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Autore: Bad A p p l e    06/01/2016    2 recensioni
Kuroko prima di rispondere si concede un altro lungo sorso alla propria bibita e Makoto non sa decidere se dev’essere perché ormai per il compagno quella roba dolciastra è una vera e propria droga o perché si diverte come un matto a tenerlo sulle spine.
“Propendo per la seconda. Dannato”.
«Pubblicheranno il mio libro», se ne esce Tetsuya con una noncuranza tale da lasciare l’altro perplesso per qualche istante.
«Vedo che la cosa ti entusiasma, eh?» lo sbeffeggia Makoto, dopo essersi ripreso.
«Credo che ciò che dovresti dire sia “congratulazioni” o qualcosa del genere».
«Non se lo dici con lo stesso tono che useresti per annunciare che ti è morto il cane».
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Makoto Hanamiya, Ryouta Kise, Shoichi Imayoshi, Tetsuya Kuroko
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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The Quest.

 

What Im gonna live for

What Im gonna die for

Who you gonna fight for

I cant answer that

 

 

 

Makoto sa fin troppo bene quanto poco espressivo sia il suo compagno, tuttavia col passare del tempo ha maturato l’esperienza necessaria da poter avere la certezza assoluta che, sotto a questo sguardo inespressivo, Tetsuya muore dalla voglia di dirgli qualcosa.

Potrebbe parlare e basta, aspetta un cavolo di invito scritto?” pensa con un sospiro, per poi rispondersi che forse è davvero così. “La principessina vuole accertarsi che io sia ancora capace di indovinare cosa gli passa per quella mente contorta”.

Dà un morso al proprio panino, approfittandone per sbirciare l’altro da sopra l’incarto colorato; Kuroko è così concentrato nel bere il proprio frappè che per un secondo Hanamiya prende in considerazione l’ipotesi di potersi essere sbagliato.

Magari non vuole parlarne in un fast food e preferisce aspettare che torniamo a casa” si dice, per poi arrivare alla conclusione che ormai Tetsuya gli ha messo addosso un quantitativo non indifferente di curiosità ed è solo e soltanto colpa sua, quindi se davvero era sua intenzione aspettare, avrebbe dovuto fare in modo di essere più discreto del solito.

«Avanti, cosa c’è?» sbuffa simulando un’aria scocciata, perché non può ammettere di essere curioso, la curiosità è per le oche pettegole.

Kuroko prima di rispondere si concede un altro lungo sorso alla propria bibita e Makoto non sa decidere se dev’essere perché ormai per il compagno quella roba dolciastra è una vera e propria droga o perché si diverte come un matto a tenerlo sulle spine.

Propendo per la seconda. Dannato”.

«Pubblicheranno il mio libro», se ne esce Tetsuya con una noncuranza tale da lasciare l’altro perplesso per qualche istante.

«Vedo che la cosa ti entusiasma, eh?» lo sbeffeggia Makoto, dopo essersi ripreso.

«Credo che ciò che dovresti dire sia “congratulazioni” o qualcosa del genere».

«Non se lo dici con lo stesso tono che useresti per annunciare che ti è morto il cane» Tetsuya sta per dire qualcosa e, dalla sottile increspatura sulla sua fronte, dev’essere qualcosa sul fatto che non gli piaccia la piega presa dalla conversazione, ma Makoto lo precede; gli punta contro l’indice, anche se l’aria minacciosa è ampiamente guastata da una macchiolina di maionese al lato sinistro del viso, «ascoltami bene» gli dice con un tono che è uno strano miscuglio di esasperazione e incoraggiamento, «Sono quasi due anni che rompi le palle con questo cazzo di libro. Adesso che finalmente vogliono pubblicartelo si può sapere dov’è il problema?»

“Fortuna che non lo amo per l’empatia” pensa Kuroko, rendendosi conto di non sapere se in modo ironico o meno.

«Hanno posto come condizione che il libro abbia un seguito e che sia pronto per essere pubblicato tra un anno» spiega, paziente.

