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Autore: Chiccagraph    06/01/2016    2 recensioni
Quel sorriso. Quel maledetto sorriso che era comparso sul suo volto nel momento esatto in cui aveva capito i pensieri poco puri che stavano attraversando la sua mente, le fece venir voglia di prenderlo a schiaffi.
Prenderlo a schiaffi, sì.
Ma chi voleva prendere in giro, l’unica cosa di cui aveva voglia era premere il pulsante di arresto e saltargli addosso.
Non era un uomo, era una calamita umana.
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Addison Montgomery Sheperd, Mark Sloan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
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Era in giorni come questi che Addison si ricordava quanto odiasse vivere a Seattle, il che avveniva abbastanza spesso. Pioveva. Addison odiava la pioggia. Le ricordava quella notte con Mark a New York, Derek l’aveva buttata fuori di casa, sotto la pioggia, senza pensarci due volte.
Erano le sette di mattina, non aveva in programma nessun intervento nella giornata, ma Richard le aveva chiesto di venire di buon’ora in ospedale per seguire gli specializzandi della Bailey.
Miranda sarebbe rimasta a casa per seguire il figlio appena nato e lei avrebbe aiutato i suoi cinque stagisti in caso di bisogno.
Arrivò nel parcheggio dell’ospedale dopo quelle che le sembrarono ore, il traffico per le strade, dovuto alla pioggia, aveva contribuito a rovinare il suo umore già nero.
Possibile che con due gocce d’acqua nessuno sapesse più guidare?
Tirò il freno a mano e rimase per alcuni secondi a fissare con gli occhi i tergicristalli che spazzavano da una parte all’altre le gocce d’acqua dal vetro.
Continuò a seguire il loro movimento, quasi imbambolata.
Si mosse sul sedile lasciando cadere lo sguardo sul quadro del cruscotto: erano le 7.05
Sbuffò l’aria fuori dalla bocca che si addensò nella macchina andando a formare una nuvola di vapore.
Sfilò la chiave dal quadro spengendo il motore, che starnutendo gli ultimi colpi di benzina, si spense.
Rimase ancora a contemplare l’idea di fare retromarcia e tornare in hotel fingendosi malata, a breve i vetri si sarebbero appannati a causa della differenza di temperatura e nessuno avrebbe notato la sua presenza.
Proprio in quell’istante, in cui il suo desiderio stava prendendo forma, il suo cellulare lampeggiò segnalando l’arrivo di un messaggio. Prese quest’ultimo con la mano libera e lo sbloccò con un semplice gesto.
Il messaggio di Callie comparve sullo schermo:

-Smettila di nasconderti in macchina e sbrigati ad entrare che ho delle novità. Novità interessanti.-

