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Autore: alexis_heart99    06/01/2016    1 recensioni
- Non mi offri una sigaretta? - chiese con voce poco alterata.
- So che non ne hai bisogno. O, almeno, è quello che mi disse una volta Sherlock. - rispose Mycroft leggermente divertito. Greg sfregò le braccia turbato, e sentì i cerotti alla nicotina premere contro la pelle. Allora, tentò di restare al gioco.
- Fumi ancora come un adolescente. O, almeno, è quello che mi disse una volta Sherlock.
[Mystrade; post-reichenbach]
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lestrade, Mycroft Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autrice:
Salve a tutti ^^ questa è la mia primissima fanfiction, nata alle due di notte di qualche settimana fa, dopo un'assurda maratona di Sherlock e Doctor Who. Ci ho messo un bel po' per scriverla e aggiustarla. Per questo motivo ringrazio la mia Beta che ha più pazienza con me, che con il computer quando deve caricare Sherlock.
E' una post-reichenbach dal punto di vista di Mycroft e con un accenno di Mystrade che ogni tanto mi fa fangirleggiare quanto la Johnlock.

Disclaimer:
Questi personaggi non mi appartengono, ma sono di proprietà di Sir Arthur Conan Doyle, della BBC e di quel fantastico duo, composto da Moffat e Gatiss; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Vi auguro una buona lettura <3

 

 


Pioggia, sigarette, dolore.

 

