Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Nelith    06/01/2016    1 recensioni
[Scritta per il contest Malia: il canto delle sirene, indetto da Yuko chan. Prima classificata]
[Scritta per il contest Quando il fantasy è dark, indetto da Nuel2. Terza classificata]
Si chiuse la porta alle spalle, isolando quel cubicolo dal resto del mondo. Tutto era di legno al suo interno, tranne l'amaca di corda che serviva da letto. Appena entrò emise un basso suono scricchiolante e dalle fessure del legno iniziarono a fuoriuscire una miriade di insetti che andarono a infilarsi sotto gli abiti di Hira. Il tessuto iniziò a muoversi, brulicante di vita mentre lui gemeva quasi estasiato dal contatto con le sue creature. Un lungo centopiedi si attorcigliò tra le sue dita, e Hira se lo portò vicino al viso.
«Ho un lavoretto per te. Hai fame, vero?»
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Senza nome 1

Quando Hira scese poco dopo l'alba, il cielo era coperto da una fitta coltre grigio scuro: il sole sarebbe rimasto celato a lungo e con molta probabilità non sarebbe mai più tornato una volta che la sua missione fosse portata a compimento. I giorni erano già diventati molto brevi con l'inverno ormai alle porte, la tempesta in arrivo avrebbe accelerato la discesa dell'oscurità.

Mentre scendeva le scale avvertiva il formicolio degli insetti sulla pelle, sapeva che non era opera di quelli che fisicamente si muovevano in lui, ma era opera di quello che aveva lasciato al capitano Cenran.

«Dormito bene in quel sottotetto gelido?» domandò il locandiere appena lo vide.

«Meglio di quanto pensassi dopo che il vento ha smesso di urlare.» gli avventori si scambiarono rapide occhiate preoccupate.

«L'hai sentita? Quella è la strega.» Hira aggrottò la fronte, perplesso: non si aspettava che anche loro avvertissero la sua voce.

«Ne siete sicuri? Non poteva essere solo il vento?  Da queste parti immagino soffi spesso così violento.»

«Alle volte sembra quasi di sentire la sua voce, ma non si riescono a cogliere le parole.»

È andata bene...

«È la superstizione locale.» si intromise Rihilda «Per questa gentaglia ogni alito di vento è opera della strega.»

«Se passa tutto il suo tempo a urlare nel vento, allora è chiaro perché non ha ancora invaso la città.» In un primo momento tutti tacquero, sconvolti da quelle parole, poi scoppiarono a ridere: una risata divertita e quasi allegra. Qualcuno rischiò anche di cadere dalla sedia tanto era violenta. «Non che io non sia felice di aver scatenato il vostro divertimento,» iniziò perplesso Hira, «ma vorrei sapere cosa lo ha scatenato.»

«Sei un tipo interessante.» disse Rihilda prendendo un piatto di stufato da uno dei suoi compagni e portandoglielo. «Nessuno avrebbe il coraggio di dire una cosa simile, però hai ragione: in qualche modo non riesce a spingersi molto oltre il confine. Dicono che sia opera dei chierici; vedrai con i tuoi occhi cosa succede ai barbari quando entrano in città.» Hira stava per dire qualcosa quando la porta si spalancò all'improvviso. Un mercenario entrò di scatto, madido di sudore.

«Rihilda! Ci sono problemi!»

«Strano, non succede mai nulla qui.» sbuffò la donna. «Hanno fatto un'incursione?»

«Magari! No, peggio.» Rihilda si accigliò, imitata dai suoi compagni. «Vieni a vedere! Presto! Prima che arrivino i fanatici.» La guerriera fece un cenno con la testa a Hira, che appoggiò il suo stufato fingendosi irritato almeno aveva una scusa per non mangiarlo affrettandosi a seguirli.

Il gruppo corse per le strade, diretti verso sud, verso la zona portuale.

Dopo l’ingresso di quel soldato, aveva compreso perché il giorno precedente l’uomo lo aveva condotto proprio in quella locanda: Rihilda era una difesa per quella gente, e da una con il suo sangue non poteva aspettarsi nulla di differente.

Condottieri e paladini. Lei è una paladina, lo sarebbe stato almeno. Per mia fortuna non lo sa. Si trattenne dallo sputare per terra, non poteva attirare l’attenzione su di sé a quel modo.

