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Autore: stereohearts    09/01/2016    3 recensioni
L'aria era afosa, umida, per essere di già Settembre; sentivo il sudore imperlarmi la fronte, e avevo la maglietta fastidiosamente incollata in alcuni punti del torace.
Avvertivo una strana sensazione che mi attanagliava lo stomaco, scombussolandomi; mi sembrava quasi d'avere dei massi che mi gravavano sulle spalle, che volevano spingermi sempre più giù contro l'asfalto bagnato. [...]
Mi ritrovai improvvisamente a terra, con le gambe all'aria e la schiena dolorante. [...]
Qualcosa sembrò tagliare, all'improvviso, quell'atmosfera tesa e soffocante; sferzò l'aria, così come la sua maglietta candida. [...]
E poi uno sparo; uno sparo fu l'unica cosa che sentì.
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Questa storia è il sequel di Ablaze. Consiglio prima la sua lettura, per poter comprendere meglio le dinamiche di ciò che accade.
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"Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera di carattere, personalità, scelte o preferenze sessuali e non delle persone presenti o nominate all'interno della storia, né offenderle in alcun modo."
Genere: Malinconico, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Justin Bieber, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Prologo.


 
Carter
 





 
[Diciannove mesi dopo.]
 
 
 
 
 
Reggendo quattro contenitori di caffè in una piccola scatola di cartone, e con la tracolla stracolma di libri che mi gravava sulla spalla sinistra, terminai – seppur molto lentamente – di scendere l’infinità di scale che portavano al parcheggio sotterraneo. Lì mi aspettavano da una buona quindicina di minuti Neal e Shepley; sedevano a gambe aperte su una sporgenza in pietra attaccata ad uno dei muri portanti della struttura, e nessuno dei due sembrava minimamente intenzionato ad alzarsi per darmi una mano. Anche un cane si sarebbe probabilmente accorto che il mio già precario equilibrio era messo a dura prova; se poi ci aggiungevamo che erano a malapena le sette del mattino, e che quel degenerato di Shep mi aveva svegliata gettandomi addosso una bottiglia intera di Belvedere, allora il quadro generale della giornata non si prospettava essere esattamente uno dei più floridi.
L’area del parcheggio sarebbe stata completamente deserta, se non per la presenza di due o tre macchine parcheggiate malamente negli appositi spazi; l’aria era appesantita dalla polvere che si mischiava, ad ogni folata di vento, con i residui di cemento sparsi qua e là.
Al contrario, il cielo limpido all’esterno sembrava promettere una giornata soleggiata, senza rischio piogge – ciò che avevano detto anche al servizio meteo della scorsa sera.
Ormai a pochi passi dai due ragazzi, lanciai la borsa contro i piedi di Shepley, con la chiara intenzione di fargli male; tirai fuori la mia miglior faccia innocente, allungando la mano con i bicchieri fumanti verso entrambi. “Caffè?”
Neal allungò subito la mano, afferrando con gentilezza quello con su scritto il suo nome – senza zucchero. “Grazie tesoro” mi sorrise, schiacciandomi uno dei suoi soliti occhiolini ammiccanti.
Roteai gli occhi, voltandomi così verso Shep; inarcai le sopracciglia, prendendo il mio caffè nero zuccherato. “Hai bisogno di qualcosa, Wilson?”
Il moretto sbuffo rozzamente, allungando pretenzioso il braccio verso di me. “I miei cappuccini.”
“Non credo d’aver capito ..”
Al limite dell’irritazione, il ragazzone si sollevò in piedi, in tutto il suo magnifico metro e ottantacinque di muscoli e testosterone; mi bloccò il braccio destro in alto, prendendosi l’intero cartone – da quanto mi era stato possibile osservare, quella di ingurgitare cibo e bevande super zuccherate come delle macchine tritarifiuti, e non mettere ovviamente su nemmeno un grammo, era una caratteristica di tutti i giocatori di football dell’Università. Non per niente, però, i Florida Gators erano una delle squadre più celebri e  vincenti della nazione - e con più incontri di football universitario vinti in tutti gli Stati Uniti dal ’90.