Pioveva.
Ma, dopo tutto, non c'era nulla di cui sorprendersi: Londra era constantemente minacciata dal maltempo, perciò i suoi abitanti non si meravigliavano mai per qualche nube scura.
Neanche quell'uomo - così solo, sotto quell'ombrello - si lasciava buttar giù da un po' di gocce.
A Mycroft Holmes la pioggia non gli aveva mai suscitato granché. Lo lasciava del tutto indifferente. Le uniche cose fondamentali erano avere sempre il suo ombrello a portata di mano e mantenere una certa compostezza.
Compostezza che, in quel momento, tradiva tutto il suo dolore.
Era passato un po' di tempo da quando aveva ricevuto la notizia: quello sciocco di suo fratello aveva fatto di testa sua.
Si era ucciso, buttandosi dal tetto del Bart's. Aveva completamente e spudoratamente ignorato i piani che si erano accordati. Ma, in cuor suo, sapeva che l'aveva fatto, perché qualcosa era andato storto; ed effettivamente era stato così.
Jim Moriarty si era ammazzato. Era bastato un colpo di pistola per mandare all'aria tutto quanto. Settimane di riflessioni per fermare quello psicopatico, per salvare Sherlock e le persone che amava erano andate in fumo. Piani, scelte prese con difficoltà e preoccupazioni spazzate via come foglie nel vento da un pazzo e dalle sue idee folli.
Ed ora Mycroft Holmes si trovava sotto un acquazzone, simile al diluvio universale, con l'ombrello in una mano e una sigaretta nell'altra.
Aveva vagato per le vie della città senza una meta precisa e, quando ne aveva avuto abbastanza, si era fermato e aveva iniziato a fumare. In qualche modo voleva scappare e quello era l'unica soluzione che riusciva a concepire.
Sentiva che aveva bisogno di piangere, urlare, pestare i piedi per terra, colpire i muri a sangue. Eppure continuava ad ostentare un contegno degno del rango che ricopriva e della rigida educazione ricevuta durante l'infanzia.
Sapeva che quella non sarebbe stata la fine. Almeno, non per lui. Doveva continuare ad andare avanti come se non fosse successo nulla, perché i sentimenti potevano diventare un handicap pericoloso e lo avrebbero trascinato giù nell'abisso della pazzia come Moriarty aveva sperato.
No, non poteva permettere al cuore di giocare quella partita. Doveva rimanere lucido e mantenere la tacita promessa che aveva fatto al fratello: tenere al sicuro coloro che avevano avuto una certa importanza per Sherlock.
Sospettava, anzi ne era certo, che John sarebbe stato quello ad uscirne più sconfitto da questa storia. Sapeva anche che non doveva fare come lui. Soffrire ... non doveva soffrire. Avrebbe portato via tempo e non avrebbe per nulla giovato alla sua mente e alla sua vita.
Doveva restare forte, perché tutto sarebbe andato perduto e Sherlock sarebbe morto invano.
Tuttavia, anche lui era umano, in qualche modo provava emozioni, sensazioni e pensieri oltre quelle mura di indifferenza; e in quel preciso momento sentì qualcosa fremere dentro di sé. Una sensazione poco conosciuta, ma che stava facendo ritorno come una vecchia compagna di viaggio: la vendetta.
La sentì pulsare viva ed emanare un calore che lo riscaldò persino sotto la pioggia gelida. Comprendeva che con quel piccolo incentivo, nulla lo avrebbe più fermato. Avrebbe posto fine alla vita di qualunque scagnozzo di Moriarty, pur di vendicare la morte del fratellino, pur di alimentare il fuoco che ardeva dentro di sé. Nulla lo avrebbe più fermato dal compiere quello spietato massacro ...
Ad un certo punto Mycroft tornò alla vita. Con tutti i pensieri, che frullavano nella mente, non aveva notato che si era fatto buio e aveva già fumato tre sigarette. Era arrivato alla quarta, quando qualcosa, o qualcuno, lo tirò via dalle sue riflessioni per riportarlo alla realtà.
Una figura si stava avvicinando, ma, a causa della pioggia, non poté distinguere altro che la sagoma. Quando passò davanti a lui, si fermò e disse: - Mycroft.
Riconobbe la voce dell'uomo che, essendo senza ombrello, cercò rifugio sotto il tendone del negozio vicino a dove si era fermato per tutto il tempo.
- Ispettore Lestrade - replicò con freddezza, - Come mai da queste parti?
Non si sentiva in vena di fare conversazione, ma sarebbe stato poco educato ignorare qualcuno che aveva arrancato per ore, a quanto pareva dallo stato dei suoi vestiti, sotto quel tempaccio.
- Stavo tornando a casa - rispose l'altro con noncuranza.
Non fu così interessato dal chiedere perché non avesse preso un taxi, ma l'ispettore sembrò aver intuito ciò che passava per la testa dell'amico, perché aggiunse: - Avevo bisogno di schiarirmi le idee.
Mycroft non seppe cos'altro dire per tenere vivo il discorso, così si limitò a fumare e ad ascoltare il tintinnio della pioggia.
