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Autore: LyaStark    06/01/2016    3 recensioni
Nel mondo della donna e del ragazzo sono gli occhi a raccontare la verità, le emozioni e i sentimenti. Lei è maledetta e lui è un Cavaliere dei Draghi, non c’è niente che li unisce. Ma gli occhi di lui le parlano comunque, e quale sarà la storia che le racconteranno?
Questa storia partecipa al contest "L'inizio e la fine di ogni cosa", indetto da ManuFury sul forum di Efp
Genere: Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NELLO SPECCHIO
 

Il viso che sta guardando è sereno e rilassato, serio nella sua impassibilità. La bocca è carnosa, ben definita anche se screpolata, e la donna pensa che lui deve avere il vizio di mangiarsi le labbra quando è irritato o sovrappensiero. La cosa la fa sorridere e sente che li accomuna, visto che lei stessa si ritrova spesso a mordicchiarsi le labbra così, senza nessun motivo.
Sul mento e sulle guance scorge l'ombra della barba, bionda e quasi invisibile nella poca luce che c'è, che in alcuni punti tende quasi al rossastro e gli definisce i lineamenti, dandogli un'aria da uomo vissuto che probabilmente è tutta finzione. Il ragazzo avrà all'incirca vent'anni ed è ovvio che è inesperto della vita e delle cose e che vuole sembrare più grande di quello che è. Per compiacerla? Difficile, visto che lui non conosce lei e lei non conosce lui. Per incontrare l'approvazione delle persone? Probabile, si è così stupidi a quell'età che si pensa che l'unica cosa importante sia venire accettati dalla gente, e lei che ha passato metà della sua vita in fuga e l'altra metà a nascondersi dall'odio delle persone lo sa bene.

I suoi occhi procedono sul volto di lui, scorrendo sul naso aquilino e proporzionato, sugli zigomi pronunciati, sul piccolo neo che ha sotto un occhio e che può passare quasi inosservato se non si guarda bene, se non si è concentrati come lei è. La fronte è distesa, senza rughe di espressione a dare un qualunque indizio sul suo umore, le sopracciglia poco sotto sono folte, bionde e spettinate.
La donna passa poi a ciò che la ossessiona da tutta la vita: gli occhi. Sono occhi chiari, verdi come i prati d'estate dopo giorni di pioggia, quando l'acqua li rende così luminosi che è quasi impossibile guardarli sotto la luce del sole. È un verde caldo, accogliente, che sa di vita nuova e di nuove occasioni, che sa di amicizia, di fiducia, di speranza.
Le ciglia sono lunghe, insolite da vedere in un uomo, e quando lui sbatte le palpebre gli sfiorano gli zigomi in un tocco delicato. Quando il sole, sfuggito alle nuvole che lo coprono, colpisce quegli occhi, è come vedere una fiammella che si accende dietro a una vetrata: si notano mille colori che a prima vista erano mascherati e ognuno di essi brilla di vita proprio. C'è l'oro, luminoso e dorato; c'è il blu, nascosto e malinconico e profondo come l'oceano che lei ha tanto amato; c'è il marrone, attorno a una pupilla nera come le notti d'inverno, quando non ci sono stelle a illuminare la via. E sono proprio le pupille di lui, nere come il baratro in cui lei sente di stare per cadere, a ricordarle quello che è: maledetta.
 
Si dice che gli occhi siano lo specchio dell’anima e nel loro mondo è proprio così: le pupille si animano e raccontano la vita di colui al quale appartengono, senza segreti. Le vie in cui lo fanno sono oscure, non tutti sono in grado di capirle e spesso ci si confonde a guardarle, senza essere in grado di cogliere l’essenza di ciò che vogliono comunicare. Gli unici che conoscono i codici universali per comprendere il loro linguaggio sono i Cavalieri dei Draghi del re, che sorvegliano il regno e lo tengono al sicuro dalle malvagità. Gli occhi infatti non dicono bugie, rivelano le più burrascose profondità dell’anima, i pensieri più oscuri e anche quelli più puri, parlano di sogni e di speranze, di amore e di odio, di bene e male.
Questa è la caratteristica dello sguardo di ognuno ma a volte, per degli scherzi del destino, nasce un bambino le cui pupille sono immobili e incapaci di svelare i propri segreti, rimanendo nere e incomprensibili, pericolose per gli altri perché impenetrabili.
Sono i Cavalieri dei Draghi a intervenire allora e strappano i neonati alle loro famiglie, che non li vedranno mai più. Che fine facciano questi bambini non è dato saperlo, ma una cosa è sicura: sono troppo pericolosi perché possano crescere tra la gente normale. Qualcuno sussurra che forse non crescano affatto, uccisi dagli uomini del re prima che possano accorgersi della loro diversità.
Le pupille della donna sono così, nere e immobili, e non trasmettono nessun pensiero. È sopravvissuta alla sua maledizione perché sua madre non riuscì a consegnarla ai Cavalieri e la nascose, fuggì con lei di paese in paese e la tenne al sicuro fino alla sua morte. Ebbe un’infanzia dolorosa ma almeno ebbe il privilegio di averne una, a differenza di tutti gli altri come lei.
Alla morte della madre continuò a scappare da una nazione all’altra con il volto coperto, senza amici e persone di cui fidarsi e senza alcuna compagnia tranne sé stessa. Era ormai rassegnata a condurre una vita di totale solitudine quando incontrò un uomo che era dolce, gentile e premuroso. E, per fortuna di lei, cieco. Per lui le pupille della donna erano mute tanto quanto tutte le altre.
Si innamorarono e l’uomo non si impressionò quando lei, tra le lacrime, gli confessò il suo più grande segreto, ma anzi l’amò più di prima. Finalmente un periodo di gioia si aprì davanti a lei: non le importava più di dover scappare e nascondersi se al suo fianco aveva l’uomo che amava. Ebbero un figlio e sembrò che le loro vite potessero essere felici per sempre.
Tutto questo però non era destinato a durare.
Una notte arrivarono a casa loro degli uomini, con pugnali e corde e catene in mano, decisi a far loro del male. Urlavano insulti a lei, a suo marito, a suo figlio, dichiararono che conoscevano il loro segreto e che li avrebbero puniti per la loro malvagità. Lei nascose il bambino sotto un cumulo di vestiti in una vecchia cassapanca, giusto in tempo per vedere quegli uomini entrare in casa loro e uccidere suo marito, che cercava di proteggere la loro famiglia.
Attraverso le lacrime che le offuscavano la vista mentre veniva picchiata, pugnalata e ferita si rese conto che quegli uomini la ritenevano un essere inferiore, indegno di vivere, e che avevano paura di lei come si ha paura di un cane rabbioso. La abbandonarono solo quando pensarono che fosse morta, ma si sbagliavano.
Non sapeva cosa la facesse andare avanti, ma a un certo punto riaprì gli occhi. Era ricoperta di lividi, ferita sulle braccia, sulle gambe e sull’addome. Vide la devastazione all’interno della sua casa, il corpo di suo marito ancora di fianco a lei. Si alzò a fatica e con le ultime forze corse alla cassapanca, pregando ogni dio che conosceva che suo figlio fosse lì, al sicuro. Ma gli dei dovevano essere sordi, perché quando alzò il sedile di legno trovò solo il vuoto.
Lo cerca da quel momento di vent’anni fa, incapace di arrendersi all’idea che sia stato ucciso, sperando che in qualche modo il suo bambino sia riuscito a salvarsi.
Lei però non è capace di raccontare tutto questo al ragazzo che le sta davanti e allora si concentra sulle pupille di lui, che iniziano a muoversi e a raccontare la loro storia.
 
