare troppo all’apparenza, perché spesso si finisce per giudicare male una persona. Ed in fondo era proprio quello che era successo a lei il primo giorno di scuola quando l’aveva incontrato per la prima volta.

Se lo ricordava ancora benissimo: Stava correndo per il corridoio principale dell’istituto cercando con lo sguardo l’aula dove si sarebbe tenuta la lezione di storia del teatro e dello spettacolo nonché la sua prima in quell’istituto. ovviamente il Karma aveva voluto che quella mattina si fosse svegliata completamente dimentica di quell’importante evento, e solo quando, circa un quarto d’ora prima dell’inizio della lezione Luca le aveva mandato un messaggio chiedendole con un filo di disperazione dove fosse finita, si era resa conto effettivamente della colossale svista che aveva avuto. Così si era vestita in fretta e furia, senza neanche guardare che cosa stava indossando, ed era scesa di corsa fuori dall’ostello dove lei e il suo amico alloggiavano, pregando una qualsiasi divinità di riuscire a prendere il pullman. Alla fine ce l’aveva fatta e, dopo alcune fermate, appena si erano aperte le porte del bus ,si era scaraventata nella scuola cercando di ricordare in quale aula si teneva il corso e correndo a rotta di collo nell’ampio corridoio principale. Tuttavia ad un certo punto, mentre aveva la testa voltata verso il muro in cui erano appesi alle porte tutti i cartelli con il numero della classe, senti che il suo corpo sbatteva contro qualcosa ed un attimo dopo si ritrovò sdraiata a terra con la cartella che, dopo aver fatto un volo di mezzo metro ed essersi aperta vomitando tutte le sue cose nella zona circostante, era caduta addosso all’imprevisto con cui si era schiantata.

Si ricordava ancora la faccia che quell’uomo aveva fatto mentre lei si alzava e imprecando in un mix tra italiano e il suo inglese, in quel tempo ancora un po’ incerto, aveva raccolto le sue cose e aveva tolto con malagrazia il suo zaino dalla pancia dell’uomo.
“…ma porca puttana! Tutte a me devono succedere!? Cristo guarda qua che casino! Già ero in ritardo ma ora il prof mi ammazzerà di sicuro! Ma che cazzo proprio alla prima lezione mi doveva capitare?...”

Intanto l’altro personaggio schiantato si era rialzato e la continuava a fissare massaggiandosi lo stomaco ( il quale doveva essere stato il punto con cui era avvenuto l’impatto con il corpo della ragazza). Dopo un po’ l’altra si accorse che la fissava e si girò verso di lui e gli disse nella sua lingua natale: ” ma che cazzo ti guardi? Non hai proprio nient’altro da fare se non stare qui a fissarmi mentre rimedio al macello che è successo perché TU mi sei venuto addosso?” sapeva che non era proprio vera quell’affermazione, ma in quel momento, furiosa e sconvolta, aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno a caso e quel tipo era la prima persona con cui avesse l’opportunità di farlo. In ogni caso non si preoccupava della reazione di quello, perché parlando aveva usato l’italiano, una lingua che nessun’altro studente in quella scuola, a parte Luca, sapeva parlare. Quindi rimase molto sorpresa quando, mentre stava per girarsi e proseguire per la sua strada, l’uomo la fermo e, fulminandola con uno sguardo assai contrariato, le rispose in un italiano quasi perfetto:

“scusi miss, ma io non so se hai notato che sei tu che mi sei venuta addosso. Quindi io penso che tu mi debba minimo delle scuse per il tuo comportamento!”

La ragazza rimase a fissarlo con la bocca aperta per un attimo prima di rispondere balbettando:…io…io mi scusi…ma lei.. non ci posso credere!...lei …lei…parla italiano!?”
Dopodiché si fermò e per la prima volta guardò in faccia il suo interlocutore: doveva avere più di trent’anni o comunque aveva già passato la ventina raggiungendo così la soglia della maturità di un uomo, aveva occhi e capelli castano chiaro insieme a un naso augusteo ed a una bocca dalle carnose labbra rosa. Ma la cosa che più colpì la fanciulla in quel momento fu l’espressione furibonda che l’uomo le rivolgeva, la quale gli modificava tutti i lineamenti marcando gli zigomi e le fossette che aveva sulle guance, tuttavia rendendolo ( alla sola idea di stare pensando una cosa del genere la ragazza inorridì) molto carino.

Dopo la sua risposta l’uomo parve trarre divertimento dal suo stato di confusione perché le mollo il braccio ( che aveva afferrato per non lasciarla scappar via) e i suoi lineamenti si ridistesero un pochettino.