 

Entrarono in una locanda e Hira vide buona parte dell'equipaggio che lo aveva trasportato fino a Valgar. Cercò di trattenere il divertimento, non poteva mostrarsi felice: anche se il suo potere era superiore a quello della strega, dei chierici e dei soldati, era meglio continuare a muoversi nell'ombra, proprio come gli insetti. Per non parlare di lei: doveva essere cauto, forse in quella città, era l’unica che poteva nuocergli veramente. Si mostrò perplesso, attirando l'attenzione di uno dei marinai.

«Non capiamo come sia successo?» mormorò uno degli uomini avvicinandosi a lui.

«Successo cosa?»

Assieme a Rihilda fu accompagnato nelle stanze in cui alloggiava il capitano. L'uomo, quello che ne restava, era disteso sul giaciglio, l'addome squarciato e qualcosa di fluido scorreva su di esso. Rihilda emise un suono strozzato quando vide che si trattava di vermi: piccoli vermi necrofagi stavano divorando il corpo dell'uomo. Sollevando lo sguardo videro costole rosate, scarnificate, sotto di esse, gli organi erano una massa brulicante di insetti.

La testa di Cenran si mosse, facendo urlare uno degli uomini che erano entrati nella stanza; gli occhi del capitano iniziarono a colare liquido biancastro, mentre piccoli insetti foravano i bulbi, uscendo dal cranio.

«Quale diavoleria è mai questa?» mormorò Rihilda coprendosi la bocca con la mano, imitando Hira. I piccoli vermi uscirono dal corpo, sciamando sul pavimento dirigendosi verso i soldati. Alcuni insetti vennero schiacciati, altri sparirono tra le fessure di legno; altri ancora, nascosti dalla confusione e dal terrore che quella vista aveva scatenato, si insinuarono tra gli abiti degli uomini, nelle piccole pieghe dei pantaloni e degli stivali. Rihilda obbligò tutti a uscire, anche se non fu necessario imporsi con molto vigore.

Mentre uscivano dalla stanza quasi si scontrarono con alcuni chierici ‒ li avevano preceduti di poco ‒ che, vedendo di sfuggita il corpo e i vermi indietreggiarono, urlando di dar fuoco all'interno edificio.

«Per una volta sono d'accordo con loro.» mormorò Rihilda verso i suoi compagni.

La locanda fu svuotata poco dopo e, sotto lo sguardo sconvolto dei proprietari, data alle fiamme.

I chierici presero a intonare i loro canti di benedizione e Hira aspettò di percepire almeno un leggero fastidio, ma nulla parve sfiorarlo: quelle parole erano vuote.

«Hai mai visto una cosa simile?» sussurrò Rihilda cercando di non disturbare i chierici. Hira aggrottò la fronte, non capendo perché lo chiedesse a lui, poi comprese: aveva viaggiato per il mondo, forse qualcosa aveva visto.

«Ho visto cose simili sui campi di battaglia, ma erano passati giorni, se non settimane dalla morte di quelle persone. Ieri il capitano stava più che bene, sono praticamente certo che non fosse morto.» qualcuno ridacchiò, venendo zittito dallo sguardo gelido di uno dei chierici.

«Credete che sia divertente?» sbraitò un religioso non appena anche l'ultima eco del loro rito si disperse, inghiottita dl crepitio delle fiamme. «Questa è opera della strega! Uno dei suoi malefici! Deve aver mandato uno dei suoi emissari in città!» l'uomo si zittì appena il suo superiore gli appoggiò una mano sulla spalla.

«Fratello Brumit ha detto il vero.» sospirò, era un uomo di mezza età, che ancora conservava la corporatura massiccia di un guerriero. Hira sorrise tra sé: la strega non avrebbe mai potuto fare una cosa simile, ma che lo pensassero pure, lui aveva preso tutte le precauzioni del caso. «Magari era sulla nave del capitano Cenran.» continuò il chierico fissando astioso Hira.

Rihilda affiancò Hira e gli strappò di mano la spada.

«Lo vedi questo simbolo, Hamry? La fenice e le tre stelle tracciate sul fodero? Dall'alto della tua fede non riconosci il marchio di Adansa? Credi che qualcuno che gira con una spada sacra possa essere coinvolto in un simile atto di magia nera?» Hamry osservò con attenzione la spada, poi allungò una mano verso di essa, chiudendo gli occhi e concentrandosi su quella che doveva essere la sua emanazione spirituale.

