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Autore: crystalemi    13/03/2009    4 recensioni
[Spoiler del Manga fino al capitolo 179]: In un ipotetico futuro, Allen Walker (18 anni) è generale e Lavi (21 anni) non è più Lavi ma Bookman.
Ora, però, si troveranno a fare i conti con un cuore che avrebbe dovuto smettere di provare sentimenti tempo fa.
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Allen Walker, Rabi/Lavi | Coppie: Rabi/Allen
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: Spoiler!
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[Spoiler del Manga fino al capitolo 179]: In un ipotetico futuro, Allen Walker (18) è generale e Lavi (21) non è più Lavi ma Bookman. Ora, però, si troveranno a fare i conti con un cuore che avrebbe dovuto smettere di provare sentimenti.




What Hurts The Most



[Was being so close
And havin' so much to say
And watchin' you walk away]



«Allen, vorrei che tu e la tua unità andaste in Sud America. A quanto pare ci sono molti Akuma che vengono eliminati da un ragazzo che non crede ai Finder sull’esistenza dell’ordine.»
Komui bevve un sorso di caffè guardando il ragazzo davanti a sé annuire tranquillo.
«Non è inutile far venire anche l’unità? D’altronde la missione consiste semplicemente nel convincere qualcuno ad unirsi a noi, no?» Chiese dopo qualche secondo di riflessione l’esorcista.
«Magari Arime Reich portalo dietro, combattere contro qualche Akuma gli servirà: è molto giovane, ha bisogno di esperienza.» Allen sorrise gentilmente e si alzò con calma. Scostò i capelli lunghi dalle spalle e rifece la coda con cui li teneva sempre imprigionati.
Era stata una follia farli crescere ma, nell’incidente, tre anni prima, durante il trasloco aveva scoperto di non essere totalmente dispiaciuto della loro lunghezza.
«Ah, - aggiunse soprappensiero - Komui, ti prego di non assegnarmi missioni con Lavi per un po’.
Non mi sono ancora abituato» Aggiunse uscendo.
«Bookman, prego.» disse freddamente una voce alle sue spalle. Allen rientrò nell’ufficio solo per notare la capigliatura castano-rossiccia del quarantanovesimo; nonostante i cambiamenti, non aveva perso il vizio di presentarsi all’improvviso senza essere per altro notato.
«Sì, certo. Mi riferivo proprio a questo.» Il suo tono sfiorava l’ironia e la rassegnazione. Non mostrava che una briciola del dolore di Allen.
«Allen, non è difficile, sai?» Freddezza a parte, Lavi era sempre lì davanti a lui, bellissimo e con un sorriso tremendamente falso.
«Generale, prego.» Lo scimmiottò.
Komui avvertiva palpabile la tensione fra i due.
Da quando Allen era tornato e aveva scoperto che Lavi non era più lui ma un vero Bookman, la situazione era andata peggiorando in modo deleterio. L’assurdità era la pretesa di Allen: voleva essere chiamato Generale unicamente da Bookman. Si lasciava chiamare “Moyashi” da Kanda, scherzandoci come se niente fosse cambiato e invece da colui che era stato il migliore amico pretendeva di essere chiamato come avrebbe dovuto.
«Credo che moccioso sia più indicato ma tenterò di portarle rispetto.» Ribatté Lavi affondando le mani nelle tasche della giacca. Mentalmente si diede dello stupido, in fondo era anche dalla parte del torto: l’altro aveva perfettamente ragione a pretendere una cosa simile, viste le sue di richieste.
«Oh beh, sarebbe il minimo, sempre che i Bookman siano in grado di portar rispetto oltre alla vigilia del tradimento. Giuda era della vostra razza?» Allen sapeva di essere stato crudele ma si sentiva tradito nel profondo da qualche mese a quella parte ed era sempre colpa di Lavi!
«Non sono io chi il Vaticano ha tenuto sotto stretta osservazione, Quattordicesimo.» Replicò pragmatico Bookman, nascondendo la rabbia che lo stava invadendo. Per quanto Allen gli fosse stato simpatico, una simile offesa era troppo: non l’avrebbe sopportata nemmeno da Dio in persona!
«Sensei?» La voce dell’unico membro nell’unità Walker in grado di parlare li raggiunse timidamente interrompendo lo scambio di frecciatine.
«Sì, Madeline?» L’interpellato le rivolse un sorriso gentile, volutamente ignorando la provocazione, grato per l’intervento dell’allieva. La ragazza replicò con uno piccolo e imbarazzato ma poi gli si avvicinò.
«Yuko-chan è corsa dietro a Kanda-sempai… sa com’è! Non potrebbe fermarla? Lo sta facendo arrabbiare!» Allen ghignò divertito. In tutto l’ordine poche persone si permettevano di infastidire il taciturno esorcista: la sua piccola era una di quei pochi. Si divertiva un mondo a vedere Bakanda litigare con una bimba di sette anni! Il fatto veramente divertente era che la suddetta Yuko era anche in grado di tenergli testa grazie alla sua agilità impressionante!
«Moyashi! I tuoi mocciosi tienili lontano da me!» L’esorcista moro entrò nella stanza con la corvina in spalle e un’aria truce da far paura.
Allen si trattenne dal ridergli in faccia e fece cenno all’allieva di fare la brava e questa, con molta allegria, lo travolse abbracciandolo, mollando la presa sull’altro esorcista che se ne andò a passo di marcia facendo ben presente il suo malumore. L’ordine si stava trasformando in un asilo!
La bambina, decidendo che l’abbraccio del maestro era meglio dell’infastidire il suo connazionale, fece capire che avrebbe voluto accompagnarlo.
«Verrà solo Arime per questa volta.» Rispose Allen alla tacita domanda, parlando anche con l’altra ragazza.
Il Generale la sollevò da terra e lei, tristemente, gli si avvinghiò meglio addosso.
Stavano per lasciare la stanza quando Bookman tossicchiò, richiamando l’attenzione di Allen, il cui cuore perse un battito.
«Generale, una volta per tutte: Lavi è morto nel momento stesso in cui il vecchio Bookman è trapassato.» Allen fissò per qualche secondo la testolina corvina della bambina e poi alzò lo sguardo nell’unico occhio visibile del vecchio amico.
«Siete un assassino, allora.» Biascicò stancamente. Voleva Lavi indietro. Voleva poter di nuovo ridere e scherzare, essere rassicurato nel modo tutto particolare che aveva lui. Aveva bisogno del suo occhio verde smeraldo contornato dalla pelle rosa, non dal nero del trucco.
«Prima di dire certe cose, fatevi un esame di coscienza, Generale. Non siete certamente più santo di me, su questo fronte.» Bookman non aveva mosso che i pochi muscoli necessari a quella frase e Allen si era sentito sempre più male ma, prima che potesse ribattere la bambina fra le sue braccia gli tirò una ciocca di capelli facendogli notare le piccole lacrime che le scorrevano sulle guance.
«Ehi, ehi! Non c’è bisogno di piangere! Andiamo da Linalee, eh?» Rivolto un ultimo sguardo alla figura di Bookman, si allontanò con la piccola che singhiozzava in silenzio.