Scese un silenzio imbarazzante, sentito più da Greg che dall'altro. Non sapeva cosa dire o fare, e non voleva neanche lasciarlo lì su due piedi.
Aveva sempre provato un po' di soggezione verso quel personaggio così austero ed impeccabile nel suo completo costoso. Forse era dovuto al comportamento rigido o forse al fatto che riusciva a far pesare la sua presenza in una stanza; il punto era che Lestrade sentiva il costante bisogno di abbassare lo sguardo, tacere e non replicare.
In quella situazione capì di avere le mani legate. Doveva affrontare quel timore e smettere di comportarsi come un bambino. Perciò raccolse tutto il coraggio che aveva per scontrarsi contro quella paura.
- Non mi offri una sigaretta? - disse con voce poco alterata.
- So che non ne hai bisogno. O, almeno, è quello che mi disse una volta Sherlock. - rispose Mycroft leggermente divertito. Greg sfregò le braccia turbato, e sentì i cerotti alla nicotina premere contro la pelle. Allora, tentò di restare al gioco.
- Fumi ancora come un adolescente. O, almeno, è quello che mi disse una volta Sherlock.
L'altro rise con amarezza, passandogli finalmente il pacchetto e l'accendino, e Greg si unì a lui, un po' più sereno.
Cadde il silenzio, ma, questa volta, non fu impacciato come quello di prima. Non servivano parole per colmare la situazione, eppure Mycroft si sentì ancora obbligato ad aggiungere qualcosa.
Finì la sigaretta, la buttò e la schiacciò per poi deglutire. Infine chiuse l'ombrello, non curante degli abiti e del maltempo.
Voleva provare la sensazione della vulnerabilità, solo per un attimo sentirsi in difficoltà e lasciare che l'istinto facesse da sé. Voleva che la pioggia lo aiutasse a nascondere le lacrime che, a momenti, rischiavano di sgorgare come un fiume in piena. Voleva dare vita, una volta per tutte, a ciò che lo tormentava nella testa.
Sentì il pensiero trasformarsi in lettere, parole, concetti. Finamente, lo disse e capì quanto tutto ciò fosse reale e facesse male.
- Sherlock è morto.
Sembrò che lo avesse urlato, ma per Lestrade fu un sussurro, un sospiro a cui non si doveva dare peso. Invece lo fece, perché intuiva quanto fosse veritiera quella frase, in quanto Mycroft non si sarebbe mai comportato in modo così strano.
Non sapeva cosa fare o dire. Il cuore gli suggeriva di abbracciarlo, ma il cervello lo ostacolava. Era così impacciato, ma comprendeva che l'altro stesse soffrendo veramente. Gli posò una mano sulla spalla; gesto che non infastidì l'amico, anzi, gli diede abbastanza forza da non sprofondare nelle profondità della disperazione.
- Casa mia è qui vicino. Vieni, così bevi qualcosa. - disse con gentilezza.
Si incamminarono in silenzio e non proferirono parola. Giunti all'appartamento, Lestrade tentò di giustificarsi per il disordine, mentre si dirigeva verso la cucina. Invece Mycroft si accasciò su una delle poltrone del salotto, chiuse gli occhi e ascoltò i rumori provenienti dalla stanza accanto, cercando di non dar peso alla battaglia che infuriava dentro di sé.
Greg tornò con due bicchieri e una bottiglia di whisky, dedicata ad occasioni più felici di quella.
Ne versò per tutti e due e poi prese posto sull'altra poltrona, davanti all'uomo; e attese.
Non voleva mettergli fretta. Capiva che certe cose avevano bisogno di tempo per essere assimilate. In più era piuttosto difficile parlare di qualcosa che faceva male come la morte stessa.Perciò non emise neanche un suono, bevve il liquore e osservò con preoccupazione la guerra che si svolgeva dietro le palpebre chiuse.
Mycroft strinse con forza le mani ai braccioli e le nocche sbiancarono, poi disse di nuovo: - Sherlock è morto.
Voleva, anzi doveva, ripeterlo all'infinito, perché non riusciva a realizzarlo. Avrebbe avuto la verità sbattuta in faccia per mille volte, e per mille volte ancora non ci avrebbe creduto.
- Non ha seguito i piani. - finalmente aprì gli occhi e tutto quello che Greg vide fu un angelo spezzato, un bambino imprigionato in un corpo da adulto. Per la prima e ultima volta vide la parte più nascosta di Mycroft Holmes: l'infanzia e i ricordi dolorosi che ne conseguivano, l'adolescenza sprecata, il tempo perso, le speranze scomparse, i sogni frantumati, gli incubi rimasti. E tanti, tantissimi rimpianti collegati ad uno molto più grande, quello di suo fratello. Gli leggeva in faccia il rammarico di non aver fatto abbastanza, di non aver dimostrato affetto per Sherlock e di aver sprecato la sua vita nella totale indifferenza e nel disprezzo di ciò che lo circondava.
Aveva realizzato troppo tardi che non ci sarebbero state più possibilità per i fratelli Holmes e che nulla lo avrebbe riportato indietro.