Il sangue di Hira per un momento raggelò, ricordando ancora com'era la morsa della fede di Adansa durante il periodo che aveva trascorso in prigionia a Bel-dris. Lunghi secoli erano trascorsi, un tempo talmente lungo che gli uomini del tempio si erano scordati di lui. Poi gli dei erano periti, scomparsi, e le catene che lo avevano tenuto prigioniero si erano dissolte. In un primo momento non se ne era accorto, troppo abituato al dolore costante che lo aveva accompagnato durante quei secoli, ma la voce lo aveva destato, lo aveva riportato alla consapevolezza. Quella spada sacra era l'ultimo vessillo presente nel tempio. La voce nella sua mente gli ordinava di prenderla, ma lui aveva ancora paura, il dolore era troppo vivido nei suoi ricordi così come nel corpo; poi aveva stretto la custodia, preparandosi alla nuova fitta, ma nulla era arrivato. La voce aveva riso, aveva riso di gusto mentre gli dava gli ordini. «Trova la stirpe bianca. Uccidili. Rendimi il mio corpo.» Hira in quel momento aveva riso, stringendo tra le mani quella sacra reliquia ormai una semplice spada di metallo, affilata, certo, ma solo metallo, un’arma vuota, pronta ad accogliere un nuovo tipo di energia, un nuovo potere.

Hira guardò il chierico studiare con attenzione la spada, la afferrò anche lui, la soppesò, come se volesse percepire con maggior chiarezza la sua energia.

Tu sai di essere cieco e sordo, ma cosa vuoi fare? Vuoi ammettere la tua impotenza? Hai il coraggio di farlo?

Hamry gliela restituì poco dopo, annuendo.

«Volevo esserne sicuro, spero che comprenderai. Questi sono tempi bui.» Hira riprese la spada portandosela al petto e si inchinò in segno di rispetto, impedendo a tutti di vedere il suo ghigno divertito.

Il buio, chierico, quello vero, tu lo devi ancora vedere. Con un sospiro si sollevò, riprendendo l’abituale espressione. «Lo capisco, non è necessario che vi scusiate. Non ho nulla da nascondere, io.» Quell’ultima parola fece rabbrividire la piccola folla che si era radunata attorno alla locanda che ancora bruciava, anche Hamry si irrigidì, come se fosse stato colpito sul vivo.

Hira si sentì osservato, voltandosi trovò gli occhi neri di Rihilda su di lui, che fissavano prima la sua persona poi l’arma.

Una campana iniziò a suonare, impedendo ai due di parlare martellava in modo frenetico e i soldati iniziarono ad allontanarsi, diretti verso il nord della città.

Hira si affrettò a seguire Rihilda, non se la sarebbe fatta scappare per nulla al mondo, specie ora che aveva colto un dubbio sul suo viso: lei aveva percepito qualcosa, il suo sangue la stava mettendo in guardia.

A sud la tempesta avanzava, vento di terra e di mare si scontravano, mescolandosi e creando vortici sempre più violenti, come se fossero in lotta, agitando le navi attraccate: non avrebbero retto, non avevano alcuno scampo, né in mare, né al porto. Nella mente di Hira, il suo padrone aveva ripreso a farsi sentire, una eco lontana, un basso ringhio gutturale carico di impazienza.

Presto, manca poco ormai, mio Signore.

Correvano veloci sul selciato, la maggior parte di loro aveva indossato l’armatura quella mattina appena si erano svegliati, forse non l’avevano neppure tolta, altri invece imprecavano, si insultavano per essere uscito solo con le armi. Hira sperava che il suo parassita avesse trovato la strega, non lo aveva più sentito: si augurò che non avesse incantato delle armi, forse quelle avrebbero potuto nuocergli.

Le case, più si avvicinavano al confine nord, più erano malridotte, consumate dal fuoco.

Giunti al limitare della città, vide che lo scontro era già iniziato. Voci portate dal vento, il fragore del metallo che risuonava lungo le vie. Hira inclinò la testa da una parte, davanti a lui, i barbari dell’estremo nord, non erano proprio come se li era immaginati.

«Sì.» la voce di Rihilda filtrò da sotto l’elmo: era al suo fianco, lo aveva tenuto d’occhio per gustarsi la sua espressione. «La strega ha fatto qualcosa.» urlò per sovrastare il clangore della battaglia.