Niente da fare, l’avevano beccata. I suoi piani di fuga erano andati in fumo.
Armata di santa pazienza e una buona dose di coraggio afferrò la borsa spingendola sotto il braccio per coprirla il più possibile con il cappotto e si preparò ad aprire lo sportello.
Corse dalla sua auto alle mura del Seattle Grace e,nonostante avesse percorso la distanza il più velocemente possibile, varcò la soglia dell’ospedale completamente bagnata. Le sue ciocche ramate erano gonfie d’acqua, il cappotto era completamente zuppo, come le sue scarpe d’altronde. Bagnata dalla testa ai piedi.
Se a causa della pioggia questa mattina il suo umore fosse cattivo, ora era decisamente pessimo.
Non c’era niente che odiava di più della pioggia. Niente.
Attraversò la hall dell’ospedale non rivolgendo la parola a nessuno, se solo gli sguardi avessero potuto bruciare, il Seattle Grace sarebbe andato a fuoco.
Sentì in lontananza il ding dell’ascensore che segnalava l’apertura delle sue porte.
L’ultima cosa che le serviva questa mattina sarebbe stato farsi cinque rampe di scale a piedi; affrettò il passo per raggiungere l’ascensore prima della chiusura delle sue porte.
Ce l’aveva fatta per un pelo!
Una volta dentro allungò il braccio per selezionare il piano e si accorse in quel momento che il pulsante sul quadro era già illuminato, segno inequivocabile che qualcun altro era in ascensore con lei. Qualcuno che per tutto questo tempo si era goduto la scena in religioso silenzio.
Si girò su se stessa pregando che non fosse Derek.
Le cose tra loro stavano andando bene ultimamente, i rapporti erano tornati a essere civili, se per civili si intendevano rapidi e fugaci saluti la mattina e la sera prima di andare via, o conversazioni puramente mediche qual’ora si trovassero a lavorare sullo stesso caso. Almeno in pubblico sembravano andare d’accordo come un tempo.
Questo però non toglieva il fatto che condividere con il suo ex-marito le corse in ascensore, completamente soli, non fosse una cosa piacevole.
Nel momento esatto in cui si girò, si scontrò in quel sorriso maledetto. Sorriso di chi sapeva benissimo quali tasti premere per far fare alle donne ciò che voleva. O almeno tutti quelli che doveva premere con lei.
L’ascensore era da sempre stato set di momenti imbarazzanti. Più di una volta si era ritrovata incastrata nell’abitacolo con Derek e Meredith, mentre alle sue spalle i due si scambiavano occhiate piene d’amore.
Aveva beccato suo marito, no ex-marito, annusare i capelli della sua stagista in una sorta di giochino erotico contorto.
Possibile che Derek non sapesse flirtare come un vero uomo?
Era dell’odore del suo shampoo ai chiodi di garofano che si era innamorato?
Fortunatamente per lei l’uomo che si ritrovò di fronte non era Derek. Non che condividere il piccolo spazio con Mark Sloan fosse piacevole, soprattutto dopo il loro ultimo incontro.
Poteva andarmi peggio, pensò. Curvò le labbra in un sorriso tirato e si girò nuovamente verso le porte dandogli le spalle.
Rimasero in silenzio in un primo momento, in attesa che l’ascensore riprendesse la sua corsa.

«Io non sono una puttana» Mark dichiarò, riferendosi al precedente sfogo di Addison.

«Sì, lo sei».

«Mi piace avere compagnia, cosa c’è di male?»

Addison alzò gli occhi al cielo sbuffando fuori l’aria dal naso. «Sono di cattivo umore. Non ho voglia di parlare».

«La pioggia?»

«Sì» rispose asettica.

«Prova a comprarti un ombrello, ho sentito che serve per tenere il corpo asciutto» rispose divertito, lasciandosi sfuggire una risata.

Addison si girò incatenando nuovamente gli occhi nei suoi. «Mph»

Lui si limitò a sorriderle giocosamente lanciandole uno dei suoi sguardi da cucciolo tenero e indifeso.
Se possibile, il suo sguardo, era secondo solo al suo sorriso da bastardo. Raggiungeva direttamente quel punto del suo cervello che le mandava in tilt il sistema nervoso, le gambe si facevano di gelatina e l’ultima cosa a cui pensava era il voler passare le dita nella sua chioma dorata e impossessarsi delle sue labbra.
No diamine, che cosa stava pensando. Lui era Mark. Mark la puttana. Mark l’uomo che saltava di infermiera in infermiera come un ape di fiore in fiore.
Un uomo che ci prova con tutte ha lo stesso fascino di Pierino, le ripeteva da sempre la sua voce nella mente.
Continuò a fissare i suoi occhi e senza rendersene conto strinse tra i denti il suo labbro inferiore. Cosa che faceva solo quando era nervosa. Nervosa non in senso biblico, ovviamente.
Quel sorriso. Quel maledetto sorriso che era comparso sul suo volto nel momento esatto in cui aveva capito i pensieri poco puri che stavano attraversando la sua mente, le fece venir voglia di prenderlo a schiaffi.
Prenderlo a schiaffi, sì.
Ma chi voleva prendere in giro, l’unica cosa di cui aveva voglia era premere il pulsante di arresto e saltargli addosso.
Non era un uomo, era una calamita umana.
Smise immediatamente di stringersi le labbra tra i denti e si girò nuovamente.
Doveva trattenersi dal fare qualsiasi cosa. Anche respirare poteva essere pericoloso.
Dio, odiava Mark per farla sentire in quel modo.
Finalmente l’ascensore arrivò al piano e quando le porte si aprirono uscirono entrambi prendendo direzioni diverse.

