Sospiro di morte
È andato tutto
perduto in questa
guerra assurda. Non ci sono vincitori né vinti: si possono
contare solo i
morti. Nessuno potrà mai restituire il sangue che gli
innocenti hanno versato
nella speranza di riconquistare una terra in cui non vige legge, se non
quella
della violenza.
Tu, Jean, lo sapevi bene. L’hai sempre
saputo, del resto. E anche adesso, mentre infuria la battaglia finale,
non puoi
fare a meno di pensare che, comunque vada, il genere umano ha perso se
stesso.
Il Comandante Erwin è stato trucidato
dal Titano Bestia; il Capitano Levi ha vendicato il suo superiore con
una furia
cieca e devastatrice, ma è rimasto lui stesso vittima della
propria forza.
Ferito e allo stremo delle forze, è morto combattendo,
esattamente come si addice
all’uomo più forte
dell’umanità. Il comando dell’esercito
è passato a Hanji,
ma, nonostante la sua preparazione, gli uomini sono andati allo
sbaraglio.
Perdite innumerevoli si possono contare su entrambi i lati del campo di
battaglia – ovunque ci sono carcasse di Titani che evaporano
e soldati
sventrati che costituiranno la portata principale con cui
banchetteranno i
corvi – anche se nulla è paragonabile allo
sfinimento che i superstiti provano
di fronte a una scena di tale desolazione.
Ne hai abbastanza, Jean. Non vuoi più
essere un soldato, non vuoi più essere testimone dello
sterminio dei tuoi
commilitoni: desideri semplicemente tornare a casa e riposare,
augurandoti di
poter dimenticare tutto l’orrore a cui hai assistito. Ma come
si può scordare
l’uccisione di amici e nemici? Come si può far
finta di nulla, quando le
proprie mani sono sporche di sangue?
È un pensiero che si fa avanti proprio
adesso, in occasione di questa assurda guerra di logoramento. Per
giorni il
Corpo di Ricognizione ha assediato Shingashina, per giorni ha
combattuto senza
sosta eliminando un Titano dopo l’altro, ma a quale prezzo?
Più della metà
degli uomini sono morti e le speranze di vittoria sono meno che nulle.
Cosa
rimane da fare, ora che la battaglia si è spostata sul campo
aperto, lontano
dalle Mura? Tu come ti senti?
Mentre ti getti all’assalto del mostro
che ha divorato Connie, ti viene in mente una frase apparentemente
senza senso.
Non ricordi dove l’hai sentita. Forse l’hai letta
in uno di quei libri a cui ti
piaceva tanto dare un’occhiata molto prima che decidessi di
arruolarti, forse
l’hai estrapolata da una delle canzoni che tua madre cantava
quando si sentiva
un po’ depressa. Sta di fatto che, nel momento in cui la
collottola del Titano
salta via, quelle cinque parole ti attraversano la testa come un
fulmine a ciel
sereno: amore è vedere qualcuno morire.
Pensi a quante persone sono
trapassate: ne hai viste tante, troppe. Ma nessuna, tra quelle che ora
non ci
sono più, ti ha fatto battere il cuore. Tu stesso hai scelto
di non amare
nessuno, se non lei. E adesso sei
alla resa dei conti.
Davanti a te, Titani. Dietro di te,
Titani. A destra, a sinistra, quelle inquietanti creature circondano te
e ciò
che rimane della tua Squadra. È la fine, adesso sai che
è giunta. Vedrai altri
morire, tra pochi secondi.
Chi sarà il primo a cadere?
Nel bagno di sangue che sta per
consumarsi, preghi che non sia lei. Preghi che scappi, che riesca a
tornare
alle Mura, nonostante sia troppo tardi. Ti rifiuti di credere che anche
Mikasa
– la ragazza che ha riempito i tuoi sogni, la ragazza che ti
ha regalato la
speranza, la ragazza che ti ha infuso il coraggio di affrontare anche
questo
momento – morirà, esattamente come migliaia prima
di lei. Il solo pensiero ti
sconvolge e vorresti urlare al mondo la rabbia che ti porti dentro.
Poi, di
nuovo, quella frase torna a bussare alle porte della tua mente.
Amore
è vedere qualcuno morire.
Forse, stavolta, vedrai davvero
l'altra metà della tua anima accasciarsi al suolo, mentre il
suo sangue bagna
l'erba e irriga la dura terra su cui il Corpo di Ricognizione ha
rivendicato il
diritto dell'umanità.
Scuoti la testa. Continui a
combattere, volteggiando nell'aria e dando fondo agli ultimi residui di
gas
della Manovra Tridimensionale; le spade fendono l'ennesima collottola,
la vita
– si può chiamare così, quella?
