L’ALBA DI UN NUOVO GIORNO
“Lo dirò fra cento anni, in punto di morte… forse!”
Ataru teneva la testa poggiata
sul cuscino e tentava inutilmente di prendere sonno. L’ultima, folle sfida con
Lamù lo aveva stancato terribilmente e avrebbe tanto voluto concedersi un sonno
ristoratore, ma le ultime parole da lui stesso pronunciate, intrise di sfacciato
orgoglio maschile, rimbombavano prepotentemente nella sua
testa.
Rassegnatosi al fatto di dover
rinunciare a dormire, il ragazzo si alzò dal futon ed aprì uno dei cassetti
dell’armadio nella sua stanza, rimasto miracolosamente incolume (al contrario
della sala stessa!) alla distruzione provocata dalla crescita dei colossali
funghi dell’universo delle tenebre[1],
tirando fuori la sua logora e sporca divisa da corridore.
Ataru si tolse il pigiama,
indossò nuovamente il completo e messosi anche le scarpe da ginnastica, uscì di
casa in punta di piedi e iniziò a correre per le strade di
Tomobiki.
Lo spettacolo che si presentava
ai suoi occhi era da far raggelare il sangue nelle vene: sotto la luce della
luna piena, gli edifici erano ridotti ad un cumulo di macerie ed anche il manto
stradale presentava crepe e larghe buche: era come se l’intero quartiere fosse
stato appena sottoposto ad un pesante bombardamento. Tuttavia, non vi era più
alcuna traccia dei giganteschi funghi, dal momento che erano tutti finiti nelle
voraci fauci dei maiali neri come promesso dallo stesso Rupa[2],
e qualche previdente abitante aveva già disposto sui lati della strada alcuni
materiali di falegnameria per la ricostruzione.
“Che desolazione…”, pensò Ataru
mentre continuava a correre col cuore che gli batteva forte nel petto e il
rimorso che si insinuava nella sua mente come un verme che divora la succosa
polpa di una mela dall’interno fino a farla marcire.
Dopo oltre un’ora buona di
corsa, il ragazzo si ritrovò davanti al cortile del liceo di Tomobiki: anche
questa struttura presentava ingenti danni.
Mentre osservava la torretta
dell’orologio, Ataru tornava indietro con la mente al decimo e decisivo giorno
della sfida con Lamù: la sua faticosa scalata sul tetto della scuola, il suo
grido liberatorio una volta salito sulla sommità dell’edificio, le piccole corna
dorate di Lamù che gli scivolavano dalla mano e cadevano al suolo mentre la
bella aliena gli veniva incontro con le lacrime agli occhi… a quei ricordi, il
giovane Moroboshi si mise a guardare per terra alla ricerca di quelle che ormai
potavano definirsi delle vere e proprie reliquie da conservare in memoria di
quella folle gara che aveva tenuto tutti col fiato sospeso per
giorni.
“Trovato!”, esclamò Ataru non
appena ebbe rimosso dal terreno uno dei cornetti dorati.
Dopodiché, si mise
immediatamente alla ricerca del secondo setacciando palmo a palmo il cortile
della scuola, finché non riuscì a trovarlo a diversi metri di distanza dal punto
in cui aveva dissotterrato il primo.
“C’è un’ultima cosa che devo
fare adesso…”, si disse il ragazzo con gli occhi fissi sull’orologio posto sulla
torretta della scuola mentre infilava i cornetti nella tasca dei
pantaloncini.
Con sua grande sorpresa, notò
che uno degli alberi del cortile, probabilmente sradicato da uno dei titanici
funghi, era andato a cadere proprio sull’ingresso, demolendo la
porta.
Una volta fattosi strada a
fatica fra le fronde, Ataru si ritrovò all’interno dell’edificio scolastico e
camminò per i corridoi bui calpestando con le suole delle scarpe gli
innumerevoli frammenti di vetro e i pezzi di legno e muratura sparsi sul
pavimento.
“Dovrei essere contento per
aver ridotto ad un ammasso di macerie la scuola, ma… non lo sono affatto!”, si
disse il ragazzo con una nota di rimorso.
Finalmente, Ataru riuscì a
salire sul tetto pericolante della scuola… ma ciò che vide lo lasciò immobile
come una statua di sale: dall’alto erano ancora più evidenti i segni delle
devastazioni causate dai funghi.
