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Autore: Egg_boy_    07/01/2016    1 recensioni
Andy Biersack, trasferitosi da poco a Santa Monica cerca di integrarsi nella città Californiana dopo essere stato in ospedale per più di un mese. Incontrerà nuove persone, ma una lo incuriosirà più delle altre.
Ashley Purdy, il tipico playboy, il sogno di ogni ragazza della scuola. Tuttavia ognuno ha i propri segreti e Ashley ne custodisce uno gelosamente.
I nostri due protagonisti diventeranno amici o qualcosa di più?
**
Dal primo capitolo:
"Correvo, correvo da troppo tempo, i polmoni sembravano stessero per esplodere così come il cuore il cui battito era al massimo. Non dovevo farmi prendere, la vista si oscurava e poi tornava nitida, sentivo la testa pulsare dolorosamente.
Il mio cervello continuava ad urlare di fermarmi, di farmi prendere, i pugni sarebbero comunque arrivati, ma quella volta era diversa"
(Andley)
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Andy Biersack, Ashley Purdy, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Correvo, correvo da troppo tempo, i polmoni sembravano stessero per esplodere così come il cuore il cui battito era al massimo. Non dovevo farmi prendere, la vista si oscurava e poi tornava nitida, sentivo la testa pulsare dolorosamente.

Il mio cervello continuava ad urlare di fermarmi, di farmi prendere, i pugni sarebbero comunque arrivati, ma quella volta era diversa. Il gruppo di bulletti capeggiato da Miles Bullstroke voleva vedermi morto, ne ero certo.  Misi male un piede e ruzzolai a terra cacciando un urlo, i loro passi erano sempre più vicini. Mi rialzai e ripresi la corsa, le pareti grigie si stringevano sempre più, non avevo la minima idea di dove fossi.

Spalancai gli occhi quando vidi la grata davanti a me. No, non era possibile, dovevo scavalcarla, provai ad arrampicarmi, ma quello che ottenni fu solo un’altra caduta questa volta di schiena che mi procurò un forte dolore al petto. Annaspai in cerca d’aria che non trovai e sputai la poca saliva che avevo ancora in bocca a terra. Mi avrebbero preso, era finita. Chiusi gli occhi pensando a mamma e a papà che erano partiti quella mattina per Santa Monica dove ci saremmo trasferiti da lì a qualche settimana e poi li riaprii. Le scarpe sporche di fango di Miles e la sua banda erano intorno a me, un sorriso sadico su ognuno dei loro visi mi fece accapponare la pelle.

I calci arrivarono, ma non mi ribellai, ormai convinto che quella era la mia fine. Il dolore andava oltre ad ogni pugno arrivato in quegli anni. Cercarono di togliermi la felpa e fu da lì che una spaventosa presa di coscienza mi colpì e ricominciai a lottare mentre le loro mani mi toccavano poi un rumore assordante li fece smettere e io caddi a terra come un burattino inerme poi il buio.

Aprii gli occhi di colpo ansimando pesantemente, quasi mi misi a gridare. Ci misi qualche secondo per mettere a fuoco il tettuccio grigio della macchina e a tranquillizzarmi poi sentii come se il mio corpo scivolasse in avanti e sentii la frenata improvvisa seguita da voci e suoni metallici. La musica alla radio prese a riempire di nuovo le mie orecchie e non solo quello, anche la voce squillante di mia madre che ripeteva al suo compagno che quella era la strada sbagliata.

Sospirai e mi tirai a sedere strofinandomi gli occhi con le mani.

-Oh! Andy caro ti sei svegliato- mugugnai qualcosa di sconnesso e appoggiai la testa al finestrino.

Era passato un mese, trenta giorni di ospedale e puzza di medicinale . Diagnosi: tre costole fratturate e una incrinata, trauma cranico e un altro mucchio di stronzate che mi ero rifiutato di ascoltare quando mi ero svegliato con una benda stretta in fronte in un lettino di ospedale.  A sentire il medico mi aveva trovato un poliziotto che ispezionava il quartiere, l’uomo aveva anche detto che ero stato fortunato. Non era nemmeno partita la denuncia.