– scivola via dal gigantesco corpo del Titano
che hai appena abbattuto. Torni a terra, provi a riprendere fiato,
studi in una
frazione di secondo la situazione: Eren ha perso i sensi e non
può essere d'aiuto
in questa maledetta battaglia. Il suo corpo giace a ridosso di un
albero – le
spalle appoggiate al tronco, la testa che pende sul torace –
ed è quel punto
che Mikasa sta difendendo con tutta se stessa. I Titani arrivano di
corsa, ma
la ragazza non si lascia cogliere impreparata: pondera il gas, si
rialza in
volo, uccide un Anomalo. Non c'è un secondo di tregua in
questa caccia a senso
unico.
La guardi, Jean. La guardi e sai che è
disposta a scambiare la sua stessa vita pur di sapere salva quella di
Eren.
Sospiri e un sorriso malinconico lambisce le tue labbra: non
sarà mai tua. Non
lo è mai stata. Ma tu, tu sei stato suo. Lo sarai sempre. Lo
hai promesso.
Amore
è vedere qualcuno morire. E allora chi guarderà
te morire, se dovessi cadere? Chi ci sarà a
piangerti sul campo di
battaglia, se nessuno dei superstiti ti ha mai amato? Ecco cosa ti
chiedi.
-Jean!-.
Il grido non ti ha raggiunto in tempo;
il tuo urlo di dolore non copre lo scricchiolio sinistro delle ossa che
si
frantumano.
Le tue gambe sono strette nella morsa
di un Titano che ti ha colto di sorpresa, alle spalle, in
quell’unico momento
di distrazione. Il cervello non riesce a muoverle e non hai bisogno di
realizzare cosa sta per accadere. Ti resta solo il tempo di vedere le
fauci del
mostro avvicinarsi sempre di più, mentre l'alito caldo e
fetido soffia sul tuo
viso. Rimani in silenzio e accogli il tuo destino: oggi non vedrai
nessun altro
morire. E sentendoti sollevato da questo pensiero, i denti del Titano
ti
strappano via la gamba destra. Il sangue defluisce, la testa ti gira,
il dolore
che provi ti appanna i sensi; preghi che tutto finisca in fretta,
preghi che il
dolore si fermi presto. E d'improvviso – non sai come
né perché – ti ritrovi a
fluttuare nell'aria, il corpo pesante che cade a terra.
Quando impatti nel terreno, senti i
polmoni frenare contro il torace. Non hai neanche la forza di tossire
eppure –
miracolo – sei ancora vivo. Non sai ancora per quanto, ma la
morte non è venuta
a prenderti, sebbene il sangue continui a sgorgare come un fiume alla
sorgente.
Sei immobile e fissi il cielo, ora coperto dal velo dei tuoi occhi
offuscati,
consapevole di trovarti stretto nella morsa – adesso
allentata – del Titano che
ti ha afferrato. E il mostro, come te, si è accasciato al
suolo, privo di vita.
-Jean!-.
Di nuovo quella voce. La conosci bene,
conosci chi la possiede, ma pensi che sia solo un'illusione, l'ultimo
sogno
prima di chiudere per sempre le palpebre. È come se quella
voce ti stesse
accompagnando serenamente nel mondo dei defunti; è come se,
ascoltando il tuo
stesso nome venir pronunciato con tono così alto, ti
sentissi rassicurato.
È quando stai per far tua l'idea di
essere prossimo alla morte che qualcuno si inginocchia al tuo fianco.
Senti
delle mani chiudersi a pugno all'altezza di ciò che rimane
della tua coscia
destra, le senti premere sulla carne per tamponare l'emorragia per cui
ormai
non c'è nulla da fare. Percepisci agitazione e paura in quei
gesti concitati,
paura di non essere in grado di salvarti.
-Jean,
Jean! Va tutto bene, resisti!-.
È la sua voce. È la voce di Mikasa che
ti dà la forza di riaprire le palpebre, ora pesanti come
macigni sprofondati in
quel mare che non hai mai conosciuto – e che sai non vedrai
mai. Ascolti il
suono delle sue parole e sorridi – o almeno credi di averlo
fatto; in realtà
non ne sei completamente convinto: è bello sentire il tuo
nome lasciare le sue
labbra. Ti illude di baciarla come non hai mai osato fare.
-Jean,
mi senti? Jean!-.
La ragazza preme ancora sulla ferita
mortale. Sai che il tuo sangue sta imbrattando la sua camicia candida e
provi
pena per lei. Non vorresti – e non avresti mai voluto
– che la sua pelle bianca
si coprisse di quella porpora viscosa che non smette di scorrere
dall'arteria
recisa. Allora tendi una mano verso il suo viso, verso quei capelli che
in un
passato lontano hai sfiorato solo con lo sguardo, e richiami la sua
attenzione
nello sforzo di essere abbastanza lucido per vedere
l’espressione del suo
volto.
Mikasa è sconvolta. I suoi occhi sono
spalancati e pieni di terrore, la sua voce invoca ancora una volta il
tuo nome.
Uno schizzo rosso le segna una guancia e ti domandi se quello non sia
il tuo
sangue.