[I pretend I'm ok,
but that's not what gets me.]


Era nella sua stanza, seduto per terra, il capo poggiato al materasso mentre fissava il quadro che aveva pregato gli portassero anche alla nuova sede: quello con il giullare incatenato che trasporta una bara sulla schiena.
Mana, perché?, domandò mentalmente al quadro. L’acqua picchiettava sul vetro della finestra ma non gli importava realmente. Si sentiva troppo stanco per continuare a fingere di essere sereno.
Quelle poche lacrime che aveva versato sembravano accendere il marchio della maledizione di un rosso più vivo, come se quella si stesse nutrendo del suo dolore.
Non ho potuto nemmeno salutarlo!, sospirò mogiamente. Si asciugò le scie bagnate, un groppo che gli serrava la gola. Non era spaventato da quelle lacrime: non trovava alcun senso a quel vivere senza di lui. Non si era sentito così nemmeno quando era morto suo padre o era scomparso il suo maestro. E forse il vero problema risiedeva nella presenza viva di Bookman. Lui non era morto: se n’era andato volontariamente e non riusciva nemmeno a colpevolizzarlo del tutto. Il suo sogno era diventare Bookman e ce l’aveva fatta, rinascendo sul suo stesso sangue. Lavi era morto in un giorno di pioggia come quello, gli avevano detto.
Perché lui non era lì, non gli era stato vicino quando era morto il vecchio Panda.
Era lontano da Londra a chilometri e chilometri di distanza fra lui e il dolore di Lavi.
Non avrebbe mai creduto che la sua prima missione da Generale sarebbe stata così dolorosa. Era tornato con Madeline al seguito, sei pezzi di Innocence e una felicità assurda nel petto.
Dopo otto mesi, finalmente a casa. E lì la pessima accoglienza: un freddo Bookman dai capelli rossicci e la benda sull’occhio destro.
Non aveva nemmeno più lacrime, ormai. Se prima ripensando a quel bentornato si scioglieva, liberandosi di una punta di dolore, ora solo la desolazione lo invadeva. Un tremendo, insostenibile senso di vuoto e stanchezza.
Lanciò un’occhiata alla piccola valigetta appoggiata sotto il pastrano da esorcista che era solito indossare e si alzò. La Colombia lo attendeva.
Andò a sciacquarsi il volto appena prima che bussassero alla sua porta.
Un ragazzo con all’incirca la sua età, bello come un angelo, gli rivolse uno sguardo stranito e Allen scosse la testa, legandosi i capelli nel solito codino.
Egoisticamente, ringraziò quel Dio che aveva tolto al ragazzo la possibilità di parlare. Per una volta, quell’handicap non gli dispiaceva affatto.