Un bambino di circa otto anni, capelli biondi e occhi di un colore impossibile, corre felice per i cortili di un grande palazzo, passando davanti ad aiuole, fontane e viali alberati. Sopra di lui draghi le cui ali sono colorate come le vetrate di una cattedrale volano nell’aria maestosi e imponenti, portando sul dorso i propri cavalieri.
Il bambino corre con tutta la velocità che gli possono permettere le sue gambette verso il suo obiettivo, un uomo vestito di un’armatura d’acciaio. Il Cavaliere porta in mano un elmo rostrato e terrificante mentre parla con uno sconosciuto di fianco a lui, senza curarsi di quello che succede intorno. Ha una faccia seria contornata da capelli e barba rossicci, ma appena vede il bambino corrergli incontro lascia cadere l’elmo per terra e sorride chinandosi, aprendo le braccia e prendendolo al volo, tirandolo su.
“Ser Gawain!” urla il bimbo con la sua voce stridula, abbarbicato alle spalle dell’uomo. “Siete tornato!”
“Come hai fatto a scoprirlo, Gilad?” gli chiede l’uomo sorridendo e accarezzandogli la testa, ignorando l’uomo con cui stava parlando prima. “Doveva essere una sorpresa!”
“Ho visto il tuo drago Druso mentre atterrava! Solo lui ha il viola sulla coda posteriore, nessun altro è così. Mi hai portato un regalo?”
L’uomo ride e tira fuori dalla bisaccia che porta in vita un modellino di un drago, di bellissima fattura, forgiato in metallo nero. Il bambino esulta mentre il Cavaliere pretende un bacio, il tutto sotto lo sguardo intenerito dell’altro uomo.
 
Le immagini nelle pupille sfumano.
 
Un Gilad di ormai dieci anni, con gli stessi capelli biondi e occhi particolari, è seduto su un banco di legno, in quella che è un’enorme aula di pietra. Attorno a lui ci sono altri bambini annoiati, che fissano con aria sconsolata la lavagna.
Colonne sottili separano le finestre a sesto acuto che danno su campi di sabbia, all’interno dei quali coppie di uomini duellano con le spade. In cielo ci sono sempre gli stessi draghi di prima, ma questa volta ce n’è anche uno più vicino, atterrato vicino ai cortili da allenamento. Gilad non riesce a smettere di guardarlo, incantato dalla sua maestà e dalla sua bellezza.
Il muso serpentino con occhi che sembrano due sfere di fuoco è rivolto verso il suo Cavaliere, che è a terra e sta parlando con un altro uomo in armatura. Creste nere che sembrano forgiate con il metallo partono da in mezzo alle narici per poi ingrandirsi e procedere lungo tutto il collo, lunghissimo.
Sulla groppa sta una sella particolare di cuoio lavorato, perfetta per viaggiare. Le zampe immense sono appoggiate elegantemente per terra, con scaglie nere come la pece e artigli lunghi quanto l’avambraccio di un uomo. Si vede la potenza dell’animale, la cui intelligenza si dice essere seconda solamente a quella degli uomini.
Quello che Gilad ama di più di loro però sono le ali. Tenute su da un’impalcatura sottile e nera, dello stesso materiale di cui sono fatte le creste del muso, sono di mille colori che sfumano l’uno nell’altro. Il viola diventa blu, il blu diventa azzurro, l’azzurro verde e il verde si trasforma non si sa come in viola, per poi perdersi di nuovo nel blu.
Ai lati della coda, che termina con un rostro appuntito a forma di freccia, si aprono due strutture uguali anche se differenti per colore: qui sono le sfumature del rosso a dominare, insieme al giallo e all’arancione.
 Quando il sole è alto nel cielo e i draghi volano non troppo distante dalla terra, al loro passaggio il suolo si illumina di un caleidoscopio di colori, in uno scenario di incredibile bellezza. Gilad è innamorato di quegli animali e se è disposto a sopportare la noia di quella lezione è solo perché lo rende un po’ più vicino a diventare Cavaliere come Ser Gawain, suo padre. Conosce la sua storia e sa che il Cavaliere in verità lo ha preso con sé da quando sua madre, sorella dell’uomo, morì nel darlo alla luce, ma a lui questo non importa. Per lui Gawain è suo padre e sempre lo sarà.
“Gilad, hai finito di pensare ad altro? La lavagna è da questa parte.”
Il bambino si riscuote e vede il maestro davanti al suo banco, con in mano il bastoncino di bambù che usa per indicare e che i suoi studenti hanno imparato a temere.
 
