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Autore: TotalEclipseOfTheHeart    08/01/2016    4 recensioni
Pazientemente, con cura quasi maniacale, seleziono le mie vittime, creo uno scenario, degli alibi, dei sospettati, fino a quando il mio omicidio perfetto non è pronto per essere messo in atto. Non fallisco mai. Non demordo mai. Finché la mia opera perfetta non è compiuta. Muovo i fili del teatrino creato per puro capriccio più per l’interesse scientifico di fronte alle reazioni emotive delle persone coinvolte che per il bisogno di uccidere in sé per sé.
Manipolo.
Progetto.
Costruisco.
E, alla fine, la polizia rimane sempre con un nulla di fatto in mano.
Perché faccio questo?
Non lo saprò mai...
Genere: Introspettivo, Mistero, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The Genius of the Perfect Murder

Ciao,
il mio nome è Nathaniel, Nath, O’Connel, altrimenti conosciuto come il Berretto Rosso.
Un nome ridicolo, per un assassino seriale. Questo ho pensato quando, alla scoperta dei cadaveri delle mie prime tre vittime, trovarono stretti tra le loro mani cinque piccoli berretti rossi, di quelli che si indossano durante le Feste Natalizie.
Poi però, col passare degli anni e col formarsi lento del mio profilo psicologico, ho capito che come nome non era poi così male. Infatti, secondo le antiche leggende i Berretti Rossi sono degli spiritelli che attirano, con le loro lanterne rosse, gli incoscienti che si perdono di notte nelle foreste e sono tanto sciocchi da abboccare alle loro trappole per venire poi divorati. In fondo, io non faccio nulla di troppo diverso, no?
Pazientemente, con cura quasi maniacale, seleziono le mie vittime, creo uno scenario, degli alibi, dei sospettati, fino a quando il mio omicidio perfetto non è pronto per essere messo in atto. Non fallisco mai. Non demordo mai. Finché la mia opera perfetta non è compiuta. Muovo i fili del teatrino creato per puro capriccio più per l’interesse scientifico di fronte alle reazioni emotive delle persone coinvolte che per il bisogno di uccidere in sé per sé.
Manipolo.
Progetto.
Costruisco.
E, alla fine, la polizia rimane sempre con un nulla di fatto in mano.
Perché faccio questo?
Non so se esiste o meno un motivo preciso.
Semplicemente, sono nato con un’intelligenza fuori dalla norma. Un genio che crescendo con me di giorno in giorno ha iniziato, affascinato, a guardare alla meraviglia della mente umana. A sette anni, iniziai a studiare psicologia. A dieci, presi la laurea. A tredici, risolsi il mio primo caso, portando dietro le sbarre un pazzo che da solo aveva sconvolto la pace di mezzo paese.
Poi, il nulla. Iniziai a stancarmi. Le persone smisero di affascinarmi, perché ormai non aveva più nulla da apprendere da loro e le loro reazioni mi parevano sempre più uguali, monotone, prevedibili. Come potevano vivere una vita soddisfacente quella massa di incolti senza cervello? Come potevano accontentarsi di quelle giornate monocromatiche, sempre uguali?
Non lo capivo, e quel vuoto iniziava a corrodermi dentro.
Fu allora che lo incontrai.
Il Magister.
Un uomo come altri, tanto normale da parere quasi vomitevole per uno che, come me, non poteva che socializzare con persone altrettanto geniali, altrettanto eccentriche, altrettanto VIVE.
Poi però lo fissai negli occhi, e lui mi sorrise, e capii che quel tipo, di normale, non aveva proprio nulla.
Ovviamente, non sarei stato soddisfatto fino a quando non avessi scoperto cosa avesse, esattamente, di fuori dal comune. E così iniziai a parlargli, a chiedergli da dove venisse e che mestiere facesse.
Come me, aveva una cultura a trecentosessanta gradi, una parlantina sciolta, e quella luce di genialità negli occhi che ammalia chiunque e attira le persone come falene alla luce. Era brillante, nel suo modo di muovere come pedine, anche nella vita quotidiana, le persone che lo circondavano. Era un Carisma, qualcuno che, anche se non sembra, dirige sempre il discorso dove vuole che vada, che sa sempre cosa dire per colpire nel segno, che sa tutto di tutti solo fissandoli negli occhi. Uno che, col suo genio, avrebbe potuto fare il politico, o l’ambasciatore, o qualsiasi altro lavoro di spicco, e che invece era lì, nella mia piccola cittadine abbandonata dal mondo.
Che ci faceva in un buco simile? Ecco cosa volevo sapere.