Makoto non può credere che il problema sia solo questo, quindi aspetta in silenzio che il compagno finisca di parlare. Gli occorrono quasi due minuti per arrendersi al fatto che, no, Tetsuya non ha davvero altro da aggiungere.

«Tu hai seri problemi. Fatti curare da uno bravo».

«Lo stesso da cui ti sei fatto curare tu pensi che possa andare bene?» domanda l’altro con un candore tale da far perdere ad Hanamiya qualsiasi istinto omicida gli sia balenato in mente.

Accenna una risata sarcastica e poi torna serio, «Davvero, non capisco dove sia il problema, ci hai messo tanto a scrivere il primo e lo stesso varrà anche per il secondo, no?» cerca di farlo ragionare mentre lo osserva rimestare con la cannuccia il suo Vanilla Shake.

«Può essere» gli concede, «Ma io non ho idee e in genere i sequel non sono mai all’altezza del primo libro».

«“In genere” un sacco di cose» sbotta Makoto e non sa neanche lui se per convinzione o perché non sopporta quella vacua espressione di rassegnazione in occhi come quelli di Tetsuya, «Tu non sei una persona ordinaria e quindi farai un lavoro fuori dall’ordinario» decreta.

«Sei gentile… credo».

«Non farci l’abitudine» motteggia Hanamiya, convinto di aver finalmente chiuso la questione. La suddetta convinzione muore tragicamente nel constatare che Kuroko sta ancora mescolando la propria bibita con aria fin troppo assorta. Si lascia sfuggire un sospiro di sottile rassegnazione, «Allora, che altro c’è?»

«Mi hanno detto che per essere in grado di finire il sequel entro l’anno, molto probabilmente dovrò lasciare il mio lavoro» gli risponde, stringendosi appena nelle spalle.

Il volto di Makoto si contrae in una lievissima smorfia, ancora non capisce dove sia il problema, sembra quasi che Tetsuya la stia tirando per le lunghe di proposito, ma sa benissimo che se vuole sapere dove il compagno vuole andare a parare non gli resta che dargli corda, «Be’, immagino che i tuoi marmocchi dell’asilo saranno tristissimi per i primi tre giorni. C’è altro».

Tetsuya esita qualche rapido istante e Makoto sa che finalmente stanno arrivando al vero punto della discussione, «Kise-kun lavora per la casa editrice e dovrò passare parecchio tempo con lui per la revisione del primo e del secondo libro» rivela infine, forse un po’ troppo velocemente per non nascondere una lieve punta d’ansia.

L’ex ragazzo, ecco qua il punto. Lo sapevo che avrei dovuto annegarlo in un fiume quando ne ho avuta l’occasione” pensa, rendendosi conto per l’ennesima volta di quanto il suo compagno, sotto il visino angelico, sia un piccolo stronzo manipolatore. Sa bene che l’ordine con cui sono stati esposti i fatti non è stato affatto casuale ma ben ponderato; dopo aver dato il suo benestare per quanto riguarda gli altri punti, avrebbe fatto la parte del cattivo nell’avere da ridire per la pubblicazione del libro solo perché nella casa editrice ci lavora una certa petulante e bionda oca giuliva.

Ricordati che si suppone che ora tu sia supportivo” si dice, nonostante stia impegnando praticamente tutto il suo autocontrollo per non piantare Tetsuya al tavolo del fast food, per poi andare a cercare Kise e fargli provare l’ebrezza del paracadutismo. Senza paracadute. Sopra ad una strada molto trafficata, possibilmente.

«Makoto?»

«Va bene», sbuffa, infine, «Ma ricorda a quel gigolò mancato che sono un chirurgo piuttosto bravo e potrei trasformarlo da “Ryouta” a “Ryoumi” schioccando le dita» borbotta, sfogando la propria frustrazione addentando il panino, cercando di ignorare il lieve sorrisetto sollevato di Tetsuya.

 

[…]

 

Imayoshi Shoichi adora definirsi il migliore amico di Makoto, anche se quest’ultimo probabilmente preferirebbe ingoiare un intero cactus al posto di ammettere che forse Shoichi abbia dei più che validi motivi per definirsi tale.