Di nuovo un cambio.
 
Gilad ha tredici anni ed è emozionato come non mai. Quel giorno gli verrà assegnato il suo drago, quello che diventerà il suo migliore amico. Ha finito i primi quattro anni di addestramento e sta per entrare in un nuovo periodo della sua vita, dove finalmente potrà trasformare tutto quello che ha studiato in realtà.
Davanti a lui si prospettano ancora molti anni di fatica ma li affronterà a cavallo di drago, di questo ne è sicuro. Nuovi cuccioli sono arrivati e con lui altri undici ragazzini emozionati si stanno dirigendo alla stalla dell’Ordine. La vedono in lontananza, oltre le cime degli alberi e le guglie dell’edificio dove risiedono i Cavalieri dei Draghi del re: un enorme palazzo a cielo aperto, costruito in pietra e trasformato in ossidiana dal fuoco.
Non ci sono porte o inferriate per trattenere i draghi ma questi rimangono solo se è loro desiderio restare, potendo in ogni momento prendere il volo e fuggire dal centro dell’edificio. L’ingresso è su un lato ed è formato da enormi porte di legno, sorvegliate a vista notte e giorno, anche se nessuno è mai stato così stupido da cercare di entrare nella stalla dei draghi senza essere accompagnato da un Cavaliere.
L’ossidiana lancia bagliori nerastri nella luce del giorno e a Gilad sembra quasi di poter svenire dall’emozione. Non vede l’ora. Le mani gli tremano, le ginocchia minacciano di cedergli. Di fianco a lui il suo amico Safir è teso quanto lui.
Sono in pochi ad aver superato negli anni le varie selezioni per diventare Cavalieri, ed ora sono quasi giunti alla fine delle loro fatiche: una volta che avranno un drago, l’investitura sarà praticamente certa, nessuno potrà togliergliela. Elaine, la ragazza per cui segretamente ha una cotta, è di fianco a loro e continua a torcersi le mani, mangiarsi le unghie e spostarsi la lunga treccia.
Finalmente le porte della stalla si aprono ed entrano per la prima volta in quel luogo magico. Nicchie enormi scavate a livelli diversi nell’ossidiana ospitano draghi immensi, e scalinate distribuite su tutto il perimetro circolare del palazzo permettono di raggiungerne ogni piano. Fiamme di tutti i colori ravvivano l’aria, rendendola calda nonostante sia quasi inverno. Enormi carcasse di animali si trovano davanti all’imboccatura di ogni grotta e Cavalieri di ogni età fanno avanti e indietro tra i loro draghi e le sellerie, poste su un lato dell’edificio.
La sabbia per terra ricorda a Gilad quella dei campi per l’allenamento al combattimento e l’odore di bruciato che riempie l’aria lo riempie di gioia. Arrivano davanti ad una nicchia più grande di tutte le altre, chiusa da grate di metallo nero: è lì che si trovano i cuccioli.
Entrano e nel buio della grotta brillano undici paia di occhi di diversi colori. I draghi escono lentamente dal loro rifugio e guidati da un istinto infallibile si dirigono ognuno verso un ragazzo, senza timore. Sono grandi quanto un cane di taglia grossa, ma negli anni cresceranno molto.
Gilad si accuccia e si pone di fronte al cucciolo che gli si è avvicinato. È più piccolo degli altri, ma da quello che può vedere i suoi colori sono unici: le membrane poste sulla coda non sono rosse e arancioni, ma sono di tutte le sfumature del blu, come le ali. Allunga con cautela una mano e sorride quando la sente toccare dalla testa del drago.
“Ebillan,” dice. “Ti chiamerai Ebillan.”
 
La donna abbandona le pupille di Gilad e guarda dietro le sue spalle, portando gli occhi sull’enorme drago accucciato. L’animale sbuffa fuoco bluastro dalle narici e distende le ali immense, colpendola con lo spostamento d’aria. Sono stupende, come il mare in tempesta. Sono grigie, azzurre, blu, nere e viola, proteggendola dal sole la immergono in un insieme infinito di colori. Poi Ebillan richiude le sue ali e il mondo diventa di nuovo scuro. La donna riporta i suoi occhi sul volto del ragazzo, Gilad, e si immerge di nuovo nel suo mondo.
 