Non ci misi molto a scoprirlo.
Non ero stato l’unico a fiutare, per così dire, l’eccezionalità dell’altro, e quando questo mi offrì di venire a casa sua, non ci pensai due volte e dissi di sì. Quando entrai nel suo studio, sentii il cuore balzarmi nel petto, perché compresi di essere appena entrato nel covo di uno dei maggiori serial killer della storia degli Stati Uniti d’America.
Documenti, articoli, armi e kit completi per nascondere le prove, tutto ordinato con perfezione maniacale, mentre i cataloghi con le sue vittime coprivano le pareti. Fui talmente affascinato da quella figura tanto potente e viva, che quando mi offrì di diventare il mio Magister non potei dire di no.
Mi disse che ormai aveva commesso un errore fatale, e che presto la polizia lo avrebbe trovato e condannato a morte. Mi raccontò della sua infanzia, così simile alla mia, e mi mostrò nel dettaglio ogni suo omicidio, chiedendomi il mio parere e iniziandomi a quell’arte che sarebbe divenuta presto il fulcro essenziale della mia esistenza, il motivo per cui avrei viaggiato in lungo in largo, e per cui avrei dato anche la vita.
Infine, mi disse che, se proprio doveva morire, preferiva farlo con stile.
Non avevo idea di cosa intendesse dire, fatto sta che mi donò, come unico ricordo del nostro incontro, un prezioso pendente, che aveva sottratto anni addietro alla sua prima vittima.
Il giorno seguente, fu trovato impiccato nel suo garage, e il caso fu archiviato.
Io, invece, mi finsi ammalato e mi presi del tempo per riflettere.
Avevo quindici anni.
Il pendente che mi aveva regalato, scoprii successivamente, aveva una lunga e travagliata storia di sangue e violenza alle spalle. Ognuno dei suoi ventisei proprietari precedenti era deceduto in circostanze particolari e nessuno era mai riuscito a scoprirne le origini.
Affascinato da un oggetto tanto prezioso e singolare, decisi di farne il mio marchio di fabbrica, assieme ovviamente ai Berretti Rossi.
Progettai il mio primo omicidio quella stessa estate, e decisi che, assolutamente, era necessario che esordissi alla grande, se volevo raggiungere la fama del mio Magister, e superarla.
Costruii il mio teatrino con pazienza e dedizione. Progettando le dinamiche, costruendo l’ambientazione e selezionando le marionette da utilizzare per il mio scopo con cura quasi maniacale.
Le mie prime vittime furono cinque bambini, di poco più giovani di me. Li scelsi, in parte, per il loro bell’aspetto, in quanto con il tempo ero giunto alla conclusione che non ci sarebbe stato piacere maggiore di vedere la loro bellezza svanire e congelarsi nell’abbraccio della morte di fronte a me. L’altro motivo per cui li selezionai, invece, era prettamente strategico. Avevo bisogno di vittime di cui non si notasse subito la scomparsa, così da permettermi di avere più tempo per creare il mio quadro perfetto, per posizionare prove false e soprattutto per spiazzare gli inquirenti.
Il 15 Agosto 2001, il delitto dei cinque bambini di Blue Hill sconvolse il Maine.
Li trovarono, tutti e cinque, nella parte vecchia e abbandonata della Harbor School, in un grottesco quadro di sadica perfezione. Immersi nel bianco candore della neve, e circondati da loro stesso sangue, giacevano su un tappeto di girasoli da me scelto appositamente per l’occasione, con i loro vestitini neri e i Berretti Rossi tra le mani incrociate sul petto. Attorcigliati sui cappellini purpurei, vi erano delle piccole riproduzioni del mio medaglione, certo non magnifiche, ma comunque niente male e che colpirono subito l’occhio degli investigatori.
Pochi giorni dopo, i fratelli Bill e Bruce Turner vennero arrestati e incriminati per omicidio di primo grado, come da programma. Vennero condannati all’ergastolo, e le famiglie delle vittime parteciparono al processo.
Perché decisi di far ricadere i sospetti su di loro?
Beh…che erano due poco di buono già lo si sapeva. Almeno in parte. Il primo era stato fermato per spaccio innumerevoli volte, era il classico tipo facile da provocare e incapace di gestire l’ansia. Il secondo era ricco sfondato e i vicini erano tutti fermamente convinti che dietro alla sua vita perfetta, alla sua casa perfetta, alla sua famiglia dannatamente perfetta ci fosse un uomo in contatto con l’ISIS, un assassino irakeno in grado di sparare a un bambino con la stessa nochalance con cui si beve un bicchier d’acqua.