La macchina continuò a viaggiare fino a fermarsi davanti a una villetta color crema, senza staccionata , un giardino ampio e due vialetti di ghiaia che portavano alla veranda e al garage. Dietro di noi si fermarono due camion della ditta di traslochi che aveva scelto mia madre. Infatti la donna era scesa a dirigere i poveri operai che dovevano subirsi la sua voce acuta e stridula a volte. Il mio patrigno aprì la portiera corrispondente al mio posto e mi strattonò per farmi scendere, io presi il mio eastpack a tracolla nero e scesi guardandomi in giro.

Intorno a me sfilavano due file di case esattamente identiche, il colore mi faceva venire la nausea. Si sentivano li schiamazzi dei bambini nelle piscine di fronte o nel retro delle case.

-Caro perché non entri in casa a dare un’occhiata?- seguì la richiesta di mia madre ed entrai.

Aveva un’aria spaziosa, c’erano molte finestre fu l’unica cosa che riuscii a notare perché Chris, il compagno di mia madre, mi aveva messo due scatoloni in mano.

-Questa è un po’ della tua roba e se non vuoi dormire in macchina sistemati per sta sera.-  Gentile come al solito.

Salii le scale fino al primo piano, ma c’era solo una camera matrimoniale, un bagno e un’altra scala. Salii ancora di un piano e trovai la mia camera.

Una mansarda, se si poteva chiamare così, visto che aveva il letto a soppalco che dava direttamente su un piccolo spioncino le pareti erano in legno scuro e il soffitto era spiovente.  C’era un grosso spioncino proprio sopra di me da cui sarei potuto tranquillamente uscire sul tetto. La moquette era anche in quella stanza, non solo nel corridoio sottostante e nelle camere che avevo visto, tranne la cucina, appoggiai i due scatoloni in terra e mi alzai sulle punte per aprire la finestra sul soffitto. “Al lavoro”

Una ventina di scatole vennero portate su dagli addetti al trasloco e io iniziai a mettere in ordine. Mi fermai solo quando mia madre annunciò che la cena era pronta.  Scesi le due rampe di scale frettolosamente e andai in soggiorno, lo osservai e mi chiesi come avevano fatto mamma e Chris a sistemare quello, la cucina e la camera in un pomeriggio dove io non avevo nemmeno finito di appendere le luci a intermittenza sul letto.  Dopo mangiato aiutai mia madre a sparecchiare e poi ritornai a sistemare la camera.

Misi le lenzuola di Batman e finii di sistemare le lucine poi decisi che per quel giorno era abbastanza e mi preparai per dormire. Prima di salire nel letto guardai lo specchio, non mi ricordavo l’ultima volta che mi ero guardato attentamente. Indossavo solo i boxer quindi il torace fasciato era in bella vista così come le braccia ricoperte di lividi, avevo dovuto tagliare i capelli che ora arrivavano alle spalle ed erano rasati da un lato. I miei piercing erano ancora al loro posto anche se avevo rischiato che quei bastardi mi strappassero quello al labbro tirandolo.

Sospirai e presi una canottiera dall’appendiabiti. Finalmente mi stesi nel letto guardai  fuori dalla finestrella, il cielo era oscurato dalle nuvole e sospettai che l’indomani sarebbe piovuto copiosamente infatti chiusi il vetro e dopo qualche minuto sprofondai tra le braccia di Morfeo.

La sveglia partì e chissà come mi era venuto in mente di mettere gli Slipknot  come tono. Rischiai di cadere dal letto per spegnere quel dannato cellulare che urlava, finalmente silenzio, mi rimisi a letto, ma la calma non durò a lungo perché arrivò Chris a gridarmi di scendere.

Scesi dal letto e infilai dei calzoncini da calcio verdi, insieme a una t-shirt smessa poi scesi. Mia madre, Amy, rimbalzava freneticamente in cucina tirando fuori: padelle, piatti, bicchieri e oggetti vari dagli scatoloni per poi metterli sugli scaffali.