Gilad ha quindici anni ormai, si inizia ad intravedere nella sua sagoma l’impronta dell’uomo che sarà. I capelli gli sono cresciuti e li tiene legati con un codino, un ciuffetto di peli biondi gli decora il labbro superiore in una parodia della barba che gli piacerebbe avere.
È cresciuto in altezza, molto, e sta passeggiando per una città preceduto da un uomo che veste le insegne dei Cavalieri del Re e che, basso e pelato, cammina veloce sulle sue gambette, seguito senza problemi da Gilad. Anche lui porta il simbolo dei Cavalieri, un drago stilizzato cucito sulla manica della casacca rossa che indossa. Del suo drago vero, Ebillan, non c’è traccia.
“Allora Maestro?” chiede, impaziente. “Oggi che si fa?”
Il suo mentore si gira verso di lui e non c’è tenerezza negli occhi grigi, freddi come il ghiaccio sporco e altrettanto insensibili.
“Tu dovresti imparare ad avere pazienza. Quando sarà ora, vedrai.”
Gilad si zittisce e i due camminano ancora per un po’, allontanandosi dal centro della città e dirigendosi verso la periferia, circondata da prati. Il ragazzo pensa che vorrebbe solo una parola gentile dal suo Maestro, Ser Lionel, che è così diverso da suo padre, Ser Gawain.
È da un anno che non torna a casa al palazzo dei Cavalieri dei Draghi, impegnato com’è a seguire Ser Lionel in giro per la nazione. Gli manca tutto molto. Gli mancano i suoi amici e gli manca soprattutto Elaine, visto che la cotta che aveva per lei non è per niente passata ma anzi, sembra essere peggiorata. Ed è un problema, perché i Cavalieri non possono avere relazioni: è proibito.
Gilad non capisce che cosa ci possa essere di così pericoloso nell’amore per un’altra persona da doverlo vietare. Poi pensa che lui tecnicamente non è ancora Cavaliere dei Draghi, quindi la regola non si applica ancora a lui. È un pensiero che lo tira sempre un po’ su.
È su questo che sta riflettendo quando finalmente arriva in prossimità di una collinetta, al di sopra della quale sta una piccola casa. Ser Lionel è uno dei pochi Cavalieri che ha deciso di non vivere nel palazzo del re ma in un altro posto, lontano dalla vita di corte e da tutti i suoi problemi, lontano soprattutto dalle altre persone.
Ha sempre vissuto in solitudine fino a che non è stato assegnato come Maestro a Gilad, che non capisce il motivo di tutta la sua sfortuna. Non poteva essere lo studente di qualcuno di più normale?
Fuori dalla casa c’è Tevala, l’enorme dragonessa di Ser Lionel. Ha delle lunghe cicatrici sul muso, segno di quando ha dovuto combattere con il suo Cavaliere contro i draghi selvatici che anni prima avevano seminato fuoco e terrore sulle città. Vicino c’è Ebillan, accucciato all’ombra di Tevala, con il collo sulle zampe anteriori e le ali chiuse. Anche lui è cresciuto negli anni, ma non ha ancora raggiunto le dimensioni della dragonessa.
“Allora, Gilad,” incomincia Ser Lionel, rivolto al suo allievo. “Mi sembra che Ebillan sia diventato abbastanza grande per poterlo cavalcare, che ne pensi?”
Nel sentire il suo nome il drago apre gli occhi e fissa il suo Cavaliere, che al momento è talmente in preda all’euforia che non sa nemmeno cosa dire. Gli scappa un movimento concitato di approvazione con la testa e quasi non sente gli ordini che gli sta dando Ser Lionel per iniziare a preparare la sella e i finimenti.
È la prima volta che vola, in assoluto. Un drago non permette ad altri che al suo Cavaliere di montarlo e, anche se era il figlio di Ser Gawain e conosceva molto bene Druso, nemmeno con lui si era mai spinto a tanto. Quando finalmente finisce di legare le cinghie dei finimenti ha le mani che gli tremano. Ser Lionel controlla che tutto sia legato e messo al posto giusto e solo quando ne è sicuro gli permette di salire in groppa al suo drago, che è emozionato tanto quanto lui. Continua a sbuffare fumo azzurrino delle narici e allora Tevala gli dà un colpetto col muso, per tranquillizzarlo e per impedirgli di mandare a fuoco tutta la collina e la casa.
Ser Lionel salta in groppa a Tevala e quando dà il segnale per decollare Ebillan si lancia con tutte le sue forze verso il blu del cielo del pomeriggio, spalancando le ali, con il drago più grande di fianco a lui.
Gilad ha le mani strette sulle redini attorno al collo del drago, che in teoria gli servirebbero per dare la direzione, ma è troppo agitato anche solo per ricordarsi come si fa. Il decollo è brusco e l’aria è fredda e feroce contro il suo viso, ma lui non chiude nemmeno per un secondo gli occhi, vuole godersi ogni istante del suo primo volo.
La terra si allontana dalla sua vista in modo vertiginoso e il verde del prato è sempre più distante. La città si rimpicciolisce, così come le case, le persone, i carri, le vie, i fiumi. Quando Tevala decide che sono saliti abbastanza si ferma, immediatamente seguita da Ebillan e con grande gioia di Gilad. Fa freddo lassù e lui sbadato com’è si è dimenticato di mettersi qualcosa di più pesante, ma anche questo non gli interessa.
Dà una pacca sul dorso di Ebillan e il drago ruggisce sputando fuoco azzurro, felice di quello che sta vivendo. Gilad riesce a capire in ogni momento quello che il suo drago prova, così come il drago capisce lui. Non comunicano veramente, ma per loro non sono necessarie le parole. Dall’alto vedono il sole tramontare e le stelle sorgere, volando su terre coltivate, su castelli e su laghi, incontrando qualche altro Cavaliere diretto verso chi sa dove. È bellissimo e Gilad vorrebbe farlo per sempre. Spalanca le braccia, ridendo, tenendosi stretto con le ginocchia, respirando l’aria pulita di lassù, godendosi il lento ondeggiare del volo. È presto quando Ser Lionel dice di atterrare, e Gilad apprezza ogni istante della lenta discesa che lo riaccompagna fino a terra. Sia lui che Ebillan sanno che potranno tornare nel cielo ogni volta che vorranno.
 