Si odiavano, ed entrambi erano troppo occupati ad accusarsi l’un l’altro per rendersi conto di essere stati fregati entrambi. Il primo, messo alle strette degli inquirenti, ha perso la testa in fretta e tentando di lasciare lo stato è stato bloccato in aereoporto, facendo crescere ancora di più i suoi sospetti. Il secondo, alla fine, era stato denunciato dai vicini, che non vedendo l’ora di liberarsene hanno tirato su una bella scenetta per mandarlo in tribunale.
Ovviamente, non mi sono accontentato di concludere così, e da allora le mie vittime sono lentamente salite in numero fino a quando, solo pochi mesi fa, hanno raggiunto la quantità di cinquanta morti assassinati, tutti con le stesse dinamiche, da quella lontana estate.
Ben presto, la polizia si è accorta che avevo passato il tempo a raggirarli e i sospetti colpevoli vennero liberati, ma mai riuscirono, nemmeno per una volta, a costringermi anche solo lontanamente a modificare i miei piani. Non mi misero mai alle strette, e ogni mia previsione si avverò sempre, prima o dopo, al punto che, ormai, iniziavo ad annoiarmi anche di quel piccolo passatempo che il Magister mi aveva mostrato.
Poi, però, arrivò lei.
Samantha, Sam, Valentine, membro eminente dell’N.C.I.S. e ex membro della C.I.A., detective privato e killer professionista. Ha svolto incarichi in ogni parte del globo e non ha mai perso un colpo, incalcolabili le volte in cui ha sbattuto dei pazzi omicidi in carcere.
Lei, ovviamente, non era come gli altri.
Lo capii quando la incontrai per la prima volta, durante un mio viaggio a Parigi, e lei mi seguì come un segugio da caccia, tenendomi il fiato sul collo e costringendomi per la prima volta in vita mia a rivedere le mie strategie. Perché diavolo, quando ho guardato negli occhi quella donna, ho capito subito che anche lei, come me, era un dannato genio. E lei ha capito chi ero io.
Compiuti trent’anni ed elaborato il fatto che, ormai, era giunto per il Berretto Rosso il tempo di prendersi una bella pausa decisi che dovevo assolutamente prepararmi un piano di riserva, qualora fossero riusciti a buttarmi dentro.
Iniziò quindi la mia ricerca, la ricerca di un Erede. Di qualcuno a cui passare il compito, così come il Magister aveva fatto con me, quindici anni prima. Di qualcuno abbastanza sveglio da ricoprire la mia parte anche dopo la mia dipartita, e fu durante quella ricerca che, più per caso che per altro, mi imbattei nella piccola Mathilda.
Come potrei descriverla?
Non lo so.
Ha solo dieci anni e già, fissandola negli occhi, percepisco lo stesso potenziale omicida che emanavo io quando incontrai il Magister.
È orfana di genitori, li ha persi in occasione di una rapina e quando la presi con me mi disse che, nonostante il supporto dello psicologo infantile, lei continuava a sentire delle voci, e che queste volevano solo vendetta.
Ormai, il suo addestramento è terminato.
Ho lasciato a lei i miei Berretti Rossi, così come il medaglione.
Ho capito che, ora come ora, nemmeno io potrei sconfiggerla in uno scontro di cervelli.
Lascio questa lettera a Samantha Valentine, cosicché poi, quando si troverà il coltello della mia piccola Lolita al collo, non potrà certo prendersela con me per non averla avvertita.
Per me, ormai, la fine è alle porte.
La piccola Mathilde sta covando qualcosa, e so infine con certezza che è questione di tempo prima che giunga la mia ora.
 
Sentiti saluti,
Nathaniel O’Connel
Il Berretto Rosso di Blue Hill…

 
Note dell'Autrice:
Questa OS si è classificata quarta al contest indetto sul Forum da M.Namie, "AAA Genio Cercasi".
Sritta di getto pensando in parte al mitico Kumagawa di Medaka Box e in parte al malefico Yokoya di Liar Game, questa originale è tra le primissime del mio repertorio ed era volta a descrivere un genio talmente sopra la media da annoiarsi persino nell'avere a che fare con la vita di tutti i giorni.
Insomma, uno che non ha nulla da fare oltre che divertirsi ad ammazzar gente ;)
Ringrazio la Giudicia per avermi dato l'occasione di sperimentare qualcosa di nuovo e per aver creato un contest tanto entusiasmante e tutti dolor che, leggendo, rimarranno colpiti, per un motivo o per un altro, da questa storia.
Alla prossima!
Teoth
   
 
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