Hira li osservò, anche attraverso gli occhi degli insetti che avevano riempito il campo di battaglia: vecchi corpi che gli abitanti non avevano fatto in tempo ad ardere. Dei barbari coperti di pelli di orso non c’era quasi più traccia, restavano le armature, gli elmi cornuti, ma quei guerrieri non erano più uomini. Alti quanto due soldati, quasi simili a giganti se paragonati ai guerrieri che affrontavano. La pelle era striata di rosso, la carne sembrava quasi lacerarsi tanto i muscoli erano gonfi. I volti distorti, come ustionati, deformati dal potere che la strega aveva usato per trasformarli. Vide una di queste creature strapparsi una lancia dal collo e usarla per conficcarla nella corazza di un soldato, trapassarlo e trafiggere anche quello che era alle sue spalle. Li lanciò senza quasi alcuno sforzo apparente, creando un piccolo squarcio nella barriera di guerrieri. Erano pochi, una decina, forse meno, mentre i difensori di Valgar erano molti di più, ma sembravano comunque in difficoltà.

Il suono stridente della spada che veniva estratta dal suo fodero, attirò l’attenzione di Hira: la sua preda stava andando all’assalto. La osservò che stringeva entrambe le mani attorno all’impugnatura dello spadone. Non si chiese come una ragazza così giovane e anche così esile potesse maneggiarla: il sangue del drago era in lei, donandole una forza e un potere superiore alla maggior parte degli uomini.

Peccato che con il trascorrere del tempo abbiano dimenticato. Pensò Hira, divertito, mentre estraeva dal fodero la sua spada. Una spada sottile, taglio semplice e la lama leggermente incurvata. Piccole onde più scure si intravedevano lungo il piatto della lama, come se il metallo stesso formasse uno strano disegno: i guerrieri che lo avevano visto sfoderarla ne rimasero ammaliati, solo in pochi potevano dire di aver visto una di quelle spade, e tra di loro, a parte Rihilda, nessuno aveva avuto quell’onore.

«Spero che non sia solo bella, ma che serva anche a qualcosa.» scherzò uno dei soldati al suo fianco, cercando di smorzare la meraviglia che gli aveva suscitato quella lama chiara, così semplice e dall’aspetto quasi delicato: non sembrava una spada fatta per combattere.

Hira osservava quelle creature tra il divertito e il preoccupato. Percepiva l’energia che pulsava in loro, sapeva che non sarebbero vissute a lungo, ecco perché non erano ancora riuscite a conquistare la città portuale. Vedeva chiaramente i flussi di energia muoversi sotto la loro pelle, disperdendosi come se fossero piccole nubi di vapore: più il tempo passava, più le creature combattevano, più in fretta si consumavano. Hira ringhiò sommessamente, un suono soffocato dalla battaglia che imperversava davanti a lui, irritato dall’incapacità di questa terribile strega.

La luce se ne è andata e tu riesci a fare solo questo? Serrò le mani attorno all’impugnatura e scattò verso i barbari.

La lama affondò nella carne senza sforzo, colpendo l’articolazione di un gomito, recidendo alla perfezione l’arto e subito si spostò, evitando il liquido. Il getto di sangue colpì in pieno i soldati attorno al barbaro, Hira li sentì urlare, si voltò solo un istante per vedere quello che stava succedendo e sbuffò. Poi il suo sguardo venne attirato verso il basso: i vermi che nuotavano nel campo di battaglia non erano minimamente infastiditi dal sangue del barbaro, sguazzavano, cibandosi della carne che colava dal corpo dei soldati senza preoccupazione. Un’orgia di cibo che non faceva che accrescere la loro eccitazione.  Sorrise, un’idea particolarmente divertente gli aveva attraversato la mente.

Gli altri guerrieri però non sembravano pensarla come lui: il sangue delle creature non aveva mai sciolto nessuno, eppure adesso, appena toccavano la carne, questa iniziava a sciogliersi. Piccoli pezzi di tessuto vivente di staccavano dai corpi come se fossero cera calda.

L’attacco dei difensori della città perse vigore dopo aver assistito a quello spettacolo, venendo travolti dai barbari.