La donna non toglie lo sguardo dalle pupille di Gilad, continuando a vedere quello che hanno da mostrarle. Non sa perché lui lo fa, ma è disposta a guardare tutto quello che ha da offrirle.
 
Gilad ha diciott’anni ormai ed è all’interno di quella che sembra una chiesa, vestito di una tunica bianca. Ha tagliato di nuovo i capelli che, corti, gli incorniciano il viso, donandogli di più rispetto a tre anni prima.
Gli occhi sono sempre gli stessi, come le ciglia lunghe, ma lo sguardo ha perso tutta la dolcezza che aveva da bambino. È un uomo ormai e ha lo sguardo serio che gli adulti, secondo lui, devono avere. La barba che voleva disperatamente a quindici anni gli circonda curata la mascella. È cresciuto ancora e il suo corpo si è modellato per gli incessanti allenamenti che ha dovuto fare in quattro lunghi anni. Vicino a lui ci sono i suoi amici e Safir ogni tanto gli dà una gomitata, incapace di trattenere l’emozione esattamente come tanti anni prima nella stalla.
I suoi occhi però sono tutti per Elaine, che è ormai diventata una donna. Ha ancora la stessa treccia che portava quando erano bambini ma i capelli neri si sono allungati e sono molto più curati, le incorniciano il viso.
Gli occhi grigi gli sorridono felici, brillando sul viso pallido e illuminandolo. Si sono rivisti il mese precedente dopo anni e Gilad non sa bene come, ma qualcosa è scattato. Hanno passato le serate prima a parlare e a raccontarsi le loro vite, poi a baciarsi e a fare l’amore. Gilad non sa cosa sarà di loro dopo l’investitura, ma sa che la ama e la amerà sempre.
Lui e i suoi amici hanno aspettato pregando tutta la notte e tra pochi minuti, con il sorgere del sole, il re e i loro Maestri entreranno nella chiesa per nominarli Cavalieri dei Draghi. Non vedono l’ora di poter finalmente coronare il loro sogno e il tempo della loro attesa sembra dilatarsi. Dopo quelle che sembrano ore si spalancano le porte di legno e la cerimonia di investitura ha inizio. Ognuno di loro viene nominato Cavaliere dal proprio insegnante e Gilad è contento quando vede Ser Lionel sorridergli, mentre lo tocca con la punta della spada. Ha imparato a voler bene a quell’uomo silenzioso e scontroso, ed è felice di averlo reso fiero di lui.
Ser Gawain è dietro al re, con le lacrime agli occhi. Ci sono striature grigie nei suoi capelli e non è più l’uomo forte che era un tempo, ma è emozionato nel vedere il figlio che diventa un vero Cavaliere. Gilad non sente quasi le parole che il re rivolge loro al termine della cerimonia talmente è incredulo di aver finalmente coronato il suo sogno.
Tutto il resto continua come in un sogno. Il suo Maestro gli regala una bellissima spada a due mani, forgiata appositamente per lui. Suo padre gli porta una sella e dei finimenti fatti in cuoio pregiatissimo, modellati sulle misure di Ebillan.
Quando però tutti sono ormai pronti per andare via a festeggiare il re dà una brutta notizia: i nuovi Cavalieri devono tutti partire per andare in missione fuori dal regno e nessuno di loro sa quando e se potrà tornare a casa. Ognuno si veste con la propria armatura, saluta i propri amici e il suo Maestro ed esce dal suo drago, pronto per partire.
Gilad sperava di poter finalmente stare a casa sua con suo padre, di potergli raccontare tutto quello che aveva vissuto fino a quel momento, invece deve andare via di nuovo. È triste, sì, ma in qualche misura è consapevole del fatto che quella è l’esistenza che si è scelto per sé. Da quel momento in avanti non avrebbe più avuto una vita sua perché l’aveva donata al re, ed era il re a decidere cosa farne. Fuori dalla chiesa prende Elaine per un braccio e le dà un bacio, lungo e passionale. Ha capito che è l’ultimo che si scambieranno, che da quel momento le loro vite cambieranno per sempre, ed è sicuro che anche Elaine lo sa. Le augura buona fortuna, sale in groppa ad Ebillan e parte, diretto verso i confini del mondo.
 