-Jean,
ti prego, rispondi!-.
Ma è difficile soddisfare quella
richiesta. Dalla tua gola non trapela alcun suono. Forse
l’unica cosa che la
ragazza che ami sta ascoltando è un rantolo soffocato, segno
che la fine sta
arrivando a grandi passi. La morte verrà a prenderti per
mano e ti scorterà dai
compagni che si trovano già dall’altra parte.
-M-Mik…-.
Cerchi di pronunciare almeno il suo
nome: sarà la tua ultima preghiera. Compi uno sforzo immane
per riuscirci,
mentre la testa prende a vorticare ancora più in fretta e
farfalle nere si posano
sulle tue ciglia per abbassarti le palpebre e indurti al sonno eterno.
-M-Mikasa…-.
La tua mano è ancora tesa verso di
lei, ma adesso inizia a tremare. Le forze ti abbandonano.
-Non
andartene, Jean! Resta con me,
andrà
tutto bene, ti riporterò a casa!-.
A quelle parole vorresti sorridere, ma
la stanchezza ora è troppa. Il dolore ti sommerge come
un’onda e ti opprime il
petto, impedendoti di respirare. Sei in affanno, pallido per il sangue
perso;
eppure, quando le mani di Mikasa si allontanano dalla coscia maciullata
per
raggiungere e stringere le tue dita, senti una stilla di sollievo
riempirti di
nuovo d’aria i polmoni.
Quel gesto ti riporta alla mente la
domanda che ti sei posto subito prima di essere attaccato dal Titano: chi guarderà te morire? Chi
sarà al tuo
fianco quando l’oscurità della morte
prenderà il posto della flebile luce che
ancora ti illumina gli occhi? C’è Mikasa, adesso,
ma lei non ti ha mai amato.
No, lei ha sempre lottato per Eren; fino a poco fa l’hai
vista uccidere
qualsiasi nemico per proteggere il corpo esausto del ragazzo che anni
fa le ha
salvato la vita. Ma allora perché ora si trova accovacciata
alla tua destra?
Perché è corsa da te?
Solo allora realizzi che, se sei
ancora abbastanza vivo da pensare a tutto questo, lo devi a lei;
capisci che
Mikasa si è lanciata in tuo soccorso quando ti ha visto in
pericolo. È lei ad
aver urlato il tuo nome per metterti in guardia, per avvisarti che un
Titano
incombeva alle tue spalle. È lei che ha ucciso
quell’ammasso di carne disumana
per provare a salvarti. Ed è sempre lei che, alla vista del
sangue zampillare
dall’arteria femorale, ha premuto le sue mani sulla tua pelle
per provare a
fermare quel flusso irruento.
-Jean?
Jean!-, ti chiama di nuovo,
scuotendoti nella speranza di ascoltare ancora la tua voce.
Sono lacrime quelle che vedi scorrere
sulle sue guance? Non ne hai l’assoluta certezza, ma ai raggi
del sole che
tramonta lontano ti sembrano due gemme pure e trasparenti. Non vuoi
vederla
piangere, non vuoi che soffra per causa tua. È tutto
così dannatamente irreale,
un incubo da cui vorresti poterti svegliare, ma purtroppo questa
è la realtà. E
con il passare dei minuti – quanti ne saranno trascorsi? Uno?
Due? – vedi la
fine avanzare sempre più spedita. Osservare Mikasa
singhiozzare, però,
rappresenta davvero il colpo di grazia: il tuo cuore si lacera nel
rimorso, nel
rimpianto, nel desiderio irrealizzato di rivelarle quanto
l’hai amata. Ma ormai
è tardi.
-Grazie per essere rimasta con me-,
dici soltanto, radunando le ultime forze. -Grazie per avermi fatto
diventare
quello che sono-.
L’ora del riposo è giunta. Le tue
ultime parole sono un sospiro di morte che forse la ragazza non
è riuscita a
cogliere. Ora che le hai lasciate scivolare via dal tuo cuore,
però, ti senti
finalmente in pace con te stesso, nella speranza che lei capisca cosa
tu abbia
davvero voluto dire. Allora ti abbandoni all’abbraccio della
morte, giunta
infine al tuo cospetto, e la segui nel cammino che ti
porterà dalle altre
vittime di questa guerra senza senso.
-Non
lasciarmi, Jean-.
Con il dolore della perdita che le
trafigge la gola, Mikasa veglia il corpo del suo compagno di Squadra.
Ha
dimenticato Eren, ha scordato di aver lasciato la difesa del fratello
ad Armin;
in questo momento spera solo che il ragazzo appena spirato abbia
ascoltato la
sua supplica. La verità è però
un’altra, crudele come il mondo contro cui
i sopravvissuti saranno costretti a
combattere fino all’istante della loro morte.
E
tu, Jean, non saprai mai che quel giorno per lei l’amore
è stato vedere te
morire.