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Autore: Ciulla    08/01/2016    3 recensioni
Beerus distrugge un pianeta e a Whis si spezza il cuore. Perché?
"Sfoderando un ghigno animalesco, il gatto lasciò partire un raggio dal dito e fece esplodere il pianeta ai suoi piedi, continuando a fissare Whis con divertimento sadico. La sua espressione rimase impassibile, ma l’assistente avvertì chiaramente il proprio cuore creparsi insieme alla superficie frantumata di quella sfortunata terra.
Insieme al rumore dell’esplosione, gli parve di sentire un cinguettio sofferente, un cupo “Jiru-Jiru” di dolore."
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lord Bills, Whis
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Un maestro per sempre'
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A volte capita che anche qualcosa di perfettamente normale e quotidiano, se compiuto in circostanze particolari, ferisca le persone che ci stanno intorno. Ridere senza motivo può sembrare una mancanza di rispetto a qualcuno che ha appena subito un lutto, così come piangere per una sofferenza personale può offendere qualcuno che sperava di poter gioire insieme a te per i propri successi. Prima di agire per conto proprio è sempre fondamentale ascoltare quello che gli altri hanno da dire, soprattutto se gli altri sono persone che amiamo e desideriamo avere al nostro fianco. La comprensione, l’accondiscendenza, la capacità di adattamento sono qualità fondamentali per una convivenza pacifica e può accadere che a volte sia necessario abbandonare i propri propositi per rispetto e amicizia verso il prossimo. Sfortunatamente, esiste chi è stato sempre abituato, per questioni di potere e di ricchezza, ad agire di testa propria senza curarsi dei sentimenti o dei desideri altrui.
Lord Beerus, dio della distruzione del settimo universo, un giovane gatto spelacchiato e dotato di due occhi gialli e sottili estremamente minacciosi, faceva sfortunatamente parte di questa categoria di persone. Abituato ad ottenere quello che voleva per mano del fin troppo accondiscendente alieno azzurro di nome Whis, era arrivato al punto di comportarsi come più gli pareva e piaceva, senza curarsi nemmeno dell’opinione di quello che era stato il suo maestro e che ora lo affiancava come fedele assistente.
Distruggere pianeti era un passatempo banale e naturale, al pari di ridere o piangere, per un dio della distruzione, e Lord Beerus mai avrebbe immaginato che quel giorno la propria sete di esplosioni avrebbe portato a tali conseguenze.
Era mattina. I pianeti che si erano frantumati sotto i suoi occhi apatici ammontavano a diverse unità, ma il gatto viola ancora non era pienamente soddisfatto di se stesso. Continuava a girovagare senza sosta per l’universo, alla ricerca di una minima imperfezione nel cosmo che giustificasse la rovina che avrebbe causato. 
”Quel pianeta”, asserì ad un certo punto con aria divertita, “ha qualcosa di stranamente irritante. Non trovi anche tu, Whis?”
“A me sembra un piacevole pianeta, al pari di tanti altri, mio signore” borbottò l’assistente. Erano in giro da ore ed ovviamente il trasporto lo effettuava lui grazie alla propria stupefacente velocità; non se ne lamentava, anzi, scarrozzare il dio a destra e manca lo faceva quantomeno sentire utile, ma a volte gli sarebbe piaciuto poter decidere quando riposarsi e tornare a casa, invece che sottostare sempre alla volontà di quell’essere, capriccioso come pochi.
“Non saprei”, mugolò il gatto grattandosi il mento con un artiglio. “Non mi piace”.
“Lord Beerus” esclamò calorosamente Whis afferrandogli un braccio. Il suo sguardo si era acceso di una luce particolare, che risplendeva mentre contemplava finalmente il pianeta a cui erano inavvertitamente giunti. “È davvero un pianeta stupendo. Ora, penso che per oggi la sua distruzione si sia protratta abbastanza. Venga, la scorto a casa”.
Beerus si divincolò dalla forte presa di Whis attorno al suo polso e gli lanciò un’occhiataccia truce. “Cos’è tutta questa fretta? È normale che io distrugga pianeti, me l’hai insegnato tu. Cosa c’è di diverso stavolta?”
”La prego. Non lo distrugga”.
Il dio della distruzione rimase sorpreso da quella richiesta passionale. La mano di Whis tremava leggermente mentre stropicciava con nervosismo la sua tunica, come se fosse in preda ad un’irrefrenabile ansia. “Che ti prende, Whis?”
“Nulla. Ma la prego”, ripetè l’alieno celeste, “Non lo distrugga”.
Sfoderando un ghigno animalesco, il gatto lasciò partire un raggio dal dito e fece esplodere il pianeta ai suoi piedi, continuando a fissare Whis con divertimento sadico. La sua espressione rimase impassibile, ma l’assistente avvertì chiaramente il proprio cuore creparsi insieme alla superficie frantumata di quella sfortunata terra. 
Insieme al rumore dell’esplosione, gli parve di sentire un cinguettio sofferente, un cupo “Jiru-Jiru1” di dolore.