“La prossima volta ti immergerò con la testa nell’acquario di Bailee” mi avvisò non appena si fu riseduto, sorridendomi trionfante. “Altro che Belvedere …”
“Provaci Wilson, e la tua maglietta autografata da Rihanna finirà direttamente nel bidone della spazzatura” lo minacciai a mia volta, sollevando un sopracciglio da dietro il bicchiere di caffè.
“Osa fare una cosa del genere Harvey, e nessuno ti leverà il piacere di risvegliarti nel bel mezzo del campus con il tuo adorabile pigiamino ad orsetti” ribatté pronto il ragazzone, sorseggiando tranquillamente la sua bevanda.
“Non ti prenderesti mai la briga di svegliarti presto per caricarmi in macchina e portarmi all’Università, Shep” lo presi in giro. “Nonostante sia a soli cinque minuti di distanza da casa, e lo sappiamo entrambi.”
“Be’, allora rimane sempre l’opzione B” continuò temerario, senza la minima intenzione di farsi mettere a tacere da me. Abbandonò le braccia sulle sue cosce, lanciando una veloce occhiata a Neal, prima di ritornare a concentrarsi completamente su di me.
Passò agli scanner che erano i suoi occhi la mia figura, per intero: partì dalle scarpe nere, salendo per i pantaloni da basket di Neal, e la felpa extra large che indossavo sopra un reggiseno sportivo bianco; si soffermò per un attimo sulle punte grigie dei miei capelli – che ormai mi erano arrivati quasi alle spalle -, e poi proseguì fino ad incontrare i miei occhi scuri.
Dal canto mio, non mi tirai indietro dal fare la stessa cosa. “E quale sarebbe l’opzione B?” gli domandai divertita, inarcando le sopracciglia; indossava semplici jeans chiari ed una canottiera bianca che gli aderiva perfettamente al torace. Shepley era così: una persona semplice, alla mano, e maledettamente divertente.
Forse erano proprio quelle caratteristiche che lo rendevano uno dei ragazzi più sexy e desiderati della facoltà di storia - se non di tutta la UF. Certo, sempre dopo il suo aspetto fisico: con i capelli corti e scurissimi, due occhioni color cioccolato,  il volto leggermente squadrato e le labbra piene che facevano da contorno ad un sorriso mozzafiato, di certo Shep faceva già così il suo gran figurone. Il carattere tranquillo e aperto a tutti era solo un bonus extra che madre natura gli aveva gentilmente donato – come se non fosse stata già abbastanza generosa con il resto.
Non per niente, anche io ero caduta nella trappola per donne che si era dimostrato essere quel ragazzo – anche se involontariamente.
Insomma, andare al letto con lui, ubriaca tra l’altro, non era certo stata una delle mie scelte più sensate – soprattutto perché era stata la prima volta in vita mia, ed io non ricordavo neanche quasi niente.
“Appendere una gigantografia di te nel tuo bel piagiamino all’entrata dello stadio” riuscì per un soffio ad udire la sua risposta, così tornai a prestargli attenzione; legai la felpa in vita e mi misi a sedere vicino a Neal, appoggiandogli la testa su una spalla.
“Neal non te lo lascerebbe fare” ribattei, sorridendogli già trionfante.
“Neal?” lo chiamò in causa, guardandolo.
Il biondo di fianco a me chiuse gli occhi, prendendo ad accarezzarmi il collo mentre le labbra gli si increspavano in un sorrisino colpevole. “Scusa fratello.”
