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Autore: xsteelwriter    07/01/2016    0 recensioni
L'essere umano può essere sì banale, ma ci sono momenti, attimi, gesti, che non lo sono.
Grandi scrittori hanno sempre scritto di grandi storie, amori incondizionati, mondi fantastici, super poteri, in pochi però, hanno scritto dell'essere umano in se, nella sua pigrizia, nel suo far nulla, nel semplice atto di giudicare e pensare.
Queste storie sono pezzi che ho tratto vedendo qualcuno, ascoltando, guardandomi attorno. Sono momenti che nelle altre storie vengono anche messi da parte, ebbene quei momenti sono qui. Sono in Eric, Noah e molti altri, momenti comuni di gente comune.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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I giovani di oggi sono fatti tutti con lo stampino. Ne conosci uno, li hai conosciuti tutti.
Amanti del grounge e della vita stile anni '70, che vanno in giro parlando di quanto sarebbe stato figo farsi una tirata a Woodstock, quando due mesi prima sentendo Woodstock avrebbero risposto con: «Come scusa? No, non bevo alcool».
Ragazzine che con un pantaloncino a vita alta e un rossetto rosso giocano a fare le pin-up.
Depressi del social, non per malattia.
Tutti con la mania di essere diversi; se ne sono accorti che nel loro "Essere diversi" sono tutti schifosamente uguali? Patetici.

Eric pensa a questo fino a quando la sveglia non suona. Non ha dormito, non lo fa più da un bel po'. A volte cede per la troppa stanchezza, non se ne cura, non è stanco comunque, si alzerà lo stesso ed entrerà a scuola, perché a lui la scuola non fa schifo -come hai dodicenni lamentosi e sgrammaticati- confida nella scuola, invece, come unico sbocco d'uscita. Non è un nerd, non gli piace esagerare con nulla. Non è un drogato da buco, né un punkabbestia dal cervello sciolto, né tanto meno un ricco sfondato. Fuma solo una rara sigaretta, ascolta i Ramones quando capita e i suoi soldi bastano. Non gli piace esagerare, serve solo ad attirare l'attenzione e lui se può rendersi più invisibile di così ne è felice. Le attenzioni servono a quei figli di papà troppo abituati a farsi lucidare le scarpe.
Lui i suoi li vede raramente, al mattino quando si alza è solo, loro sono già a lavoro, così come al pomeriggio, poi la sera loro tornano e lui non c'è. Gli vuole bene comunque, e non solo perché portano lo stipendio a casa, ma perché sono loro: è sua madre che ha sofferto per metterlo al mondo e suo padre che ha sopportato gli scleri di lei per nove mesi. Lui l'avrebbe scaricata al primo dolore, forse. Non può saperlo.
All'entrata di scuola i pensieri della notte gli tornano in mente, di nuovo. Non li sopporta e mai lo farà, questo è certo. Si chiede se anche fuori di li sono tutti così o è specificatamente quella città a produrre robot in massa. In classe poi li odia ancora di più, sempre a scoppiare a ridere o ad escogitare nuovi metodi per rallentare la lezione.
Saranno loro, poi, ad essere i nostri dottori di famiglia o politici al governo, sbagliando il congiuntivo.
Lui non vuole essere un dottore, è troppo poco umano. Avere in mano la vita di un uomo, aprirgli il ginocchio per mettergli apposto la rotula, è come il cannibalismo, solo senza l'impiccio di mangiare.

E' a casa da solo, mangerà il pranzo riscaldato in forno. Il sapore è di quella società abituata ad avere tutto pronto, è il sapore di quella pasta al sugo che gli lascia l'amaro in bocca.



 

 

   
 
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