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Autore: ClaryWonderstruck    06/01/2016    3 recensioni
[... Nel vederla impassibile ed incredibilmente inespressiva, ebbe un tremito percorrergli il petto ansimante, turbando la gioia di averla ritrovata con l'angoscia di aver tardato troppo. Temeva non fosse più lei.
Eppure era lei : le ciocche color fragola, le labbra rosate e carnose, il colorito pallido e delicato ... ]
Genere: Introspettivo, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lydia Martin, Scott McCall, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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~Acid Injection ~






Lydia era stesa supina col capo leggermente chinato sul cuscino logoro, coperta blandamente da una mera stoffa di cotone, che macchiata da alcuni schizzi di sangue oramai rappreso, le riscaldava unicamente le caviglie. Questo s'era solidificato assumendo una tinta tendente al marrone sporco, quasi incrostato, che le imbrattava il collo partendo dalla cicatrice all'attaccatura dei capelli.
La fluente e singolare chioma tanto curata e tanto disprezzata, ora giaceva sparsa e sfibrata, raggomitolata come una tela di ragno impenetrabile. Peccato che Lydia non fosse più in grado di accorgersene.
 Ella osservava lo spazio della sua cella ospedaliera con occhi vitrei e spenti, ravvivati dall'unica fioca luce proveniente dai corridoi estremamente desolati.                                                                                                            
 Non socchiudeva le palpebre; non osava muovere un singolo muscolo del proprio corpo devastato.                                      
  Se ne stava immobile e silenziosa, a tratti alzava il petto per boccheggiare, ma agiva con il solo scopo di mantenersi in vita e nulla più.
Se ancora poteva considerarsi viva.
Le avevano estratto qualcosa dal cranio con un marchingegno dentato d'utilizzo "medico", tentando di stimolare un approccio brutale con la sua assopita coscienza. Tuttavia l'esperimento s'era rivelato non solo fallimentare, ma assolutamente disastroso, in quanto scatenò quel crudele silenzio follemente interminabile. Lydia aveva un buco in testa, un maledetto sfregio avido di raziocinio, che col tempo stava divorando il suo buon senso, intaccando qualsiasi cosa la rendesse umana.                                                                                                      
  I segni vitali che ostentava non facevano altro che acutizzare il dolore, la follia ed infine la solitudine. Nessuno era ancora riuscito a tirarla fuori da quell'inferno, e la stessa vocina affievolita nella sua mente iniziava a dimenticare cosa stesse accadendo realmente, rendendola un involucro scarno e privo di emozioni.
Furono i sensi a venir meno per primi, come del resto le articolazioni ed i pensieri svincolati dal suo volere addormentato.                                                                                                                                                                    
E quando uno sprazzo di luce riusciva a penetrarle con forza dentro, il dolore tornava atrocemente scorticandole le membra come un acido corrosivo.                                                                                                              
Un acido che le pulsava tra le vene, alimentando lo scheletro della Echo House ed i suoi spietati schiavi, definiti in altro modo medici.
 Il corpo della Banshee viveva nei luridi sotterranei del mattatoio, celato agli stessi pazzi che la struttura teneva in cura da molto più tempo. Era il trattamento speciale offerto agli esseri sovrannaturali, come le iniezioni dal dubbio contenuto e le torture immani applicate senza alcuna considerazione del dolore.
Certi momenti sentiva il tessuto del cuscino bagnarsi, capendo d'aver pianto senza ricordarne la motivazione effettiva.
Era stupido, credeva, sorridendo imbambolata ad i conversatori che la sua mente aveva costruito per lei.
L'alternativa consisteva nell'infilzarsi con il primo oggetto contundente e lasciare la morte spezzare lo strazio.
 