Hira attaccò di nuovo, ma questa volta il gigante lo colpì all’addome con un pugno, facendolo rotolare sul suolo tra cadaveri e vermi. Immerso nella melma iniziò a sussurrare e le piccole creature si affrettarono a eseguire il suo comando.

Si rialzò poco dopo, schivando il piede di un barbaro che aveva cercato di schiacciarlo, ma che era finito immerso nei liquami brulicanti di parassiti. Le piccole creature iniziarono ad arrampicarsi su di lui, infilandosi non viste tra le ferite e negli indumenti. Mentre Hira continuava a lottare, parando i colpi che gli venivano inflitti, danzando tra i cadaveri degli uomini e dei barbari, osservava le sue creature all’opera. Si abbassò all’ultimo, evitando un poderoso colpo di mazza ferrata di un barbaro, che andò a colpire un suo compagno. I due guerrieri presero a colpirsi tra loro, furiosi e dopo poco anche altri si unirono alla rissa. Gli Han si strapparono arti, si lacerarono la carne e, nella lotta, colpirono con quel fluido corrosivo i soldati che stavano loro attorno. Hira si allontanò, abbandonando il campo per non essere colpito da quella furia: se il sangue lo avesse colpito e non gli avesse provocato alcun danno avrebbe destato dei sospetti. Si trovò accanto a Rihilda e a pochi altri, mentre i barbari proseguivano nel loro folle massacro.

«Sono pazzi...» mormorò la guerriera bianca senza potere fare nulla, limitandosi a osservare gli uomini che morivano sotto la follia degli Han.

«Che cosa sarà successo?» domandò uno degli uomini al suo fianco.

«Quella roba che hanno nel corpo,» azzardò Rihilda «forse li ha fatti impazzire.»

«La strega starà facendo degli esperimenti.» Hira era inginocchiato sul suolo, la spada conficcata nel terreno e gli abiti imbrattati di fluidi. Piccoli vermi strisciavano su di lui, ma nessuno sembrò farci caso, in fondo erano tutti nelle medesime condizioni.

«Sì, esperimenti. Questa è stata la prima volta che abbiamo visto una cosa simile. Cambiano sempre.» Poco alla volta i barbari cadevano, liquefacendosi e portandosi dietro un gran numero di soldati. Dopo qualche tempo, il sangue non sembrava essere più corrosivo, come se l’aria avesse consumato il potere che vi era contenuto, riempiendo l’aria dell’odore acre del fluido.

Il silenzio tornò a regnare sul confine nord della città, nessun suono sembrava riuscire a forzare quella cappa soffocante, persino i tuoni della tempesta del sud sembravano essersi sopiti.  «Bruciate tutto.» riuscì a dire Rihilda quasi a fatica.

«Sicura che sia saggio?» intervenne Hira attirando su di sé lo sguardo di tutti i sopravvissuti. «Hai visto cos’ha fatto quel sangue, non sai cosa potrebbe succedere una volta bruciato.» i soldati raggelarono, persino Rihilda ebbe un sussulto, Hira poteva quasi sentire l’odore della sua paura filtrare da sotto l’armatura.

«Hai ragione, ma non possiamo lasciare tutto così.»

«Con la tempesta che sta arrivando è da folli preparare una pira!» urlò qualcuno per sovrastare il vento che aveva iniziato a soffiare violento.

«Maledizione! Come dopo la scorsa incursione! Se continua di questo passo creeremo un muro di cadaveri!» Hira osservò il nord, celando un sorriso, i suoi occhi la vedevano, la strega non era molto lontana. In qualche modo restava immobile a poche leghe di distanza, tra le montagne. Il parassita gli stava parlando, gli mostrava un tempio in rovina, dei fuochi ardevano in una sala, al cui centro si trovava una statua contorta. L’immagine non era chiara, la sua creatura non vedeva bene, ma i barbari si aggiravano tra i colonnati e da qualche parte doveva esserci lei. Attorno alla statua, grossi globi pulsavano attirando la luce del fuoco, risucchiando in essi ogni piccola scintilla.

Hira aggrottò la fronte, scrutando nelle tenebre.

È una mortale che ha appreso le arti oscure. Irritante. Non credo che mi lascerà lavorare in pace, mi toccherà occuparmi seriamente anche di lei. Il ruggito nella sua testa non sembrava troppo contrariato, solo smanioso che il compito venisse portato a termine. Userò Lei, la paladina, per la strega, o vice versa.