“Mi stai davvero pugnalando alle spalle per un bel faccino e uno stupendo paio di tette?” gracchiò Shep teatralmente, portandosi fintamente indignato una mano sul petto. “Che razza di …”
Gli occhi color ghiaccio di Neal luccicarono di puro divertimento, prima che scoppiasse a ridere di gusto; si piegò sulla pancia, e quando si rialzò i capelli gli andarono a finire sulla faccia. “Tanto quel bel faccino sceglierebbe sempre me, lo sappiamo tutti.”
“Voltati” gli ordinai, afferrando una molla nera che avevo al polso. “E smettetela di parlare di me, o delle mie tette, come se non fossi presente!”
Gli raccolsi tutti i capelli sulla nuca, cercando di non farmi sfuggire nessuna ciocca, stringendoglieli poi in una coda bassa.
Mi piaceva toccarglieli, di tanto in tanto; un po’ perché erano morbidi e lucidi, e un po’ perché i miei non erano ancora ricresciuti abbastanza da poterci giocare come facevo prima – li avevo tagliati appena arrivati a Seattle, per vedere il concerto di quei suoi amici. Avevo appena dato un taglio netto alla mia vecchia vita, tanto valeva farlo anche con il mio aspetto – d’altronde, come si soleva dire, quando una donna vuole cambiare, inizia proprio dai capelli.
“Ti stavamo facendo dei complimenti, se non ci avessi fatto caso” sbuffò Shepley, alle mie spalle.
“Oh, sicuramente” bofonchiai. “Ma so che potete fare di meglio, ragazzi.”
Sentii il frusciare dei suoi jeans mentre si alzava, ed un secondo dopo il suo braccio si ancorò alla mia vita, sollevandomi; fece un giro su se stesso, giusto per darmi fastidio, e poi mi mollò a terra. “Metterai il mio numero Giovedì, vero?”
“Lo metto sempre, Shep” ridacchiai, sollevandomi in punta di piedi per scompigliargli i capelli.
Era una tradizione che la maggior parte degli studenti universitari che giocavano a football avevano: facevano indossare un maglietta con il proprio numero alla loro persona ‘portafortuna’. La fidanzata, la sorella, qualche amico o addirittura la mamma; una persona a cui tenevano particolarmente. O, nel caso di Shepley, l’unica il cui scopo principale non era rimorchiarlo – o in alcuni casi, usarlo per arrivare a Neal e ai suoi soldi.
“Vai a casa adesso?” intervenne il biondo, sistemandosi il cellulare nella tasca del jeans scuro.
“No, devo incontrarmi con Bailee al parco” mormorai, iniziando ad infilarmi le cuffiette nelle orecchie. “Ne approfitto per farmi una corsetta.”
“Va bene. Allora ci vediamo dopo a casa.”
“Si” annuì, salutando entrambi con la mano mentre imboccavo le scale per tornare in strada; aspettai che il semaforo si illuminasse di verde, azionando la riproduzione casuale sul cellulare.
La musica dei Fall Out Boy mi perforò da subito i timpani, escludendo fuori il resto del mondo; attraversai la strada ed iniziai a correre, ad un ritmo non troppo veloce, tenendo sempre la strada dritta.
Erano ormai quasi due anni che stavo a Gainesville, e continuava a piacermi sin dal primo giorno in cui ci avevo messo piede: era tranquilla e mai troppo rumorosa, inoltre abbastanza distante da San Diego e non troppo conosciuta perché a qualcuno venisse in mente la brillante idea di cercarmi proprio in quella città universitaria.
Inizialmente, quando avevo accettato di seguire Neal a Seattle per il concerto dei Chasing Safety, quella città mi era sembrata proprio il luogo ideale dove poter sfuggire al passato, dove lasciar perdere le mie tracce; poi però Neal mi aveva parlato della sua borsa di studio per la UF, di Gainesville e dell’appartamento che lì avrebbe diviso con il suo amico newyorkese Shepley, e così mi ero ritrovata catapultata anch’io lì.
