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Autore: redlipstick_    08/01/2016    0 recensioni
Sono passati tre anni dalla partenza di Jackson, quella partenza che ha lasciato soltanto un vuoto incolmabile nel cuore di Lydia.
Jackson, invece, sembra essere andato avanti con la sua vita. Ma si sa, l'apparenza inganna.
Lui sta tornando a Beacon Hills. Ha intenzione di andare a convivere con la sua nuova fidanzata, è convinto di aver superato la storia con Lydia, ma è terrorizzato all'idea di poter incrociare la ragazza dalla chioma biondo-fragola.
Jackson è divorato dai rimpianti, da tutte le parole che non è riuscito mai a dedicare alla sua ex ragazza, da tutte le promesse che non è mai riuscito a mantenere.
E vorrebbe tanto rimediare, vorrebbe perdersi nuovamente negli occhioni di Lydia, vorrebbe sfiorare le sue mani pallide per un'ultima volta.
Vorrebbe tornare indietro nel tempo per cercare di mantenere quella famosa promessa.
'Non lasciarmi mai. Promettimelo.'
'Promesso'.
Parole vane.
Ma c'è sempre tempo per rimediare, per tentare di correggere gli errori commessi in passato.
Si sa, non possiamo cambiare il passato- ahimè. Ma possiamo cercare di modificare il presente per poi evitare futuri rimpianti.
Genere: Fantasy, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jackson Whittemore, Lydia Martin
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Credevo che ritornare a Beacon Hills sarebbe stato più facile.

Certo, non facile come segnare un punto a lacrosse, non certo semplice come minacciare McCall, ma semplicemente  f a c i l e .

Gli anni che avevo trascorso a Londra potevo definirli terapeutici, in un certo senso. La mia mente era completamente libera, non veniva più dominata da pensieri contrastanti, contorti, impossibili da decifrare. Era cambiato tutto e questo, inizialmente, mi terrificava. Era risaputo, Jackson Whittemore non era certo quel tipo di ragazzo che si sarebbe lasciato spaventare da un cambiamento del genere, un semplice trasferimento. Qualcosa mi frenava, questa 'cosa' veniva fuori specialmente di notte, quando giacevo sul letto e fissavo il soffitto, senza battere ciglio.

Tornare a Beacon Hills avrebbe segnato l'inizio di una nuova era, forse sarebbe stato un periodo migliore, forse peggiore.

Percorrere quelle stradine- d'autunno erano sempre inondate dal colorito arancione/rossiccio delle foglie secche- faceva riemergere nella mia mente troppi ricordi, alcuni erano dolorosi, alcuni erano l'esatto opposto.

Non avevo confidato a nessuno di questo mio inaspettato ritorno- nemmeno a Danny- probabilmente perché avrei preferito scrutare le reali reazioni delle persone. E' facile nascondersi dietro ad un computer, un cellulare, e dirmi 'Oddio, Jackson! Sono così felice che tu stia tornando a casa, non vedo l'ora di rivederti.', prepararsi psicologicamente al mio arrivo ed accogliermi stampando sul volto un sorriso forzato, fingendo di mostrare contentezza. Non ne avevo bisogno, avrei preferito ricevere un'accoglienza fredda, ma almeno autentica.

Magari me lo sarei meritato, soprattutto da parte di una determinata persona.

Non mi ero nemmeno preparato un discorso, probabilmente non sarei nemmeno riuscito a spiaccicare mezza parola, se l'avessi incrociata- casualmente- per strada. Avrei iniziato a farfugliare distrattamente, come un ragazzino impacciato. L'aggettivo 'impacciato' non era mai stato associato alla mia persona . . . Insomma, Jackson Whittemore non poteva /assolutamente/ essere considerato un ragazzo impacciato.

Sì, credevo che ritornare a Beacon Hills sarebbe stato più facile. Eppure no, non sarebbe stato /affatto/ semplice incontrare lei - incontrare Lydia.

 

 

 

 


« Jackson? Jackson! JACKSON! »

Seppi immediatamente identificare quella voce stridula, quella voce apparteneva a Beth- la mia ragazza.

Non riuscii ad decifrare la sua espressione in viso, sembrava quasi un misto tra nervosismo e preoccupazione. Sì, è vero: il nostro aereo sarebbe partito tra meno di due ore e noi ci trovavamo ancora a casa mia, sistemando ancora gli ultimi dettagli.

« Beth, calmati. Tesoro, andrà tutto bene . . . So che è il tuo primo viaggio, so che sei spaventata. »

Sì, una cosa dovevo riconoscerla: questi tre anni avevano addolcito un lato del mio carattere. Ero cresciuto, avevo iniziato ad osservare le cose con punti di vista differenti ed avevo anche cominciato a lasciar entrare più facilmente le persone nella mia vita.

Una di queste persone era proprio lei, Beth: la tipica ragazza brillante, circondata ed invasa dai lussi e dalle comodità. Forse era stato proprio questo ad farci trovare- i fattori che ci accomunavano, che ci rendevano simili.