-Andy tesoro mio perché non vai a fare un giretto per il quartiere, magari incontri qualcuno della tua età!-  disse fermandosi davanti a me. Negli ultimi tempi mia madre era smagrita. La colpa era solo mia, diceva Chris, se non mi fossi fatto picchiare a sangue mia madre non sarebbe stata costantemente in pensiero per me. Sorrisi leggermente e uscii sulla veranda.

-Peccato che io non voglio averne di amici…-  dissi appoggiandomi alla ringhiera che dava sul giardino.  Il tempo faceva schifo, pioveva, una di quelle pioggerelline che ti facevano inzuppare subito. Mi ravviai i capelli passandoci una mano in mezzo e mi misi a canticchiare una canzone che neanche conoscevo, ma avevo sentito alla radio il giorno prima.

Sentii un vociferare proveniente dalla casa affianco e poi il rumore di una porta che veniva sbattuta, mi girai verso la fonte del rumore e vidi una donna che camminava velocemente e prendeva per il polso un ragazzo. Ascoltai la loro conversazione che non poteva essere ignorata dati i toni non propriamente nella norma.

-Lasciami!- disse il ragazzo dai capelli castani che era alla fine del vialetto.

-Ashley Purdy torna qui!- il ragazzo si era voltato di scatto.

–Non torno in quella casa di merda! Se il tuo principe mi alza ancora le mani tu non mi rivedi più!- poi si girò verso di me e assottigliò lo sguardo io tornai in casa. Quel ragazzo sembrava avere più o meno la mia età, un altro che la settimana successiva mi avrebbe preso di mira, fantastico.

Feci come aveva chiesto mia madre, dopo pranzo uscii di casa e mi misi a gironzolare per l’isolato. C’erano molte case dove si affacciavano ragazzetti che avrebbero potuto avere dai dodici anni alla mia età, compreso il ragazzo che avevo visto qualche ora prima.

Mi trovai in un parco, non era grande, ma aveva qualche panchina coperta dagli alberi e quindi asciutte. Mi sedetti e osservai le persone che passavano, sembravano girare lo sguardo verso di me e poi allontanarsi, non si vede tutti i giorni un ragazzo vestito totalmente di nero con la matita sugli occhi. Passò una mezzora circa e me ne ritornai a casa. Prima di entrare notai il ragazzo di prima seduto sui gradini davanti a casa con la testa  bassa e gli auricolari nelle orecchie, alzai le spalle ed entrai ricevendo subito un bacio appiccicoso da mia madre.

-Allora hai visto qualcuno?-  mi chiese entusiasta.

–No.-  risposi secco salendo le scale.

Mi chiusi in camera e sospirai, finalmente a casa. Presi le sigarette e l’accendino da un cassetto e salii sul letto. Aprii la finestra e uscii con qualche difficoltà. Il tetto era marroncino e spazioso, non potevo essere visto dai piani sottostanti. Presi il telo che avevo appoggiato sul letto e lo stesi, era leggermente bagnato visto la pioggia di sta mattina. Mi accesi una sigaretta aspirando famelico il sapore di tabacco, piano aspettai che la nicotina andasse in circolo saziandomi e distendendo i nervi che sembravano essere tesi al massimo.

Stetti sul letto a fumare finchè non sentii una goccia posarsi sul mio naso.

-Maledetta pioggia…Vieni in California, dicevano, ti aiuterà a risollevarti, dicevano…Quante stronzate.- borbottai ritornando nella stanza. Chiusi frettolosamente la finestra e rimisi le sigarette nel loro nascondiglio poi scesi.

Mi feci un lungo bagno caldo cercando di non urlare quando per sbaglio feci scivolare il bagnoschiuma sul torace pieno di lividi, il liquido mi scivolava addosso come se non ci fosse, ma sembrava mi volesse bruciare la pelle. Mi sottrassi alla morsa calda della vasca da bagno per fasciarmi di nuovo il petto e il braccio messo peggio. Tamponai i capelli con un asciugamano e presi l’antidolorifico che il medico mi aveva prescritto poi, tornai in camera chiuso nel mio bozzolo di coperte. Aprii leggermente lo spioncino lasciando entrare un po’ di aria fresca e forse sentii qualche parola di troppo dalla casa affianco.