Ma questi sono stupidi dettagli” pensa Shoichi, mentre i suoi sensori da super-amico si attivano, individuando Hanamiya al bancone del pronto soccorso, intento a compilare cartelle. Subito nella sua testa suona un campanello d’allarme fatto di carta, inchiostro e malattie dai nomi fantasiosi, non gli rimane che avvicinarsi per sondare un po’ il terreno.

«Io non ho di meglio da fare, qual è la tua scusa, Mako-chan?» domanda candidamente, sfilandogli la cartella da sotto il naso, per poi consultarla con una considerevole dose di puro menefreghismo.

«Chiamami ancora “Mako-chan” e sul prossimo ricovero ci sarà il tuo nome» borbotta il più piccolo, riappropriandosi della cartella con uno strattone degno di una rissa da bar, «Comunque, cosa intendi?»

«Noi grandi chirurghi si sta in pronto soccorso quando non abbiamo di meglio da fare o quando non abbiamo voglia di pensare. Qualcosa mi dice che il tuo grazioso e ingombrante cervellino propende per la seconda opzione».

Makoto si impone di contare mentalmente fino a dieci, prima di decidere di correre in ortopedia e prendere qualcosa di utile a spaccare tutte le ossa dell’altro nel modo più doloroso possibile, «Tu invece sei qui perché non rientri nella categoria “grandi chirurghi”, immagino» si limita, invece, a cinguettare con il suo tono più velenosamente dolce.

Shoichi gli concede una risata condiscendente e alza le mani in segno di resa, «Lo so che sei un fan della sagra della salsiccia, ma non dovresti criticare ostetricia per i tuoi gusti personali, Mako-chan».

«Come no, torna al tuo club della vagina, idiota» sbuffa Makoto, così infastidito dalla sola presenza dell’altro da glissare sul nomignolo pur di levarselo presto dai piedi. Agita una mano come se volesse scacciare una mosca particolarmente fastidiosa, ma l’altro non accenna a muoversi neanche di un centimetro.

«L’unico modo che hai per liberarti della mia meravigliosa presenza è dirmi cosa ti turba» Motteggia Imayoshi, con l’aria di chi sa già che otterrà ciò che vuole.

Hanamiya lo fissa per qualche secondo con astio, poi finalmente si concede un sospiro e le sue spalle tese si ammorbidiscono. «Pubblicheranno il libro di Tetsuya…»

«Quindi sei uno di quegli uomini intimiditi dal fatto che il partner possa fare carriera, non l’avrei mai detto».

La cartella dell’ultimo paziente ricoverato   una lieve distorsione –  si abbatte con forza sulla nuca di Imayoshi, prima che lui possa fare qualcosa per proteggersi dall’impatto, nonostante la reazioni di Makoto fosse stata piuttosto prevedibile.

«Credi di essere abbastanza fuori da cretinolandia per potermi far finire di parlare, cretino?»

«Non sarà un po’ ridondante come frase?»

«Tu vuoi morire oggi?»

Per la seconda volta, Shoichi alza le mani e gli fa cenno di continuare.

«Dovrà passare molto tempo con Ryouta l’idiota per la revisione» si limita a dire, stringendosi appena nelle spalle, come se dopotutto la cosa non gli importasse.

«Hai paura che si allontani da te» dice Shoichi, annuendo appena. Non si è trattato di una domanda, quindi Makoto non si prende neanche la briga di rispondere qualcosa, non nega neanche, perché suo malgrado sa bene che l’altro scoprirebbe subito la bugia.

«Immagino che adesso dovrei dire qualcosa di rassicurante» esordisce Imayoshi, mettendosi le mani nelle tasche del camice e assumendo un’espressione seria che l’amico gli ha visto in volto davvero poche altre volte, «Purtroppo non c’è nulla che io possa dire, se non che dovresti avere fiducia in lui; siete compagni, la fiducia è fondamentale».