“Non solo l’intero quartiere di
Tomobiki, non solo l’intera Tokyo e tutto il Giappone… ma anche il mondo intero
è stato vittima del mio orgoglio e della mia stupidità!”, mormorò Ataru con gli
occhi sbarrati mentre pensava alla sorte subìta dalle principali città del
mondo: Parigi, Roma, Londra, Atene, Mosca, Il Cairo, Pechino, Sydney, New York,
Los Angeles, Rio de Janeiro… tutte ridotte ad un cumulo di rovine[3].
Ad un tratto, la coscienza del
giovane, messa a tacere per troppo tempo, si risvegliò e iniziò a far rimbombare
nelle orecchie di Ataru tutti i meritati insulti ricevuti nel corso di quel
travagliato periodo.
Stupido! Cretino! Idiota! Imbecille! Beota! Infame senza
cuore! Moccioso arrogante! Codardo! Impiastro! Ipocrita! Ritardato mentale!
Lurido porco! Vergogna del genere umano! Bastardo schifoso![4]
Incapace di sopportare oltre,
il giovane Moroboshi strinse i pugni fino a farsi sbiancare le nocche, inspirò
profondamente e cacciò fuori un grido disperato con tutto il fiato che aveva in
corpo che squarciò l’aria.
Rimasto quasi senza voce, Ataru
riprese fiato e sperò di aver cacciato fuori con quel grido tutti i sensi di colpa
che lo tormentavano, ma non funzionò e mentre l’intera Tomobiki ritornò nella
quiete della notte, il ragazzo si sedette sulle tegole del tetto e poggiò la
fronte sulle ginocchia mentre le prime lacrime di disperazione gli solcavano il
volto.
“Perché? Perché sono così
stupido?!”, si lamentò il giovane. “Perché non riesco ad ammettere a me stesso
che voglio bene a Lamù? Perché non riesco ancora a dirle dopo quattro anni che
la considero al di sopra di tutte le donne dell’universo? Perché non riesco a
dirle che…
Mentre continuava a porsi
queste ed altre domande, le lacrime iniziarono a sgorgare dagli occhi più
copiosamente e il ragazzo non riuscì più a trattenere cupi lamenti simili ai
latrati dei cani randagi.
Improvvisamente, Ataru si
accorse che una calda e affusolata mano femminile si era posata sul suo capo e
dopo aver alzato a fatica lo sguardo, riuscì a scorgere la figura di Lamù seduta
sui talloni di fronte a lui nonostante gli occhi velati di
lacrime.
“Non fare così, tesoruccio”,
sussurrò la ragazza tentando di consolarlo.
“Che… che cosa s-sei venuta a
fare qui?”, le domandò Ataru vergognandosi in cuor suo di essersi fatto vedere
da lei in quel miserevole stato di cupa disperazione.
“Non riuscivo a chiudere
occhio”, ammise sinceramente la bella oni. “Così ho pensato di andare a
prendere un po’ d’aria e mentre mi trovavo qui, ho sentito il tuo grido e mi
sono preoccupata molto”.
Detto ciò, Lamù si avvicinò ad
Ataru per poterlo aiutare ad alleviare i suoi tormenti interiori, ma il ragazzo
la respinse in un rigurgito del suo orgoglio e si alzò in
piedi.
“Sai una cosa? Sarebbe stato
meglio per te se tu fossi rimasta con Rei!”, disse infine con parole dure
rivolte più a se stesso che alla ragazza.
“Perché dici questo?”, chiese
Lamù.
“Rei mangia per un esercito e
si trasforma in una specie di bue col pelo tigrato quando è in preda alle
emozioni, ma di sicuro non è un infame miserabile come me!”, confessò Ataru col
corpo sconvolto dai singhiozzi. “Ten, Mendo, Megane e tutti gli altri hanno
ragione: non merito di essere al tuo fianco!”.
Colpita da quelle ammissioni di
colpa, Lamù planò proprio davanti a lui e gli afferrò il volto. “Guardami negli
occhi, tesoruccio”, disse lei con occhi luccicanti che ad Ataru parvero simili a
due zaffiri appena tagliati dalle sapienti mani di un
gioielliere.
Forse grazie all’intensità di
quello sguardo, il ragazzo trovò il coraggio di ammettere finalmente i propri
sentimenti. “Lamù… devo dirti che…”.
“Il fatto è che ci siamo
comportati come due stupidi!”, lo
interruppe la bella oni. “Non avevo
alcun diritto a coinvolgere
“Sono io che devo scusarmi con
te!”, rispose il ragazzo. “Sono stato accecato dal mio dannato orgoglio… e dalla
gelosia. Quando ti ho vista asserragliata dietro le spalle di Rupa e mi avevi
detto di volerti sposare con lui, io… mi sono sentito
morire”.