Addison si fermò ai tavolini della caffetteria bevendo la sua quinta, o forse sesta, tazza di caffè.
La giornata era passata lentamente, come se qualcuno avesse premuto il pulsante rallenty sul telecomando della sua vita.
Guardò l’orologio che portava al polso: le 15.45
Aveva passato l’intera mattinata dietro Karev e O’Malley che si erano comportati come due schegge impazzite. Prima avevano scambiato le cartelle cliniche di due pazienti facendo somministrare alle infermiere un farmaco sbagliato a uno dei due, poi avevano rovesciato interamente a terra un kit di sutura ferendo al ginocchio il bambino che doveva essere curato, e infine, come se non bastasse, avevano spostato una donna dal pronto soccorso al quinto piano perché quest’ultima si rilassava con il pianto dei bambini piccoli.
Il massimo, però, arrivo verso l’ora di pranzo.
Quando credeva che niente potesse andare peggio di così arrivò al pronto soccorso una donna incinta, vittima di un grave incidente stradale e l’unica specializzanda libera in quel momento era nientemeno che Meredith Grey.
Con Meredith al suo seguito si spostò in chirurgia nel disperato tentativo di salvare la donna.
A questa donna serviva un miracolo. E semplicemente parlando i miracoli avvengono, raramente, ma avvengono.
Ci sono dei giorni, giorni che possiamo definire fortunati, in cui un uomo con un tumore quasi inoperabile al cervello si salva, un bambino con un insufficienza respiratoria torna a respirare o una donna incinta al nono mese, vittima di un incidente stradale, sopravvive.
Questo, però, non era uno di quei giorni.
Scientificamente parlando questi giorni non esistono.
Un dogma per ogni dottore.
Addison aveva appena perso la donna che ora giaceva inerme sul tavolo operatorio.
Il bambino non aveva più nessuno: né un padre né una madre.
Nemmeno una famiglia in cui potesse crescere. Era completamente solo.
Guardando il bambino mentre si agitava nell’incubatrice, si chiese se lui ne avrebbe mai sentito la mancanza.
Se qualcuno che non sapevamo di avere scompare, ne sentiamo la mancanza?
Questa era una domanda che la assillava fin dai suoi primi giorni da specializzanda e a cui non poteva ancora dare una risposta.
Incaricò Meredith di contattare gli assistenti sociali e di controllare ogni mezz’ora le condizioni del bambino per scongiurare una possibile ricaduta.
Addison non era sicura di come questo giorno potesse andare peggio, ma l’esperienza le aveva insegnato che non c’è mai fine al peggio.
Quando pensi di aver ormai toccato il fondo, ecco che scivoli ancora più giù.
Aveva bisogno di qualcosa che la tirasse su, era ridotta a un groviglio di nervi e stress, di questo passo, anche una volta tornata in hotel, non sarebbe riuscita a rilassarsi.
Due erano le opzioni: alcol o sesso.
Sapeva benissimo dove avrebbe peso l’ago della sua bilancia.
Sicura di ciò che voleva posò il grafico sul bancone e si allontanò dalla stazione delle infermiere per andare a recuperare la sua medicina del buon umore.


Addison sospirò con soddisfazione all’interno della stanza di guardia.
Sapeva che quello che aveva appena fatto non era di certo la cosa più intelligente della mattinata e che probabilmente non avrebbe dovuto farlo, ma questo era proprio quello di cui aveva bisogno.
Del sano esercizio fisico non aveva mai fatto male a nessuno e di certo aveva compensato alla giornata di merda appena trascorsa.
Per giustificarsi continuava a ripetersi che quello che aveva appena fatto era dipeso da un momento di debolezza, niente di più.
Lui era perfettamente consapevole che lo stava usando e questo non sembrava importargli più di tanto.
Si rotolò sul suo corpo, crollando al suo fianco, lasciandosi cullare per un breve istante da una sensazione di rilassamento e piacere.
Fece perno sul gomito sinistro per tirarsi su e spostandosi alla fine del letto iniziò a raccogliere i vestiti sparpagliati per la stanza.
Una volta infilata la biancheria intima, si voltò a guardare l’uomo ancora beatamente sdraiato ad occhi chiusi.

«Sei una puttana» disse, prendendolo in giro.

Mark aprì gli occhi e si girò su un fianco facendo scivolare a terra il lenzuolo che lo copriva.
Incurante del rossore che quel gesto aveva fatto comparire sulle guance della donna, si portò un braccio sotto la testa e le sorrise divertito.