L’immagine nelle pupille sfuma per l’ennesima volta…
 
Gilad ha vent’anni ed è diventato l’uomo che la donna ha davanti. Ha passato i precedenti due anni ai confini della nazione, regolando gli affari del re. Ha portato a termine innumerevoli missioni, è tornato a casa poche volte e per poco tempo in tutti quei mesi. È felice della sua vita e nei suoi viaggi ha conosciuto persone da tutto il mondo: ha trovato nuovi amici e nuovi amori, e ha scoperto che le regole dei Cavalieri non sono poi così rigide come questi vogliono far credere.
Un anno prima suo padre, Ser Gawain, è morto. Era andato nella nazione di Saeris in qualità di ambasciatore per risolvere degli affari per il re, che riponeva molta fiducia in lui. La carica ufficiale però non l’aveva protetto dalle lame nascoste nel buio, e tre giorni dopo il suo arrivo era stato ferito mortalmente dai sicari del sovrano straniero. La guerra era scoppiata in fretta e lui era stato riportato a casa appena in tempo da Druso, il suo drago.
Gilad aveva sofferto molto per la sua morte, non gli avevano dato sollievo né le esequie ufficiali né il dolore evidente del re. Per fortuna Ebillan era sempre stato al suo fianco, senza lasciarlo mai. Il legame tra loro due era diventato ancora più forte e in quel momento, finalmente, stavano volando verso casa dalle terre di confine. Era diventata una sua abitudine quella di osservare il panorama sotto lui, mentre volava, e quel giorno non faceva eccezione. Sotto di lui corrono pianure, fiumi, montagne e case.
Erano in volo ormai da quattro giorni e avevano fatto numerose soste lungo il tragitto per riprendersi dalla fatica del viaggio. Dalla capitale poi, dopo qualche giorno di riposo e di preparazione, sarebbero ripartiti per andare al fronte. Sarà la prima guerra che combatteranno e sono entrambi sia spaventati che eccitati, anche se non lo danno a vedere.
La paura maggiore però è quella di vedere morire l’altro e di sopravvivergli: capiterà prima o poi, visto che la vita dei draghi è più lunga di quella degli uomini. I Cavalieri che hanno visto la morte del loro compagno dicono che tutto il tempo che rimane da vivere è come vissuto a metà e Gilad ha paura di ritrovarsi solo. Mentre stanno volando verso casa a un certo punto Ebillan inizia ad agitarsi e ad abbassarsi di quota.
Gilad non capisce cosa stia capitando e non vede bene, mentre la vista del drago è sempre stata più acuta della sua. Solo quando si sono ulteriormente abbassati inizia a capire: un gruppo di uomini sta assalendo una donna, sola, che cerca di difendersi come può. Uno dei compiti dei Cavalieri è difendere i deboli, e senza dubbio quella donna rientra nella categoria. Fa capire ad Ebillan di continuare a scendere, fino a quando entrambi non atterranno al suolo.
 
La donna capisce che la persona che sta vedendo nelle pupille dell’altro non è nient’altro che lei stessa. Riconosce i suoi capelli biondi striati di grigio e soprattutto riconosce gli uomini che poco prima l’hanno assalita. Non sa come mai, probabilmente cercavano dei soldi o del cibo e avevano intenzione di rapinarla, ma se non fosse stato per il giovane Cavaliere sceso dal cielo a dorso di drago probabilmente l’avrebbero uccisa. Non distoglie lo sguardo e continua a guardare negli occhi di Gilad.
 
Gli uomini sono messi in fuga da Ebillan e la donna viene lasciata per terra tremante, con un sopracciglio spaccato e il viso gonfio per le botte. Gilad si avvicina a lei, ma la donna abbassa lo sguardo e cerca di scappare, arretrando mentre striscia al suolo. Sembra avere più paura di lui che degli uomini di prima, e non capisce perché.
Le si avvicina ancora di più, cercando di farle capire che non è pericoloso, spiegandole che è un Cavaliere e che i Cavalieri difendono la povera gente. Le porge la mano e la donna, sempre con gli occhi bassi, la afferra per tirarsi su. Solo allora alza lo sguardo fissandolo negli occhi, e Gilad automaticamente fa un passo indietro, spaventato. Ebillan poco distante soffia fuoco dalle fauci e si alza sulle zampe posteriori, agitando le ali, sconvolto quanto il suo padrone dalla stranezza di quella donna.
Lei non prova nemmeno a scappare, sa che non potrebbe competere con la velocità del drago e che ritarderebbe solo di poco il suo destino. Gilad è sconcertato da quello che sta vedendo: sa che esistono persone come lei, gliene hanno parlato nel corso degli anni, ma non ne ha mai vista una. L’ha sempre considerata come una di quelle leggende che servono a spaventare i bambini anche se sa benissimo che, quando nascono persone così, i Cavalieri vengono mandati a ucciderli. È un lavoro orrendo, ma serve per salvare tutta la nazione dal pericolo che questi mostri potrebbero comportare se cresciuti. Ed ecco qui, davanti a lui, una donna scampata alla morte e che sta rubando ogni respiro, ogni suo attimo in vita.
Gilad decide di non scappare perché, dopo il primo istante di paura e repulsione, questi sentimenti sono spariti dal suo animo lasciandoci solo curiosità. Curiosità per l’ignoto, per lo stravagante, per il mostruoso, per il diverso. Chissà come vede il mondo quella donna? Chissà come ha fatto a sopravvivere fino a quel momento? Lui non può saperlo, a meno che lei non glielo racconti. Ed è assurdo per lui pensare che esista qualcuno di così insondabile e misterioso nel suo mondo. Dovrebbe ucciderla, lo sa benissimo. Così come lo sa la donna stessa, glielo legge, unica cosa, negli occhi. Ma non ha intenzione di farlo.
 
Perché? La donna non lo sa e non è sicura di volerlo sapere.
Si era quasi abituata all’idea di dover morire per mano di quel ragazzo e del suo drago, e in fondo ne era quasi felice. Aveva conosciuto la sua storia, sapeva che era una brava persona e che si sarebbe portato dietro il ricordo di lei e della sua maledizione per tutta la vita. Si riabitua al pensiero di poter continuare a vivere, ma non è sicura di esserne felice.
Sono vent’anni ormai che vaga per quelle terre da sola, senza nessuno con cui condividere le sue pene e quel ragazzo avrebbe potuto darle l’opportunità di rincontrare suo marito, sempre che gli Dei possano darne la possibilità a una come lei. Spera di poter rivedere anche suo figlio, che non ha mai più trovato e che ormai crede essere morto. Lo cerca ancora solo perché è testarda e non vuole arrendersi all’evidenza.
Guarda ancora una volta il ragazzo e fa per andarsene, girandosi, quando sente una mano prenderle il braccio, in una stretta delicata ma sicura, che non accetta un no come risposta.
“Aspetta.”
Ha una voce calda e bassa, che rimbomba all’interno delle sue orecchie. Si gira di nuovo verso Gilad non sapendo cosa aspettarsi quando le pupille di lui si animano per l’ennesima volta, pronte a raccontare l’ennesima storia.
 