Non sapevo se avevo accettato di seguirlo perché anche lui stava disperatamente cercando di scappare dalla sua vita o semplicemente perché in quel preciso momento non m’importava particolarmente della fine che avrei fatto partendo con quello sconosciuto terribilmente carino, ma stava di fatto che non me ne ero ancora pentita.
Neal era dolce, gentile e sulle sue; in più, aveva accettato tranquillamente il mio rifiuto nello svelargli qualsiasi dettaglio della mia vecchia vita.
Ormai la Carter di San Diego non faceva più parte di me, e non avrei quindi permesso che il ricordo del mio passato potesse farla tornare; raccontare tutti i drammi e le stronzate che avevano caratterizzato le mie giornate avrebbe significato riporre nuova fiducia in qualcuno. Ma, per quanto potessi essermi affezionata a quel ragazzo, non mi ritenevo in grado di fare quel passo; non volevo rovinare di nuovo tutto. E non volevo soprattutto dipendere da nessuno. Avevo avuto troppo bisogno delle persone in passato,ed il risultato … be’, era quello che era.
La Carter di Gainesville era decisamente un’altra persona, una versione migliore; bastava a se stessa, era indipendente e reggeva saldamente in mano le redini della sua quotidianità. Non avrebbe permesso a nessuno di distruggerle anche quella realtà.
Avevo un lavoro, ero riuscita a comprarmi una macchina, e pagavo la mia parte d’affitto dell’appartamento che io, Neal, Shep e Bailee dividevamo. Il prossimo passo era riuscire a trovare un appartamentino a poco prezzo dove poter vivere da sola; non necessariamente nell’immediato futuro – perché sì, mi trovavo troppo bene con i ragazzi al momento -, ma era comunque una cosa che avevo in mente di fare.
All’inizio avevo accettato di prendere la camera libera in attesa di trovarmi un lavoro ed una sistemazione adatta; poi avevo conosciuto Shep e Bailee. E non mi avevano voluta più lasciar andare.
Improvvisamente, la voce di Patrick Stump sparì, riportandomi bruscamente alla realtà; continuando a correre, accettai la chiamata in arrivo senza nemmeno controllare chi fosse il mittente. Il primo passo che avevo fatto, appena salita sull’aereo per Seattle, era stato quello di togliere batteria e scheda dal cellulare e gettarli nella spazzatura. Senza preoccuparmi di salvare qualche contatto.
Dopo diciotto mesi, erano davvero poche le persone che avrebbero mai potuto chiamarmi – si potevano contare sulle dita di una mano. E nessuno di loro era di San Diego.
“Pronto?” mormorai con un accenno di affanno, facendo un altro nodo alle maniche della felpa per non rischiare cadesse; infilai il cellulare tra l’elastico dei pantaloni, in modo da non avere nessun impedimento tra le mani.
“Dove sei?” mi domandò immediatamente Bailee, con voce squillante.
Girato l’angolo della strada, iniziai a rallentare l’andamento dei miei passi; controllando le insegne sopra la mia testa, notai finalmente quella piccola e anonima del Mini Market in cui mi fermavo sempre.
“Sei già al parco?” le domandai a mia volta; entrando nel piccolo negozio, salutai l’anziana signora alla cassa con un sorriso cordiale, imboccando direttamente la corsia delle bevande.
“Si.”
“Mi sono fermata un attimo a prendere una bottiglietta d’acqua” mormorai, constatando delusa che le uniche bottiglie rimaste erano quelle da un litro. “Se attraversi la strada e giri all’angolo dove c’è quel negozio di bigiotteria,  ti troverai proprio di fronte il market dove sono adesso.”
Mi passai le dita sul collo, asciugando una goccia di sudore che mi solleticava la pelle; con lo sguardo ispezionai allora le varie tipologie di sport drink che mi si presentavano dinanzi: c’è n’erano di diverse marche, colori, denominazioni e componenti, così per non perdere la testa mi limitai ad afferrare una bottiglia blu di Powerade.
“Okay. Ci sono. Ti aspetto qui fuori allora” parlò di nuovo Bailee, ricordandomi della chiamata in corso.