 
Un giorno impreciso, perso nelle lancette del tempo, i suoi occhi spenti percepirono la brusca accensione delle luci circostanti, azionate con un rumoroso scatto del sistema elettrico posto tra le fetide pareti oltre la gabbia. Non capiva bene come si chiamava, figurarsi distinguere suoni e colori differenti.
Ma Stiles lo ricordava perfettamente il suo nome, e senza ombra di dubbio avrebbe mostrato la pazienza di ripeterlo ogni qual volta Lydia gliel'avesse domandato.
 Tuttavia neppure Stiles s'aspettava d'assistere al ritrovamento di una ragazza così appassita da respirare per puro caso.
Correvano tremolanti le sue dita sugli interruttori del posto, terrorizzate da ciò che i suoi occhi avrebbero dovuto sopportare. Rischiò di infiammare una delle sue amate felpe tanto era la frenesia del momento, che lo spingeva ad agire con una rapidità disarmante.                                                                                                                
 Non appena riuscì nel suo compito, si scagliò contro le sbarre metalliche che tenevano rinchiusa la sua Lydia, calciandole ferocemente svariate volte.
Era dentro. Mortificato, fradicio ed esausto, ma finalmente con lei.
Nel vederla impassibile ed incredibilmente inespressiva, ebbe un tremito percorrergli il petto ansimante, turbando la gioia di averla ritrovata con l'angoscia di aver tardato troppo.
Temeva non fosse più lei.                           
 Eppure era lei : le ciocche color fragola, le labbra rosate e carnose, il colorito pallido e delicato.
Stiles affondò le dita nei capelli della giovane, accarezzandole il volto gelato con una delicatezza disumana. L'osservava intriso di colpa ed imbevuto di sentimento. Quasi balbettò nel pronunciare il suo lineare e sospirato nome.                                                                                                                                                     
   Non gli importava granché della sua apatica espressione, né del suo sguardo volutamente distolto e sbarrato. L'aveva disperatamente cercata per mesi e mesi, incapace ed impotente di agire data la sua semplice forma umana, e vederla lì con lui gli era sembrato il miracolo che nessuno gli aveva mai concesso. Poi la prese a sé, trascinandola fuori dall'inferno come zampilli d'acqua sgorgano liberi nello scrosciare di una cascata.
Il perimetro dell'edificio era stato circondato da ambulanze e macchine della polizia, esitanti come i familiari della ragazza d'aver sue notizie.
Quando Stiles sbucò improvvisamente con in braccio Lydia, in quella notte umida e densa di pioggia, i respiri si mozzarono sospesi nella meraviglia della vita.                                                                                              
 Trasportarono la ferita su di una barella all'interno dell'ambulanza, tra il caos più totale e le urla dei presenti. Stiles fu obbligato a lasciarsela strappare via, turbato e sollevato.                                                                                                 

  " Non diceva una singola parola, Scott, sembrava in uno stato di trance..." continuava a ripetere consolato lievemente dall'amico, il quale gli dava pacche rassicuranti sulla spalla.

 Neppure l'ottimismo di Scott riuscì a risollevarlo dal baratro della disperazione.

 " Sopravviverà, lo farà. È forte " disse una voce distante.
Stiles allora si voltò verso Parrish, il quale ancora tentava di convincersi della sua innocenza.                                   
Batteva il cranio contro la portiera della macchina, sapendo d'aver causato un bel disastro.

 " È forte? È FORTE ?!? Ha un dannatissimo buco in testa Parrish!" gridò Stiles scaricando tanta di quella furia cieca da impedire l'intervento di Scott. Sembrava completamente incontrollabile, un mastino sbrigliato pronto ad azzannare carne.                                                                                                                              
Fu Melissa a placare il veleno, facendo cenno al ragazzo di sostenere Lydia nel tragitto sino all'ospedale. Ovviamente si fiondò con impeto verso di lei.

Sedeva scomposto accanto il corpo della giovane, stabilizzato da respiratori e macchine di vario genere, mentre la madre di Lydia piangeva sommossa sulla barella.                                                                                 
   L'andamento dell'ambulanza s'accordava perfettamente con i battiti tumultuosi che gli infervoravano nel petto, implacabile e denso d'angoscia.
 Premette le mani sul volto sudato, quando sentì un suono flebile provenire dalle labbra di Lydia.                      
 Alzando lo sguardo la vide con la medesima espressione distaccata, tuttavia stava mormorando delle parole difficilmente comprensibili. Erano sospiri leggeri come note musicali.                                                                                  
Il metallo strideva contro l'asfalto e Lydia chiamava Stiles.
Ripeteva il suo nome assiduamente, sussurrandolo con un soffio fugace.

" Stiles..." Il ragazzo cadde sulle sue stesse ginocchia prendendole la mano sicuro.
 Lydia allora sorrise leggermente, spostando lo sguardo sulle dita sporche di Stiles, intrecciate tra le sue altrettanto logore. Fu un istante fin troppo veloce, ma abbastanza significativo da spezzargli il cuore. Avrebbe preferito ammirarla da lontano con quel suo atteggiamento adorante, piuttosto che tenerla accanto a sè in tali condizioni.
E lui l'amava così tanto, così catastroficamente e tenacemente.
Non sapeva se mai ne sarebbe uscita come la Lydia di un tempo, dal piglio determinato e schietto, ma l'avrebbe seguita ovunque, persino tra le ombre della morte e la follia.
Lei era la sua ancora, e lui sarebbe stata la sua fino alla fine dei suoi giorni.

 

“L'amavo a dispetto della ragione, a dispetto di ogni promessa, a dispetto della mia pace, a dispetto della speranza, a dispetto della felicità, a dispetto di ogni possibile scoraggiamento.” - Dickens
 
  
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