La donna diceva di nuovo di non andare, ma i passi veloci che sentii mi fecero intuire che quel ragazzo era corso via. Non sarei stato lì a sentire altro quindi chiusi la finestra e la tenda che copriva il mio letto. Presi un libro, ma poco dopo aver iniziato a sfogliare le pagine mi addormentai.

 

Ÿ ¡¢¡ Ÿ

 

Le loro mani sui miei fianchi, mi stavano toccando ed io dovevo scappare, ma non riuscivo. Avevo la vista sfocata e riuscii solo a distinguere gli occhi color caramello di Miles che mi urlavano la sua voglia di farmi del male e urlai.

Mi ero svegliato di botto, gridando, come un bambino mi strinsi la coperta al petto.  Sentivo le goccioline di sudore scendermi dalla fronte, cercai di regolarizzare il respiro facendo lunghi sospiri. Quando finalmente mi calmai, guardai la finestra, era già chiaro fuori e solo in quel momento mi ricordai che giorno era.

Mugugnai qualcosa d’insensato e controllai l’ora: le sette e due minuti, dovevo solo vestirmi e cercare di rendermi presentabile.  Misi un paio di skinny jeans neri strappati sulle ginocchia, una t-shirt stampata anch’essa nera e la converse. Ero monocromatico. Cercai di fare meno rumore possibile per non svegliare Chris che avrebbe sicuramente dormito fino a tardi. Entrai in bagno e misi un leggero strato di matita nera sugli occhi poi presi l’eastpack e uscii di casa.

L’aria fredda del mattino mi colpì come uno schiaffo in pieno viso, mi diressi verso la fermata del bus e solo quando arrivai sotto la pensilina, notai un gran numero di ragazzi che venivano verso di me, strinsi la tracolla della borsa e la aprii, cercando frettolosamente gli auricolari.

Non avevo avuto nessun contatto con dei ragazzi per più di un mese, mi sembrava inverosimile tornare a scuola a cercare di confondermi per non essere lo sfigato di turno ed essere preso di mira. Trovai le cuffiette, ma mi scivolarono di mano e caddero a terra. Mentre mi abbassavo a raccoglierle i miei occhi incrociarono quelli di un altro ragazzo.

Aveva degli occhi particolari sembravano caramello, erano famigliari, spalancai gli occhi e raccolsi velocemente le cuffie cercando di nuovo il ragazzo con gli occhi.Non era Miles, ma aveva i suoi occhi, era totalmente diverso dal bullo. I capelli castano scuro gli arrivavano alle spalle, muscoloso, le spalle larghe. Riconobbi il ragazzo che identificai come Ashley, il mio vicino di casa. sperai non si fosse accorto dei miei sguardi.

Quando posai le mani sul maniglione antipanico che apriva la porta di ingresso della scuola centinaia di occhi si posarono su di me, il mio cuore si fermò, potevo sentirne i battiti veloci, cercai una scappatoia e la trovai in un cartello che diceva “Segreteria” infatti mi incamminai velocemente verso la stanza indicata dal pezzo di carta colorato.

Aprii le porte di una spessa porta di legno chiaro ed entrai in una stanza dove diverse signore stavano sedute dietro agli sportelli.

Mi trovai davanti una donna che masticava lentamente una gomma e dopo poco la sua voce stridente mi raggiunse.

-Desidera?-  i capelli biondo cenere le ricadevano sul viso e i suoi occhi erano coperti da un paio di lenti spesse.

-Salve..sono Andy Biersack, vorrei il mio orario delle lezioni.- 

– Andy?- mi guardò alzando il sopracciglio.

 –Andrew Biersack, mi scusi.- Diede invio a un file dalla tastiera del pc e andò verso la stampante, prese il foglio tra le mani nodose e me lo porse.

-Ecco qui, le lezioni sono cominciate, si sbrighi se non vuole ricevere un richiamo disciplinare il primo giorno.- disse e mi sembrò di sentire parlare Chris. Come di routine le persone erano sempre gentilissime con me.

Sospirai e andai a posare i libri nell’armadietto numero 345 come c’era scritto sul foglio che guardai un secondo dopo, scoprendo di avere Storia in quel momento. Presi il libro e mi diressi verso la classe.