Anche lui prese il bicchiere e continuò, cercando di assumere un po' di contegno e freddezza: - Jim Moriarty ha complicato la situazione, uccidendosi, e mio fratello si è sentito in dovere di infrangere le regole, di dire la sua per l'ultima volta. Anche se non è stato molto astuto buttarsi da un palazzo.
Lestrade quasi soffocò nella bevanda e sgranò gli occhi.
- Si è buttato?
- Sì, dall'ospedale del Bart's. John era presente, a quanto mi dicono.
Si appuntò mentalmente di chiamare più tardi l'amico, mentre chiese: - L'hai visto?
Fece no con la testa e poi disse con amarezza: - E' ironico il fatto che essere uno degli uomini più potenti della Gran Bretagna non sia abbastanza per vedere il corpo del proprio fratello. A quanto pare, nonostante ne abbia il pieno diritto, non mi è permesso.
- E tu come ti senti?
- Bene. - rispose l'altro automaticamente, ma, ovviamente, non era vero e chiunque l'avrebbe capito, perfino quella testa calda di Greg.
- Bugiardo. - replicò quest'ultimo, - tuo fratello è morto e tu non hai neanche la forza di piangerlo, di ammettere che hai sbagliato e che ora è finita per sempre. Perciò, Mycroft Holmes non mi mentire. O almeno non farlo a te stesso.
Non sapeva che cosa gli fosse preso. Di colpo aveva alzato la voce, sbattuto il bicchiere sul tavolo da tè vicino e si era messo in piedi. Era furioso, perché non riusciva a lasciarsi veramente andare. Non riusciva a togliersi la corona, ad alzarsi dal suo trono e ad essere umano, normale per un secondo.
Forse aveva esagerato, ma, per una volta, disse tutto quello che voleva dire e l'altro lo guardò fisso negli occhi. Lo stava analizzando come anche Sherlock soleva fare e, chissà perché, Greg Lestrade si sentì nudo davanti a quell'uomo di ghiaccio. Gli passarono alla mente migliaia di pensieri: giustificazioni per quello scatto d'ira, indizi che avrebbero aiutato l'analisi dell'altro e possibili segreti da svelare.
Si passò una mano tra i capelli e, imbarazzato, farfugliò: - Scusa, non volevo ...
Ma qualcosa catturò lo sguardo di Mycroft che, durante quella scenata, aveva esaminato la vita dell'uomo davanti a sé. Il tutto era durato una frazione di secondo, eppure i sintomi c'erano: voce incerta e quasi secca, pupille dilatate, mani sudate, guance arrossate, respiro e battito cardiaco accelerati.
"Impossibile" si disse. Poche volte dubitava delle sue deduzioni e sicuramente quella non era errata. Ma, nonostante ciò, non volle approfondire.
Sapeva che era arrivato il momento di andarsene. Avrebbe sperimentato quell'interessante, nuova realtà in un futuro prossimo. Ora doveva pensare a Sherlock e al fatto che - sì, era vero - lui non stava bene.
Posò il bicchiere, si alzò e si diresse verso l'uscita senza dire nulla. Però, un po' di curiosità restava e aveva leggermente voglia di tastare quel campo minato.
Tornando beffardo come sempre, disse sulla soglia della porta: - Ci vediamo, Graham.
L'altro non sembrò gradire molto l'uscita di scena e, con la rabbia che ribolliva ancora dentro di sé, si avvicinò e replicò: - Vedo che è un difetto di tutta la famiglia Holmes sbagliare con i nomi, con il mio nome. Non mi chiamo così, sai?
Era troppo facile; gli stava offrendo tutta la verità su un piatto d'argento e, sotto sotto, si stava anche divertendo un po'.
Gli si avvicinò a distanza allarmante e vide il panico nel volto dell'uomo.
- Lo so. - rispose, continuando a bruciare le distanze tra loro due, per poi sussurrargli all'orecchio: - Greg Lestrade.
Sottolineò il suo nome con calcolata accuratezza e sensualità, si allontanò un poco e tutto ciò che vide lo soddisfò. Infatti l'uomo si era sciolto nel sentirlo chiamare in quel modo, il suo cervello era andato in tilt. Non capiva più nulla. Percepiva solo le gambe molli e il caldo che, di colpo, era sceso in quella stanza. Voleva dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma, accidenti, tutto quello che fece fu sbattere le palpebre come un ebete e un perfetto idiota.
E mentre restava lì fermo, sulla porta di casa, a fissare un punto indefinito, Mycroft Holmes si allontanò con rinnovata soddisfazione.
Poi sentì il cellulare vibrare all'arrivo di un nuovo messaggio.

Spero che tu abbia finito di essere "consolato". Sono a casa tua.     SH

Sorrise, uscendo per le strade buie di Londra, e tutto quello che pensò fu ... "Bastardo".

 

 


Ed eccoci qua.
Spero che siate sopravvissuti a questa cosa che mi ha fatto sclerare un pochettino (come The Abominable Bride ... per i sette dei ho ancora i brividi!). Non so come sia uscita. Mi ricordo solo che stavo pensando "Che bella Londra sotto la pioggia" e da lì è partito tutto quanto XD
Perciò siate clementi con me (Stitch no cattivo, Stitch buono) e fatemi sapere cosa ne pensate con una piccola recensione. Vi ringrazio già in anticipo, anche solo per averla letta.

Alexis <3

   
 
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