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Autore: Dolores Haze    09/01/2016    4 recensioni
Nata da un’ispirazione (o follia) momentanea. Le prime notti dell’esilio che terrà Sherlock lontano da Londra per due anni sono insostenibili. Per non impazzire, Sherlock decide di realizzare una serie di ritratti di tutti coloro che ama e che ha dovuto lasciare indietro.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Lestrade, Molly Hooper, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Sir Arthur Conan Doyle, di Steven Moffat e Mark Gatiss. Riferimenti ad altre storie pubblicate su questo sito sono puramente casuali e involontari. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

 

La stanza era piccola e squallida. Mycroft aveva impartito poche istruzioni prima di interrompere frettolosamente la comunicazione, dandogli un altro appuntamento telefonico per il giorno successivo. Erano trascorse solo poche ore dal falso suicidio, e il rischio di essere intercettati era ancora altissimo.

Sherlock sedette sulla brandina rigida, scrutando incupito le pareti ingiallite, il pavimento dissestato, la sporcizia coagulata negli angoli. La piccola lampadina pendente dal soffitto diffondeva una luce fredda e intermittente: la finestra era piccola e collocata troppo in alto perché potesse aprirla e scrutare fuori. Allungò una mano per toccare il guanciale, ma dovette ritrarla immediatamente, perché il tessuto era viscido e umido. Sospirò.

Che fare? Si chiese. Non aveva con sé i suoi libri, le sue provette o il suo portatile: sebbene il suo telefono cellulare fosse abilitato per navigare in internet, si sentiva troppo annichilito per poter condurre delle ricerche che potessero tornargli utili in qualche modo. La voce straziata di John continuava a perseguitarlo, dandogli l’impressione di essere trapassato parte a parte da un lungo coltello. “Lasciatemi passare, per favore, è mio amico. È mio amico… Oh, Dio, no. No.”

Si maledisse per aver rievocato quel momento con tanta chiarezza: ebbe uno spasmo, lo stomaco gli si contrasse, strinse d’istinto i pugni e gli occhi gli si riempirono di lacrime. Ecco il grande Sherlock Holmes, pensò con rabbia, vulnerabile come un bambino dato in pasto alla guerra. Perché questa è una guerra e non posso fare a meno di combatterla, sebbene desideri solo una delle tazze di tè di Mrs. Hudson e la compagnia di John sulla poltrona accanto alla mia…

Nonostante la certezza di essere riuscito ad avere la meglio su Moriarty e la consapevolezza del fatto che il suo allontanamento da Londra fosse temporaneo, quella notte si sentiva talmente svuotato e addolorato da non riuscire a far prevalere la forza della sua granitica razionalità su quella dei suoi sentimenti. I suoi pensieri si susseguivano senza posa, assemblandosi tra loro come tessere di un puzzle secondo un criterio non logico quanto emotivo. In un attimo si rese conto che quella era la prima notte, dopo tanti anni, che trascorreva in completa solitudine, senza la vicinanza di John o di Mrs. Hudson. E che sarebbe stata la prima di una lunga serie di notti senza conforto.

Il dolore si intensificò a tal punto che dovette alzarsi di scatto. Pensò cupamente a come sarebbe stato molto più facile se i sentimenti e le emozioni fossero state delle appendici, propaggini accessorie, da indossare come la sua sciarpa solo nei momenti più opportuni. Commetti un errore concettuale, si disse, avviandosi verso la scrivania consunta posizionata di fronte alla brandina. Le emozioni sono stati mentali associati a modificazioni di natura psicofisiologica. Anche volendo, non potresti mai indossarle come un cappello, perché sono parte di te…

Sedette sulla sedia sgangherata. La scrivania era libera, eccezion fatta per una pila di fogli e un paio di penne troppo nuove per essere parte dell’arredamento. Doveva esserci lo zampino di Mycroft. Ne impugnò una e tracciò una linea dritta sul primo foglio. L’inchiostro era nero e gradevolmente odoroso. Ebbe l’impulso di annusare la carta. Era nuova, candida, di buona fattura. Proveniva senza dubbio dalla stampante di Mycroft.

Pensò di scrivere una lettera, un testamento, di riassumere i passaggi del caso Moriarty, in modo da avere uno schema della situazione da arricchire con i dettagli che avrebbe raccolto in seguito. Aveva già deciso come impostarlo, quando si rese conto che la sua mano, come dotata di volontà propria, aveva tracciato alcune linee curve che ricordavano una capigliatura maschile.

Sherlock osservò accigliato il foglio, la penna, la propria mano. Il flusso di pensieri operativi sembrò arrestarsi nuovamente. Questi sembrano i capelli di John, si disse. Quando ci siamo conosciuti erano molto più corti, poi li ha lasciati crescere.

Che senso ha disegnare John? Si chiese. Posso incontrarlo in qualsiasi momento nel palazzo mentale, basta creare le condizioni giuste. E come lui posso vedere Mrs. Hudson, Molly, Lestrade. Ma la sua mente, frenetica, aveva già trovato la risposta.

Forse, se li trasferissi sulla carta così come li ricordo e li visualizzo nel palazzo mentale, potrei sentirli… più vicini. Forse, evocando ogni loro singolo dettaglio e incarnandolo nell’inchiostro, riuscirei a colmare il vuoto della loro assenza. Potrei guardarli ogni qualvolta lo desideri, potrei sistemare i loro fogli sotto quell’orribile cuscino, o nasconderli nella mia giacca. Incontrarli nel palazzo mentale significherebbe adoperare delle energie che potrei investire in altri modi… ad esempio per smantellare la rete di Moriarty e fare ritorno a Londra il prima possibile.

Quel pensiero lo rinfrancò. Scrutò più attentamente il foglio. John ha un piccolo ciuffo di capelli che gli attraversa quasi completamente la fronte…

Riprese a lavorare sulla capigliatura, poi tracciò, poco più in basso, una linea curva che delimitava la mandibola e il mento.

Si sentì immerso in una frenesia nuova, pulsante. Avvertì un senso di calore propagarsi negli arti, nell’addome, sotto lo sterno. Per la prima volta in quella giornata, le sue labbra si distesero in un piccolo, esitante sorriso.

Lo schema può attendere, si disse.

 

 

Buon pomeriggio a tutti!

Come preannunciavo nell’introduzione alla storia, si tratta di un qualcosa che ho buttato giù di getto in seguito ad un’ispirazione (o follia, chissà che i due aspetti non si rassomiglino) momentanea. Il tutto è ambientato nell’intervallo di tempo tra la seconda e la terza stagione. Sarà una raccolta di shots eminentemente descrittive, più che narrative: se questo capitoletto introduttivo è più lungo, può darsi che i successivi lo saranno molto meno. Lo scopriremo solo vivendo, come diceva Lucio Battisti! Un grazie anticipato a chi vorrà leggere e lasciare un commento su questa (ennesima) stramba storia!

Un bacio, a presto,

Denirose

 

   
 
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