Respirai profondamente prima di bussare, alla fine la mia mano si posò sul legno azzurrognolo della porta e un uomo venne ad aprire.

-Ah signor…- disse in un’evidente richiesta di dirgli il mio nome

-Biersack..- il signore dai capelli grigi fece un mezzo sorriso.

 –Beh, signor Biersack lei è nuovo giusto? si presenti…forza.-

Presi un altro respiro, sarei morto prima della fine di quella giornata e notai che anche Ashley era in quella classe, seduto di fianco a un ragazzone con una felpa da football, ridacchiavano additando una ragazza in fondo alla classe.

-Io sono Andrew Biersack, mi sono trasferito da Cincinnati, in Ohio, una settimana fa…spero di trovarmi bene qui.-

Alcune ragazze mi guardarono incuriosite poi il professore mi indicò un banco di fianco a una ragazzina dai capelli rosa che stava guardando fuori dalla finestra, era lei che stavano prendendo in giro prima quei due. 

-Ciao..- mi disse e io mi chiesi se davvero ce l’avesse con me.

 –Ciao.- risposi con un tono freddo, mi scusai mentalmente con la ragazza per quel tono.

-Io sono Molly Parkinson – disse passandosi una mano tra i capelli color confetto

 -Andrew, ma chiamami Andy…- mi sorrise e io ricambiai il sorrisetto.

-Ti piacciono gli Slipknot?- annuii –L’ho notato quando hai staccato le cuffie- le sorrisi, non parlammo fino alla fine delle due ore in cui Mr.White spiegò il medioevo.

Mangiai in mensa con Molly, parlammo delle nostre band preferite poi le chiesi se sapeva qualcosa di Ashley Purdy, lei spalancò gli occhi.

-Sei fortunato a non conoscerlo, quello è uno di quelli che odia i tipi come noi. Fa coppia con Radke e un certo Ferguson, hanno preso a botte un ragazzetto che non voleva dare i soldi per la mensa l’anno scorso.- rabbrividii toccandomi il polso fasciato. –Non sono sicura fosse così prima, dicono che si è trasformato in terza ovvero l’anno scorso. È un playboy, a quanto so ha dato una ripassata al sedere di tutta la squadra di cheerleeding.- feci un sorrisetto tirato e continuai a mangiare.

Non durò molto il resto della mattinata e alla una ero fuori dai cancelli della scuola.

-Io abito vicino alla spiaggia.- disse Molly.

– Io abito in un quartiere di cui non ho ancora imparato il nome, ci si vede domani- la salutai con un sorriso e salii sull’autobus. Notai Ashley che si faceva largo tra la folla di ragazzette che gli stavano intorno e saliva a sua volta, mi passò di fianco e io cercai di non guardarlo. Arrivammo nel nostro quartiere, ma scendemmo solo noi due. Facemmo la strada uno dietro all’altro, mi sentii in imbarazzo. Ripensare alla litigata che avevo origliato il giorno prima mi metteva a disagio.

-Hai intenzione di seguirmi ancora?-

Stava parlando a me? Aveva una voce melodiosa e leggera, non dura e profonda come avevo immaginato.

-Abito di fianco a te..-spiegai affiancandolo.

 -Quindi avete preso voi la vecchia casa degli Hopinsk…bene, ci si vede.-

Si girò e camminò verso il vialetto di casa sua, subito sentii una voce profonda e maschile che lo richiamava, ma io m’infilai in casa, pronto alla serie di domande da parte di mia madre. Come inizio non era stato così male, non mi sarei mai aspettato di trovare un ragazzo con gli occhi della tua nemesi. Volevo saperne di più su quell’ Ashley, non mi spaventava quando Miles che dopotutto aveva gli occhi iniettati di sangue e una carriera da delinquente prescritta. Avevo visto i suoi occhi prima che si girasse, erano spenti, non di quel colore che assomiglia al caramello fuso. Mi resi conto di quanti particolari avevo notato. Non andava bene così, dovevi dimenticarti dell’esistenza di Ashley Purdy prima di rimanere scottato dal suo carattere.

  
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