Da quell’episodio, Whis non gli aveva più rivolto la parola. Appena giunti a casa, si era volatilizzato nel nulla affermando che sarebbe andato a fare due passi nel giardino. Era la seconda volta che Beerus percorreva l’intero perimetro del suo pianeta quadrato alla ricerca del maestro; non per preoccupazione od altro, ovviamente, ma era ora di pranzo e il suo stomaco brontolava richiedendo attenzioni. Nessuno sapeva cucinare bene come Whis, secondo i suoi standard; inoltre, avrebbe dovuto preparare un pranzetto coi fiocchi per farsi perdonare del suo comportamento insensato di quella mattina e della fatica che stava facendo per trovarlo.
“Whis? Dove ti sei cacciato?” urlò con forza il dio, sperando che l’altro si facesse vedere. In risposta ebbe solo un tombale silenzio.
Sbuffando, si diresse verso l’ala del palazzo in cui risiedeva Whis. Probabilmente si era messo a dormire e si era dimenticato di dovergli preparare il pranzo; lo avrebbe certamente punito... Dopo essersi riempito la pancia. 
Il gatto irruppe in camera di Whis senza bussare, e con suo grande sconforto non trovò il maestro all’interno. Sembrava quasi che quel giorno non vi fosse nemmeno stato; la camera era perfettamente in ordine, non una fotografia storta, la coperta nemmeno un po’ sgualcita. 
Come faceva ogni volta che visitava la stanza del maestro, lord Beerus si dimenticò per un attimo della sua rabbia e si rivolse teneramente verso il comodino, dove Whis conservava le foto che li ritraevano insieme.
Enorme fu il suo sconcerto quando notò che le foto erano sparite. Al loro posto c’era un foglio piegato in quattro, dall’aspetto estremamente sgualcito. Avvicinandosi per osservarlo meglio, il gatto si avvide di una particolarità sconcertante: il foglio presentava infatti delle chiazze leggermente bagnate, come se lacrime non frenate fossero gocciolate sulla carta, sfumando leggermente le lettere scritte, rendendo la lettura difficoltosa.
Aprendo il foglietto, Lord Beerus lesse trattenendo il fiato quei pochi versi scritti dal suo maestro. 


È esploso con un suono solitario,
un vuoto rumore di sofferenza,
di cuori infranti che battono al contrario
portando la vita alla mera inconsistenza.

È esploso senza poi portar rimorso
o comprensione nel cuore del fautore,
un dio perverso che non prestò soccorso
ai miei lucidi occhi, al mio dolore.

È esploso per sempre, portando con sè
ogni essere noto o sconosciuto,
esseri dall’aspetto come me,
la pelle azzurra e i capelli di velluto.

È esploso, ed un unico sghignazzo
uscì da quella divinità perversa,
che mi infligge per suo puro sollazzo
ogni giorno una ferita diversa.

Sono stato in silenzio. Già sapevo
che emettendo la minima accusa
non avrei ottenuto il mio sollievo,
non mi avrebbe nemmeno chiesto scusa...