Gilad ha diciannove anni e sta volando a tutta velocità verso la capitale. Ebillan sotto di lui batte le ali con quanta forza possiede perché devono riuscire a tornare a casa in tempo, a tutti i costi. Pochi giorni prima è arrivata una lettera, con sigillo reale, in cui si spiegava della ferita di Ser Gawain e dell’impossibilità della sua guarigione. L’uomo sta morendo e desidera rivedere il figlio per l’ultima volta.
Gilad piange mentre vola e le lacrime di dolore si mischiano a quelle che il vento gli strappa dagli occhi. Ebillan sotto di lui è addolorato per il suo amico e per l’uomo che gli ha fatto da padre, un lamento gli esce continuo dalla gola.
Sono tre giorni che volano riducendo al minimo le soste e sono entrambi sfiniti, continuando solo perché non possono permettersi di arrivare tardi. Mancano poche miglia alla residenza dei Cavalieri, dove Gawain li aspetta per l’ultimo saluto. Gli ultimi minuti di volo sono per entrambi un’agonia, ma finalmente riescono ad atterrare e Gilad salta giù dalla groppa di Ebillan, dirigendosi di corsa verso la camera del padre.
Tutti sanno che cosa sta succedendo e nessuno lo ferma. Gilad non sa davvero cosa sarebbe capace di fare in un momento come quello se qualcuno si mettesse sulla strada. Si precipita per le scale e arriva davanti alla porta della stanza, dove ci sono due soldati del re di guardia. Lo riconoscono e lo fanno passare nella piccola camera, senza dire una parola.
La stanza è in penombra e nonostante il sole di luglio sia caldo, lì dentro il fuoco del camino è accesso. L’aria è afosa e si fa fatica a respirare. Sul piccolo letto Gawain è sepolto sotto le coperte, incapace di scaldarsi. Dall’enorme terrazzo della stanza si affacciano Druso ed Ebillan, che vegliano l’uomo e aspettano l’inevitabile. Entrambi continuano nel loro lamento, che sembra sempre più simile ad un canto.
Gilad si avvicina al padre e si spaventa di vederlo così pallido e così dimagrito, perché vede confermate le sue paure peggiori: per tutto il viaggio aveva sperato che la lettera raccontasse una storia diversa dalla realtà, che Gawain si potesse in verità salvare. Non è così, e mentre si inginocchia al capezzale del padre Gilad sorride ma non riesce a trattenere le lacrime. L’uomo gli accarezza teneramente la testa e inizia a parlare.
“Vedi come mi sono ridotto?” ride, e tossisce insieme. “Sono proprio diventato un vecchio. Come stai bambino mio?”
Ha una voce flebile, così diversa dal rombo di tuono a cui Gilad è sempre stato abituato.
“Bene, sto bene. Vedi che starai bene anche tu, tra poco. Tornerai a mangiare, a camminare e a volare su Druso.”
È la prima volta in tutta la sua vita che non gli dà del voi onorifico ma del tu, forse perché vuole averlo il più vicino possibile. Gawain sorride e la pelle sembra fatta di cera.
“I Cavalieri non mentono, lo sai. So che sto per morire, e mi va bene così,” si interrompe per tossire e sputa sangue. “Sono felice della mia vita e di quello che ho fatto. L’unico mio rimpianto sarà lasciare te e Druso, e abbandonare questo mondo in estate, nel suo momento più bello. Ma se ti ho fatto venire qui, oltre che per salutarti, è perché ti devo raccontare una cosa. Non sono mai riuscito a dirtelo perché mi ripetevo che eri troppo piccolo per ricevere un fardello così, ma ormai sono anni che non ho più scusanti e adesso non ho più tempo. Spero che continuerai ad amarmi come prima.”
Gilad è stupito da quello che il padre gli sta dicendo, ma è sicuro che niente potrà cambiare l’affetto che ha per lui, mai. E glielo dice, perché non vuole che lui muoia pensando che non è più amato.
“Bene” commenta suo padre, rilassandosi, cercando di tirarsi su dal letto.
Gilad lo aiuta, e quando lo sente tranquillo si sposta e lo lascia parlare.
“Ho solo una richiesta da farti: fammi raccontare tutto fino alla fine. Non interrompermi, per favore. Poi potrai dirmi tutte le cose che vorrai, chiedermi qualunque cosa. Insultarmi, se ne sentirai la necessità. Ma per favore, ascolta tutto quello che ho da dirti. È l’ultima occasione che ho.”
Gilad annuisce, impensierito e spaventato. Cosa gli dovrà mai dire di così spaventoso?
“Vent’anni fa ero già uno dei Cavalieri prediletti del re. Avevamo frequentato l’Accademia insieme ed eravamo diventati amici, ci confidavamo ogni cosa. Ogni problema che avevamo, ogni dubbio che ci attanagliava, sapevamo che l’altro ci avrebbe consigliati ed ascoltati. Un giorno il mio amico venne da me. Era pallido e palesemente preoccupato, non smetteva di torcersi le mani. Non sapeva cosa fare. Gli chiesi di parlarmi del suo problema e, mentre ascoltavo le sue parole, il gelo si faceva strada dentro di me. Ai confini del regno era stata scoperta una donna che portava i segni della mostruosità, le cui pupille erano immobili e imperscrutabili. Come fosse scampata alle nostre ricerche e sopravvissuta fino all’età adulta era un mistero, ma adesso che era stata scoperta doveva venire eliminata. Il re sapeva meglio di me che persone così sono un pericolo per tutti noi, così mi chiese di mettermi subito in viaggio verso il paese dove quella donna abitava, per distruggere quell’abominio in segreto. Purtroppo, arrivai tardi. Gli uomini della cittadina, che avevano denunciato la sua mostruosità, avevano già deciso di farsi giustizia da soli. Quando entrai nella casa trovai il corpo della donna riverso, insanguinato. Vicino a lei c’era quello che doveva essere suo marito, morto. Nessuno e niente si era salvato dalla furia di quegli uomini, che posso comprendere anche se non condivido. Stavo per andarmene, quando un pianto di bambino lacerò l’aria.”
Gilad trattenne il fiato, capendo dove il padre stava andando a parare. Non voleva sentire altro, ma ormai aveva promesso. Avrebbe voluto fare come faceva da piccolo, quando si tappava le orecchie per non ascoltare i rimproveri di Gawain.
“Iniziai a cercare il bambino per tutta la casa quando finalmente, nascosto dentro una cassapanca, lo trovai. Doveva essere affamato e piangeva disperato, agitando i pugnetti davanti al viso. Era un maschietto. Gli guardai gli occhi e sospirai di sollievo quando vidi che le pupille si animavano ad ogni pensiero. Decisi di portarlo con me, e di allevarlo come se fosse figlio mio. Eri tu quel bambino, Gilad. E devi sapere che per me non sei altro che mio figlio, non sei di nessun altro. Non avrei mai potuto amarti di più.”
Gilad tace, schiacciato dal peso della verità.
È tutto troppo grande per lui e non è sicuro di riuscire ad accettare, non subito almeno. Non ha più niente. La sua identità, i suoi affetti, il suo mondo: tutto sbalzato via. Non sa che cosa ha spinto il padre a parlarne, ma è sicuro che avrebbe preferito non sapere niente. L’ignoranza in cui aveva sempre vissuto fino a quel momento gli andava bene, la sua vita non avrebbe potuto ricevere benefici da quella scoperta. Era stata un’azione inutile, dettata dall’egoismo di un vecchio morente.       Era il figlio di un mostro.
“Lo so che è difficile per te,” continua Gawain. “Ma è giusto che tu sappia chi sei. Non potevo morire con questo peso sulla coscienza.”
“Io… io non so cosa dire” gli risponde Gilad.
“Non dire nulla. Pensa a quello che hai ascoltato e sono sicuro che prima o poi troverai il modo per conciliarlo con quello che sei. Sei intelligente e sei una brava persona: questo ti rimane qualunque siano le tue origini, ricordalo sempre.”
Gilad piange e le lacrime scorrono veloci dai suoi occhi, cadendogli sulle mani.
“Quando ti ho trovato in quella cassapanca avevi questo vicino,” gli dice Gawain, porgendogli un piccolo cavallo intagliato nel legno. “Vorrei che lo tenessi tu.”
Gilad continua a piangere ma riesce a sollevare lo sguardo, vedendo a malapena attraverso la barriera di lacrime. Afferra il cavallino con presa debole e vorrebbe solo scagliarlo fuori dalla finestra, lontano dal suo sguardo.
Gawain si abbandona contro i cuscini, piangendo e tenendo una mano sulla testa del ragazzo.
“Ho ancora il tuo amore?” gli chiede, con la voce affaticata.
Gilad in un primo momento non sa cosa rispondere. È arrabbiato con lui, quello sì, ma decide di tacere per non dire cose di cui poi si potrebbe pentire. Pensa a tutto quello che quell’uomo gli ha dato, a quello che è stato per lui, a ogni suo insegnamento. Possono davvero scomparire davanti a quello che ha scoperto? Gilad ha sempre saputo che Gawain non è il suo vero padre, ha solamente cambiato una madre sconosciuta con un’altra. Gli vuole ancora bene, quello è certo, ma prima che riuscirà a capire e perdonare tutto ci vorrà tempo, e sa che Gawain questo lo comprenderà.  
“Si, padre,” gli risponde. “Hai ancora il mio amore.”
E guardandolo negli occhi sorride.
 