Non ero più così. Avevo definitivamente- beh, quasi 'definitivamente'- abbandonato l'aria altezzosa da ragazzino viziato e privilegiato.

Al liceo ero esattamente quel prototipo di individuo. Non lasciavo trasparire emozioni, sembravo possedere un cuore di pietra- anzi, sembrava quasi che io non avessi un cuore.

E poi c'era lei. Lei, inconsapevolmente, era riuscita ad insegnarmi ad amare- sì, sembra strano affermare 'Jackson Whittemore sapeva anche  amare'.

Ho saputo amare, per la prima volta in vita mia, una ragazza meravigliosa dalla chioma color biondo-fragola, dalla carnagione pallida e dalle labbra carnose- definite sempre da un rossetto o da un lucidalabbra.

Lydia Martin.

Erano passati esattamente tre anni: tre anni dall'ultima volta in cui avevo incrociato i suoi occhioni, tre anni dall'ultima volta in cui avevo sfiorato le sue mani delicate ed erano passati tutti questi anni dall'ultima volta in cui avevo assaporato le sue rosee labbra.

Ma, soprattutto, erano passati tre anni da quel maledetto giorno: il giorno in cui mio padre decise che ci saremmo dovuti trasferire a Londra e, di conseguenza, decise anche che Lydia ed io avremmo percorso sentieri diversi. I nostri destini avrebbero smesso di incrociarsi, così come i nostri sguardi.

Ed è così che la lasciai da sola. Per l'ennesima volta.

Teoricamente, non mi sarei potuto lamentare della mia nuova vita: ero circondato da persone che mi volevano bene, ero lo studente modello, ero il capitano della squadra di lacrosse della città e . . .

E avevo Beth.

Eppure no, io non mi sentivo affatto completo.

Cos'è che mi mancava, quindi? Il mio cuore conosceva la risposta e, in fondo, anch'io la sapevo. Ma no, mi rifiutavo di accettare questa verità nascosta. Avevo sempre tentato di convincermi di non aver bisogno di lei, ci avevo veramente provato. Lei era sempre presente: compariva nei miei sogni, nei miei ricordi, nei miei pensieri.

La mia mente era occupata da pensieri troppo contorti per riuscire a decifrarli con estrema esattezza. Soltanto un nome era in grado di dominare le mie riflessioni, un nome che- ormai- era troppo presente ultimamente.

Lydia. Lydia. Lydia.

Quel nome dannatamente perfetto, semplice e musicale.

 

 

 

« Jackson, dobbiamo andare! »

La voce di Beth interruppe il mio viaggio mentale, un viaggio di cui lei non poteva essere a conoscenza- fortunatamente!

Mi schiarii la voce con un colpo di tosse, cercando di mostrarmi il più disinvolto possibile e mi affrettai a radunare tutte le mie valigie davanti alla porta d'ingresso. I miei genitori erano già partiti la settimana prima, in modo da accumulare più tempo per sistemare la nostra vecchia casa, e noi stavamo per raggiungerli. Io stavo per riabbracciare la mia vecchia vita, o semplicemente parte di essa.

« Beth? »

« Sì? »

« I-io . . . Ecco, io non . . . »

« Cosa? Avanti, Jackson . . . Siamo anche in ritardo! Non possiamo parlarne in taxi, per esempio? »

« Beh, in realtà io volevo semplicemente dirti che — Non vedo l'ora di tornare a Beacon Hills . . . Con te. »

 


[ . . . ]

 


Non amavo trascorrere tutte quelle ore sapendo di essere sospeso in aria. Il viaggio in aereo mi procurava sempre uno strano effetto: un misto di nausea ed agitazione, forse anche preoccupazione. Ecco perché, nella maggior parte dei casi, preferivo spendere quel tempo dormendo- almeno non avrei avuto il pensiero costante di dovermi preoccupare troppo. Avevo già alcuni pensieri costanti che avevano sommerso la mia mente e, sinceramente, avrei voluto evitare di aggiungerne altri.

Mi accomodai sul sedile accanto al finestrino- lo so, è una sorta di paradosso: che senso ha occupare quel posto se poi non si sfrutta il finestrino per poter ammirare degli scenari mozzafiato?- e Beth si affrettò ad estrarre dalla sua borsa tutto il materiale necessario per l'ennesimo 'viaggio da sola'. Riviste, cuffiette, trucchi, caramelle . . . Mi fermerei qui, la lista potrebbe continuare per ore.

Avevo intenzione di scambiare qualche parola con lei, prima di andare a rincorrere il sonno, ma l'impresa fu alquanto impossibile: le mie labbra si erano schiuse appena, mentre le sue dita erano già occupate ad infilare le cuffiette nelle sue orecchie. Oh, grandioso.

Sospirai lievemente per poi socchiudere gli occhi, cercando di isolarmi, cercando di dimenticare tutto quel contesto.

 


[ . . . ]

 


Le sue dita lisciavano la gonna dell'abito- l'abito color panna, quello cosparso di fiori colorati. Era impegnata a canticchiare un motivetto che non conoscevo, sarei rimasto lì, sulla soglia della porta, ad osservarla per ore intere. Non avrei voluto spaventarla, non avrei voluto farla sobbalzare dalla sedia.