Beerus rimase allibito a contemplare quel pezzetto di carta che in poche righe era passato dall’essere un frammento privo di significato ad essere un peso enorme che gli opprimeva il respiro e gli fermava il cuore.
Non appena ne aveva compreso il significato, era passato oltre tutti quegli epiteti che ora capiva di meritare, ed era andato dritto alla parte cruciale.
”Esseri dall’aspetto come me”.
In un moto di rabbia verso se stesso, il gatto contrasse violentemente il pugno e disintegrò quel piccolo foglio d’accusa che lo aveva messo davanti ad un’odiata realtà.
Aveva distrutto il pianeta natale di Whis.
Aveva fatto a pezzi la sua casa, i suoi compagni, esseri in cui lui poteva rispecchiarsi alla perfezione e per cui non poteva fare a meno di soffrire.
E lo aveva costretto ad assistere.
Determinato a non lasciarlo solo dopo quello che aveva combinato, Beerus spiccò il volo dalla finestra di Whis e si diresse verso il suo maestro. Ora sapeva dove trovarlo.


Atterrò di fianco a lui, e si sedette piano. Whis non sollevò nemmeno la testa, continuando a fissare lo spazio vuoto in cui fino a quella mattina si trovava il pianeta. “Mi scusi per la scarsa professionalità, Lord Beerus. Ho bisogno di un po’ di tempo”.
Il gatto non sapeva cosa dire. Rimase in silenzio per qualche minuto, poi si azzardò a far sentire la sua voce. “La tua famiglia?” Mormorò esitante. Era la cosa che più gli premeva, sapere che per un qualche assurdo miracolo non l’aveva ferito più di quanto fosse sopportabile.
“Una parte della popolazione si è trasferita migliaia di anni fa su un altro pianeta per colonizzarlo”, mormorò. “Abbiamo un’aspettativa di vita troppo lunga per poter abitare un unico pianeta e continuare a generare bambini”.
Piano, Beerus tirò un sospiro di sollievo. La scoperta non lo scagionava né lo giustificava, ma lo acquietava un po’, quel tanto che bastava a lasciarsi andare e stringere le mani dell’assistente tra le sue. “Non lo sapevo”, mormorò, come se questo avesse potuto cambiare qualcosa. È vero, non lo sapeva, ma si era accorto dell’ardore di Whis mentre gli chiedeva di risparmiarlo. L’aveva fatto esplodere solo per fargli un dispetto... Non immaginava che avrebbe portato a tali conseguenze. 
“La mia casa si trovava proprio nella zona colpita dal suo raggio”, mormorò tristemente l’alieno. “C’era vicino un parco... I Jiru-Jiru ci facevano sempre il nido... Mi è sembrato di sentirli piangere”. 
Whis sospirò profondamente, ricambiando finalmente la stretta del dio e cominciando a parlare senza freno. “Giocavo sempre con Vados in quel parco. Rincorrevamo gli uccellini, orgogliosi perché eravamo gli unici bambini a saper volare come loro. Gli altri bambini ridevano e scommettevano caramelle su chi avrebbe volato più veloce. Vinceva sempre Vados, ma c’era una bambina che anche dopo quindici, sedici gare continuava a scommettere su di me. Mi guardava, mi sorrideva e mi incoraggiava dicendomi che non avrei perso per sempre. E invece ho sempre perso, e perdo ancora. Non sono riuscito nemmeno a proteggere questo stupido pianeta”.
Beerus lasciò che si sfogasse, in quel suo modo pacato e dolorosamente malinconico. Lo lasciò parlare, accarezzandogli di tanto in tanto le mani sudate e sentendosi sempre peggio. Lo pregò, alla fine di tutto, di non odiarlo, perché non lo avrebbe sopportato. Gli disse di aver letto la sua poesia, e gli disse che era falsa.
Con le lacrime agli occhi glielo dimostrò, chiedendogli scusa.
“Sono uno scemo”, disse semplicemente, facendo ridere l’assistente.
Si abbracciarono, sulle rovine di un pianeta amato e ormai distrutto, si strinsero forte, uno cercando conforto, l’altro cercando perdono.
Poi andarono a casa.



1 Nel manga di Dragonball Super, Whis dice che Jiru-Jiru è il nome di un uccello del suo pianeta natale, qui usato come se derivasse dall’onomatopea del loro cinguettio.
   
 
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