“Quella non ero io! Era una
copia creata con l’ausilio di un fungo-copia. Non avrei mai detto una cosa del
genere e lo sai bene!”, si giustificò Lamù. “Io amo soltanto te e nessun
altro!”.
Detto ciò, la bella
extraterrestre si gettò sul petto dell’amato e lo strinse forte a sé. A quel
contatto, Ataru si sentì come rigenerato.
“Ascolta, Lamù”, esclamò poco
dopo. “Devo dirti una cosa molto importante, perciò ti prego di ascoltarmi
attentamente”.
“Se ciò che stai per dirmi può
esserti d’aiuto, allora dimmela”, lo incoraggiò la bella aliena tenendo le
fredde mani del ragazzo nelle sue. “Ti ascolto”.
“Lo sai perché non ti ho detto
di amarti nei giorni della sfida?”, cominciò Ataru mentre la ragazza scuoteva la
testa.
“Perché sarebbero state parole
prive di significato! Considerata l’emergenza in cui ci trovavamo, avresti
pensato che le avessi dette unicamente per salvare
Mentre il ragazzo cercava in
tutti i modi di dirle quelle parole per lei così importanti, Lamù gli prese
nuovamente il volto fra le mani. “Coraggio, tesoruccio”,
sussurrò.
“Io… io TI AMO!”, esclamò il
giovane Moroboshi, finalmente liberatosi di un peso grande come un macigno che
gli opprimeva da tempo il cuore. “Ti amo con tutta l’anima e desidero con tutto
me stesso che tu continui a stare al mio fianco… perché non riesco più a
concepire la mia vita senza di te e morirei al solo pensiero di vederti fra le
braccia di un altro uomo. Non voglio più rischiare di perderti… mai
più!”.
A quel punto, Lamù sorrise di
gioia e mentre alcune lacrime di commozione iniziarono a bagnarle il suo
splendido viso, Ataru l’attirò a sé e la baciò con ardore. Mentre carezzava con
la mano destra la lunga e fluente chioma della ragazza e le cingeva la vita con
la sinistra, Ataru si sentì come rinascere al contatto con le labbra carnose e
la lingua umida di Lamù.
Al termine di quel meraviglioso
bacio, i due giovani continuarono a guardarsi intensamente negli occhi. “E’
stato… bellissimo!”, mormorò estasiato Ataru per la felicità della bella
extraterrestre.
Nel frattempo, la luna era
ormai tramontata e l’aurora iniziò a tingere il cielo con la sua luce color
lavanda, preannunciando l’imminenza dell’alba.
“Che ne dici di vedere il
sorgere del sole insieme a me?”, propose il ragazzo all’amata. “Non sarà
suggestivo come lo spettacolo che hai creato con le goccioline di pioggia
sospese a mezz’aria[5],
ma ti assicuro che è altrettanto emozionante”.
Lamù annuì e si sedette accanto
a lui, posando la testa sulla sua spalla e pregustando quel
momento.
Finalmente, il disco solare
apparve all’orizzonte, spazzando via le tenebre della notte con la sua luce
dorata e segnando così l’inizio di un nuovo giorno.
Fine
[1]
Universo senza luce patria di Rupa e Karla, personaggi presenti nell’ultimo
volumetto del manga trasposto nel 5° film della serie Boy meets girl.
[2] Personaggio della serie che si considera pretendente alla mano di Lamù per una promessa estorta da suo nonno al bisnonno della bella oni (rimando i lettori alla visione del film già citato) centoventi anni prima.
[3] Come calcolato da Ran, i funghi hanno ricoperto nei dieci giorni della sfida l’intera superficie terrestre.
[4] A dire il vero, non tutte le seguenti ingiurie sono state davvero rivolte ad Ataru nel corso del film. Alcune le ho scritte io perché avrei voluto gridargliele personalmente! Devo proprio dirlo: di tutti i personaggi maschili creati dalla Takahashi, Ataru Moroboshi è quello che mi è più antipatico e il suo comportamento nel corso del film è stato veramente infame e vergognoso. Scusatemi per lo sfogo, amici lettori, ma quando ci vuole ci vuole!
[5] Cfr. il 98° episodio del manga “Urrà per l’uragano” trasposto nel 64° episodio dell’anime “Arriva il tifone”.
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