Sì! La voce urlò potente nella sua mente, rideva, pregustandosi lo scontro.

«Hira.» Rihilda lo scosse per la spalla, ritrovandosi la lama affilata della spada alla gola. La paladina rimase immobile, impietrita. In quel momento Hira pensò di farlo lì, ma avrebbe atteso. Con un sospiro abbassò la lama, scrollandola per liberarla dei residui. Poco dopo seguì il gruppo verso l’interno della città: li avrebbe sfruttati fino all’ultimo.

Senza quella strega sarebbe stato tutto più semplice…

Con un gesto Hira comandò i parassiti che si aggiravano nella melma, li avrebbe lasciati banchettare, nutrendosi di quel sangue oscuro, poi li avrebbe mossi verso la città. Avrebbe sfruttato anche la strega, lei non apparteneva alla stirpe nera, non era pura, non sarebbe riuscita a contaminare le sue creature.

***

«Cos’hai visto di così interessante?» Rihilda non aveva smesso di tenerlo d’occhio un solo istante da quando avevano abbandonato il campo di battaglia e forse anche da prima.

Hira la fissò a lungo, mentre il calore del fuoco gli accarezzava la pelle, dentro quella locanda la donna aveva creato la cosa più simile a una barriera mistica che si potesse erigere ora. Sentiva caldo, il fuoco del drago bruciava ancora: sì, aveva fatto bene a non affondare la lama in quel momento, lei poteva ucciderlo, lo avrebbe fatto. Si sarebbe lasciata guidare dall’istinto e avrebbe colpito il suo nucleo e sempre assecondando l’istinto vi avrebbe riversato tutto il suo potere. Sospirò, irritato, ma anche soddisfatto per la decisione presa.

«La strega.» avvertì il gelo insinuarsi all’interno della locanda e sbuffò trattenendo una risata: era quello il pericolo delle azioni istintive, se non si sapeva di possedere certi doni se ne perdeva il controllo in un istante. «Vuoi farmi credere,» sollevò lo sguardo verso di lei, fingendosi irritato «che tu non l’avevi mai sentita? Credi che io sia cieco?» si avvicinò a Rihilda per poterle sussurrare all’orecchio «Come i chierici qui fuori?» la paladina impallidì ancora di più e Hira avvertì distintamente la protezione andare in frantumi. Sottili filamenti presero a scivolare dalle sue dita, simili alla bava di un ragno, e andarono a infiltrarsi tra le assi del pavimento, approfittando del crollo della barriera. Rihilda, l’unica che avrebbe potuto vederli, era troppo impegnata a guardare il suo viso per notarli e Hira iniziò a tessere la sua maledizione.

«Anche i chierici vedono...» Hira socchiuse gli occhi e in quel momento si irrigidì. La spada che ancora stringeva tra le mani, quell’arma maledetta con cui avrebbe portato a termine la sua missione lei poteva avvertire l’energia che emanava, era per quello che lo aveva fissato.

Quando anche l’ultimo filo arrivò a destinazione, intrappolando l’intera locanda nella sua morsa, Hira inspirò profondamente e tese la spada tra loro, orizzontalmente. Doveva capire se avesse riconosciuto l’energia o avesse solo capito che era incantata.

«Cosa vedi?» la donna aggrottò la fronte, poi si concentrò sull’arma. Alla fine scosse la testa.

«Nulla. C’è qualcosa, lo sento, ma non riesco a capire è sfuggente, come se fosse nebbia.»

«Non hai ricevuto un addestramento mistico.» Hira disse più a se stesso che a lei: era sollevato. Rihilda lo fissò per alcuni istanti, poi scoppiò a ridere.

«Stai scherzando? Io sono una mercenaria! E sono riuscita ad arrivare fin qui solo perché, dalle mie parti, la gente è estremamente superstiziosa e non si porterebbe mai a letto una con certi capelli o certi occhi.»

«E la tua famiglia?» Rihilda scrollò le spalle.

«Mai conosciuta e non mi interessa.» Hira si trattenne, riuscì a farlo solo grazie alla forza di volontà che lo aveva mantenuto in vita in tutti quegli anni, ma la voce nella sua mente esplose in una baritonale risata, così simile al rombo del tuono che invase ogni minimo anfratto della città.