“Si, pago e ti raggiungo” confermai, lasciandole attaccare.
Cacciai le mani nelle tasche dei pantaloni, e come mi aspettavo trovai degli spiccioli che Neal doveva essersi dimenticato – come al solito. Li appoggiai sulla cassa e uscì fuori, trovandomi esattamente di fronte la figura snella della mia bellissima amica.
Riparava la faccia dal sole dietro ad un enorme cappello da spiaggia, mentre batteva ritmicamente il piede a terra; non appena si accorse della mia presenza mi afferrò sottobraccio ed iniziò a trascinarmi nella direzione dalla quale era venuta. “Finalmente! Stavo iniziando a sentirmi un po’ strana a stare immobile di fronte ad un Mini Market alle otto di mattina.”
Ridacchiai, appoggiandomi le cuffie attorno al collo per poterla sentire meglio.
Con i capelli scuri che le arrivavano al mento, la pelle di un’invidiabile tonalità nocciola e il prendisole a fantasia floreale, Bailee era l’incarnazione dell’estate e della voglia di vivere.
L’avevo conosciuta nove mesi prima, quando mi avevano assunta come barista al Viros.
Inizialmente, appena approdata a Gainesville, quello era l’ultimo tipo di lavoro che mi ero ripromessa di cercare; troppi brutti ricordi, e la stessa quantità di brutte esperienze fisiche.
Se volevo essere una nuova e diversa Carter, dovevo puntare a qualcosa di più tranquillo e anonimo.
Non avevo però preso in considerazione che Gainesville era una città universitaria, e che quindi lavori come bibliotecaria, babysitter, dog sitter o aiutante in una scuola di danza non erano esattamente il tipo di incarico della quale rendita si poteva vivere.
Avevo pur sempre bollette, assicurazioni, viveri e benzina da pagare alla fine di ogni mese.
Così avevo dovuto dare un taglio al mio orgoglio ferito e recarmi al Viros, dove sapevo stessero cercando una nuova barista – e mi ero ben accertata, in precedenza, che la paga fosse buona.
Un lavoro ben retribuito era pur sempre un lavoro ben retribuito; e comunque ciò non definiva la mia persona. Solo perché ero tornata a fare la barista, non significava che ero pronta a lasciare il via libera alla vecchia me di tornare. Di quella ragazza piena d’amore e fiducia da dare non c’era più nessuna traccia, ormai. L’avevo strappata via da me non appena Keaton mi aveva tradita.
Quando Dante aveva deciso di rovinarmi di nuovo la vita.
Avevo deciso che li avrei odiati tutti, per il resto dei miei giorni, quando Justin mi aveva spezzata; lo avevo lasciato avvicinare al mio cuore un po’, ma quel po’ gli era bastato per tirarmelo con forza fuori dal petto e giocarci a suo piacimento, riempiendolo di bugie. Si era divertito, fin quando non gli era scivolata la presa e lo aveva ridotto in cocci talmente piccoli da non poter essere rimessi insieme.
Dentro di me era rimasta solo la forma, del cuore ammaccato ma funzionante che avevo avuto una volta - non avrei permesso a nessuno di provare a rimetterlo in vita.
Ed era una cosa definitiva. Permanente. Immutabile.
“Ci sei?” mi sentì domandare da Bailee al orecchio. Mi sventolò divertita una mano di fronte alla faccia, ormai abituata a quei miei momenti di estraniamento dalla realtà.
Mi passai una mano sulla pelle sudaticcia dello stomaco, sospirando. “Scusa. Dicevi?”
“Tutto apposto?” mi chiese ancora, prendendomi a braccetto così che la seguissi.
Bailee - così come Neal e Shepley – era anche lei all’oscuro da ogni tipo di dettaglio riguardante la mia vita prima della Florida. Lei ed il ragazzone newyorkese non erano a conoscenza neanche del fatto che a nemmeno diciotto anni ero praticamente scappata di casa, rifugiandomi in un altro stato per scappare dalla mia ‘famiglia’. Quello era un dettaglio del quale eravamo a conoscenza unicamente io e Neal.