La donna sbarra gli occhi, allucinata. Non dice una parola, non fa un gesto, non si muove. Con un gesto lento, come se non volesse spaventarla, Gilad tira fuori dalla sacca che porta legata alla cintura il cavallino di legno che lei ha visto nei suoi ricordi. Lui glielo porge e lei lo prende, con timore reverenziale. E lo riconosce.
È lo stesso cavallo che suo marito aveva intagliato per il loro bambino e che lei aveva dipinto di un bel marrone, caldo, che con il tempo si è grattato via. Si ricorda di averlo messo nella cassapanca vicino a suo figlio quel giorno, così che se si fosse svegliato magari si sarebbe calmato alla vista del gioco preferito.
La donna alza lo sguardo e non ci crede di non averlo riconosciuto, di non aver riconosciuto suo figlio. Percorre di nuovo il suo viso, questa volta con l’orgoglio di una madre. È felice di vederlo bello, sano, forte. È felice di vederlo vivo e di sapere che ha avuto un’infanzia lontana da lei ma comunque piena di amore. È felice di averlo trovato ma, soprattutto, è felice che lui non abbia la sua maledizione. Gilad rimane in piedi davanti a lei senza accennare a muoversi e c’è solo un’ombra di curiosità nel suo sguardo.
La donna alza timidamente una mano e gliela posa sulla guancia, mentre Gilad chiude gli occhi e sorride. Non sanno esprimere che cosa stanno provando: paura, gioia, curiosità, sconcerto, malinconia, stupore, nostalgia per qualcosa che non hanno mai avuto. Ed è solo quando il ragazzo si abbandona alla carezza della madre che una lacrima solitaria percorre il viso di lei, per poi infrangersi a terra.
 
 
 
   
 
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