Lo so” pensa Makoto, “lo so davvero, ma questa brutta sensazione non se ne va”.

Il telefono squilla e lui intuisce il testo del messaggio prima ancora di leggerlo.

 

From: Tetsuya.

Text: Scusa, ma devo trattenermi in redazione fino a tardi, non aspettarmi, per favore.”

 

 

[…]

 

 

Tetsuya fissa il cellulare con un velo di astio; è troppo onesto con se stesso per non ammettere di odiarsi almeno un po’ nell’osservare i molteplici messaggi tutti uguali    tutti inizianti con “Scusa, ma” ­­–  che ha inviato a Makoto negli ultimi due mesi.

Il suo sospiro è tanto lieve da non essere udibile, alza appena lo sguardo su Kise e intimamente si sente ancora peggio.

Nella sua mente sta per formularsi un pensiero simile a: “È solo lavoro”, ma sa fin troppo bene che non è davvero così, non vuole arrivare a prendere in giro anche se stesso. Non è solo lavoro perché lui dopotutto vuole stare lì.

Ha riscoperto quanto gli piaccia la compagnia di Ryouta, preferisce l’allegro chiacchiericcio al freddo sarcasmo di Makoto, preferisce l’affetto evidente all’amore mascherato da menefreghismo. Preferisce la luce, perché da ombra e ombra nasce solo oscurità, preferisce la compagnia di Kise a quella di Makoto ed ogni volta che arriva a questa conclusione, sente un pezzo di sé morire.

Per quanto ormai gli vada stretta, ama la sua oscurità; sa che ha bisogno di luce e di calore, ma altrettanto bene sa che non abbandonerà la sua ombra di ossidiana, per quanto questa possa essere sempre più soffocante, per quanto si rifugi il più possibile nell’ufficio di Kise solo per poter riprendere a respirare.

Non fanno altro che lavorare tutto il giorno, ma Tetsuya non riesce a non sentirsi in colpa almeno un po’. La verità dei fatti è che se due mesi prima erano seduti ai poli opposti del lungo tavolo, giorno dopo giorno Ryouta si è avvicinato un po’ di più a lui.

Non ho fatto niente” si dice, ma quella che dovrebbe suonare come una giustificazione, prende subito il sapore amaro di un’accusa, “Non ho fatto nulla. Non ho fatto nulla per impedirgli di avvicinarsi”.

Sono solo due sedie, ormai una strettamente accanto all’altra, ma non riesce a capire per quale motivo si senta quindi così in colpa.

Si sente un traditore anche solo guardando le mani ben curate di Kise, chiedendosi se sono ancora calde come le ricorda; si sente meschino nel provare una dolorosa fitta all’addome ogni volta che esce da quell’ufficio per tornare a casa, perché Makoto dopotutto non se lo merita, lo ama.

Deve ricorrere davvero a tutta la sua forza di volontà per allontanare quei pensieri, fa appena in tempo ad abbassare lo sguardo, prima che siano gli occhi di Kise a posarsi su di lui, insistenti.

«Kurokocchi, andiamo a prendere qualcosa da mangiare?» domanda, allegramente.

È una richiesta così innocente che Tetsuya non riesce a reprimere un sospiro di sollievo, che va subito a morire nel momento in cui, incontrati gli occhi dell’altro, si rende conto che qualcosa stona.

Il sorriso e brillante come sempre, ma è negli occhi che nota quel qualcosa che non dovrebbe esserci, un particolare luccichio già visto anni prima, qualcosa che gli fa pensare che Ryouta non voglia affatto andare a prendere da mangiare.

«Hai mangiato mezz’ora fa, ingrasserai» si limita a tagliare corto, conscio della piccola ossessione dell’altro per la forma fisica. Torna a concentrarsi sullo schermo del computer, ma non abbastanza in fretta per non vedere l’angolo sinistro delle labbra di Kise piegarsi verso l’alto, sfociando in un piccolo ghigno.