“Certo, nessun problema” la tranquillizzai, sorridendole. “Cosa stavi dicendo?”
Lei mi osservò attentamente qualche altro istante, in religioso silenzio; poi, scuotendo la testa, ricominciò a camminare come se nulla fosse. Adoravo Bailee anche per quello: non era quel tipo di persona che pressava per sapere cosa non andasse. E ciò non significava che non si preoccupasse; semplicemente sapeva che quando sarei stata pronta, gliene avrei parlato di mia spontanea volontà.
Che io non mi sarei mai sentita pronta a parlarle di San Diego, quella era decisamente  un’altra lunga e complicata storia.
“Oggi il turno inizierà un po’ prima. Beckah è malata, e Thomas non è riuscito a trovare un rimpiazzo. Quindi dobbiamo trovare i vestiti per Sabato entro oggi” mi ripeté tranquilla, sistemandosi meglio la borsa sulla spalla. “Sono solo le nove meno venti, ma quel negozietto carino dove sono passata la scorsa volta dovrebbe essere già aperto. In più c’era un vestito che ti starebbe d’incanto!”
“Aspetta. Ferma un secondo. Cosa ci sarebbe Sabato sera?”
“Sei seria?” Mi guardò, senza riuscire a trattenersi dal ridacchiare. “Il compleanno di Neal, Carter. Sabato è il suo compleanno.”
Strabuzzai gli occhi, sbattendomi una mano sulla fronte. “Porca misera! Ecco cosa mi sembrava di aver dimenticato!”
Neal me ne aveva parlato proprio la settimana scorsa; voleva passare l’weekend a Palm Beach, nella casetta sul mare di proprietà della nonna paterna.
Da quel poco che si era lasciato sfuggire Neal, il padre era uno dei broker migliori di New York – e anche uno dei più avidi -, mentre la madre era un’avvocatessa che dedicava  ventiquattro ore su ventiquattro al suo lavoro d’ufficio.
Lui, suo fratello maggiore e la sorella minore erano cresciuti in un clima talmente rigido e privo d’affetto che, ad un certo punto, era scoppiato. Un giorno, dopo l’ennesima lite con il padre che pretendeva per lui la sua stessa carriera, Neal aveva preso il suo borsone e se n’era andato. Con l’intenzione di non rimettere mai più piede tra quelle quattro mura impregnate di bramosia e disinteresse verso qualunque cosa al di fuori del lavoro.
E allora ci eravamo incontrati, ed avevamo ricominciato le nostre nuove vite in compagnia.
Non riuscivo davvero a credere d’essermi fatta passare di mente una cosa così importante.
Ero pronta a scommettere che i sensi di colpa sarebbero arrivati a breve per tormentarmi. 
A quel punto, notando forse la mia faccia disperata, la brunetta al mio fianco scoppiò a ridere senza più censurarsi; mollò il mio braccio e si strinse la pancia, ridendo in quel suo modo strano che la faceva sembrare un cagnolino.
Le picchiai la schiena, incrociando le braccia al petto. “Andiamo! Non è divertente! Sono pessima!”
“Oh, no, questo è assolutamente … fantastico” mormorò, tra una risata e l’altra. Tornò in posizione eretta, sistemandosi la bretellina del prendisole sulla spalla. “Quando lo verrà a sapere Shepley ti prenderà in giro a vita!”
“Ma Shep non lo verrà mai a sapere, Bailee” sbuffai, puntandole minacciosa un dito contro. “Mai! Intese?”
Sollevò le braccia all’aria, sorridendo innocentemente. I suoi occhioni scuri luccicarono di puro divertimento, mentre mi osservava. “Sissignora!”