[But I'm doin' it]


Si rigirò nel letto per l’ennesima volta.
Scostò una ciocca dei suoi indomabili capelli dall’occhio non bendato, tornando a fissare il soffitto. Non stava bene. Lavi non era affatto morto: lo sentiva perfettamente mentre si agitava nel profondo della coscienza durante la notte. Strepitava dal dolore, quel cuore che non voleva avere.
Di giorno era in grado di accantonare i sentimenti in un angolo ma quando calava l’oscurità quelli si ripresentavano più forti e crudeli, decisi a non dargli tregua.
Continuava, tutte le mattine, a ringraziare quel genio che aveva inventato il trucco: le occhiaie che aveva erano impressionanti, ormai. Dormiva poco e male, era stanco, sfibrato da quel tumulto continuo e deleterio.
C’era qualcosa che quel dannato cuore voleva comunicargli e lui non ci teneva a sapere.
Avrebbe voluto accanto il vecchio Panda: lui sapeva sempre come risolvere tutto.
Se solo avesse capito perché stava così male… il pensiero di Allen, poi, lo uccideva
. Si portava in giro quella macina in gola e fingere diventava sempre più difficile, soprattutto davanti a lui, lui che ancora cercava Lavi.
L’aveva abbandonato senza dirgli nulla approfittando della sua assenza da bravo codardo qual era. Perché, ne era certo, se lo avesse fissato negli occhi per pochi secondi avrebbe decretato la fine dei Bookman. Avrebbe rinunciato al suo sogno, pur di rimanere con lui. E ora, invece, doveva trattarlo freddamente, peggio degli altri: non poteva permettergli di toccare di nuovo la sua anima. Il suo cuore era abbastanza fastidioso senza Allen a fomentare direttamente la rivolta.
Si alzava, si vestiva, viveva con quel rimpianto ed era già difficile senza che Allen lo sapesse.
Lo vedeva con gli altri mentre rideva e scherzava, e si sentiva più solo.
Se solo avesse potuto farla finita, dicendogli tutto, mostrandogli quelle mille e mille parole nate dai pensieri che lo tormentavano ogni notte… ma non poteva.
Aveva scelto e non poteva tornare indietro. L’unica cosa che poteva fare era comportarsi ancora più vigliaccamente: cercarsi un allievo, istruirlo e scaricargli addosso i suoi obblighi. Ma non era sicuro di riuscire ad essere così meschino.
Perché non riusciva a trovare una soluzione che accontentasse sia il suo cuore che il suo dovere?
Guardando Allen si rendeva comunque conto che nulla avrebbe cancellato il dolore che provava, nemmeno trovare un compromesso fra sé e sé.
Si rigirò nuovamente.
Quei pensieri continuavano ad infastidirlo tanto che gli sembrava di sentire dei colpetti alla porta.
Si tirò a sedere. No, i colpi erano reali.
Si alzò lentamente e rabbrividì di freddo quando uno spiffero dalla finestra gli si insinuò nel pigiama primaverile.
La serratura scattò docile sotto le sue dita mentre uno strano senso d’inquietudine gli attanagliava le viscere.
«Scusa l’ora, Bookman» Sussurrò il diciottenne dai capelli bianchi facendogli spalancare gli occhi. Era tutto fradicio e indossava ancora la divisa. Teneva lo sguardo lontano dalla sua figura e basso.
«Cosa ti porta qui?» Chiese nascondendo la titubanza peggio di come avrebbe voluto. Allen si irrigidì, sospirò e scosse la testa. Era imbarazzato davanti al corpo di Lavi così definito dal morbido pigiama: gli era sembrato di tornare ai vecchi tempi in cui la notte giocavano a Poker a lungo e si addormentavano sul suo letto, tirandosi calci e pugni per il dominio del materasso… ma l’intonazione neutrale l’aveva riportato alla realtà.
Quello che aveva davanti non era più Lavi da qualche mese, ormai.
«Sono venuto a scusarmi per l’ultima volta che ci siamo visti. Ho detto cose crudeli e me ne rammarico, non avrei dovuto.» Si decise a rispondere. L’altro esorcista si appoggiò allo stipite della porta avvicinando il corpo a quello dell’ex amico. Arrossirono stupidamente ed entrambi ringraziarono il buio per averli celati.
Il silenzio li avvolse, viscido e vischioso.
Allen cominciò nervosamente a torturarsi le dita del braccio sinistro mentre Lavi tentò di pensare a qualcosa che non lo scoprisse troppo.
Quelle parole lo avevano ferito e davvero molto. Si era sentito rigettato dall’unica persona con cui desiderava un contatto umano, l’unica persona che con il solo pensiero riusciva a tenerlo sveglio tutta la notte.
«Non vi ho dato peso, sospettavo fossero dettate dalla stanchezza.» Amaramente, Lavi pensò di essere davvero diventato un ottimo attore.
Un’altra pesante coltre di silenzio si impossessò del corridoio. Allen sentiva qualcosa di sbagliato in tutto quello: sentiva di voler sputare fuori tutti i pensieri che lo tormentavano, tutte le emozioni che lo assillavano, tutti i rimpianti che lo divoravano.
Quello che non immaginava era la stessa prepotente voglia che aveva Bookman.
Sentiva che era il momento giusto ma non riusciva a capire per cosa. Fissava il volto dell’altro esorcista e sentiva di dover fare qualcosa ma non voleva sapere cosa. Sospettarlo era già troppo.
Erano stati così vicini da toccare il cielo e ora, per la loro presunzione Dio doveva avergli spedito l’inferno.
Accennarono un sorriso triste e malinconico, rendendosi conto che quella era la giusta punizione, nonostante non avessero così chiara la colpa. Era come se sapessero anche quella ma non riuscivano a trovarle un nome. Poteva essere la loro amicizia?
«Bookman, forse è meglio se ricominciassimo da capo.» Disse Allen, emotivamente distrutto. Gli sembrava un addio, più che un nuovo inizio. Forse stava finalmente dicendo addio a Lavi, e questo lo uccideva.
«Credo non sia una cattiva idea.» Ammise Bookman. Aveva la sensazione di star perdendo qualcosa, un’occasione unica e decisiva. Decisamente, non voleva scoprire cosa. Ricominciare e dire addio a Lavi era la cosa migliore da fare. Quella più facile, in definitiva.
«Bene, Il mio nome è Allen Walker, sono Generale all’interno dell’Ordine Oscuro.» Esordì il ragazzo più piccolo, forzando un sorriso che sperava potesse diventare vero, in futuro.
«Allen Walker, io non ho nome: chiamami Bookman.» Il senso di déjà-vu assalì Allen e il sorriso del ragazzo davanti a sé gli confermo che aveva già sentito quella frase. Non pensava che la morte del maestro avesse cambiato così tanto l’amico.
«Ora è meglio che vada, sono molto stanco: la missione è stata più impegnativa del previsto. A domani, Bookman.» Il cenno del capo che accompagnò la sua uscita lo costrinse a forzare di nuovo le labbra in un sorriso.
Allen si incamminò per il corridoio illuminato dalla luce della luna, e nonostante sapesse che era impossibile desiderò che Lavi lo rincorresse e facesse qualcosa per riportare tutto indietro. Quando sentì il rumore della serratura che scattava, però, le gambe gli cedettero facendolo ritrovare inginocchiato per terra con la stessa sensazione di aver perso tutto nella vita e di non avere più un senso, una ragione per andare avanti.
Dietro la porta, il vecchio Lavi spirava tra le lacrime lasciando infine il posto al quarantanovesimo Bookman della storia, conscio di non avere un motivo per restare aggrappato a quel muscolo che pulsava dolorosamente per l’ultima volta.