Nessun addestramento, nessuna preparazione… rimpiangerai di non aver conosciuto la tua famiglia. Hira cercò di mostrarsi triste, si diresse a testa bassa verso un tavolo e appoggiò la lama contro il muretto del camino.

«Cosa vogliamo fare con la strega? La vuoi lasciare lì e farla venire a invadere la città, oppure vuoi eliminarla?»

«Che domande! Sono qui per ucciderla!» Hira sorrise compiaciuto: sì, glielo avrebbe lasciato fare.

«Datemi una mappa.» ordinò Hira dopo qualche istante di silenzio. Gli uomini attesero un cenno della paladina per portargliela. Quanto potere hai senza esserne conscia.

Studiò con attenzione il territorio, aveva capito dove si trovasse il suo rifugio, ma doveva vedere come fosse disposto il terreno. Colline non ancora ripide immerse nella foresta. Infilò la mano in una delle ampie maniche, in una tasca nascosta c’erano alcuni piccoli frammenti di ossa incise, li lasciò cadere in alcuni punti della mappa, senza ottenere successo, poi finalmente si disposero autonomamente in cerchio, isolando una zona.

«Cosa significa?» Chiese la paladina perplessa: era da molto tempo che non vedeva più praticare la magia. Hira si accasciò sulla sedia, fingendosi stremato.

«Quello è il punto in cui si trova.»

«Il campo degli Han?»

«No, quello della strega, loro non so dove stiano.»

«Se la strega li usa come cavie,» si intromise un soldato, «allora non potranno essere troppo lontano.» Hira annuì, accarezzando con le dita il sottile tessuto oscuro che si stava intrecciando nell’aria. Rihilda era irrequieta, avvertiva il cambiamento, sapeva che qualcosa non andava, lo avvertiva sulla pelle, ma non poteva dare un nome a quelle sensazioni. La voce nella testa di Hira rise ancora, prendendosi gioco della paladina.

Rihilda scosse la testa, cercando di allontanare quelle sensazioni, non voleva pensarci. C’era stato un periodo della sua vita in cui le era quasi sembrato di vedere alcune cose, cose che agli altri sfuggivano, ma poi erano sparite, erano rimaste solo vaghe sensazioni che con il tempo sembravano affievolirsi sempre di più. Guardò Hira seduto sulla sedia, la sua espressione era indecifrabile, ma continuava a fissarla, forse sulle sue labbra c’era l’ombra di un sorriso, ma non poteva esserne certa.

«Cosa facciamo quindi?» domandò il soldato rompendo il silenzio.

«Io direi di prendere il fuoco dell’alchimista, se riusciamo a sfruttare il vento della tempesta forse potremo riuscire ad attaccare l’accampamento dei barbari. Magari potremmo creare una sorta di diversivo, attirandoli lontano dalla loro padrona, ed eliminarla. Morta lei i barbari dovrebbero tornare a disperdersi.» Rihilda prese una sedia, accasciandosi accanto a Hira: lei era stremata veramente, la lotta contro il controllo del suo avversario era impegnativa, talmente impegnativa che aveva fallito.

«Aspettiamo che la tempesta sia passata?» la paladina aggrottò la fronte, poi si voltò verso una finestra: era stata sprangata. Hira toccò la sua magia, pizzicò la trama come se fossero le corde di uno strumento e Rihilda rispose senza esserne consapevole, stordita da qual suono, senza capire che stava solo dando voce al suo piano.

«No, meglio approfittarne.» rispose. «Con la tempesta saremo in qualche modo coperti, poi non sembra che abbia ancora intenzione di scatenarsi.» si alzò, barcollando per un solo istante, e si avvicinò alla finestra sprangata. «In più i barbari sono esseri superstiziosi, non hanno mai attaccato durante una tempesta, e se iniziavano i temporali si dileguavano.»

«Non capiscono come possano sopravvivere così a nord se hanno paura di un temporale.» borbottò qualcuno, irritato. In molti annuirono silenziosi, dandogli ragione.

«Hanno i loro rituali, come tutti. Meglio che approfittiamo di questo.» si voltò verso Hira e lui annuì, fingendosi poco convinto.

«Se è questo che volete, io mi adeguerò.»

Non tutti reagirono in quel modo, alcuni soldati non erano interessati a uscire con quel tempo e dopo poco si formò la squadra d’assalto, quella che avrebbe portato a termine la missione, se gli dei glielo avessero concesso.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Nelith