«Hey! Tu sei la prima ad aver fatto sesso, e ci tengo a sottolineare, molte volte, con questa puttana. Non dovresti sentirti anche tu almeno un po’ una sgualdrina?» chiese, passandosi una mano tra i capelli.

«No».

«Donnaccia» le disse, alzandosi dal letto e lasciando le gambe penzolare nel vuoto. «Dillo che sono anche io il tuo cavaliere dalla scintillante armatura».

«Cavaliere?» disse, guardandolo scettica. «Cavaliere dalla scintillante armatura? Tu potresti essere giusto un cavaliere dalla scintillante non mi ricordo cosa...»

«Oh sì, cavaliere dalla scintillante lama» le disse in tono malizioso mentre si alzava dal letto e camminava verso di lei.

Addison a quel punto non poté trattenere una risata, ben consapevole a quale arma si riferisse.

«Ridi, ridi. Sappiamo entrambi che senza la mia spada impazziresti. Ho una spada che faccio invidia pure ai cavalieri della tavola rotonda» le disse, prima di catturarle un polso tra le mani e tirarla contro il suo petto.

«Mark, posso sopravvivere benissimo senza la tua arma».

Provò a svincolarsi dalla sua presa ma ogni tentativo di allontanarsi la faceva avvicinare sempre di più. Con la mano libera le bloccò anche il secondo polso e girandosi su se stesso la spinse nuovamente sul letto immobilizzandola completamente.

«Sei la mia donnaccia» le soffiò sulle labbra prima di catturargliele in un bacio rude.

Si lasciò baciare lasciando completamente il suo corpo in balia del suo tocco esperto. Quest’uomo sapeva esattamente dove mettere le mani per far crollare ogni sua barriera protettiva.

«Mark!» imprecò tra le sue labbra mentre sentiva una leggera pressione sulla coscia.

«Che c’è? L’erezione è un complimento sincero!»

Addison rise nuovamente. «Oh, sta zitto» gli disse, alzando la testa per permettere alle loro labbra di incontrarsi di nuovo e fondersi insieme.




Nota dell’autrice

Ok, non so cosa mi stia succedendo… Probabilmente una creatura aliena si è impossessata del mio corpo si è messa qui al computer a scrivere al mio posto.
Tutta questa improvvisa immaginazione e voglia di scrivere non so da dove venga, ma finché c’è, ne approfitto.
Ho scritto un Addek e per par condicio ora vi propongo una Maddison (si chiamano così, giusto?). Anche al povero Mark spetta un po’ di Addison ogni tanto. :D
Il loro rapporto me lo sono sempre immaginato così, un po’ tipo: ti mangio, ti strozzo, ti bacio, ti amo.
Mark è il classico ragazzo bello e dannato, è quel ragazzaccio a cui non puoi dire di no, e si sa che da che mondo è mondo a noi donne piacciono gli stronzi.
Addison vorrebbe, ci prova davvero a resistergli, ma quando ti guarda con quegli occhioni da cucciolo mentre si passa una mano tra i capelli… è davvero impossibile dirgli di no.
Inoltre è sempre stata la sua stampella. Derek è assente e va a letto con Mark, Derek la tradisce con Meredith e va a letto con Mark, finalizzano il divorzio e va a letto con Mark… insomma di esempi ne posso citare a bizzeffe!
Addison anche se non vuole ammetterlo ha bisogno di Mark. Non sarà l'uomo della sua vita, non sarà il dottore del suo cuore, non sarà mai paragonabile all’amore della sua vita ma è Mark, e questo basta per renderlo unico e indispensabile.
Quel benedetto vischio mi ha proprio ispirato, ora me ne compro un rametto e me lo attacco sotto la lampada in camera, non sia mai che mi aiuti a trovare l’ispirazione di studiare un po’!

Giusto per essere precisi vi dico che nello scrivere questa storia ho preso spunto dalla scena dell'ascensore quando Derek Mark e Burke chiedono a Richard perchè mai si fosse tinto i capelli.
In italiano, come al solito noi storpiamo tutto nelle traduzioni, Addison si riferisce a Mark dicendo "tu vai con tutte" mentre in inglese lo definisce un "manwhore" ovvero un puttaniere.

Anche questa storia è andata. Olè!
Un saluto a tutti e ci vediamo alla prossima.

   
 
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