Not seeing that loving you,
That's what I was trying to do.






Note Finali: Questa fic è nata come idea in una notte in bianco a causa del mal di denti mentre ero impegnata ad ascoltare l’I-pod. Ero dolorante e triste e questa fic è stata un parto nella mattinata seguente. Avrei dovuto essere a letto a riprendere il sonno perso ma, appunto, non avevo sonno.
Ah, essendo la prima su DGM, compatitemi per l’OOC! Volevo farli combattuti ma credo siano usciti emo ._.
Disclaimers: Credo che Hoshino-sensei, se sapesse cosa faccio con Lavi, Kanda, Komui, Allen etc., mi ucciderebbe; quindi avrete capito che non sono miei, assolutamente.
La canzone è “What Hurts the Most” ed è nella versione di Rascal Flatts che, credetemi, rende molto più di quella dei Cascada. Decisamente molto più triste e sentita, a mio parere.
La frase di presentazione di Lavi è ripresa dal quarto volume italiano del manga, dove Bookman presenta sé stesso e Lavi ad Allen. Volevo far vedere quanto la morte del panda abbia sconvolto Lavi tanto da voler essere la sua ombra ma non credo di esserci riuscita ^^
Yuko, Arime e Madeline sono miei, invece. Penso inoltre che potrebbero entrare in una long-fic su D.Gray-Man ma per ora sono troppo impegnata con la scuola. Un giorno si vedrà ♥
   
 
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