“si io parlo un po’ di italiano, di sicuro non bene come te però. Tu mi sembri madrelingua dalla scioltezza con cui lo utilizzi.”

Non era esattamente una domanda ma l’uomo si fermò a vedere se lei gli avrebbe risposto affermativamente, così la ragazza annuì e lui riprese:” bene allora! Ora che io ho ricevuto le mie scuse, anche se dette balbettando, vorrei sapere perché stavi correndo come una malata mentale nella mia scuola..”

La ragazza s’infiammò all’istante:” hey per sua informazione io non corro in giro come una malata mentale! È solo che ho fretta…aspetta un attimo! ha detto nella MIA scuola!? In che senso SUA? Non sarà mica il preside…”

La fanciulla impallidì solo all’idea “stà a vedere che ora mi sono schiantata con il preside! Cazzo dopo quello che gli ho detto minimo mi espelle! Porca vacca sarebbe da Guinness dei Primati! Neanche un giorno di scuola e già vengo sbattuta fuori!” pensò.

In tutta risposta l’uomo che aveva davanti si mise a riderle in faccia, e lei per la prima volta vide comparirgli in volto un sorriso “hey mica male il tipo!” si ritrovò a pensare, subito si raccapricciò di questo suo pensiero “ ma che cavolo mi prende? Questo mi sta per sbattere fuori da scuola, ed inoltre prima di farlo mi sta sfottendo pure, e io penso a quanto sia carino quando sorride!? Mi devo essere proprio rincoglionita!” intanto l’uomo che aveva smise di ridere e le rispose: “ ragazza da come l’hai detto sembrerebbe che fare il preside sia un lavoro crudele e spietato! Sembro così terribile a prima vista che mi faresti fare questo lavoro?”

La ragazza non seppe che rispondere e lo fissò confusa.ma a quanto pareva lui non si aspettava una risposta perché proseguì con il suo discorso:” stai tranquilla non sono il “Big Boss” come lo chiamiamo qui. Io sono solo la sua spalla destra: il vicepreside!”

Qui l’uomo si bloccò guardando la reazione della fanciulla con cui stava parlando: sembrava ancora più sconvolta e confusa di prima. Così decise di rompere il ghiaccio e provare a farla distendere: “ ma stai tranquilla! Mica mordo, mi hanno addomesticato in questa scuola. In ogni caso il mio nome è John Hurt. E tu sei…”

La ragazza fissò per un attimo la mano dell’uomo prima di stringerla e rispondergli: “ ehm... io sono Sara Di Toma, una matricola. Senta mi scusi davvero per prima ma sono in un brutto guaio! insomma ho la prima lezione oggi ma me ne sono dimenticata e sono in ritardo quindi quando mi sono scontrata ho pensato che la mia carriera di aspirante attrice fosse troncata definitivamente perché non sarei mai riuscita ad arrivare in classe senza far notare l’entrata dopo il suono della campanella!”

L’uomo la fissò negli occhi, questa volta senza ira nello sguardo, e subito dopo le sorrise:” hey ragazzina calma! Non è un campo di concentramento è una scuola! Non ti ucciderà nessuno per una cosa come un ritardo. Tanto meno ti espellerà! Però devo ammettere che non deve essere una sensazione piacevole fare la figura della ritardataria alla prima lezione in università. Facciamo così ti accompagno in classe e spiego tutto io al professore del tuo corso okay?”

Dopodichè senza aspettare che lei gli rispondesse il vicepreside raccolse le ultime cose della ragazza che erano rimaste per terra e, prendendola sottobraccio, iniziò a camminare nel corridoio con fare noncurante.

La ragazza rimase allibita da quel comportamento ma non si ribellò quando lui iniziò a guidarla in quel labirinto.

Aveva la mente piena di pensieri e parole che avrebbe voluto esprimere in qualche modo a quello strano individuo, tuttavia non riusciva ad aprire la bocca così per un po’ i due camminarono in silenzio per la scuola. Ad un certo punto l’uomo si blocco guardandola in faccia con un espressione improvvisamente confusa.

“ehm scusa ma mi sono dimenticato di chiederti: di preciso a quale lezione devi andare?”

NOTE DELL'AUTRICE: Ciao a tutti! per chiunque avesse dubbi questa E'  a tutti gli effetti una fanfiction su Mika, solo che ho intenzione di pubblicare dei capitoli per farvi fare un quadro della situazione chiaro sui personaggi e le loro storie....ma il piccolo angelo riccioluto arriverà, tranquilli! ;)
spero che come primo capitolo questo vi sia piaciuto e aspetto volentieri critiche e (ma magari!) complimenti! ;)
Bon, per ora è tutto. Passo e chiudo. Alla prossima se vi va!! :)
 

  
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