Tutto ciò che desideravo era vedere l'espressione di stupore stampata sul suo viso minuto, vedere le sue labbra formare un ampio sorriso . . . Desideravo anche vederla corrermi incontro, catapultarsi tra le mie braccia ed io, in quel momento, avrei fermato il tempo in modo tale da rendere infinito quell'abbraccio.

Le mie aspettative- i miei desideri- non si avverarono. Lei non aveva smesso di tenere gli occhi puntati sul suo vestito. Magari non si era ancora accorta della mia presenza . . . No, impossibile.

Mi avvicinai ulteriormente, stavolta con un passo deciso e rumoroso. Ero così dannatamente vicino a lei, l'avevo quasi raggiunta e, in quell'istante, tutti quei maledetti chilometri che ci avevano separato per anni erano stati abbattuti. La distanza era stata sconfitta in questa sorta di battaglia invisibile: c'erano voluti tre anni, ma alla fine potevo ritenermi il vincitore.

« Lydia?»

Farfugliai nervosamente e, soltanto allora, notai che un tremolio aveva appena accompagnato- anzi, sovrastato- il tono della mia voce.

Nessuna reazione da parte sua. Lydia non si era minimamente scomposta e, in tal modo, le mie domande trovarono una risposta immediata.

Lei mi stava evitando.

Mi stava completamente ignorando, come se non esistessi, come se non fossi presente in quella stanza.

« Lydia, so che sono l'ultima persona che vorresti vedere . . . Lydia, ti prego. Guardami. »

Un ulteriore tentativo. Un ulteriore tentativo fallito.

Attesi qualche secondo, forse aveva semplicemente bisogno di tempo per metabolizzare la notizia o forse aspettava delle scuse da parte mia.

Avrei dovuto capirla: aveva già messo più volte l'orgoglio da parte, era sempre successo con me.

Io le avevo procurato dolore in passato, ero stato la causa delle sue lacrime e lei . . . Lei non aveva mai smesso di amarmi. Non meritavo il suo amore, probabilmente non l'ho mai meritato.

Uno scatto improvviso. Lydia era balzata in piedi, con una mano stava sfiorando la poltroncina a dondolo- quella che aveva appena abbandonato. I suoi capelli erano racchiusi in una treccia disordinata- alcune ciocche non erano state raccolte- ed i suoi occhi erano rivolti verso il pavimento.

« Jackson. »

La sua voce non era affatto cambiata, era rimasta identica a quella di tre anni fa. Ero sollevato dall'idea di non essere mai riuscito a dimenticare la sua voce, una voce graziosa che esprimeva dolcezza e minutezza.

Ero anche sollevato da quella sua risposta, aveva deciso di proferire parola, aveva deciso di iniziare una conversazione con me. Una conversazione pacifica, questo si poteva dedurre dal suo tono di voce.

I suoi occhi incontrarono i miei- finalmente!- e notai in loro una luce diversa. Erano spenti, più spenti rispetto al solito. Emanavano tristezza, angoscia, solitudine. Forse erano esattamente gli stessi sentimenti che esprimevano anche i miei occhi.

« Addio, Jackson. Stavolta per sempre. »

Una frase netta, pronunciata con decisione, con fermezza. Ero letteralmente sbalordito da quella reazione- certo, forse era esattamente ciò che mi sarei meritato . . .

Spalancai gli occhi, lasciando le labbra schiuse e non feci nemmeno in tempo a replicare. No, non ci riuscii.

Non riuscii a replicare perché Lydia era già scappata via. Era fuggita. E noi ci stavamo dividendo per l'ennesima volta. Ulteriori ostacoli, altri muri da abbattere, cuori frantumati. Sentimenti caduti a pezzi. Distrutti. Ma tutte le cose rotte poi si possono anche riparare. Sì, in questo caso però è necessaria la straordinaria partecipazione del fattore 'tempo'. 'Il tempo guarisce tutte le ferite.'

Già, ma ero convinto di aver usufruito anche troppo del fattore 'tempo'.

 


[ . . . ]

 


« Jackson! Jackson, svegliati! »

Okay, questa voce non apparteneva a Lydia.

« Amore, siamo arrivati. »

E fu così che abbandonai quella strana realtà- chiamata anche 'mondo dei sogni'- e venni catapultato nella vita reale. Sì, proprio quella in cui scopri di avere accanto una fidanzata- con la quale andrai a convivere nella tua città d'origine- e di essere appena arrivato a destinazione.

« Sai, hai dormito per tutto il viaggio e . . . Tutto bene, Jackson? Sembri piuttosto spaventato, non so. O forse lo so. Tutta colpa di un brutto sogno, non è così? »

Deglutii faticosamente. Un sogno. Avevo appena sognato di aver incontrato Lydia e di averla persa nuovamente. Mi affrettai a realizzare, tirando un sospiro di sollievo.

« Sì, hai ragione. Si è trattato di un brutto sogno, anzi . . . Un incubo. »

 

 

   
 
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