 

 

 

Makoto è sempre più convinto che Shoichi sia un completo idiota, un po’ perché lo ha accusato di essere isterico – solo perché ha quasi ucciso uno specializzando che ha tolto un drenaggio senza chiedere a lui – un po’ perché gli ha consigliato – ordinato – di andare da Tetsuya se la sua mancanza gli causa questi “scompensi”, come l’idiota li ha definiti.

Si trova quindi davanti agli uffici della casa editrice, con in mano confezioni di cibo di asporto e sottopelle un presentimento non troppo bello, a cui darebbe ascolto se solo credesse ai presentimenti e cavolate simili.

Sbuffa e cerca l’ufficio di Ryouta l’idiota all’interno di questa specie di labirinto.

E non c’è nessuno a cui chiedere, a parte il tipo della reception al primo piano. Ma in ogni caso, io non mi abbasso a chiedere indicazioni” si dice, svoltando l’ennesimo corridoio dall’asettico colore bianco. “Sul serio, è più allegro l’ospedale”.

Finalmente trova una porta con il nome del cretino stampato sopra. Non lo sfiora neanche per un secondo il pensiero di bussare prima di spalancare la porta.

Grosso errore.

 

 

 

Tetsuya cerca di ignorare il ghigno che ha intravisto fiorire sul volto di Kise, ma questo, impietoso, riprende a parlare.

«Se mangiassi te, non ingrasserei».

«Kise-kun, ti presento il mobbing. Mobbing, questo è Kise-kun» risponde Kuroko, alzando lo sguardo per affrontarlo e permettendo a un po’ di esasperazione di trasparire dal suo viso.

Ryouta non ne sembra per nulla scalfito, perché il suo sorriso si amplia, divertito, «Kurokocchi, sei cattivo, questo non è mobbing» cantilena allegro, avvicinandosi un po’ di più a lui. Se solo avesse voluto, Tetsuya sarebbe stato in grado di contare una per una le lunghe ciglia dell’altro. «Non è mobbing se la cosa non ti disturba» aggiunge Ryouta, poggiando con leggerezza le labbra su quelle dell’altro. Un contatto tanto leggero e casto da sembrare quasi irreale, eppure basta a sentire il suono di una porta che viene sbattuta con violenza.

A Kuroko occorre meno di un secondo per rendersi conto di cosa dev’essere successo ed è subito fuori dall’ufficio a rincorrere la schiena di Makoto che si allontana sempre di più da lui.

Non ha la più pallida idea del come, ma alla fine riesce a raggiungerlo e ad afferrarlo per un braccio, costringendolo a fermarsi.

«Stai per dirmi che non è come sembra?» lo aggredisce Makoto, feroce.

Tetsuya riesce a reggere lo sguardo dell’altro, nonostante intimamente non voglia far altro che abbassare gli occhi per la prima volta nella sua vita. «Non è affatto come sembra. Lui mi ha baciato ed io non ho neanche fatto in tempo a rendermi conto di cosa stesse succedendo» replica, nella vana speranza che Hanamiya si faccia bastare questa spiegazione.

Inaspettatamente Makoto sorride, tuttavia è un sorriso quasi crudele, nessuna pietà, nessuna scusa abbastanza valida.

Non me lo chiedere, non me lo chiedere!

«Quindi immagino che la cosa ti abbia enormemente infastidito, vero?»

Ancora una volta, Tetsuya deve usare tutto il proprio autocontrollo per non abbassare lo sguardo, ce la fa a malapena e sa benissimo che questa sarà la sua condanna. Non può mentirgli, con quegli occhi inchiodati nei suoi non ha la minima possibilità di negare la sensazione piacevole delle labbra di Ryouta, anche con tutto lo sforzo del mondo non potrebbe dimenticare quanto fossero morbide e calde.

«No. Mi dispiace» sussurra, quindi, percependo chiaramente l’abbandono prima ancora di vedere Makoto scuotere impercettibilmente la testa, per poi voltarsi e uscire dalla casa editrice. Dalla sua vita.

 

 

 

“Live for…

Die for…

Fight for…”

Bryn Christopher, The Quest

 

 

 

 

   
 
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