“Sarà meglio per te” bofonchiai, pizzicandole la guancia. “E poi, non si sa mai! Shep potrebbe sempre venire a sapere che sei stata tu a strappare la manica della sua maglietta autografata dai Giants ..”
Bailee sgranò gli occhi, boccheggiando sorpresa. “Sei una stronza! Lo sai che è stato un incidente!”
“Certo, tesoro” la presi in giro, battendole la mano sulla spalla. “Allora, questo vestito ..?”
Mettendo su un broncio da bimbetta, Bailee mi trascinò esattamente dinanzi ad un negozietto dagli interni color grigio perla che avevamo di fronte. Dal suo interno proveniva una leggera musichetta estiva – in voga nel duemila, se ricordavo bene. “Odio quando sei così stronza! Ti viene così maledettamente bene!”
“Ma smettila, cretina!” risi, spintonandola attraverso la porta. “E vediamo di trovare in fretta questo vestito, che dopo devo andare a ritirare il suo regalo!”

 








 
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SO YES, IM HERE AGAIN.
Non ci credo che l'ho pubblicato.
Non pensavo nemmeno che avrei terminato mai Ablaze, quindi mi ritengo abbastanza soddisfatta per aver portato a termine qualcosa nella mia vita.
E non lo so, sarete scocciate, annoiate che io sia ancora qua, deluse del capitolo. Non ne ho proprio idea.
Comunque questa vuole essere solo una sottospecie di prologo.
C'è stato un salto temporale di diciotto mesi, che sono quasi due anni, quidni sono voluta partire un pò tranquilla. Fare vedere Carter, che fine ha fatto, e come sta. Visto che con Abalze vi avevo lasciate con la sua fuga.
Et voilà, ecco qui di nuovo Carter.  E vi ripropongo il personaggio di Neal, che sarà uno dei fulcri della vita di Carter ormai.
La nostra protagonista è ive con tin Florida, vre persone, e lavora ancora in un bar.
Per il resto, non vi posso anticipare nulla. Vi resta da aspettare il primo capitolo dal punto di vista di Justin - nel prossimoc apitolo comunque le cose inizieranno a farsi interessanti.
Il titolo, Cinders, letteralmente significa cenere.
Cenere è un pò quello che è rimasto di Carter dopo la fuga da San Diego.
A San Diego dove stava bruciando, dove era fiammeggiante, dove il fuoco era alla base della sua vita - ad un certo punto anche letteralmente.
Poi però il vaso di Pandora della famiglia è stato aperto, ed il fuoco è stato sommerso, è morto. E ne sono rimaste solo le ceneri.
E dalle ceneri è dovuta ripartire lei, per ricostruire la sua nuova vita.
Poi starà a lei vedere cosa ne nascerà da queste ceneri.
Per il momento, vi ho presentato un pò la sua nuova vita.
Ma, comunque ho molte novità per questo sequel - apparte le verità che sono rimaste in sospeso in Ablaze -, soprattutto per quanto riguarda Justin.
Detto qesto, spero di trovare qualche lettrice (magari qualcuna di quelle dolcissime che mi ha seguita in Ablaze), e spero che il capitolo non vi abbia annoiato troppo.
Ringrazio comunque chi mi ha seguita fino ad ora, lasciandomi sempre con belle parole - che hanno significato molto per me. Vi sono grata, e spero di non deludervi - più di quanto non abbia fatto con gli ultimi capitoli di Ablaze.
Detto questo, adesso vi lascio delle immagini di riferimento per i nostri nuovi personaggi.
Man mano che si andrà avanti con i capitli metterò gli altri, e forse riproporrò alle volte anche quelli vecchi per rinfrescarvi la memoria - a me in primis lol.
Baci.



Demi Lovato sempre come la nostra Carter


Questo ignoto ragazzo di cui sono innamorata come Neal Turner


Theo James come Shepley Wilson


E Vanessa Hudgens come Bailee Parker
   
 
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